FICO FA NOTIZIA SOLO QUANDO HA LE MANI IN TASCA

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Il 23 maggio scorso, partecipando alla commemorazione del 26° anno dalla strage di Capaci in cui persero la vita il magistrato Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta – Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro – il neo presidente della Camere Roberto Fico fu, giustamente, oggetto di critiche da parte delle opposizioni e di molti media per aver tenuto le mani in tasca, anche se solo per pochi secondi, durante l’esecuzione dell’Inno di Mameli.

Come sempre accade in politica, dove il benché minimo passo falso dell’avversario politico, viene amplificato oltre misura per dimostrarne l’inaffidabilità e l’incapacità di governare, tutte le opposizioni, Pd in testa, e i media che fino al 3 di marzo avevano sostenuto i governi di centrosinistra, colsero quel passo falso di Fico come pretesto per attaccare il M5S che aveva vinto le elezioni con oltre il 30% di preferenze rispetto ai votanti.

A distanza di meno di tre mesi da quell’episodio, il Presidente della Camera si è distinto per essere stato l’unico leader della maggioranza di governo M5S-Lega a criticare apertamente l’operato di Matteo Salvini riguardo i 177 migranti in “ostaggio” sulla Diciotti, invitandolo ad autorizzarne lo sbarco immediato, beccandosi una risposta non certo lusinghiera da parte del leader leghista: “Tu fai il titolare della Camera, io faccio il Ministro dell’Interno”.

Eppure la querelle tra Salvini e l’alleato di governo pentastellato è scomparsa dai giornali, dai telegiornali e talk show, i quali danno invece ampio risalto al sostegno a Salvini del Premier Conte, e di Luigi Di Maio, capo del M5S nonché vice premier e Ministro del Lavoro, i quali si scagliano contro l’Europa, minacciando – Di Maio – di non pagare la rata di 20 miliardi di fondi dovuta dall’Italia all’UE. Minaccia annacquata dal Ministro degli Esteri Moavero il quale ha affermato che gli impegni economici con l’Europa vanno rispettati.

Fin dall’indomani delle elezioni del 4 marzo, quando era oramai chiaro chi avesse vinto le elezioni – M5S e Lega -, chi le avesse malamente perse – Forza Italia e Pd -, ma soprattutto quale eventuale maggioranza di governo si prospettava, è stato palese che l’interesse della stragrande maggioranza dei media era quello di mettere in risalto, in alcuni casi oltre il dovuto come fu appunto per le mani in tasca di Fico, tutto ciò che poteva testimoniare agli occhi dell’opinione pubblica l’incompetenza e la dabbenaggine di alcuni membri di quella maggioranza, soprattutto in chiave M5S.

Oggi che Fico si è apertamente schierato contro Salvini, beccandosi dal Ministro degli Interni frasi poco lusinghiere tanto che il Ministro del Mezzogiorno Barbara Lezzi si è rivolta al collega del Viminale invitandolo a rispettare la terza carica dello Stato, quegli stessi giornali, telegiornali e programmi di approfondimento giornalistico che per giorni si scagliarono contro Fico per quelle inopportune mani in tasca, oggi danno l’impressione di non vedere quale sia la posizione del Presidente della Camera. Forse perché temono che, dandogli risalto, farebbero un involontario favore al M5S, mettendolo in buona luce rispetto all’alleato leghista?

La stampa ha il diritto di informare, sempre e comunque. Non a corrente alternata, alzando o abbassando il volume a seconda di a chi fa comodo che certe notizie siano udibili e altre taciute. O diffuse con il silenziatore al fine di dimostrare, se qualcuno protestasse per la mancata informazione, di averla data: è colpa degli altri se sono sordi o non hanno attaccate le cuffie alle casse!

SABATO 25 AGOSTO IL LAGO D’AVERNO SI VESTE DI MAGIA

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Sabato 25 agosto 2018, alle ore 18,00, nello scenario naturale e selvaggio del lago d’Averno in Pozzuoli(Na), L’associazione Arcobaleno Bianco organizzerà l’evento, “ Il lago fatato”: attrici travestite da fate dei quattro elementi – aria, terra, acqua e fuoco – rappresenteranno teatralmente la loro magica figura tra luci, polvere di stelle e musiche incantate.

All’evento possono partecipare tutti, chi vuole può anche intervenire indossando abiti da fata o da mago, o comunque in tema con la serata.

Sono iniziate le prenotazioni:  per informazioni, telefonare ai numeri, 39260130103421985208.

PONTE MORANDI, L’ENNESIMA GUERRA TRA GUELFI E GHIBELLINI

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In questo paese in cui l’eterno conflitto tra guelfi e ghibellini cova sotto le ceneri, per poi ravvivarsi non appena se ne presenta l’occasione, il crollo del ponte Morandi a Genova è stato come soffiare sulle polveri per vivificare la fiamma.

Subito sui social, ma non solo, si è scatenata una ridda di commenti/scontri tra quanti condividono la scelta del governo di revocare seduta stante la concessione alla società Autostrade spa del Gruppo Benetton, e chi invece ritiene che, così facendo, si crei un precedente pericoloso in quanto si metterebbe discussione lo Stato di Diritto poiché, prima di revocare la concessione, bisogna seguire l’iter previsto dalla legge, anziché scavalcarla malgrado la tragicità dell’evento. Revocare a prescindere da quelli che saranno i risultati dell’inchiesta della magistratura e non attenendosi alle clausole contrattuali  sarebbe un gesto di autoritarismo da parte del governo che, così facendo, infrangerebbe la legge, (domanda: essendo il potere legislativo del Parlamento, il governo non potrebbe varare un decreto legge per modificare la legge che regolamenta le privatizzazioni, ponendolo all’approvazione del Parlamento, senza nemmeno porre la fiducia perché è improbabile che qualcuno voti contro un provvedimento teso a tutelare cittadini, non fossecaktrobper evutarevun hara kiri elettorale? In meno di quindici giorni modificarono la legge pensionistica, rovinando la vita a migliaia di italiani, possibile che non si possa fare lo stesso in questo caso?)

È superfluo aggiungere che quanti sostengono questa seconda versione, sposata in blocco dalle opposizioni, accusano di populismo coloro che invece sostengono la revoca a prescindere posta in corso dal governo. Viceversa chi appoggia la tesi delle opposizioni, viene additato come  un “sostenitore dei poteri forti”.
Cercando di mettere da parte gli istinti di pancia – è difficile davanti a un’immane tragedia come quella di Genova, non solo per i morti e la distruzione derivanti ma anche perché da quel maledetto 14 agosto qualunque automobilista transiti su un ponte o un viadotto autostradale italiano non si sente più sicuro, tirando un sospiro di sollievo ogni qualvolta ne attraverserà uno, magari infrangendo tutti i limiti di velocità, Bertolaso docet – è evidente che il crollo del ponte Morandi, come più di un tecnico ha sottolineato, non può avvenire all’improvviso dalla mattina alla sera; che molto probabilmente c’erano delle condizioni di criticità non rivelate che ne hanno causato il cedimento. Un dato incontestabile è che il ponte, a partire dagli anni ottanta, era in perenne manutenzione a conferma che la sua struttura presentava oggettivamente delle problematiche. Diversamente non si comprende il perché di tali ripetuti  interventi di revisione!

Toccherà ai responsabili dell’inchiesta stabilire cosa, in fase di manutenzione, possa essere sfuggito agli addetti ai lavori, in primis agli ingegneri, per cui non ci si sarebbe resi conto del reale pericolo che il ponte rappresentava.

Questo punto, a mio avviso, potrebbe risolversi a favore della società Autostrade: se il dipendente di un’azienda, pubblica o privata, commette un’inadempienza nei confronti di un cliente, il cliente non si rivarrà verso il dipendente ma presenterà reclamo ufficiale direttamente all’azienda da cui si sente gabbato; appurato il danno, l’azienda risarcirà il cliente, porgendo le proprie scuse. Quindi convocherà il dipendente inadempiente, attivando azioni disciplinari  nei suoi confronti, giungendo perfino al licenziamento, chiedendo i danni, se l’errore commesso è incommensurabile e ha leso in maniera irreparabile l’immagine aziendale. Ovviamente il dipendente a sua volta attiverà una procedura di contestazione legale all’azienda, rimanendo comunque sospeso dal servizio e con lo stipendio congelato fino a quando il giudice non si pronuncerà, stabilendo se il licenziamento è giusto oppure se, come sostiene il dipendente, l’errore è conseguenza delle condizioni di lavoro proibitive in cui era costretto a lavorare e quindi l’azienda è corresponsabile, stabilendo il reintegro del lavoratore, il quale potrà scegliere se tornare a lavoro o “accontentarsi” di un congruo rimborso economico.

Poiché a fare i controlli sul ponte non sono fisicamente né i membri della famiglia Benetton, né tantomeno i vertici di Autostrade spa, ma i tecnici e gli operai stipendiati per tale funzione, è presumibile che la società avvierà un’inchiesta interna per risalire ai responsabile della manutenzione per stabilire se hanno commesso qualche errore di valutazione o c’è stata negligenza, in particolare gli ingegneri, e, una volta appurate eventuali responsabilità, rivalersi contro di loro legalmente.

Il problema della revoca della concessione, al di là degli aspetti formali in chiave di diritto, apre agli occhi del cittadino comune scenari inquietanti in quanto, a questo punto, viene naturale chiedersi: nell’attesa che la revoca della concessione sarà confermata, chi curerà la manutenzione del tratto autostradale, più dell’80%, gestito dal gruppo Benetton? La stessa concessionaria, aspettando la sentenza definitiva del contenzioso tra Stato e Autostrade spa per la conferma o l’annullamento della revoca? O la gestione di Autostrade verrà congelata e, nell’attesa di conoscere i risultati dell’inchiesta, sarà  concessa a terzi con la supervisione del Ministero dei Trasporti?

Aspettando di conoscere gli sviluppi di questa intricatissima vicenda che avrà sicuramente dei lunghissimi strascichi legali e giudiziari, al momento, il conflitto tra guelfi e ghibellini sembra essersi attenuato. soprattutto dopo alcune dichiarazioni di qualche  esponente della politica e della cultura di sinistra, premesso che in Italia esista ancora la sinistra, che, andando controcorrente, hanno affermato essere “sacrosanta” la revoca della gestione a Autostrade spa – Stefano Fassina di LeU a In Onda su La sette il 17 agosto, con il sostegno di Rifondazione comunista,  e la giornalista Lucia Annuziata che  il 16 agosto sull’Huffingtonpost ha scritto un editoriale di fuoco contro i vertici del gruppo Autostrade in cui, seppure mettesse in evidenza che la revoca della concessione “ha tutte le stigmate di un governo che non vuole fare i conti con i diritti acquisiti, con le regole istituzionali”, aggiunge, “Ma, francamente, in questo caso è difficile difendere i diritti di un’azienda che non ha a cuore i diritti di tutti” – gli animi sembrano essersi un tantino sopiti a conferma che molti di coloro che si scagliano contro chi sostiene i “populisti”, irridendoli e accusandoli di pressapochismo e idiozia, a loro volta orientano le proprie opinioni, non in rapporto a un ragionamento personale ma  a seconda della direzione tracciata dal proprio referente politico; ponendosi di fatto nella stessa condizione di quanyi irridono che, a loro dire, seguirebbero come topi il pifferaio magico.

Gli applausi di ieri durante i funerali delle vittime al Presidente Mattarella e agli esponenti del governo, unitamente alle contestazioni al Segretario reggente del Pd Martina, sono la conferma di quale sia in questo momento lo stato d’animo di una buona fetta del paese – avrei voluto scrivere “del paese intero”, ma ho preferito limitarmi perché qualcuno si sarebbe potuto risentire non riconoscendosi in quella condizione interiore.

Siamo e saremo sempre un paese di guelfi e ghibellini, non dimentichiamolo!

LA NOTA STONATA NON ESISTE

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Una delle locuzioni più comuni che spesso utilizziamo nel nostro linguaggio per indicare qualcosa aliena fuoriesce da un contesto in cui appare improvvisamente è “nota stonata”. Tuttavia, se riflettiamo, la cosiddetta “nota stonata”, di per sé, non è affatto stonata. Nel senso che la sua improvvisa presenza in un complesso non dovutole è conseguenza di una scelta arbitraria, seppure inconsapevole, dell’individuo.

La nota stonata è tale semplicemente perché siamo noi che con la nostra disattenzione, idiozia, le consentiamo di farsi larghi nel sistema fino a forzarne le regole, mettendolo in discussione, rischiando di rendere eterogeneo ciò che deve essere omogeneo.

Tuttavia non significa che qualsiasi cosa indichiamo come nota stonata lo sia per sua natura. Basta che inseriamo quella stessa nota in un contesto che le appartiene e l’omogeneità, la melodia della struttura viene garantita, se non addirittura esaltata.

Paragonando ogni singolo individuo a una singola nota, otteniamo che l’unione di più individuo dà vita a uno spartito musicale la cui melodia non verrà stroncata fino a quando in esso non irromperà la nota stonata, ossia un individuo avulso da quel contesto che con la propria presenza metterà in discussione l’intero sistema.

Ovvio che, proprio per questa loro caratteristica di frantumare l’ordinamento di un sistema, le note stonate  sono bandite da qualunque organismo, o quantomeno tenute sotto stretto controllo perché facciano medo danni possibili.

Eppure, paradossalemente, la loro presenza è indispensabile per garantire la durata di un sistema.

Mi spiego: tutto ciò che funziona in maniera perfetta, non solo non sembra richiedere manutenzione, ma induce a distogliervi l’attenzione in quanto, così si dice, il “meccanismo va da sé”.

Certo, va da sé fino a quando non compare, e prima o poi comparirà, la variabile indipendente, ossia la nota stonata, la quale, propria per la scarsa vigilanza derivata dalla sicurezza di trovarci al cospetto di un sistema perfetto, inducendo ad abbassare la guardia ha fatto sì che la nota stonata vi si introducesse e iniziasse a logorare il sistema fino a rallentarlo o, addirittura, bloccarlo.

In virtù di ciò qualunque sistema perfettamente funzionante non deve mai farsi trovare impreparato all’improvvisa apparizione della nota stonata. Deve munirsi a monte di adeguate misure per individuare l’avvento della variabile,  bloccarla e bandirla da sé se vuole durare nel tempo.

Ciononostante non è detto che la presenza di “una nota stonata”, non possa risolversi in un miglioramento del sistema. Il tutto è vincolato alla bravura del direttore d’orchestra che deve valutare se l’inserimento di quella nota nello spartito non possa arricchirlo mediante arrangiamento. Ciò sicuramente richiederà un lungo lavoro di revisione dell’intero “spartito”, ma se si valutasse che l’inserimento della nota stonata, dopo un’accurata rettifica dell’intero sistema, potrebbe rinverdire “l’opera”, da nota stonata, quella variabile si trasformerà nella cosiddetta “ciliegina sulla torta”.

Senza dimenticare l’esistenza della musica dodecafonica che all’orecchio impreparato suonerà come un’unica, lunga stonatura; viceversa segue dei canoni ben precisi, diversi da quelli della musica classica, che solo chi ne conosce le regole di composizione può comprendere e apprezzare.

Morale: non esistono note stonate. Ma semplicemente singole note che, a secondo di come vengono messe in comunione tra di loro, o singolarmente inserite in uno spartito preesistente, possono dare vita a una melodia piacevole o disprezzabile; oppure arricchire o  infrangere uno spartito preesistente.

La scelta finale spetta sempre agli uomini!

PONTE MORANDI, LE DICHIARAZIONI DI BERTOLASO LASCIANO INTERDETTI

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Durante la puntata di In Onda su La Sette del 15 agosto scorso dedicata al crollo del ponte Morandi a Genova del giorno prima – in cui hanno perso la vita 39 persone; 16 i feriti e centinaia gli sfollati dalle case sottostanti essendo serio il rischio che il resto della struttura possa collassare da un momento all’altro – l’ex capo della Protezione Civile Guido Bertolaso ha rilasciato una dichiarazione che, detta da lui che dal 2001 al 2010 ha ricoperto il vertice estremo della struttura della Presidenza del consiglio preposta a “mobilitare e coordinare tutte le risorse nazionali utili ad assicurare assistenza alle popolazioni in caso di grave emergenza”, ha del surreale: “quando passavo su quel ponte, se il traffico me lo permetteva, violavo tutti i limiti di velocità per attraversarlo in fretta”.

Una dichiarazione, quella di Bertolaso, che lascia interdetti, non fosse altro perché l’ex capo della P. C. – rinviato a giudizio per omicidio colposo plurimo e lesioni, poi assolto in Cassazione, per aver detto durante una telefonata del 30 marzo del 2009, intercettata, all’assessore abruzzese Daniela Stati, “la commissione grandi rischi? Un’operazione mediatica. Vogliamo tranquillizzare la gente”, in relazione allo sciame sismico che da mesi martoriava il territorio, mettendo in allarme i cittadini che temevano che le scosse lasciassero presagire l’imminenza di un terremoto – il 6 aprile del 2009, una settimana dopo quella telefonata, ci fu il terremoto che rase al suolo il capoluogo abruzzese e altri comuni con centinaia di morti e feriti e migliaia di sfollati – esplicitamente ammette di essere a conoscenza della pericolosità del ponte Morandi.

Ogni qualvolta il paese era ferito da un terremoto, soprattutto se in zone già colpite in passato da un evento simile, sia Bertolaso che gli esperti dell’INGV non mancavano di ripetere che i terremoti non si possono prevedere ma prevenire costruendo in maniera adeguata.

Poiché riguardo al ponte Morandi, stando alla sua affermazione televisiva, l’ex capo della P. C. lascia intendere di essere ben consapevole della sua pericolosità, sarebbe interessante sapere se tale consapevolezza fosse dovuta a una sua sensazione personale quando lo attraversava o fosse invece frutto di un’accurata conoscenza dei fatti che, per il ruolo che ricopriva, gli permetteva di essere costantemente ragguagliato con indiscutibili dati tecnici. E, in quest’ultimo caso, sarebbe interessante sapere se avesse, come è presumibile ritenere abbia fatto, esposto il pericolo del ponte Morandi a chi di dovere, la Presidenza del Consiglio, affinché intervenisse per sollecitare il concessionario che aveva in gestione quel tratto di autostrada, Atlantia del Gruppo Benetton, perché lo mettesse adeguatamente in sicurezza.

Domande che trovano il tempo che trovano visto che il ponte è venuto giù portandosi dietro morte e distruzione. Seppure a causarne il crollo non è stato un imprevedibile terremoto ma, probabilmente, un’inadeguata manutenzione, ergo prevenzione. Ovviamente tutto ciò lo stabilirà la magistratura!

UN PONTE NON CROLLA PER CASO

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Come sempre accade ogniqualvolta una tragedia annunciata scuote questo disastrato paese, anche per il cedimento del viadotto Morandi di Genova sull’A10, che al momento fa registrare 35  morti e 11 feriti di cui alcuni in gravi condizioni, è già iniziato il rimpallo di responsabilità: in una nota ufficiale la società Autostrade per l’Italia di proprietà della famiglia Benetton, concessionaria per la gestione e manutenzione ordinaria della rete autostradale, tramite Stefano Marigliani direttore della Direzione del Tronco di Genova, ha fatto sapere che “il crollo è per noi qualcosa di inaspettato e imprevisto rispetto all’attività di monitoraggio che veniva fatta sul ponte. Nulla lasciava presagire” .

Tuttavia ascoltando alcuni interventi di chi in passato si è occupato della situazione ponti e viadotti in Italia, una su tutti la giornalista Milena Gabanelli, risulterebbe che il viadotto Morandi fosse tutt’altro che sicuro. Non solo per una questione anagrafica – costruito nel 1967, il ponte aveva cinquant’uno anni, età critica per i ponti in cemento stando agli esperti – ma anche per la sua progettualità che da sempre lo aveva reso argomento di critica e discussione tra gli addetti ai lavori.  Non a caso da questa mattina, subito dopo la tragedia, su diversi siti online di quotidiani nazionali – Repubblica e Corriere della Sera – si riportano le dichiarazioni dell’ingegnere Antonio Brencich il quale nel 2016 su INGEGNERI.INFO scrisse una articolo molto critico sul ponte Morandi.

Così come risulta un’interrogazione il 28 aprile 2016 del senatrore Maurizio Rossi di Scelta civica all’allora Ministro delle Infrastrutture Del Rio, mettendo in evidenza i rischi del Ponte Morandi.

Per quanto concerne il rimpallo di responsabilità, la politica non è da meno: il Ministro della Infrastrutture Toninelli ha già fatto sapere di aver istituito una commissione d’inchiesta per appurare le reali responsabilità. Non levando un velo polemico, affermando che, malgrado in passato fossero stati stanziati i fondi per rimettere in sicurezza il Ponte Morandi e altri viadotti ritenuti critici, quei soldi sono andati persi in quanto mancavano i progetti ingegneristici. Gli ha risposto Maurizio Lupi, suo predecessore nel 2015, invitandolo a non fare sciacallaggio politico.

C’è un altro aspetto politico che merita d’essere messo in evidenza: fino a poche ore fa era presente sulla pagina del M5S un documento del movimento No Gronda, una bretella autostradale che doveva  essere costruita a Genova per snellire il traffico sul Ponte Morandi, per la cui costruzione il M5S era contrario, definendo una favoletta la possibilità che il Ponte Morandi potesse crollare addotta dai sostenitori della Gronda. Ora quel documento è sparito. Tuttavia sarebbe interessante non solo sapere chi lo ha tolto, ma anche perché l’ex Presidente della Provincia di Genova cui si fa riferimento nel documento, sosteneva la possibilità che il ponte potesse crollare.

Speriamo che almeno questo disastro non resti impunito. Ma, soprattutto, che a essere puniti non siano solo i pesci piccoli!

LOTTA AL CAPORALATO, UNA DELLE TANTE IPOCRISIE ITALIANE

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All’indomani dei due tragici incidenti nel foggiano, avvenuti a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, in cui hanno perso complessivamente la vita 16 braccianti di colore – 4 nel primo, 12 nel secondo – che stavano rientrando dai campi dove avevano raccolto pomodori, un’indignazione corale e trasversale si è levata dal mondo della politica per condannare il caporalato – reclutamento della manodopera a basso costo – come se la scoperta del fenomeno fosse conseguenza di quei tragici incidenti anziché un’annosa triste realtà italiana, soprattutto al sud.

Come dimostrano le svariate inchieste giornalistiche che si sono interessate al caporalatonel corso degli anni, e gli interventi legislativi tesi a facilitare l’individuazione del reato di caporalato con un inasprimento delle pene, nel nostro paese il caporalato è tuttora una realtà radicata sul territorio, da nord a sud, e non riguarda solo gli immigrati, regolari o clandestini, ma anche gli italiani, in particolare le donne.

Essendo l’esistenza del fenomeno nota a tutti, ha sorpreso l’atteggiamento di stupore con cui alcuni ambienti della politica, della cultura e del giornalismo hanno affrontato l’argomento, dando l’impressione di esserne all’oscuro o di ignorarne le reali dimensioni.

Da più parti si sono levate voci di condanna contro il caporalato, chiedendo un intervento forte dello Stato per contrastare il fenomeno.

A riguardo non possiamo non ricordare i dissesti idrogeologici che puntualmente avvengono ogni anno nel nostro paese, quasi sempre in zone già precedentemente interessate da simili eventi – Genova docet -,  a causa della mancata prevenzione, come se il pregresso non avesse insegnato nulla a chi amministra la res pubblica.

Ogni anno, non appena si scatenano i primi temporali, in Italia siamo costretti a registrare frane, smottamenti, esondazioni di fiumi e ruscelli con i loro triste strascico di distruzione e morte, la cui a causa è quasi sempre da attribuirsi all’incuria umana, non certo alla furia della natura: se costruisco una palazzina sul greto di un fiume, malgrado la legge me lo impedisca, e poi l’esondazione del fiume la distrugge, la colpa non è solo mia che ho costruito laddove era vietato ma, dato che una palazzina non si edifica in una sola notte, anche di chi doveva tutelare affinché la legge fosse rispettata e invece ha probabilmente volto lo sguardo altrove; oppure se un fiume esonda,  creando allegamenti, perché ha il greto ostruito da detriti e altro, la colpa non è certo della natura ma di chi avrebbe dovuto preventivamente dragare l’alveo per favorire lo scorrere dell’acqua in momenti di piena, evitando in quel modo l’inondazione.

Sabato 11 agosto Il Fatto Quotidiano ha pubblicato un’intervista a un caporale di colore il quale, mentre risponde alle domande del cronista, riceve una telefonata che lo allarma. Ecco le sue parole: “C’è un controllo qui vicino. Ormai è così tutti i giorni: ispettorato, carabinieri, tutti ora si sono svegliati”.

Le leggi contro il caporalato, e non solo, ci sono, basterebbe che chi è preposto le applicasse e le faccesse rispettare.

Ma prima, non dopo che ci è scappato il morto!

RICORDO DI OSVALDO PETRICCIUOLO

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Di seguito l’intervista pubblicata su comunicaresenzafrontiere a Brunilde Petricciuolo, figlia del maestro Osvaldo Petricciuolo che il 9 agosto 2018 avrebbe compiuto 88 anni, in cui la dottoressa ricorda il padre e la sua  versatilità artistica e professionale.


Pittore, scultore, scenografo, baritono, regista lirico, professore di scenografia, il 9 agosto di quest’anno Osvaldo Petricciuolo avrebbe compiuto ottantotto anni. Per celebrarne la memoria, abbiamo intervistato nella Casa d’arte/museo allestita dall’artista a Raggiolo, in provincia d’Arezzo, la figlia del maestro, Brunilde Petricciuolo.

Domanda: Dottoressa come mai suo padre, napoletano doc, decise di creare una casa d’arte a 500 chilometri da Napoli?

Risposta: Più di vent’anni fa, durante uno dei suoi tanti spostamenti legati alla sua attività artistica, papà capitò a Firenze. Lì ci fu chi gli decantò la bellezza di Raggiolo, stimolando la sua curiosità d’artista. Non appena rientrò in albergo, si documentò su dove fosse esattamente situato il paese e come ci si arrivasse. L’indomani, prese il treno per Arezzo, quindi la corriera per Bibbiena e poi un taxi che lo portò a Raggiolo.

D.: Quale fu il motivo principale che lo indusse a scegliere Raggiolo come luogo dove dare vita alla casa d’arte museo?

R.: A Raggiolo papà riscoprì la propria vena sacra di quando da giovane dipingeva i tappeti di arte sacra nelle chiese napoletane. Ciò avvenne perché da Raggiolo si ammira La Verna dove San Francesco ricevette le stigmate. E infatti nella sua produzione raggiolana, portò alla luce una propria tempera inedita del 1958 dedicata al santo. Inoltre, il trovarsi immerso nella natura del luogo, poter camminare sulle rive dei due torrenti che scendono per Raggiolo, il Barbozzaia e il Teggina, stimolò la sua verve naturalista spingendolo a dipingere le dodici tavole Casentinesi di cui successivamente dette alla luce una raccolta di cartoline per collezionisti.

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D.: Un ritorno all’impressionismo?

R: Più che impressionismo, la sua fu una vera e propria lettura dal vero di tutti i luoghi più caratteristici di Raggiolo anche per l’occhio più distratto. Consideri che arrivò addirittura a contare il numero esatto di tegole prima di ritrarre un essiccatoio di castagne.

D.: Questa precisione di dettagli la riscontriamo non soltanto ammirando le opere di suo padre, ma anche nel modo con cui ha ristrutturato il casolare dove ha poi allestito la casa/museo in cui è serbata una parte della sua produzione artistica. L’altra è sparsa in diversi luoghi del mondo, finanche negli Stati Uniti e negli Emirati Arabi. Due anni fa a Napoli è stata allestita una personale a Castel dell’Ovo con un buon riscontro di pubblico, ha in animo di allestirne altre?

R.: Ma certamente. Tenga conto che papà fondò l’Iterspatium Apertum, un’associazione culturale onlus di cui sono la soprintendente e mio figlio Alessandro il vicepresidente, con l’intento di diffondere il proprio messaggio artistico e culturale nel mondo. Il  nostro scopo è quello di proseguire  la sua volontà istituendo premi a lui dedicati a favore dei giovani artisti, creare dei percorsi alternativi turistici/culturali qui nel Casentino e allestire una serie di mostre dedicate a papà in tutta Italia.

D.: Riguardo al rapporto con i giovani, so che suo padre ci teneva molto ai giovani, così come altrettanto molti allievi ci tenevano a suo padre. Suo padre ha insegnato prima all’Istituto d’arte di Napoli, poi all’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, quindi in quella di Bari e poi, nell’ultimo periodo della sua attività di professore, a Napoli. In questo suo itinere professionale, lei crede che suo padre oltre a dare, abbia ricevuto un arricchimento artistico?

R.: Certamente! Anzi, più che un arricchimento artistico, sicuramente un arricchimento umano. L’insegnamento per lui si è rivelato una sinergia, un dare e avere animico attraverso i giovani. E senz’altro ha scoperto delle ottime vene artistiche in tutti, o quasi tutti i suoi allievi.

D.: come tutti i veri artisti, suo padre era un carattere forte ma, nel momento della necessità, sapeva essere di una disponibilità assoluta. Crede che questa robustezza caratteriale possa averlo penalizzato per quanto concerne la sua affermazione di artista?

R.: Un vero artista tende a isolarsi non perché sia un orso ma perché ha bisogno dei suoi spazi per creare. Papà qui a Raggiolo ritrovò tutto quello di cui aveva bisogno per sentirsi un artista a 360 gradi.

D.: Da giovane suo padre organizzò a Napoli diversi eventi culturali di livello mondiale, ci può dire quali?

R.: nel 1961 fondò il “Centro Italiano di Arte, Cultura, Spettacolo – CIDACS” , a cui aderirono i maggiori esponenti dell’arte: il Premio Nobel Salvatore Quasimodo, Eugenio Montale, Marino Marini, Enrico Prampolini, Gino Severini, Goffredo Petrassi, Felice Casorati, Gino Cervi. Nel 1963 allestì la Prima Esposizione Internazionale di Scenografia Contemporanea e gli Incontri internazionali del Cinema presso il Teatro Mediterraneo della Mostra d’Oltremare di Napol, con 18 Nazioni partecipanti insieme a famosi artisti tra cui, oltre a mio padre, Pablo Picasso, George Braque, Roman Clemens, Mario Anghelopoulos, Anton Giulio Bragaglia, Fortunato De Pero, Giorgio De Chirico, Guido Marussig, Stelio Di Bello, Giacomo Balla e tanti altri. Nel 1966-67 organizzò  le “Celebrazioni per le Onoranze a Enrico Prampolini”  per il Decennale della scomparsa in cui tracciò un piano di diffusione internazionale dell’Arte Italiana sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica On. Giuseppe Saragat. Senza contare i tanti eventi lirici cui partecipò come baritono, regista e scenografo in italia e nel mondo .

D.: Secondo lei, suo padre era più legato alla sua attività di artista di opera lirica o a quella di pittore/scultore?

R.: Essendo un uomo di teatro, ha coltivato sia la scenografia, sia la musica in maniera univoca, integrandole affinché non fosse costretto a sacrificare una per l’altra.

D.: Quando è visitabile il musueo?

R.: Dalla primavera inoltrata a fine ottobre, su richiesta e prenotazione che possono effettuarsi attraverso i contatti presenti sul sito www.osvaldopetricciuolo.it

NOTTE MAGICA



Il racconto che segue lo scrissi a fine anni 90;  fa parte de LA SCELTA, la mia seconda raccolta di racconti pubblicata nel 2000 con LE EDIZIONI TRACCE di Pescara e del volume RAGGIOLO, UNO SCORCIO DI PARADISO IN TERRA edito con Amazon nel 2019. Volle essere, e tuttora lo è, un tributo a Raggiolo, il paese ai piedi del Pratomagno, nel Casentino Toscano, dove da anni trascorriamo le vacanze estive. Uno di quei luoghi che identifico come luoghi dell’anima in quanto nell’aria vi si diffonde un’atmosfera particolare, magica, che penetra l’essere fin dentro al cuore, rendendolo felice.

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Sospesa sulla piazza illuminata a festa, la luna piena rischiarava le montagne del Casentino Toscano. All’orizzonte, tra flessuose ombre, si distinguevano le luci del santuario de LA VERNA, il luogo in cui San Francesco ricevette le stigmate.
Immerso in quel mistico scenario, al riparo dai monti ricoperti da una lussureggiante vegetazione accarezzata dall’eco del torrente T…, su un’unghia di roccia sorgeva R… Le case, costruite in blocchi di arenaria, al viandante, che dalla valle si inerpicava sulla strada per il paese, davano l’impressione di trovarsi al cospetto di un presepio la cui ombra si coricava sulla via adagiata dal sole.
Sul palco innalzato al margine della piazza, il quartetto di musicisti, tre uomini e una donna, intonava ballate celtiche invitando il pubblico a battere le mani.
Malgrado lo slargo fosse gremito in ogni angolo, riuscii a trovare un buco dove sistemarmi, lasciandomi subito contagiare da quell’entusiastico clamore.
Ai piedi del palcoscenico una frotta di bambini danzava festosa seguita  dai sorrisi degli orchestrali, e dai genitori che li incitavano a gran voce.
Osservando la scena, mi resi conto di quanto poco bastasse all’uomo per essere felice.
Considerai la lietezza del momento quale intimo bisogno che ognuno ha di rispolverare, per una volta nella vita, dai cassetti dell’anima, gli smessi abiti di un tempo dove gli uomini vivevano in osmosi con la natura al punto da rivolgersi alla terra con l’appellativo di GRANDE MADRE. Perso in quei pensieri, lasciai che la musica mi levigasse la pelle così come quella mattina, recatomi al B…, l’altro torrente che scorreva sul versante opposto del paese, mi affidai alle sue gelide acque. In quegli attimi provai un’ebbrezza inenarrabile. Un piacere diverso da quello che si prova laddove ti accarezza una donna. Non si hanno reazioni comuni; il gusto dell’estasi è un casto piacere che rapisce intimamente l’Io, diffodendosi al cuore con intensi brividi che contraggono i nervi e i muscoli. In quegli attimi non vi sono labbra da baciare, mammelle da palpare, capezzoli da suggere, fianchi e cosce da accarezzare. Né vi sono occhi socchiusi da cercare nell’esaltazione del momento. Consegnandoti al torrente, hai la sensazione di concederti all’abbraccio di una passionale e invisibile creatura che ti sfiora il viso con la sua chioma di foglie e ti vezzeggia i sensi con muliebrità di terra e roccia, amandoti in un crescente di emozioni d’acqua culminanti in un’imponente cascata.
Ripercorrevo le palpitazioni di quella mattina, navigando con la mente sulle allegre note di una ballata irlandese, quando un intenso profumo di rose si diffuse nell’aria. Inebriato mi voltai. Al mio fianco vi era un’affascinante presenza femminile dai lunghi capelli neri che le ammantavano le spalle a mo’ di scialle. Approfittando della penombra, con attenzione scrutai i lineamenti del viso e del corpo. Il volto, leggermente triangolare, era privo di trucco. Malgrado ciò i tratti delle labbra e degli occhi erano garbatamente accentuati da sembrare frutto di un sobrio maquillage. Floride mammelle si ergevano al di sotto del lungo abito di seta nera il cui orlo sfiorava il selciato della piazza. Sodi fianchi compensavano l’opulenza del seno. Nell’istante in cui sul palco l’occhio di bue cambiò da viola opaco in giallo intenso, distinsi tra le trasparenze del tessuto la flessuosità delle gambe. Ma ciò che più mi colpì fu che era scalza.
Soggiornavo a R… da più di una settimana, e praticamente conoscevo di vista tutti, indigeni e villeggianti, eppure quella donna la vedevo per la prima volta. Era tanto bella che, nonostante la musica fosse cessata e gli applausi riecheggiassero nella piazza illuminata da ogni lato, non riuscii a levarle lo sguardo da dosso.
Lentamente girò il capo sorridendomi. “Buonasera……..” feci imbarazzato.
“Buonasera!……..Bravi, vero?…..” disse.
“Bravi, non c’è che dire!…….” convenni.
Le luci dei riflettori incrociandosi sulle nostre teste svelarono l’esaltante bellezza di lei.
Gli occhi erano gemme risplendenti d’argento vivo; le labbra fiammeggiavano di intenso fuoco; il mantice del respiro le gonfiava il petto.
Le note di una ballata scozzese si diffusero nell’aria e le luci presero a vorticare all’impazzata su tutta la piazza.
“Le va di ballare?……” chiese fissandomi di sottecchi.
Sussultai guardandomi preoccupato intorno. Il pubblico batteva le mani a tempo accompagnandosi con grida di gioia. Il pensiero di dovermi esibire al cospetto di quella folla mi faceva rabbrividire, nonostante la serata fosse insolitamente calda per il luogo.
“Non so ballare…….E poi c’è troppa gente!……..” mi giustificai.
“Perché per un momento non cerca di tornare bambino?…….”
“Che vuol dire?………”
Col capo indicò i ragazzini impegnati in un girotondo davanti al palco.
“I fanciulli possiedono il segreto della felicità!……” sussurrò. Nella voce percepii una nota di amarezza.
“Si spieghi!?…..”.
“La loro unica preoccupazione è quella di adoperarsi per realizzare le fantasie dell’anima, senza curarsi dell’opinione altrui………Guardi come la folla li fissa con gioia……..Scommetterei qualunque cosa che tante di quelle persone bene educate stanno soffrendo le pene dell’inferno nell’atto di frenare l’impulso di alzarsi ed unirsi a quel girotondo beato, accantonando i preconcetti!….”.
“Le piace la musica celtica?……” domandai tornando a fissare il palco.
“Mi piace tutto ciò che è sincero!…..”
“Allora le piace?………”
“Naturale, essa ha il potere di sposare tra loro gli uomini, facendogli riscoprire una verità obliata……”.
“Quale?……”
“Che siamo tutti figli di un’unica madre…..” soggiunse accarezzando con i piedi la terra.
La fissai dubbioso.
“Osservi come tutti battano le mani e urlino di gioia……..” riprese senza curarsi delle mie perplessità. “Se il bon ton gli impone di non ballare, comunque non possono astenersi dal manifestare l’esaltazione suscitata dalle note……….E da questa notte soprattutto!………”.
“Cos’ha di speciale questa notte?……..”.
Infervorato battevo le mani, scandendo il ritmo insieme agli altri.
“Stanotte è una notte speciale…..E’ la notte in cui i sogni possono trasformarsi in realtà……”
“E’ vero…..Dimenticavo che questa è la notte di S. Lorenzo!…..”
Levai gli occhi al cielo. Filamenti di stelle ricamavano la notte con trame dorate dando forma alle illusioni degli uomini.
“E’ anche il momento in cui il piccolo popolo esce dal bosco per cercare un uomo che creda nei propri sogni, e che amando la sua regina deponga nel regale grembo l’essenza dei propri desideri……..” continuò guardando il firmamento.
L’ascoltai incredulo.
Fissandole i piedi scalzi, pensai si trattasse di una povera pazza che era fuggita dalla prigione.
Ritenni fosse meglio assecondarla.
“Davvero? E’ chi sarebbero gli abitanti del piccolo popolo?……”.
“Gli gnomi, i folletti, gli elfi, le fate. Tutte quelle creature che un tempo vivevano sulla terra in armonia con la natura e con gli uomini. Tale concordia svanì quando questi ultimi caddero vittime delle lusinghe della serpe e mangiarono il frutto proibito. In quell’attimo l’arida pianta dell’avidità si radicò in essi…….Abbagliati dalla luce che rischiarava le viscere del mondo, sottomisero il piccolo popolo imponendogli di violentare la terra del suo sole pena il massacro. Per sfuggire all’orrore il piccolo popolo si rifugiò nel profondo del bosco da dove esce solo di notte……”.
“Non sarebbe meglio se il piccolo popolo cercasse lo sposo per la regina tra i suoi abitanti?……”. Posi quella domanda distrattamente.
“Per estirpare la mala pianta dai cuori degli uomini il Creatore li resi succubi del dolore e della fatica affinché cercassero conforto nel sogno………..Librandosi in volo con l’anima gli è concesso di raggiungere le stelle e lasciarsi abbagliare dalla loro luce onde redimersi……Solo unendosi ad un uomo la regina permetterà che anche i suoi sudditi un dì diventino angeli!……”
“Come?….”. Quella faccenda cominciava ad intrigarmi.
“Quando il seme sarà deposto in lei, si pungerà con un bocciolo di rosa rossa, lasciando gocciolare il sangue nel fiume, fino a dissolversi essa stessa nell’acqua, in modo che il suo popolo bevendo metta le ali e incontri le stelle…..” concluse alzando il capo al planetario dorato.
Il concerto terminò e la piazza lentamente andava svuotandosi.
La donna si mosse e io la seguii.
Ci incamminammo lungo la stradina che dal paese conduceva al B…, facendoci largo tra la folla festante.
“Buona sera signori…..Volete adottare un angelo?……” risuonò alle nostre spalle una voce stridula.
Ci voltammo all’unisono ad incrociare lo sguardo triste di Giuseppe, il falegname del villaggio, a cui la gente, fin dalla nascita, aveva imposto di uscire di casa dopo il tramonto, per evitare che i bambini e le donne gravide si spaventassero nel vederlo bazzicare per il paese con quel suo enorme naso a ciliegia e le orecchie appuntite che lo facevano sembrare uno spirito del bosco.
Il povero uomo aspettava il morire del giorno isolato nella sua casa sul fiume. Trascorreva il tempo ad intagliare statuine di legno che poi barattava la sera in piazza per un tozzo di pane e un bicchiere di vino.
Tutte riproducevano un unico soggetto: un bellissimo angelo dall’aspetto fiero.
La donna si fermò e afferrò una scultura osservandola con attenzione. Quindi la ripose e con un lieve sorriso salutò il disgraziato che, seduto sul bordo della fontana, la fissava con gli occhi lucidi.
Preceduti dalle nostre ombre, avanzammo sull’acciottolato rischiarato dalla luce che filtrava dalle finestre spalancate.
In breve giungemmo al sentiero che conduceva al fiume.
In quel punto il chiarore soffocava tra le foglie degli alberi lasciandoci al buio. Per nulla intimorita dalle tenebre che si infittivano man mano che ci inoltravamo, la donna proseguiva sicura sul terreno, senza curarsi dell’ortica che calpestava.
“Ma la regina cosa ci ricava da questo sacrificio?……” chiesi guardandomi circospetto intorno.
“Il privilegio di vivere per una notte la sublime purezza dell’amore!……..”
Nell’istante in cui pronunziò quella frase, il sentiero si illuminò di infinite fiammelle che rischiararono i bordi della vasca naturale dove quella mattina mi ero tuffato.
“Vieni………”
Sussurrando mi prese per mano e mi condusse sul bordo della roccia.
In silenzio l’ammirai spogliarsi.
Attraverso le foglie le stelle le si riflessero sul pube.
Confuso lasciai che il sapore delle sua bocca si posasse sulla mia. Chiusi gli occhi lasciandomi spogliare dalle sue mani.
Distesi le braccia accarezzandole la schiena e i fianchi.
Il ruvido velluto della pelle mi fece rabbrividire al tocco: sfiorandola mi sembrava di lambire la scorza di un frutto maturo che invocava d’essere colto.
Baciandola la distesi sul tappeto di muschio che ricopriva la roccia.
L’amai, rapito in quella magica atmosfera.
Ricacciai l’idea si trattasse di una pazza: era solo una creatura  che aveva bisogno di sentirsi amata.
Nell’attimo in cui i desideri scaturirono dal mio essere fondendosi ai suoi, mi strinse con forza a sé implorandomi di non dimenticarla.
Nel risvegliarmi al mattino, colei che aveva reso vivi i miei sogni non c’era più.
Solitario giacevo sulla riva del torrente  con uno stormo di uccelli che cinguettavano allegramente nell’aria.
Decisi di immergermi nell’acqua quando un sordo rumore si levò dalla boscaglia.
Preoccupato cercai di coprirmi.
La grottesca figura di Giuseppe apparve tra le foglie.
“Buongiorno………” fece accostandosi al fiume, per niente intimorito dalla mia presenza.
“Buongiorno…….” risposi, cercando attorno i vestiti.
L’uomo trasse una borraccia dalla sacca che portava sul petto e l’immerse nel fiume per riempirla.
Quindi si inginocchiò sulla riva e affondò le mani giunte nel fiume.
Le portò alle labbra e bevve.
Mestamente si alzò per tornare nella selva quando, all’improvviso, bagliori di stelle saettarono dalla sua persona.
Allibito l’osservai assumere i tratti dell’angelo che intagliava sul legno.
Osservando la propria immagine celeste riflessa nel fiume un pianto di gioia gli sgorgò dall’anima.
Un lieve fruscio attrasse la mia attenzione nel punto in cui il torrente confluiva in uno stretto canale.
Lì, un bocciolo di rosa rossa che scorreva sull’acqua veniva sballottato tra le rocce.
In balia della corrente il fiore si agitava tra i flutti in un saluto disperato, scosso da un’invisibile mano.
“Addio” mormorai mentre si allontanava trascinato dal fiume.

FINE

PERCORSI FLEGREI, MALAZE’

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Di seguito la mia intervista su cominucaresenzafrontiere a Rosario Mattera, fondatore e Presidente di Malazè, l’evento acheo-eno-gastronomico che si svolge nei campi flegrei, giunto alla XIII edizione.

Giunta alla 13° edizioni è uno degli eventi di punta dei campi flegrei. Rosario Mattera, fondatore e Presidente di Malazè, intervista.

D: che significa Malazè?

R: La parola è di derivazione araba e indica il magazzino dei pescatori. Di sicuro è una distorsione dialettale che dalla Sicilia si è modificata, man mano che si risale il continente, almeno fino a Pozzuoli. Grazie per la domanda perché molti ritengono Malazè un acronimo o un gioco di parole.

D: Rosario, molti anni fa ti sei inventato Malazè, da dove nasce il progetto?

Risposta: L’edizione di quest’anno sarà la tredicesima, un bel viaggio. Diciamo subito che Malazè ha una mamma che lo ha generato, l’Associazione Campi Flegrei a Tavola. L’associazione nacque con l’intento di mettere a sistema e generare una forma di economia attraverso quello che io ritenevo e ritengo fosse uno dei giacimenti economici di questo territorio, ovvero l’enogastronomia. Soprattutto all’epoca che fondammo l’associazione, reputavo la gastronomia il grimaldello per far sviluppare economie in crisi o in via di estinzione, soprattutto la pesca e la piccola agricoltura che sono molto residuali per motivi diversi: la piccola pesca è andata a finire per scelte scellerate della comunità europea; l’agricoltura, ahimè, è andata a sua volta a esaurirsi in quanto abbiamo consumato tutto il terreno a nostra disposizione. Un po’ a causa degli eventi legati al bradisismo. Molto per via della speculazione edilizia che ha letteralmente violentato il territorio. Da qui l’idea di dare vita a un sistema per far sì che il ristorante potesse dare ancora linfa al piccolo produttore, non esistendo più giustificazioni affinché si facesse agricoltura. L’idea era quella di sostenere queste piccole aziende agricole che magari c’hanno ancora un piccolo numero di galline, un po’ d’uva, un po’ di ortaggi caratteristici del territorio. Poiché nel tempo le cose si evolvono, ed essendo questo un progetto che io ho sempre ritenuto work in progress, da lì poi è nata l’idea di Malazè.  Anzi, più che un’idea, un vero e proprio moto di ribellione nei confronti di chi millantava nel mondo il nome dei campi flegrei, da sempre oggetto di predazione,  per fare business. Nel senso che qualsiasi soggetto veniva da queste parti, in nome e per conto dei campi flegrei, si sentiva in diritto di presentare qualsiasi evento gastronomico organizzasse con l’appellativo “la cucina flegrea nel mondo”, seppure i piatti presentati non avessero niente da spartire con la tradizione flegrea. Viceversa noi ci preoccupavamo di recuperare le vecchie ricette, essendo consapevoli che la vera tradizione culinaria flegrea era tutt’altra cosa rispetto a quella presentata sui banchetti cui partecipavamo anche noi come associazione. E siccome non c’era nessun baluardo a tali ambiguità, tipo una forte rete di associazionismo, che tuttora manca sul territorio, o comunque qualcosa che rappresentasse e tutelasse il territorio da sempre terra di conquista, ecco l’idea di Malazè!

D: Rosario professionalmente hai legami con il settore della gastronomia?

RNessuno! Io arrivo a questo traguardo da grande appassionato. Sono sommelier e degustatore di olio.

D: Quindi un legame comunque  c’è, seppur labile…

R: Il legame c’è nel senso che io sono sempre stato amante della gastronomia, mi sono sempre piaciute le ricette. Anche se cucino in maniera amatoriale, sto dietro ai fornelli da che avevo l’età di quindici anni. Mamma non sapeva cucinare il pesce, in quanto di origine contadina. A me invece piaceva molto il pesce, e considerando che papà, in contrapposizione a mamma, era un isolano, dunque un uomo di mare, mi dissi che dovevo imparare a cucinare il pesce come meritava, anziché limitarmi a cuocerlo con il pomodoro come faceva mamma. Per cui  iniziai ad alimentare la passione della cucina, coltivandola in maniera scrupolosa fino a raffinarla. E poi ho fatto un lungo percorso di osservazione,come penso debbano fare un po’ tutti coloro che decidono da fare il cuoco o comunque di avvicinarsi alla cucina. Prima di fare ciò, ho girato l’Italia anche attraverso tour operator e altre associazioni. Mi sono trovato invitato più volte in consorzi all’estero attraverso canali cui ho avuto la fortuna di avvicinarmi. E alla fine di ognuno di questi viaggi, ogni volta che tornavo a casa, mi guardavo allo specchio chiedendomi, “mò che faccio?”. E la prima cosa che mi venne in mente fu di organizzare un evento enogastronomico sul Rione Terra.

D: Perché il Rione Terra?

RMolti degli eventi cui partecipavo si svolgevano in Toscana, precisamente nei castelli. A esempio mi ricordo una manifestazione che si chiamava “Amiata a tavola” , qualcosa di incredibile. Oppure feste che si svolgevano tra Arcidosso e Castel del Piano, e chi più ne ha più ne metta. Durante questi spostamenti, guardandomi intorno, pensavo a come sarebbe stato bello organizzare un evento del genere sul Rione Terra. Questa cosa riuscii a realizzarla nel 2003 con Le domeniche di Repubblica: demmo vita a  un evento bellissimo in cui coinvolgemmo una serie di operatori del settore gastronomico. E da qui venne poi quasi naturale organizzare Malazè che personalmente non considero un evento bensì un personale impegno civile nei confronti del territorio.

D: A proposito della riscoperta dei prodotti tipici del territorio flegreo, è noto che ti sei molto adoperato per la riscoperta e salvaguardia della chichierchia flegrea.

RIncominciamo col dire che il nome corretto è cicerchia, chichierchia è in dialetto. Il territorio flegreo è  famoso per la sua biodiversità. Molti non sanno che la cicerchia dei campi flegrei, in particolare quella di Bacoli, risalirebbe a circa duemila anni fa. A ciò è stato possibile risalire sottoponendo il germoplasma del legume all’esame della banca del seme, da cui si è rivelato che tuttora, il seme dell’odierna cicerchia, malgrado l’imbastardimento avvenuto nel corso delle epoche, ha ancora un residuato originario risalente a duemila anni fa, ovvero al periodo degli antichi romani. Non è fantastico? Inoltre  la necessità di salvaguardarla non è solamente legata all’aspetto squisitamente storico/scientifico, ma vi è anche un che di opportunistico. Mi spiego: diversamente dal territorio vesuviano, questa terra non ha elementi produttivi che la contraddistinguono. A esempio il Vesuvio ci ha l’albicocca, il pomodoro del piennolo che nascono solo lì e sono tutelati come prodotti tipici del territorio da tutta una serie di enti e associazioni. Anche qui nei campi flegrei ci sono prodotti tipicamente autoctoni come il pomodorino cannellino. Ma solo adesso, dopo anni e anni di nostre battaglie per la sua difesa, si è fondata un’associazione a tutela del prodotto che non escludo possa trasformarsi addirittura in un consorzio. La cicerchia dei campi flegrei ufficialmente nasce sedici/diciassette anni fa, appunto grazie al mio interessamento, tanto che alcuni la identificano come la cicerchia di Rosario Mattera;  anche perché a ogni manifestazione gastronomica cui ci presentavamo, uscivamo con questo grosso tegame colmo di cicerchia tanto che dopo due/tre anni dalla prima apparizione, della cicerchia dei campi flegrei ne parlò addirittura una rivista americana. La nostra necessità era quella di trovare un elemento gastronomico che contraddistinguesse in maniera indiscutibile i campi flegrei. E la cicerchia ci sembrò il giusto emblema. Considera che inizialmente la si produceva in piccole quantità che non superavano i 50/60 kg. Insistendo, nel tempo la cicerchia è entrata far parte della comunità del cibo, seppure i suoi costi, almeno a livello di produzione artigianale, sfiorano i 10 euro al kg in quanto, essendo un legume molto piccolo, la sue resa non vale il tempo e l’impegno richiesto dalla sua coltivazione. So bene che oggi se ti rechi in un qualsiasi centro commerciale, puoi trovare una scatola di legumi a 2/3 euro. Il problema è che di quel prodotto non conosci l’esatta provenienza. Probabilmente viene dal Sudamerica. Per cui non mangi un prodotto tipico del tuo territorio. La cicerchia, proprio in virtù della propria piccolezza e difficoltà che ne deriva dal coltivarla e pulirla,  non consente una produzione industriale. O almeno non la consentiva fino a due anni fa, quando nel salernitano non si è installato un laboratorio che la pulisce in maniera industriale per cui il produttore porta i sacchi di cicerchia lì per farle sgusciare. Ergo, se vuoi mangiare la cicerchia dei campi flegrei, devi venire per forza da queste parti. Punto!

D: Malgrado la denunciata difficoltà nel riuscire a creare una rete associativa nei campi flegrei, oggi esiste una  realtà di livello internazionale, Malazè, quale il suo percorso?

R: In primo luogo la massima trasparenza: vista dall’esterno Malazè può sembrare una realtà che muove, e soprattutto fa incassare a chi lo organizza, chissà quanti soldi. Niente di tutto ciò. Seppure non ho mai negato che se un giorno Malazè dovesse rivelarsi per me fonte di reddito, non me ne vergognerei. Altro elemento di successo, il basso budget di investimento. Vista dall’esterno, l’organizzazione di Malazè viene reputata  come un qualcosa di mastodontico, la cui spesa realizzativa chissà a quanto ammonta.  Per realizzare Malazè vengono spesi non più di 10 mila euro; chi vi partecipa, non deve pagare nulla; ma sa benissimo che, mettendo a disposizione la propria realtà imprenditoriale, ne riceverà in cambio notevole visibilità. A scanso di equivoci, ci tengo a precisare che Malazè mi appartiene. Nel senso che il marchio è registrato a nome mio; io ne sono il presidente e io ho l’ultima parola in qualunque decisione si deve prendere, seppure mi piace confrontarmi con i miei collaboratori. Questo mi consente di non dover dare conto a nessuno per ciò che devo fare, solo a me stesso, sia nel bene che nel male. Non nego che in questo modo mi sono fatto qualche nemico. Ma così ho tutelato Malazè da eventuali speculatori e forse, proprio per questo motivo, siamo arrivati alla tredicesima edizione che si svolgerà dal 15 al 25 settembre prossimo,  non più sull’intero territorio bensì in tre distinte location: Castello di Baia, Rione Terra, cratere degli Astroni. Decisione presa di comune accordo con Fabio Borghese, l’altra spina forte di Malazè, fondatore e direttore di CREATIVITAS – CREATIVE ECONOMY LAB, dopo aver ponderato tutta una serie di questioni organizzative che per un momento mi avevano addirittura convinto a non continuare con Malazè per dare vita a un nuovo progetto di cui non voglio parlare, essendo evaporato. E meglio è stato perché mi stava rubando solo energie psichiche alla realizzazione della nuova edizione di Malazè. 

D: malgrado molti siti archeologici dei campi flegrei sono abbandonati all’incuria e al degrado, voi abbinando visite archeologiche guidate con soste in aziende agricole per gustare prodotti tipici del territorio, avete trovato il modo di attirare un turismo di elite, anno per anno. Una bella soddisfazione!

R:  Malazè è l’unico evento in Italia, anzi l’unico festival archeo-eno-gastromonico. Noi questo siamo: questa è stata la sfida. E dico anche di più: in tempi non sospetti ho affermato che il problema di fare turismo in questo territorio non erano i siti chiusi, perché c’è la possibilità, al di là che molti siti non sono fruibili, di fare turismo archeo-eno-gastronomico. Perché rispetto a dieci anni fa oggi ci sono le cantine che fanno accoglienza, fanno turismo internazionale, organizzando corsi di cucina e degustazione a 100 euro al giorno. Poche persone ma di alta qualità. C’è un turismo che non si conosce, che è canalizzato, di qualità a cui noi abbiamo sempre ambito e a cui abbiamo lavorato perché il nostro modello è proprio questo e l’abbiamo creato all’interno di un discorso mentre tutti si lamentavano del fatto che non si facesse turismo a Pozzuoli e nei campi flegrei perché i siti erano chiusi. Io ho sempre detto pubblicamente, in più occasioni, perfino in televisione, che la scusa che qui non si facesse turismo perché i siti non erano accessibili dava l’alibi alle amministrazioni di scaricare le responsabilità sulla soprintendenza e ai giovani di questo territorio di dire che non ci sono opportunità. Io invece dico che ci sono opportunità, che i giovani molto spesso sono fermi. E dietro il ragionamento secondo cui “qua non si può fare” c’è la risposta del perché tutto rimane immobile. E dirò di più: la mia preoccupazione è che se domani mattina mettessimo a sistema il discorso dei siti archeologici, mancherebbe un numero adeguato di guide turistiche e figure simili. E non è un caso che queste figure stanno arrivando da Napoli, guidando gruppi di turisti. Consentimi di fare un paragone per meglio chiarire il concetto di immobilismo cui mi riferisco: il Rione Terra ha distrutto nella fantasia di noi puteolani un modello di sviluppo diverso. Io provocatoriamente davanti al sindaco dissi durante un incontro al Rione Terra, “io provo a chiudere gli occhi e mi chiedo: se non ci fosse stato il Rione Terra e questi 300 milioni di euro li avessimo spesi per fare altro, forse oggi Pozzuoli non sarebbe ancora in stand by per decidere che fare sulla rocca”. Per me il Rione Terra non è il volano bensì la morte del turismo sul nostro territorio. Se queste risorse fossero state investite in una mobilità interna alternativa, forse oggi Pozzuoli sarebbe turisticamente al top. Il problema, a mio modo di vedere, è che non c’è mai stata una visione di creare un turismo diverso e di qualità. E tuttora un’idea del genere non c’è!

D: a Pozzuoli perché, salvo eccezioni, molte  realtà non decollano ?

RIo, anzi noi ci siamo riusciti ma, fondamentalmente perché abbiamo creato un modello. Adesso ci vorrebbe la cosa più importante, chi dà l’accelerazione. In questo territorio, secondo me, è mancato un vero e proprio cantiere di progettazione dove chi fa una certa cosa, chi ha un’idea trovasse chi lo ascoltasse e lo aiutasse nel realizzarla. Noi ci abbiamo messo quindici anni per arrivare dove siamo arrivati. Probabilmente se avessimo trovato a livello istituzionale qualcuno che ci avesse ascoltati,  avremmo impiegato la metà del tempo. Ma io la politica la capisco, essa ha un atteggiamento predatorio, non intenso in senso offensivo: essa è consapevole che oggi c’è, domani non è detto, per cui deve guardare al momento non al domani per dimostrare ai cittadini di avere fatto. Purtroppo per fare le cose ci vuole lungimiranza e pazienza! Tutte queste cose di cui stiamo parlando io le ho portate nei tavoli istituzionali, da cui poi mi sono allontanato. Noi abbiamo una rete di soggetti rappresentata da Claudio Boccia, direttore generale di FederCultura; Fabio Renzi, il Segretario Generale della Fondazione Symbola; Salvatore Cozzolino, professore di design, Presidente dell’AD Campania  e altri soggetti di alto livello. Con questi signori parli di cultura in funzione del 2020/2030. Parli di futuro! E alla fine, dopo che fai tanto per questo territorio, devi anche sentirti additato come uno snob o chissà che! Per esperienza ho imparato che quando ti criticano significa che stai facendo bene. Per cui io vado avanti per la mia strada. Che per ora resta Malazè! 

Dal 15 settembre tutti invitati .