Torn & Frayedsottomarini di superficie |
Dopo che il Parsi fu sparito, avvenne che fossi io colui che le Parche destinarono a prodiere di Achab, quando quel prodiere prese il posto vacante; e sempre io colui che, quando l'ultimo giorno i tre uomini furono sbalzati fuori dalla lancia rollante, fu sbattuto a poppa. Così, galleggiando ai bordi della scena che seguì ed essendone in tutto spettatore, quando il risucchio affievolito della nave affondata mi raggiunse, allora venni trascinato, ma lentamente, verso il vortice che si chiudeva. Quando vi giunsi, si era placato in una pozza di lattea schiuma. In tondo, allora, sempre in tondo a circoli via via più stretti che mi avvicinavano alla bolla nera simile a un bottone, sull'asse di quel cerchio che roteava lento, novello Issione io girai. Infine, toccando quel centro vitale, la bolla nera scoppiò; e allora, liberata dalla sua molla ingegnosa e risalita con gran forza, per la sua leggerezza, alla superficie, la bara-salvagente sfrecciò in tutta la sua lunghezza fuor d'acqua, ricadde, e mi galleggiò accanto. Tenuto su da quella bara, quasi per tutto il corso d'un giorno e d'una notte fluttuai su di un oceano molle e funereo. Inoffensivi, i pescicani mi guizzavano accanto come se avessero un catenaccio alla bocca; i selvaggi falchi marini trascorrevano via col becco inguainato. Il secondo giorno, un veliero si avvicinò e mi raccolse, finalmente. Era la «Rachele» che incrociava raminga e che, tornando sui suoi passi alla ricerca dei figli perduti, trovò solo un altro orfano.
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Post n°110 pubblicato il 04 Aprile 2017 da call.me.Ishmael
La Casa di Paglia XXVII Fu il giorno successivo, verso le cinque del mattino che Emiliano Maccani passeggiava a qualche cinquantina di metri dalla Casa di Paglia. Era solo, era il primo. E si preannunziava una giornata splendida, introdotta dal canto dei pettirossi e dei fringuelli mentre lui camminava in mezzo all'erba, nella rugiada, senza preoccuparsi di sporcare i pantaloni appena stirati. Fra non molto sarebbero approdati i reparti speciali, i pullman dei contestatori, le troupe televisive. La sua carriera, comunque sarebbero andate le cose, era finita, aveva ragione Radice, ma la sua coerenza era salva. E questa contava più di qualsiasi altra cosa. Aveva fatto una promessa a sé stesso: sistemare le cose con dignità, e la stava portando a termine. Gli altri lo avrebbero accusato di fanatismo, di essere amico dei negri, di smanie da protagonismo ma lui tirava diritto per la sua strada, ed era l'unico a farlo conoscendo perfettamente le conseguenze. Per il momento girava inzaccherato per le campagne e sopra i muretti a secco. In mano teneva una primula, quasi a premunirsi dalla violenza. Con il passare dei minuti era finito davanti ai cancelli della Casa di Paglia. Tutto era ancora apparentemente immerso nella calma ma fra mezzora sarebbe arrivata la celere, gli scudi, i manganelli, i lacrimogeni. Sbirciò attraverso l'inferriata. Nessun segno di barricata o di pazzi nerboruti con sbarre di ferro, biglie d'acciaio o bottiglie molotov. L'edificio sembrava avvolto in un torpore invincibile e nessuna figura umana era visibile a occhio nudo. Emiliano si tirò indietro e riprese a passeggiare in tondo fino a quando sentì il rumore di camionette in avvicinamento. Era ancora lontano ma si faceva minacciosamente sempre più vicino mentre vedeva alcune persone avvicinarsi da ovest inalberando cartelli e una troupe della televisione locale piantare le tende e le installazioni nello spazio nudo sotto i fichi per potere gestire al meglio la diretta via immagini dello sgombero della Casa di Paglia. Un giornalista fece addirittura il tentativo di avvicinarlo per avere una prima intervista in esclusiva, ma Maccani scrollò più volte la mano. Poi giunsero i reparti speciali, e con loro, quasi ad un segnale convenuto centinaia di onesti cittadini, guidati da estremisti di destra sbucarono da ogni dove, trattenuti a stento dalla polizia locale. Erano le 6 e mezza del mattino. Il capitano Pierfrancesco Osso si avvicinò al questore con una certa sorpresa dipinta sul viso: "Buongiorno questore, devo ammetterle che eravamo preparati a ben altra accoglienza. Non sto parlando dei cittadini, si sapeva che avrebbero protestato ma dentro il casolare...Insomma, sembra che stiano tutti dormendo." Maccani fece un gesto indefinito con la mano: "Prenda dei tronchesi e apriamo questo cancello, poi vedremo. Chissà" Rise "Magari è una trappola." "Non pare crederci molto." "Hanno mollato, capitano. Lo sento come si sente il fumo di un incendio. Non ne capisco davvero il motivo ma hanno mollato." Il cancello, pitturato di fresco, venne aperto e i reparti entrarono schierati spalla a spalla ma nulla pareva minacciarli. Improvvisamente l'ampia porta d'ingresso scricchiolò e sulla soglia apparve Matteo Giustiniani. Era strizzato in un ridicolo completo azzurro con tanto di fazzoletto bianco che gli fuoriusciva dal taschino. Solo le scarpe, un po' troppo desuete per essere pompose, stonavano con l'insieme. Aveva i lunghi capelli raccolti in una coda di cavallo e la barba folta e curatissima. "Benvenuti." Disse con fare magniloquente. "Dopo una lunga riunione notturna si è deciso da parte del direttivo della Casa di Paglia di rinunciare ad ogni forma di resistenza diretta e di abbandonare quello che è stato il nostro rifugio per tantissimi anni. Fatevi pure avanti, nessuno avrà un atteggiamento ostile. Al di là del cancello si sentiva il rumoreggiare della folla e il sibilo dei lacrimogeni insieme all'esplosione delle bombe-carta. Emiliano Maccani si pose di fronte a Matteo, che teneva come un vecchio, le mani dietro la schiena e lo apostrofò stancamente: "Non essere triste. In fondo avete vinto. E forse lo sapete benissimo. Complimenti. Una tattica impeccabile." E allungò la mano aperta verso la figura del Giustiniani. (Continua) |
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