DA LUX IN FABULA STA PER INIZIARE IL CORSO DI NAPOLETANO DI SALVATORE BRUNETTI

brunetti foto di copertina

Pozzuoli

Lunedi 7 ottobre, presso la sede dell’associazione culturale Lux In Fabula, si è presentato il CORSO DI DIALETTO NAPOLETANO coordinato da Salvatore Brunetti.

Questo appuntamento preliminare è servito a spiegare il programma in cui il corso si articolerà, a dare brevi cenni sulla storia del napoletano e a svolgere una lezione propedeutica per chiarire la differenza tra i plurali napoletani maschili e femminili e il modo corretto con cui scriverli.

La necessità di dar vita a un corso di napoletano, ha chiarito Brunetti, nasce dal fatto che oggi sempre più persone, anche di un certo livello culturale, si cimentano col napoletano soprattutto per scrivere poesie, senza però averne ben chiari i rudimenti linguistici e grammaticali; commettendo imperdonabili strafalcioni che, oltre a confondere le idee, offendono il volgare pugliese, come anticamente veniva chiamato il napoletano, di cui Dante era innamorato tanto da voler inizialmente scrivere la Commedia in quella lingua. Ma poi, per motivi politici, fu costretto a optare sul volgare toscano da cui deriverà l’italiano.

Inevitabilmente, durante la lezione, Brunetti ha analizzato le differenze linguistiche che intercorrono tra il napoletano e il puteolano. Passando a quelle esistenti nei vari comuni flegrei dove in poche decine di metri, come accade ad esempio a  Cappella frazione di Bacoli, in un vicolo si parla un idioma e in quello di fronte un altro del tutto diverso. Tali diversità derivano dalla strenua volontà di quanti, costretti a emigrare da un contesto sociale in un altro, serbano come lingua ufficiale quella madre per non perdere la propria identità.

Per quanti fossero interessati le lezioni si svolgeranno in 10 incontri, suddivisi in due cicli di due ore ognuno: dalle ore 17 alle ore 19, ogni lunedì. Oblazione all’Associazione: 50 euro. Primo ciclo (5 lezioni dal 14 ottobre)

Per info e iscrizioni: Lux in Fabula tel. Cell.: 328 667 0977 – info@luxinfabula.it Rampe Cappuccini, 5 Pozzuoli (Stazione Cumana Cappuccini)

 

A SCUOLA DI NAPOLETANO DA SALVATORE BRUNETTI

DIALETTO NAPO

Per tutti coloro che amano il napoletano e vorrebbero impararne i rudimenti grammaticali, la sintassi, a scriverlo e a pronunciarlo correntemente, LUX In Fabula offre la possibilità di farlo con un “insegnante” speciale: lunedì 7 ottobre, alle ore 17, a Pozzuoli, presso la sede dell’associazione in Rampe Cappuccini 5, si presenterà il CORSO DI DIALETTO NAPOLETANO curato da Salvatore Brunetti, autore di SCRIVERE IL DIALETTO NAPOLETANO, edito da E.P. nel 2000 e di DIALETTO PUTEOLANO, edito da LUX IN FABULA nel 2019.

Pensionato con la passione di Napoli e della sua storia, Brunetti da sempre approfondisce lo studio del napoletano che fu lingua ufficiale del Regno di Napoli e delle Due Sicilie fino a quando i due regni borbonci sulla penisola non persero la loro autonomia geografica e politica, divenendo parte integrante dello stato italiano e il napoletano, da lingua nazionale, regredì a dialetto.

L’autorità di Brunetti in materia è stata ufficialmente riconosciuta dal maestro Roberto De Simone il quale, dopo averne apprezzato lo studio sul napoletano, durante una chiacchierata tra amici, notando che le sue competenze si estendevano alla storia di Pozzuoli e al suo idioma, lo convinse a scrivere un testo che analizzasse anche il puteolano; magari esaltandone la musicalità, da molti interpretata come sguaiatezza, ma che invece lo rende unico nel suo genere.

Chi ha avuto il privilegio di avere tra le mani questa seconda fatica di Brunetti, leggendola, ne avrà certamente apprezzato le tante sfaccettature che la rendono non uno studio ortodosso, bensì uno scrigno letterario in cui sono serbate piccole gemme storiche, culturali e linguistiche a cui si accompagna una simpatica e divertente appendice dove l’autore ha raccolto un’infinità di termini puteolani, affiancandovi l’esatta pronuncia.

La serietà e professionalità di Brunetti, unitamente al suo essere schivo, votato allo studio anziché ai protagonismi, ma che non disprezza l’ironia, sinonimo di intelligenza, sono una garanzia assoluta per quanti decidessero di frequentare il corso.

Le lezioni si svolgeranno in 10 incontri, suddivisi in due cicli di due ore ognuno: dalle ore 17 alle ore 19, ogni lunedì. Oblazione all’Associazione: 50 euro. Primo ciclo (5 lezioni dal 14 ottobre)

Per info e iscrizioni: Lux in Fabula tel. Cell.: 328 667 0977 – info@luxinfabula.it Rampe Cappuccini, 5 Pozzuoli (Stazione Cumana Cappuccini)

SIGNATURE RERUM – IL SUSSURRO DELLA SIBILLA

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[…]Poggiai le valige sulla soglia della villa. Presi le chiavi dalla tasca del giubbotto e aprii l’ingresso del mio nuovo alloggio.
L’odore di chiuso ristagnante nell’ambiente testimoniava che la casa era disabitata da tempo. Ne fui sorpreso perché Stefania e Francesco amavano vivere lì. Soprattutto d’inverno, quando il tranquillo sciabordio del mare riecheggiava sulla spiaggia solitaria, permettendo di fare lunghe passeggiate sul bagnasciuga senza il pericolo di inciampare nei bagnanti stesi al sole; d’essere involontario(?) bersaglio di pallonate, o, peggio ancora, d’essere investiti dagli ombrelloni sradicati dal vento.
Entrambi concordavano che l’autunno e l’inverno erano le sta-gioni migliori per godere delle facoltà terapeutiche e spirituali del ma-re. Sostenevano che il mormorio delle onde dava voce a un mistero irrisolvibile, inducendo a una profonda riflessione su una questione, se-condo loro, fondamentale per capire la vita e l’uomo: qual è l’esatto momento in cui l’onda nasce e quello in cui muore. Tra quanti si tormentavano nella soluzione dell’enigma, vi era chi affermava che l’onda si forma nell’attimo in cui sembra morire, ossia quando si riversava sulla riva con un ultimo, rabbioso ruggito. A sostegno di questa tesi, costoro riferivano dell’allegra melodia che si levava dai filamenti di schiuma dell’onda morta allorché, insinuandosi tra i ciottoli sulla sabbia, rifluivano nel mare come anime finalmente libere dal vincolo corporale, pronte a librarsi nel cielo quasi rinascessero a nuova vita.
Sebbene il problema non avesse mai suscitato il mio interesse, quando spalancai le imposte del balcone nel salottino per cambiare aria alla casa, affacciandomi sulla spiaggia a osservare le onde rin-corrersi sul mare fui assalito dal dubbio: la morte non potrebbe essere il preludio di una nuova vita?[…]

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ERAVAMO TANTO RICCHI a Il Centro L’Arte della Felicità

annamaria

Napoli

Mercoledì 25 settembre presso IL CENTRO L’ARTE DELLA FELICITA’, Via Betlemme 31 – Napoli, si è presentato ERAVAMO TANTI RICCHI, di Annamaria Varriale, edito da HOMO  SCRIVENS. La serata è stata introdotta da Francesca Mauro che ha spiegato le funzioni del Centro e in particolare quella dei Dialoghi, “momenti di incontro con personaggi di rilievo del panorama culturale nazionale e internazionale” per favorire la riflessione, nell’ambito dei quali rientrava la presentazione del libro. Quindi la parola è passata a Maurizio Tudisco, corresponsabile del Centro, che ha messo in risalto l’alto valore sociale del testo dove i rapporti umani, in particolare quelli famigliari, risultano elemento imprescindibile per la felicità degli uomini.

Scritto con un linguaggio asciutto e scorrevole, privo di ricercatezze stilistiche come si conviene a un’opera che vuole “semplicemente” raccontare uno spaccato famigliare diluito in circa settant’anni di storia d’Italia – si va dal ventennio fascista al 69, anno della strage di Piazza Fontana ma anche dell’uomo sulla luna – ERAVAMO TANTO RICCHI è un condensato di eventi in cui chiunque abbia vissuto una parte di quegli anni non faticherà a ritrovarsi con un pizzico di nostalgia. In particolare negli affreschi famigliari in cui l’autrice sottolinea quasi con pudore l’importanza della famiglia e di quelle figure come sua madre e poi sua sorella impegnate a tenerla unita anche quando la drammaticità e tragicità degli eventi ne mettevano a dura prova la coesione.

In un’epoca come la nostra dove i rapporti umani sono sempre più scanditi dai ritmi veloci e volatili imposti dalla società del progresso, in cui l’amicizia e l’amore sono per lo più regolamentati dagli algoritmi di un sistema informatico che ci illude di avere un’infinità di amici conteggiando il numero di contatti e  like che regolamentano la nostra vita sui social network dove mettiamo alla berlina la nostra esistenza senza chiederci chi ci sia dall’atro lato dello schermo, l’album di ricordi della Varriale è un prezioso spaccato di rapporti umani veri fatti di gioia e dolore, risa e lacrime, carezze e baci, rimproveri e schiaffi.

Andrea Punzo e Franca Mauro discutono del libro
Maurizio Tudisco e Franca Mauro discutono del libro

Per questo motivo il libro dovrebbe essere letto soprattutto dai giovani, vittime predestinate di un sistema in cui l’apparire a ogni costo sta producendo inconsapevoli mostri che non si preoccupano di  bullizzare un compagno o violentare una ragazzina, registrando tutto con lo smartphorne per poi condividere i filmati in rete affinché il pubblico ammiri le loro gesta…

A riguardo non stupisce se un gruppo di insegnanti abbia imposto la lettura del libro ai propri allievi affinché scoprissero il significato dei valori di cui tratta il libro, come loro stesse hanno ammesso durante la discussione in sala.

ERAVAMO TANTI RICCHI ci racconta di un tesoro sempre più nascosto nelle profondità dell’animo umano. Di cui rischiamo di perdere ogni traccia in quanto la fiamma rischiarante il cammino che vi conduce arde nei nostri cuori e il propellente che l’alimenta è l’amore e il rispetto per il prossimo, al giorno d’oggi merci davvero rare.

Elda Salemma ha allietato la serata con le sue canzoni
Elda Salemma ha allietato la serata con le sue canzoni

Se perfino il regista Pupi Avati, dopo aver letto il libro, ha sentito l’esigenza di inviare una e-mail all’autrice ringraziandola per il proprio lavoro; esaltando i contenuti affrontati; mettendo a sua volta in risalto quanto nel dopoguerra si fosse ricchi pur avendo poco, risulta evidente, oserei dire scontato il valore sociale del volume.

La serata è stata allietata dalla splendida voce di Elda Salemme, figlia dell’autrice, che ha intervallato la discussioni con brani musicali, cantando in lingua inglese accompagnandosi con la chitarra.

Concludendo, volendo giocare con le parole, potremmo dire che, presentando ERAVAMO TANTO RICCHI, “Il Centro” ha fatto centro!

Annamaria Varriale e le Ricamatrici di Bacoli

Annamaria Varriale, al centro, e Nadia Severino, all'estrema sinistra, insieme alle maestre e a un gruppo di allieve della scuola di ricamatrici
Annamaria Varriale, la quarta da sinistra, e Nadia Severino, all’estrema sinistra, insieme alle maestre e a un gruppo di allieve della scuola di ricamatrici di Bacoli

Pozzuoli

Sabato 14 settembre, con il convegno PREPHILLOXERA presso Palazzo Migliaresi, s’è ufficialmente aperta la XIV edizione di Malazè il festival ArcheoEnoGastronomico dei Campi Flegrei che proseguirà fino al 24 settembre con eventi sparsi su tutto il territorio flegreo e hub culturali al Rione Terra, sul Lago d’Averno e nel Cratere degli Astroni. Tra gli eventi in programma sabato 14, in contemporanea con il convegno di cui sopra,  nel salone d’ingresso di Palazzo Migliaresi le ricamatrici di Bacoli dell’Associazione “Antonia Maria Verna” hanno esposto alcuni manufatti. L’associazione è presieduta dalla scrittrice Annamaria Varriale;vicepresidente Nadia Severino. Abbiamo colto l’occasione per intervistare il presidente per meglio conoscere l’associazione e le sue attività.

 

Annamaria Varriale da scrittrice a Presidente dell’Associazione Ricami di Bacoli  Antonia Maria Verna, a cosa è dovuta questa metamorfosi?

Io amo l’arte in tutte le sue forme e il ricamo è sicuramente un’espressione artistica, non soltanto puro artigianato. Inoltre, quando posso, sostengo tutte le attività di volontariato che portano avanti le eccellenze locali, e questo è sicuramente un bellissimo esempio. All’epoca mi chiesero se volessi essere Presidente dell’associazione, ne fui onorata, e da sei/sette anni ricopro l’incarico.

logo associazione

 

Chi era Antonia Maria Verna?

Una suora di Ivrea che nel 1828 fondò l’ordine delle Suore di Carità dell’Immacolata Concezione di Ivrea, scomparsa nel 1838 e beatificata nel 2011. Nel 1860, subito dopo l’unità di Italia, un gruppo di suore dell’ordine si trasferì a Napoli per portare assistenza agli orfani e alle ragazze meno fortunate istituendo orfanotrofi e asili. In seguito le suore estesero la loro opera di carità e di educandato in altre zone dell’ex Regno di Napoli tra cui Bacoli dove fondarono non solo asili e scuole ma anche la scuola di ricamo che esiste tuttora.

Dov’è esattamente situata la scuola?

Cappella, una frazione di Bacoli. Il  parroco della chiesa della Madonna del Buon Consiglio, molto cortesemente, ci ha messo a disposizione il laboratorio che fu di suor Michelina Scotto di Vetta la quale a sua volta aveva delle ragazze a cui insegnava il ricamo legato alla tradizione delle suore di Ivrea.

Uno dei manufatti della scuola
Uno dei manufatti della scuola

Quante iscritte avete?

Attualmente venticinque tra cui anche ragazze disabili e donne che purtroppo hanno perso i figli le quali hanno scoperto nel ricamo una valida terapia per fronteggiare il proprio handicap e il proprio dolore. E poi ci sono ragazze e donne che lo fanno per passione tra cui un ingegnere e una psicoterapeuta. Come zone di provenienza le nostre allieva vengono non sono solo dai campi flegrei ma anche da Napoli, Calvizzano, Acerra a conferma che l’arte del ricamo, contrariamente a quanto si possa pensare, è viva più che mai su tutto il territorio campano anziché in zone ristrette.

I corsi quante volte a settimana si tengono?

Tre volte a settimana, dalle 9 alle 12. La scuola apre il primo ottobre e chiude il 30 maggio. La quota di iscrizione è di 15€ più 20€ mensili. Un importo irrisorio proprio per non tradire lo spirito ecumenico che caratterizzò la fondazione della scuola, ma che ci consente quel minimo di sostentamento per l’acquisto del materiale didattico e la partecipazione a eventi come Malazé che richiedono  dei piccoli investimenti se vuoi fare bella figura quando ti presenti.

Annamaria Varriale tra le maestre ricamatrici Pina e Teresa Costagliola
Annamaria Varriale tra le maestre ricamatrici Pina e Teresa Costagliola

I manufatti, una volta terminati, vengono messi in commercio?

No, le ragazze cuciono esclusivamente per loro, la famosa “rota”, al fine di regalarsi un prodotto la cui realizzazione richiede una spesa iniziale di poco più di 20€ per l’acquisto del panno su cui ricamare, ma quando sarà terminato avrà un valore di mercato di oltre 200€. Per essere precisi, seppure i manufatti non vengono venduti, spesso riceviamo commissioni da parte di ragazze e donne in procinto di sposarsi le quali ci chiedono di realizzare dei capi specifici per il loro corredo, o addirittura da persone del luogo, in particolare di Monte di Procida, emigrate all’estero, per lo più negli Stati Uniti, che ci richiedono capi particolari per serbare con sé oltreoceano un ricordo della propria terra.  Ciò ci consente di portare avanti un’arte di grandissimo impegno e capacità che, diversamente, rischierebbe di scomparire. Inoltre, vista la disoccupazione che c’è oggi nel nostro paese,  l’arte del ricamo offre una grande opportunità di lavoro con ampi margini di guadagno,  se fatta come si deve.

Sirena ricamata dalle ricamatrici di Bacoli

Dunque il ricamo è un mestiere che rende!?…

Potrebbe rendere! Purtroppo, essendo un lavoro artigianale, e quindi circoscritto, è poco conosciuto. Pertanto  le committenze scarseggiano. Per far sì che l’arte del ricamo diventi un’impresa occorrerebbe fosse più conosciuta. Noi in passato abbiamo organizzato mostre, ad esempio SUL FILO DELLA CANAPA, estendendo gli inviti a realtà come la nostra dislocate su tutto il territorio nazionale per  conoscerci, confrontarci e farci conoscere dal pubblico. Purtroppo anche questo tipo di iniziative richiedono investimenti e con i pochi fondi di cui disponiamo non possiamo certo permetterci chissà che! Inoltre questo fa sì che per le maestre della scuola non ci sia  alcun guadagno; lo fanno  per passione e  per tenere viva una tradizione locale che si tramanda da madre in figlia da oltre un secolo.

Una serie di manufatti delle ricamatrici di Bacoli

Quante insegnanti avete?

Due sorelle, Pina e Teresa Costagliola: sono bravissime! Ritornando al discorso degli esigui fondi di cui disponiamo, ci tengo a sottolineare che come scuola non riceviamo il benché minimo sostegno da parte delle istituzioni: non pretendiamo un contributo economico, ma almeno una struttura dove impiantare la scuola le autorità ce la potrebbero concedere… Se non fosse stato per il parroco di Cappella che ci ha concesso di disporre dei locali del vecchio laboratorio di ricamo, oggi tutto questo che ammirate a Malazè probabilmente non esisterebbe.

Domanda d’obbligo, quali sono le ambizioni della scuola?

Di crescere e di farci conoscere per tramandare quest’arte bellissima che è anche terapeutica in quanto, attraverso la necessaria concentrazione per ricamare, aiuta a rilassarsi e a dimenticare le problematiche esistenziali. Già questo mi sembra un buon motivo per sostenerla!   

GIANNI BICCARI PRESENTA LA SUA MOSTRA DI FOTO DI SCENA A POZZUOLI

L'immagine può contenere: 2 persone, persone che sorridono, persone in piedi

Sabato 7 settembre a Pozzuoli, presso il Polo Culturale di Palazzo Toledo, alla presenza dell’Assessore alla Cultura del Comune di Pozzuoli Maria Teresa Moccia Di Fraia, s’è inaugurata la mostra fotografica EMOZIONI E PALCOSCENICO di Gianni Biccari. La mostra sarà visitabile fino al 21 settembre, tutti i giorni esclusa la domenica, dalle 9-13 e dalle 15-19. Per l’occasione abbiamo rivolto alcune domande all’autore.

Dopo circa un anno dal successo al PAN, Gianni Biccari ripropone la mostra di foto di scena EMOZIONI E PALCOSCENICO a Pozzuoli, quali sono le aspettative?

Di far conoscere al pubblico e a chi volesse fruirne l’esistenza di questo vasto archivio fotografico che ho creato in trent’anni di attività come fotografo di scena.

Quando ti intervistai durante la mostra al PAN mi raccontasti di un attore presente all’inaugurazione il quale, il giorno dopo, ti telefonò per farti complimenti e chiederti perché non avevi esposto una sua foto: in questa mostra compare?

Ci sta e spero la foto gli piaccia. Lo scopriremo a breve visto che dovrebbe venire.

Nell’anno in corso hai improvvisamente ripreso a pieno regime la tua attività fotografica in maniera, oserei dire, inarrestabile: a cosa lo imputi?

A questa incontenibile voglia di fotografare che mi è tornata. Io ho sofferto il passaggio dalla pellicola al digitale. Poi ho vissuto il momento topico della crisi dello spettacolo per cui la committenza si è assottigliata, anche perché molti si accontentavano della foto scattata con il telefonino. La molla per la ripresa è scattata grazie a mio figlio Matteo che vuole fare l’attore e al pensiero che tutte le fotografie di scena che ho finissero nel dimenticatoio.

L'immagine può contenere: 4 persone, tra cui Matteo Biccari, persone che sorridono, persone in piedi e testo

Gianni Biccari con Luca Sorbo, curatore della mostra, e suo figlio Matteo

Dopo Napoli e Pozzuoli in quale altre sedi approderà la mostra?

A giugno di quest’anno è stata a Roma, alla cartiera latina sull’Appia Antica, e probabilmente dovrebbe andare a Pisa…

Da dove nasce questo progetto puteolano?

Nasce da una comunione di intenti con l’Assessore della Cultura Maria Teresa Moccia Di Fraia. Tempo fa ci incontrammo e le portai il catalogo che stampammo per il PAN, lei rimase entusiasta e mi chiese di trovare un modo per esporla a Pozzuoli. Abbiamo avuto l’opportunità di poter usufruire dei locali di questo splendido Palazzo Toledo e in un mese ci siamo dati da fare perché il progetto si realizzasse.

Visto che lo spazio messo a disposizione dal comune è quasi tre volte superiore a quello del PAN, presumo ti sia divertito nell’allestimento…

Assolutamente sì! Abbiamo rivoluzionato completamente l’allestimento: al PAN le fotografie  erano a parete, adesso invece sono esposte su strutture che, ci tengo a sottolinearlo, abbiamo creato mia moglie e io  con l‘aiuto di Massimo Colutta e Michele Schiano. Ci siamo divertiti anche perché, grazie allo spazio a disposizione, ho potuto esporre foto XXL che mai avrei potuto presentare al PAN, o, se lo avessi fatto, ne avrei messe tre, sacrificando tutte le altre.

L'immagine può contenere: 2 persone, persone in piedi

Gianni Biccari con l’Assessore alla Cultura Maria Teresa Moccia Di Fraia

In un recente incontro che avemmo all’ART GARAGE non escludesti di realizzare un progetto fotografico che avesse come soggetto Pozzuoli e i campi flegrei, è sempre vivo?

Sì, mi frulla in testa l’idea di coniugare l’antico e il moderno. Però, preso da tante cose, in primis la rassegna fotografica che coordino all’ART GARAGE, è un progetto che al momento ho accantonato.

Quando riprenderete all’ART GARAGE?

Tra fine ottobre e inizio novembre. Già abbiamo contatto tutti gli autori, dobbiamo stilare solo il calendario.

Anche quest’anno, come le precedenti edizioni, darete spazio esclusivamente a fotografi o prevedete qualche intermezzo con un altro tipo di artisti?

Per il momento solo fotografi, ma non escludo che durante il cammino non potremmo inserire qualcosa di diverso dalla fotografia.

Buon lavoro

Grazie!  

Luca Sorbo, una vita per la fotografia

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Docente di fotografia, cinema e televisione all’Accademia delle Belle Arti di Napoli, considerato tra i massimi esperti di fotografia in Italia, Luca Sorbo è il curatore della mostra fotografica EMOZIONI E PALCOSCENICO di Gianni Biccari esposta a Pozzuoli presso il Polo Culturale di Palazzo Toledo dal 7 al 21 settembre. Approfittando della sua presenza al vernissage, gli abbiamo posto alcune domande sulla fotografia in generale e quella di Biccari in particolare.

 

Professor Sorbo cosa rappresenta per lei la fotografia?

Un linguaggio straordinario che da quando è nato nel 1839 ha completamente cambiato la visione del mondo. Basta semplicemente pensare al ritratto: prima dell’avvento della fotografia le persone non avevano un ritratto di sé, a meno che non appartenessero alla ristretta cerchia dell’aristocrazia che poteva permettersi un pittore. Prendiamo come riferimento questa mostra di foto di scena, noi cosa sappiamo delle rappresentazioni di Moliere o di Shakespeare? Non sappiamo nulla di quali fossero gli allestimenti di questi grandi autori in quanto non abbiamo una documentazione come invece l’abbiamo oggi grazie alla fotografia.

Lei come si è avvicinato alla fotografia?

Ho cominciato come amatore a diciotto anni, poi a ventinove anni come fotogiornalista e a trentacinque mi sono interessato della storia della fotografia e delle tecniche fotografiche. Oggi, con un po’ di immodestia, posso dire d’essere considerato tra i maggiori esperti di fotografia a livello nazionale.

Lei dunque nasce come fotografo, come avviene il passaggio dallo scatto alla critica allo scatto?

A un certo punto mi sono accorto che c’era tanta gente che faceva fotografie e poca che le guardava. E mi sono reso conto che guardare le fotografie è difficile quanto farle! Per cui oggi il mio impegno come docente di belle arti e in altre scuole è quello di  insegnare le persone a guardare le fotografie.

Cosa intende esattamente con “guardare la fotografia”?

Avere la capacità di comprendere quello che l’autore ha fatto! La lettura di un’immagine è prima di tutto emozionale e possono farla tutti. Però quando poi si vuole passare dall’aspetto emozionale alla consapevolezza è necessario saper decriptare le scelte tecniche ed espressive. Dunque conoscere il linguaggio fotografico e comprendere quale scelte ha fatto l’autore per raggiungere quel risultato.

Quando parla di “scelte dell’autore”, lei dà per scontato che una foto sia costruita a monte?

No, assolutamente! La foto può essere casuale, come spesso accade. L’autore diventa tale nel momento in cui,tra tanti scatti, sceglie proprio quella foto. Io non solo valuto lo scatto, ma il perché l’autore ha scelto di rendere pubblico proprio quello scatto. Successivamente l’autore si valuta nel complesso delle foto, non sulla singola foto.

Come definirebbe Biccari fotografo?

Gianni prima di tutto è una persona attentissima alla tecnica e poi è un grande appassionato di teatro. Questo è il motivo per cui EMOZIONI E PALCOSCENICO è una mostra pregevole. Lui è riuscito ad unire alla competenza tecnica la passione per il teatro. Riuscire a gestire le emozioni attraverso la tecnica rende pregevoli le sue foto.

In Italia qual è il livello della fotografia?

Partiamo da un punto fermo, la fotografia in Italia viene considerata bene culturale solo dal 1999. Dal 2006 sono nati i corsi universitari, quindi abbiamo una tradizione accademica un po’ debole. Però c’è un grandissimo entusiasmo. Le mostre di fotografia sono frequentate più di quelle di pittura, sempre più giovani le si avvicinano. Manca una consapevolezza critica  e storica che necessita di tempo. Non abbiamo una tradizione fotografica radicata come ce l’hanno la musica e la pittura.   

Perché l’Italia ha riconosciuto con ritardo la fotografia come forma d’arte?

Perché ci sono cose molto più importanti come la letteratura, la pittura… Siamo il paese dei Giotto, Leonardo, Michelangelo, Raffaello; dei Dante, D’Annunzio, Pirandello… Il mondo istituzionale ha sempre guardato alla fotografia come un qualcosa di minore. La foto per anni è stata considerata mezzo per documentare, non un qualcosa che facesse arte avendo una propria capacità espressiva!

Quali sono i fotografi italiani che vanno per la maggiore?

Riferendoci ai napoletani, Mimmo Iodice, uno dei più grandi fotografi a livello europeo, Antonio Biasiucci, Cesare Accetta. A livello nazionale Ferdinando Scianna, Basilico… C’è una pattuglia di autori che però devono fare tutto da soli, non avendo uno stato che li sostiene. Come invece accade in Francia. Inghilterra e in Germanio dove ci sono istituzioni pubbliche che aiutano degli autori.

Questo arretramento dell’Italia rispetto alle altre nazioni a cosa lo imputa?

Alla disorganizzazione che purtroppo ci caratterizza un po’ in tutti i campi… Non riusciamo a fare sistema/paese. Però c’è il vantaggio che in questa disorganizzazione il singolo autore magari riesce ad ottenere risultati anche superiori rispetto a quelli del francese, del tedesco, dell’inglese che sono abituati a dei percorsi più comodi.

Come nasce la collaborazione con Biccari?

Nasce da un incontro casuale in cui lui mi parlò della sua attività di fotografo di scena a cui non dava tanta importanza. Avendo io studiato la storia della fotografia, e occupandomi di fotografia da venticinque anni, gli chiesi di vedere le foto e, visionandole, mi accorsi che il materiale era interessante. Ecco, se mi consente, il mio piccolo merito è quello di aver spinto Gianni  a organizzare questa mostra, storicizzandola. Vorrei ricordare che nel catalogo della mostra il testo di presentazione è di Giulio Baffi, il più grande critico teatrale italiano, il quale parla in maniera entusiasta del lavoro di Biccari, elogiandone la passione per il teatro che si riflette nella bellezza dei suoi scatti. Io ho storicizzato queste foto in un contesto importantissimo come il teatro a Napoli per cui ora abbiamo materiale che documenta trent’anni  di teatro.

Quali sono i suoi progetti personali per il futuro?

Sto realizzando un libro per la cineteca di Bologna,GLI ANNI SETTANTA A BOLOGNA; sto lavorando a un progetto con il MAN sulla documentazione del museo; un progetto a Capua. Fortunatamente è un periodo do lavoro molto intenso, forse troppo!   

LE FOTO DI BICCARI E I VERSI DELLA DE FRANCHIS ILLUMINANO POZZUOLI


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Sabato 7 settembre per la rassegna POZZUOLI ARDENTE, in corso nel capoluogo flegreo tra il 4 e l’8 di settembre, presso il Polo culturale di Palazzo Toledo si è inaugurata la mostra fotografica EMOZIONI E PALCOSCENICO di Gianni Biccari, curata da Luca Sorbo, visitabile fino al 21 settembre dal lunedì al sabato dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 19, ingresso libero; domenica chiuso.

La mostra, già proposta lo scorso anno al PAN, dove riscosse un enorme successo di pubblico e di critica, e a Roma a giugno di quest’anno, propone scatti di scena che ricoprono un trentennio di spettacoli dal 1988 al 2018. Non si tratta però di foto che ritraggono esclusivamente spettacoli attinenti alla cultura napoletana, ma che riguardano la storia del teatro nazionale e internazionale, le cui rappresentazioni hanno interessato palcoscenici napoletani e a cui Biccari ha presenziato in qualità di fotografo di scena. Sbaglierebbe di grosso chi, avendo visto la mostra al PAN, ritenesse inutile recarsi ad ammirare l’allestimento puteolano. Grazie alla vastità di spazio messo a disposizione dal Comune, almeno tre volte superiore rispetto a quello napoletano, la rassegna ha consentito all’autore di presentare scatti inediti e gigantografie che consentono di apprezzarne meglio il talento.

All’inaugurazione, cui ha partecipato un pubblico numeroso, ha presenziato l’Assessore alla Cultura del Comune di Pozzuoli Maria Teresa Moccia Di Fraia la quale, dopo aver porto i saluti istituzionali, ha sottolineato che, seppure la rassegna si svolga con il patrocinio morale del Comune di Pozzuoli,  gli eventi e gli artisti che vi partecipano si autofinanziano; che il comune ha messo a disposizione esclusivamente gli spazi. Tale precisazione le è sembrata  doverosa, visto le polemiche che hanno accompagnato la rassegna.

Unica nota stonata, stonatissima,  il furto di una cassa Bose durante la ressa del vernisage che ha procurato all’autore un notevole danno economico. Evidentemente qualcuno ha voluto dimostrare che non è affatto vero che con la cultura non si mangia!

 

Della bella mostra di Biccari parleremo in maniera più approfondita nelle interviste a lui e al curatore Luca Sorbo che pubblicheremo quanto prima.

Ora volgiamo la nostra attenzione al reading di poesie curato dalla poetessa Luisa De Franchis che si è svolto sempre sabato 7 settembre a Palazzo Toledo, nella sala antistante la mostra fotografica.

Definirlo emozionante sarebbe restrittivo. Impegnata da oltre otto anni nella diffusione della poesia nelle scuole medie con l’istituzione del premio letterario Briciole di Emozioni, e come docente di poesia presso l’università Popolare della città, convinta assertrice del valore terapeutico della poesia e della scrittura nonché dei rapporti umani, da anni la De Franchis si spende nella doppia veste di docente/confidente affinché le persone, in particolare le donne che hanno subito violenza, attraverso lei e i suoi versi, riescano a dare finalmente voce alle proprie sofferenze interiori, liberandosi dal dolore e dalle angosce confessandole il male subito che lei rielabora magistralmente in poesie senza mai intaccare la loro privacy.

Chi conosce Luisa De Franchis sa benissimo della dura battaglia che negli ultimi mesi ha dovuto affrontare contro un nemico subdolo senza mai avvilirsi né perdere il buonumore. Il sorriso e l’ironia con cui ne parla o ne fa implicitamente riferimento durante la serata definiscono la tempra d’acciaio di questa donna che, anche in momenti non particolarmente felici, non ha mai perso la voglia e la forza di darsi agli altri. Venendone ripagata con l’alta qualità di testi, alcuni davvero struggenti come i versi di Paolo Mirabella, a testimonianza del rispetto e dell’amore che nutrono verso di lei i ragazzi e le sue allieve.

All’evento hanno partecipato Silvana Cesarini, Gabriella Bellandi e Silvana Pipolo allieve dell’Università Popolare; Matteo Tafuto, Maurika Navarra e Paolo Mirabella vincitori del concorso Briciole di Emozioni ideato, coordinato e presentato dalla De Franchis.

Ad allietare il folto pubblico presente in sala, oltre alle tante belle poesie e filastrocche lette dai singoli autori, il gradito intermezzo musicale del cantautore Lorenzo Girotti, giovane promessa della musica puteolana di cui certamente sentiremo parlare.

Da segnalare anche in questo caso la presenza dell’Assessore Maria Teresa Moccia De Fraia che fino all’ultimo ha presenziato alla lettura delle poesie, mostrando apprezzamento sia per il lavoro della poetessa sia per gli elaborati letti pubblicamente, non sottraendosi a partecipare a un giochino estemporaneo in cui la De Franchis ha coinvolto un po’ tutti i presenti in sala.

Brava Luisa!

 

IL LIBRO: “RAGGIOLO, UNO SCORCIO DI PARADISO IN TERRA”

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In vendita su Amazon

“Raggiolo, frazione di Ortignano in provincia di Arezzo, a 10 km da Bibbiena, è un paese del Casentino Toscano arroccato a 600 mt sulle pendici del Pratomagno, prospiciente il mistico pano-rama de La Verna dove San Francesco ricevette le stigmate. Circa venti anni fa mio suocero, il maestro Osvaldo Petricciuolo, vi acquistò una proprietà rurale che riadattò a casa d’arte per raccogliere parte della sua ricca produzione artistica. Per anni con la mia famiglia vi abbiamo trascorso l’estate. Là i miei figli sono cresciuti tra prati, boschi, ruscelli, respirando aria pura, mangiando cibi genuini, facendo i bagni nel fiume, pescando gamberi, giocando all’aperto con gli altri bambini. Ora che sono giovani Raggiolo per loro rappresenta un bagaglio di ricordi sbiaditi che cedono il passo a quelli eccitanti dell’adolescenza che hanno il nome di una ragazza cui si associa lo smarrimento e il rapimento per la scoperta dell’amore, le goliardate con gli amici, le occupazioni scolastiche, i nauseanti postumi della sbronza, l’impagabile sensazione di scoprirsi grandi in vacanza da soli con gli amici senza l’assillo dei genitori. Anche per me Raggiolo costituisce un bagaglio di ricordi, ma, diversamente dai miei figli, più vivi che mai, seppure riferiti all’epoca in cui loro erano piccoli.”

Così incomincia questa raccolta di pensieri e racconti dove il protagonista è Raggiolo, perla del Casentino Toscano, inserito nell’esclusiva lista dei borghi più belli d’Italia, in grado di trasfondere attraverso la magica atmosfera che vi si respira un mix emozionale, suscitando nell’animo umano ataviche reminiscenza che fanno riscoprire all’uomo quanto sia intimo il proprio rapporto con la natura. Suddiviso in tredici capitoli, il libro vuole essere un omaggio a un luogo dove la dimensione umana non si è ancora persa; un’oasi naturale in cui ogni individuo può rifugiarsi per ritrovare se stesso; uno scorcio di paradiso in terra.

Buona lettura

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SIGNATURE RERUM

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Di seguito un estratto dal mio ultimo romanzo SIGNATURE RERUM-IL SUSSURRO DELLA SIBILLA 

Entrai in libreria. Oltre alla commessa seduta dietro il bancone impegnata a risolvere un cruciverba, nel locale non c’era nessun altro. Salutai con un cenno del capo e mi avvicinai alle colonne di libri che si innalzavano dal pavimento. L’aspetto miserevole di molti volumi confermava la loro lunga gestazione in magazzino, non sminuendone però il valore trattandosi di testi autorevoli.

Ero accosciato davanti a una pila di volumi per leggerne i titoli sbiaditi sui frontespizi, quando una voce familiare mi salutò:

<<Buongiorno>>

Mi voltai a fissare l’atleta che quella mattina mi aveva svegliato facendo ginnastica in giardino.

<<Buongiorno>> feci rialzandomi prontamente.

<<Le chiedo ancora scusa per questa mattina.>>

<<Non crucciarti, sono mattiniero.>>

<<Anche a lei piace leggere?>>

<<Appena il lavoro me lo consente.>>

<<Che genere preferisce?>>

<<Romanzi.>>

<<Anch’io! Ha trovato qualcosa d’interessante?>>

<<Sono appena entrato…>>

<<Venga>> disse guidandomi verso una catasta di libri addossati a uno scaffale vicino al retrobottega. <<Qui sicuramente troverà qualcosa d’interessante.>>

Mi inginocchiai per visionare i volumi.

<<Le piacciono gli scrittori sudamericani?>>

<<Ho letto qualcosa di Marquez, Borges, Coelho. Ultimamente Jorge Amado.>>

<<Se non lo avesse già letto, legga questo, sicuramente le piacerà.>> Con cautela sfilò dalla colonna di libri un volume e me lo porse.

<<L’amore al tempo del colera>> lessi.

<<Tra i romanzi di Marquez, lo ritengo in assoluto il migliore!>>

<<Ho letto Cronaca di una morte annunciata e Cent’anni di solitudine, non mi hanno entusiasmato granché.>>

<<Lo legga>> insistette.

Lessi la trama sul retro di copertina.

Prediligendo i thriller sapevo che difficilmente mi sarebbe piaciuto. Tuttavia, notando l’ansia con cui la ragazza mi guardava, decisi di acquistarlo per non deluderla.

Mentre pagavo, il volto le s’illuminò di gioia. Per un attimo la sua freschezza cacciò via le angustie dal mio animo.

 

Usciti dal negozio, dirigendoci in piazza, facemmo le presentazioni.

<<Io sono Laura>> fece porgendomi la mano.

<<Io Riccardo, e dammi del tu>> sorrisi, ricambiando la stretta.

<<Che ci fai qui?>> chiese, reclinando il capo. Lo sguardo intelligente luccicò di vita. Le orbite si restringevano ai lati conferendole un vago aspetto orientale. La parabola del naso curvava a punta sulla bocca piccola e sensuale, separata dal mento poco accentuato da una ruga sottile. La giacca a vento le nascondeva il corpo.

<<Vivi qui?>> chiesi.

<<Sono ospite della sorella di mio padre, mi sto allenando per La Quattro Laghi>>

<<Cos’è?>>

<<Una mezza maratona che attraversa passa per i quattro laghi flegrei. Malgrado siano solo 21 chilometri, è massacrante a causa dei continui saliscendi. Alla scorsa edizione mi sono classificata sesta assoluta tra le donne.>>

<<Un buon piazzamento>> osservai.

<<Sì, considerando la tendinite che mi obbligò a stare ferma per quasi sei mesi. Alla prossima, però, punto al podio!>>

La voce decisa ne palesava il carattere determinato.

<<Studi?>>

<<Sono iscritta a giurisprudenza. Vorrei fare l’avvocato. Tu di cosa ti occupi?>>

<<Lavoro in banca. Faccio il consulente finanziario>>

<<Ossia?>>

<<Suggerisco alle persone come far fruttare i propri risparmi.>>

<<Un giorno verrò a trovarti!>>

<<Possiedi dei risparmi?>>

<<Non ho un euro>> disse scoppiando a ridere. La sua ilarità mi contagiò, risi anch’io.

 

Giungemmo nella piazza assordata dai veicoli provenienti dal lungomare. Al bivio una parte delle vetture deviava verso il centro mentre l’altra proseguiva in direzione Pozzuoli. Il traffico era regolato da un’affascinante vigilessa dai capelli biondi coadiuvata da una coppia di pensionati che, muniti di palette, bloccavano i veicoli per consentire l’attraversamento ai pedoni.

 

<<Io sono arrivata>> disse Laura, fermandosi davanti la palazzina dai muri scrostati. Fui tentato di dirle che ero stato bene in sua compagnia, che mi sarebbe piaciuto rivederla. Tacqui per non apparire ridicolo.

<<Grazie per il consiglio>> feci, mostrandole la busta contenete il libro di Marquez.

<<Spero ti piacerà!>> sorrise.

Ci lasciammo con una calorosa stretta di mano.

 

Pranzai in cucina. Avvolgendo gli spaghetti alla forchetta, ripensavo a Laura, alla sua vitalità, al suo entusiasmo. Conoscevo uomini molto più grandi di me che non avevano alcuna difficoltà ad intessere una relazione con una ragazza più giovane di loro. In alcuni casi, addirittura più giovani delle loro stesse figlie.

Quando ne parlavano, tutti ammettevano che avere accanto una donna giovane come per magia annullava il peso degli anni, dissolvendo il tedio del matrimonio. Alcuni non lesinavano ad arricchire i propri racconti con particolari intimi affinché si sapesse che erano ancora nel pieno del vigore fisico. Mentre ascoltavo le loro avventure boccaccesche, mi chiedevo cosa avrei fatto se anch’io avessi incontrato una ragazza disposta ad intrecciare una relazione con me. Istintivamente il pensiero ritornò a Laura.

Poiché per carattere tendo a razionalizzare qualunque evento turbi il mio equilibrio interiore, mi imposi di considerare le inquietudini suscitate in me da Laura come logica conseguenza del difficile momento sentimentale che stavo attraversando. Ritrovarmi da solo, dopo tanti anni vissuti con Monica, era un trauma difficile da superare. Sospettai che il mio inconscio si fosse messo alla ricerca della terapia con cui riempire quell’imprevisto vuoto esistenziale. Pertanto non potevo escludere considerasse Laura la medicina per risanare le fratture del mio animo. Ripudiando ogni forma di medicinale convinto che, alla lunga, può nuocere più dello stesso male da curare, convenni che era meglio la dimenticassi; che l’unica medicina efficace per fronteggiare il difficile il momento che stavo attraversando era il trascorrere del tempo.

Ricacciai Laura dalla mente.

 

L’incessante suono del campanello alla porta mi ridestò.

Mi ero addormentato sulla poltrona davanti al televisore acceso. Filtrando dai vetri del balcone, il tramonto stemperava nel salotto smorti bagliori di luce. Chiedendomi chi fosse, andai ad aprire.

<<Ciao!>>

Il sorriso di Laura rischiarò la sera.

<<Disturbo?>> domandò.

<<Nient’affatto>> feci sorpreso e felice nello stesso tempo.

<<Posso entrare?>>

<<Certo.>> Mi spostai di lato per farla passare.

<<Carino qui>> commentò guardandosi intorno. <<E’ casa tua?>>

<<Di mia sorella.>>

Sfilandosi il giubbotto di pelle, si avvicinò alla libreria, dando uno sguardo ai libri allineati sulle mensole.

<<Dammi la giacca>> dissi.

Mentre appoggiavo il giubbotto sullo schienale della poltrona, ammirai l’asciutta compattezza del suo fisico: il seno sodo gonfiava il maglione; le gambe lunghe e i glutei muscolosi riempivano di sensualità i jeans.

<<Sorpreso?>> mi sorrise sedendosi sulla poltrona, accavallando le gambe.

<<Abbastanza>> ammisi restando in piedi, cercando di non mostrarmi imbarazzato.

<<Sono stata da un’amica che abita da queste parti. Passando ho visto la luce accesa e ho pensato di passare a salutarti.>>

<<Hai fatto bene. Gradisci qualcosa da bere?>>

<<Cosa hai?>>

<<Coca, sprite, aranciata, birra, caffè…>> elencai come un cameriere.

<<Basta>> mi stoppò divertita. <<Una coca va benissimo!>>

Seduti in poltrona, l’uno di fronte all’altra, sorseggiando la lattina di Coca Cola, Laura mi parlò della sua passione per la corsa.

<<Praticamente corro da quando ero bambina. In qualunque stagione e con qualsiasi tempo. Per me correre è vita. Non riesco a immaginarmi la mia esistenza senza la corsa. Correre mi ha insegnato a limare le spigolature del mio carattere. Per natura sono impulsiva, esuberante, aggressiva. Correndo ho imparato a frenare questi aspetti del mio essere. Quando si corre per tanti chilometri bisogna avere il buonsenso di non bruciare subito le energie altrimenti si rischia di fermarsi per strada, di non raggiungere la meta. Nella vita accade, più o meno, la stessa cosa: per realizzare un obiettivo devi partire piano per non disperdere le energie e l’entusiasmo. Senza energie ed entusiasmo non si va da nessuna parte!>>

<<Tu ne hai da vendere, di entusiasmo!>> osservai.

<<L’entusiasmo in me è fisiologico. Fa parte del mio DNA. Qualunque cosa faccia, anche la più sciocca, è sostenuta sempre dall’entusiasmo. Sai perché tante persone sono infelici?>>

<<Perché?>>

<<Perché mancano di entusiasmo. Puoi essere ricco sfondato, avere tante amanti più di Casanova, successo nel lavoro, avere la possibilità di poter viaggiare in ogni angolo del mondo, ma se manchi d’entusiasmo sei una macchina senza benzina che ha bisogno d’essere spinta dagli altri per continuare a procedere. Io non ho un soldo, non ho niente a parte l’entusiasmo, eppure sono felice. Solo il pensiero che un giorno potrei avere bisogno del sostegno degli altri per vivere mi fa stare male.>>

Abbozzai un sorriso.

<<Sono qui per ritrovare l’entusiasmo>> confessai.

<<Lo so, l’ho capito quando in libreria ti ho visto inginocchiato davanti a quella catasta di libri. Solo chi è alla disperata ricerca di qualcosa avrebbe scorso i volumi con la tua stessa frenesia. Quel che tutti cercano nella vita, senza sapere esattamente cosa, è l’entusiasmo!>>

<<Dovresti fare la psicologa invece dell’avvocato.>>

<<Valutare giuridicamente è un’analisi psicologica! Il carattere delle persone, il loro modo d’essere lo determini dal comportamento, non certo da ciò che pensano. Se ci limitassimo a giudicare le persone solo da ciò pensano rischieremmo di fare i processi alle intenzioni, rovinando la gente onesta. E sai perché?>>

<<No!>>

<<Il pensiero è come un fiume, mentre scorre trasporta con sé di tutto, sia il buono che il marcio. Sta a noi decidere cosa salvare dall’acqua e cosa invece lasciare che la corrente porti via con sé. Questa scelta rivela chi davvero siamo, essendo l’origine delle nostre azioni-. Tutto il resto pensieri e parole al vento. Non possiamo giudicare una persona né per il suo modo di pensare né perché ha detto una frase fuori luogo in un momento di rabbia o di disperazione. Siamo esseri umani, non dei: nostro dovere è limitarci a valutare i fatti!>>

Tanta saggezza in quel fiore in germoglio mi disarmò.

Mi alzai e andai al balcone. I bagliori delle case illuminate sulla dorsale del promontorio di Capo Miseno sembravano candeline accese su una torta in una stanza buia. Da dietro l’insenatura apparve il transitante bagliore delle luci di un traghetto diretto alle isole. All’orizzonte, adagiata sul mare, Capri dormiva tranquilla vegliata dal proprio faro che a intervalli regolari squarciava il buio segnalandone la presenza ai naviganti perché ne rispettassero il sonno.

Fissai Laura.

<<Credi che riuscirò a trovare l’entusiasmo?>> chiesi.

<<Si trova sempre ciò che ci appartiene … Adesso devo proprio andare, oggi ho studiato poco e voglio recuperare.>>

Si alzò porgendomi la lattina vuota.

<<Sei certo che non ti infastidisco se continuo ad allenarmi nel tuo giardino?>> domandò mentre l’aiutavo ad infilare il giubbotto.

<<Mi offendo se non la fai!>>

<<Pratichi qualche sport?>>

<<Vado in palestra tre volte a settimana. Niente d’impegnativo. Giusto un po’ di ginnastica e di pesi per tenermi in forma.>>

<<Ti piacerebbe correre con me?>>

<<Non ho l’occorrente!>>

<<Ti piacerebbe?>> insistette.

<<Certo che sì!>>

<<Vedi, soffochi l’entusiasmo per un motivo futile. Ho un amico che vende articoli sportivi. Se vuoi, domani ti porto da lui.>>

<<Va bene.>>

L’accompagnai alla porta.

Laura balzò in sella al motorino parcheggiato davanti casa e l’avviò.

<<A domani>> fece infilandosi il casco.

<<A domani>> le feci eco salutandola con la mano.

 

Mentre ero in cucina a preparare la cena, all’improvviso mi sovvenne come un flash l’immagine di mio cognato che giocava a tennis.

Come un forsennato iniziai a rovistare la casa da cima a fondo. Sembravo un investigatore che percepisce a pochi passi da sé la prova schiacciante per inchiodare il colpevole ma non riesce a trovarla. Dove potevano essere? Fissai la scalinata che saliva in soffitta. Un lampo mi attraversò la mente. Salii di corsa la rampa di scale. Aprii la porta del solaio e accesi la luce, rischiarando l’interno. La fioca lampadina illuminò la cassetta degli arnesi, le biciclette dei bambini e le scope appoggiate al muro dirimpetto, il pacco di giornali ingialliti poggiato su una sedia sgangherata, due barattoli di pittura sistemati in un angolo l’uno sull’altro, dei pennelli induriti. L’armadietto a sinistra attirò la mia attenzione. Mi avvicinai e lo aprii senza indugio. Una fila di scatole di scarpe era allineata sul ripiano centrale. Scelsi quella di una nota marca di articoli sportivi. La scoperchiai: esultai alla vista delle scarpe da tennis. Io e mio cognato calzavamo lo stesso numero. Guardai nuovamente nell’armadietto: sulla scansia in alto era appoggiata una fila di buste di cellophane contenenti indumenti sportivi. Le svuotai una ad una sul pavimento fino a quando non trovai la tuta da ginnastica di Francesco.

 

L’umidità del mattino mi penetrava nelle ossa.

In prossimità del cancello della villa, saltellavo sulla sabbia con le braccia penzoloni per riscaldarmi, scrutando sulla battigia alla ricerca di Laura.

<<Volere è potere!>> risuonò di spalle la sua voce. Mi voltai.

<<Buongiorno>> la salutai.

<<Sei qui da molto?>>

Guardai l’orologio al polso.

<<Una ventina di minuti.>>

<<Se avessi saputo che m’aspettavi, avrei aumentato l’andatura.>>

<<Non preoccuparti.>>

Mi fissò i piedi.

<<Quelle non vanno bene>> fece fissando le scarpette da tennis che calzavo. <<Sono dure e hanno la pianta stretta. Per correre servono scarpe come queste>> Alzò il piede mostrandomi le sue. <<Leggere, con la pianta larga in modo che il peso del corpo sia ammortizzato interamente dal piede senza sforzo.>>

<<Allora non si corre?>>

<<Certo che corriamo, ma, appena puoi, compra delle scarpe adatte altrimenti ti infortunerai, garantito!>>

Iniziammo a riscaldarci. Afferrando una mano alla ringhiera, stringevamo l’altra mano al collo del piede, piegando la gamba all’interno in modo da toccare col tallone la natica. Restavamo in quella posizione per diversi secondi per poi fare lo stesso con l’altra gamba. Terminati gli esercizi, Laura si piantò al mio cospetto.

<<Unisci le gambe; flettiti sul busto senza piegare le ginocchia e cerca di toccarti con le mani le punta dei piedi come faccio io>>. Così dicendo s’inarcò sulle gambe tese, poggiando sul terreno i palmi delle mani. Restò in quella posizione per un tempo interminabile.

<<Adesso provaci tu>> fece rialzandosi.

Inarcai il busto, flettendo leggermente le ginocchia.

<<Se pieghi le ginocchia sbagli l’esercizio.>>

<<Non ci riesco>> gemetti. Il sangue mi andava alla testa.

<<Sei legato>> disse tastandomi le cosce: il tocco delle sue mani mi eccitò. Mi premette la mano sulla schiena perché mi flettessi meglio sul busto. Provai un dolore lancinante.

 

Corremmo una buona mezz’ora sul lungomare, parlando di noi.

Di tanto in tanto Laura interrompeva la conversazione, preoccupata delle mie condizioni fisiche.

<<Tutto bene?>> mi chiedeva premurosa.

<<Tutto ok!>> rispondevo strizzando l’occhio.

Al rientro, in giardino, dopo aver fatto gli esercizi di scarico, mi fece sdraiare con la schiena sulla panca, controllando che eseguissi correttamente gli addominali.

Feci la mia bella figura in quanto in palestra mi sottoponevo a massacranti serie di addominali per bruciare i grassi, reggendo un peso sull’addome.

<<Bravo>> si complimentò.

Toccò a lei.

Sollevandosi sul busto la tesa muscolatura delle cosce si delineò sotto la calzamaglia. Involontariamente posai lo sguardo al tessuto aderente sotto cui si delineava il pube. Il respiro le gonfiò il seno.

<<Stanca?>> feci cercando di nascondere il turbamento suscitatomi dalla sua femminilità.

<<Per niente>> disse alzandosi. <<Ci vendiamo domani alle sette?>> domandò sistemandosi ai fianchi l’elastico della tuta.

<<Perfetto!>> risposi.

Inaspettatamente, prima di andare via, mi baciò sulla guancia.

 

Uscito dalla doccia, indossai l’accappatoio di spugna e rientrai in camera da letto. Aprii l’armadio per prendere i pantaloni. Lo specchio all’interno dell’anta rifletté la mia immagine. Accostai la faccia al vetro: qualche timida ruga solcava le estremità degli occhi. Slacciai la cinta dell’accappatoio, riflettendo il corpo nudo nello specchio. Indietreggiai di qualche passo per analizzarmi a figura intera nel vetro. Tutto sommato potevo ritenermi soddisfatto, non avevo il benché minimo accenno di pancia. Le gambe erano toniche. I pettorali definiti in modo giusto. I bicipiti manifestavano forza. Forse qualche eccesso di grasso ai fianchi …

<<Ma che sto facendo?>> pensai ad un tratto ad alta voce, provando vergogna di me stesso.

Con un colpo secco richiusi l’armadio. Mi stavo comportando alla stregua di quegli uomini che ogni giorno, mattina e sera, si mirano nello specchio terrorizzati dal pensiero di scorgere sul proprio corpo i segni del tempo. Era la prima volta che mi comportavo in quel modo ridicolo. Proprio io che non perdevo occasione di replicare a chi si lamentava del passare degli anni:  <<Le uniche certezze della vita sono il passato e la morte. Tutto il resto è solo speranza e mistero!>>

 

La mia passione per i miti virgiliani risaliva all’epoca del liceo. Tra i tanti episodi delle gesta di Enea prediligevo l’incontro tra l’eroe latino e la sibilla cumana. Cuma distava pochi chilometri da Bacoli. La giornata tersa, riscaldata da un tiepido sole, mi invogliò a visitare l’Acropoli.

 

Risalivo il viale che conduceva agli scavi, attorniato da una calca di ragazzini festosi in gita scolastica. In prossimità dell’ampia sala d’ingresso scavata nel tufo della collina su cui gli antichi avevano edificato il sacro sito, levai lo sguardo alla cima del monte. La fitta vegetazione ammantava le pendici, nascondendo agli sguardi i resti del tempio di Giove eretto sull’apice. Entrando nell’ampia sala di tufo che come un limbo separava la biglietteria dal sito archeologico, osservai i piccoli loculi scavati nelle pareti dove anticamente alloggiavano le lucerne. Non appena fui nel parco, mi accostai alla ringhiera alla mia destra e mi affacciai nel canalone sottostante da dove proveniva l’eco dei colombi annidati nelle spaccature della rupe. Sotto di me si apriva uno slargo dove un ingresso scavato nella pietra conduceva nella città sotterranea. Ammirando quel suggestivo scenario, la fantasia cominciò a galoppare: mi domandai se il complesso archeologico non fosse opera dei Cimmeri, il misterioso popolo delle tenebre, per dar vita ai loro rituali sacri. E solo dopo l’avvento dei colonizzatori greci e successivamente dei romani aveva assunto i connotati attuali con i resti dei templi di Apollo e di Giove. Dubbioso mi incamminai verso il viale alberato che rasentava il margine della collina delimitato da una lunga staccionata in ferro. Al di sotto della terrazza la fitta vegetazione della foresta di Cuma si estendeva fino ai margini della spiaggia del Fusaro. All’orizzonte, ammantata da una sottile foschia, Ischia appariva come una misteriosa signora col velo calato sul viso per nascondersi agli sguardi degli uomini.

Contemplai il suggestivo panorama quasi fossi rapito in mistica ebbrezza: non c’era da stupirsi se gli antichi avessero scelto quel luogo per onorare gli dei e se Virgilio vi avesse fatto sbarcare Enea, gettando i semi della civiltà romana. Pochi siti al mondo suscitavano malie tanto intense nella fantasia degli uomini come quel luogo la cui eterna instabilità del sottosuolo, battezzata bradisismo, caratterizzata dal periodico innalzamento e abbassamento del suolo, lo accomunava simbolicamente alla vita con i suoi alti e bassi. I periodici sommovimenti della terra, unitamente alle esalazioni dei gas che dal suolo si libravano nell’aria alterando i sensi, agli sguardi degli antichi dovettero apparire come manifestazione di una volontà suprema che aveva prescelto quel luogo per manifestarsi e comunicare con gli uomini. Da qui la scelta di edificare il sito in onore del Nume.

Fissai le pigre onde del mare svolgersi sulla spiaggia. Respirai profondamente. Senza indugio mi diressi all’antro della sibilla imboccando l’oscuro corridoio che trafiggeva la collina alle mie spalle.

Man mano che avanzavo nelle tenebre accompagnato dall’eco dei miei passi, osservando la forma del corridoio che ricordava vagamente una vagina, ebbi la sensazione di inoltrarmi nell’intimità della terra. Avanzando in quel grembo tufaceo, più volte fui colto dalla sensazione che occhi invisibili mi spiassero. Attraverso gli enormi squarci laterali intagliati sul fianco dell’antro, fasci di luce provenienti dall’esterno laceravano il buio, proiettando la mia ombra sulla parete opposta. Timoroso avanzai incontro all’ignoto fino a quando non giunsi nella sala della sibilla. Il moncone di pilastro templare posto dinanzi al tabernacolo dove la pitonessa vaticinava, accresceva di mistero l’atmosfera.

Dai meandri della memoria mi sovvenne alla mente la storia della sibilla cumana: la sibilla era una splendida fanciulla. Affascinato dalla sua bellezza Apollo, pur di averla come sacerdotessa, la tentò in ogni modo, offrendosi di esaudirne qualunque desiderio. La donna raccolse una manciata di sabbia e chiese di vivere tanti anni quanti fossero i granelli di sabbia racchiusi nel pugno. Ma dimenticò di chiedere anche il dono dell’eterna giovinezza. Il dio l’accontentò. Con lo scorrere del tempo, la sibilla scoprì d’essere caduta vittima della propria vanità e del cinismo del nume: il suo aspetto si ridusse sempre di più a quello di una larva fino a scomparire, restando percepibile solo la voce. A quel punto il dio le promise di farla restare eternamente giovane a patto che lei avesse giaciuto con lui. Pur di non perdere la propria purezza, la sibilla rifiutò. Ecco il motivo per cui, ancora oggi, c’è chi sostiene che è possibile ascoltarne la voce.

In quell’attimo una voce di donna sorse dal nulla, sussurrandomi: <<L’entusiasmo è il motore della vita. Chi soffoca l’entusiasmo uccide se stesso. Ogni uomo è un dio in embrione che solo vivendo ha modo di manifestare la propria grandezza!>>

Istintivamente mi guardai intorno alla ricerca di Laura. Intorno a me solo silenzio e oscurità. La sibilla aveva vaticinato. Era compito mio penetrare il senso delle sue parole. […]

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