La mia prima maratona

La mia prima maratona

La soddisfacente prestazione della Sorrento-Amalfi cancellò i miei esigui dubbi se fossi effettivamente pronto per affrontare una maratona.

Con l’entusiasmo a mille mi iscrissi alla maratona di Napoli del 16 febbraio 2014.

Essendomi documentato e confrontato con chi era ferrato in medicina dello sport, appresi che l’organismo umano è tarato per correre non più di 33/34 km. Superata questa soglia pare che il metabolismo si alteri e per ripristinarsi occorrono per lo meno tre/quattro mesi. Ecco spiegato perché non si dovrebbero correre più di due maratone all’anno, una ogni sei mesi.

Tra fine dicembre 2013 e gennaio 2014 insieme a un gruppo di amici la domenica programmavamo delle uscite di allenamento di una ventina di chilometri, aumentando ogni settimana qualche chilometro, per abituare le gambe allo sforzo di correre per ore in vista della maratona.

L’ultima seduta di oltre 33 km la svolgemmo tre settimane prima della gara: Pozzuoli – Piazza Carlo III e ritorno. […]

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Seppure corro da che ero ragazzo, ho iniziato a gareggiare, si fa per dire, da quando ho superato la soglia dei quarant’anni. La prima gara cui presi parte fu la mezza maratona di Napoli del 2007. Per la successiva passarono circa quattro anni, a seguito dell’Alzheimer che alla fine degli anni novanta colpì papà e da dicembre 2006 lo allettò, costringendo mia sorella e me ad alternarci al suo capezzale, (tutto ciò l’ho raccontato nel romanzo UN UOMO BUONO – MIO PADRE MALATO DI ALZHEIMER, Edizioni Helicon).

La corsa non è solo fatica e gioia ma anche magia

Seppure corro da che ero ragazzo, ho iniziato a gareggiare, si fa per dire, da quando ho superato la soglia dei quarant’anni. La prima gara cui presi parte fu la mezza maratona di Napoli del 2007. Per la successiva passarono circa quattro anni, a seguito dell’Alzheimer che alla fine degli anni novanta colpì papà e da dicembre 2006 lo allettò costringendo mia sorella e me ad alternarci al suo capezzale, (tutto ciò l’ho raccontato nel romanzo UN UOMO BUONO – MIO PADRE MALATO DI ALZHEIMER, Edizioni Helicon).

Fino a che papà non ci lasciò a maggio del 2011, mi limitai a correre per un’ora tre volte a settimana. Dopo la sua scomparsa ripresi a farlo con continuità, dedicando la domenica ai medi di una ventina di chilometri.

Nel momento in cui ripresi ad allenarmi senza particolari pensieri, spinto da un gruppo di runner di Pozzuoli, mi iscrissi alla gloriosa Pozzuoli Marathon e iniziai a gareggiare un paio di volte al mese.

Cominciai con le dieci chilometri per poi passare alle ventuno, non escludendo di poter realizzare un giorno  quello che è il sogno di ogni runner, prendere parte a una maratona e chiuderla.

La mia prima gara di oltre ventuno chilometri fu la Napoli-Pompei del 2012. […]

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Di Peppe D’Isanto, fondatore e titolare dell’omonimo negozio di strumenti musicali a Pozzuoli, in Via Pergolesi, scomparso da poche ore dopo aver lottato come un leone per oltre due anni contro un male incurabile, sono tanti i ricordi che porterò per sempre con me. Per lo più tutti legati alla comune passione per la corsa. Ma due in particolare mi resteranno per sempre nel cuore…

Diversamente da me che corro da quand’ero ragazzo, alla corsa Peppe si avvicinò in tarda età e mai avrebbe immaginato, come lui stesso ammise una volta mentre chiacchieravamo, di appassionarsi in maniera maniacale come poi avvenne.

Abitando nello stesso viale, spesso capitava che la mattina presto o la sera, andando o tornando da lavoro, Peppe mi incrociava correre insieme a un amico, a volte sotto il diluvio o con temperature rasenti lo zero. In quell’occasione candidamente ammise da par suo – Peppe era una persona sincera, se doveva dirti una cosa te la diceva senza farsi tanti problemi “perché il parlare chiaro è fatto per gli amici” – che quando ci incrociava ci reputava dei pazzi!

Ciao Peppe, continua a volare!

Di Peppe D’Isanto, fondatore e titolare dell’omonimo negozio di strumenti musicali a Pozzuoli, in Via Pergolesi, scomparso da poche ore dopo aver lottato come un leone per oltre due anni contro un male incurabile, sono tanti i ricordi che porterò per sempre con me. Per lo più tutti legati alla comune passione per la corsa. Ma due in particolare mi resteranno per sempre nel cuore…

Diversamente da me che corro da quand’ero ragazzo, alla corsa Peppe si avvicinò in tarda età e mai avrebbe immaginato, come lui stesso ammise una volta mentre chiacchieravamo, di appassionarsi in maniera maniacale come poi avvenne.

Abitando nello stesso viale, spesso capitava che la mattina presto o la sera, andando o tornando da lavoro, Peppe mi incrociava correre insieme a un amico, a volte sotto il diluvio o con temperature rasenti lo zero. In quell’occasione candidamente ammise da par suo – Peppe era una persona sincera, se doveva dirti una cosa te la diceva senza farsi tanti problemi “perché il parlare chiaro è fatto per gli amici” – che quando ci incrociava ci reputava dei pazzi! […]

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RUNNERCORONACOPERTINA

CORONAVIRUS, IL DILEMMA AMLETICO DEI RUNNER: CORRERE O NON CORRERE?

In un momento così delicato per il nostro paese che nel giro di tre settimane ha scoperto d’essere il nuovo focolaio nel mondo del coronavirus, stupisce la querelle che da giorni sta montando sui social riguardo la possibilità o meno di poter praticare attività sportiva all’aria aperta, soprattutto se si può o no correre per le vie delle città.

La discussione, dispiace dirlo, nasce dall’assoluta mancanza di chiarezza nei vari DPCM emanati dal governo in questi giorni in cui, pur limitando le uscite dei singoli soggetti allo stretto necessario – recarsi a lavoro, andare a fare la spesa o dal medico, recarsi a casa di un ammalato o di un anziano per assisterlo -, si consentiva alle persone di passeggiare o praticare l’attività sportiva all’aria aperta purché non si creassero assembramenti e si mantenesse la debita distanza di sicurezza di un metro l’uno dall’altro. Tutto ciò per non minare radicalmente le abitudini e la libertà dei cittadini, confidando nel loro buonsenso.

Come era prevedibile tale concessione delegata alle coscienze delle persone ha creato ulteriore confusione, alimentando in una parte dell’opinione pubblica la convinzione che il coronavirus fosse poco più di un’influenza – tale persuasione è frutto dell’iniziale disaccordo serpeggiante tra gli esperti che, a loro volta ignari di ciò che stava avvenendo, si smentivano a vicenda sminuendo o estremizzando la pericolosità del virus – facendola sentire nel pieno diritto, una volta prese le opportune precauzioni , di poter continuare a vivere come se nulla fosse.

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SIGNATURE RERUM – IL SUSSURRO DELLA SIBILLA

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[…]Poggiai le valige sulla soglia della villa. Presi le chiavi dalla tasca del giubbotto e aprii l’ingresso del mio nuovo alloggio.
L’odore di chiuso ristagnante nell’ambiente testimoniava che la casa era disabitata da tempo. Ne fui sorpreso perché Stefania e Francesco amavano vivere lì. Soprattutto d’inverno, quando il tranquillo sciabordio del mare riecheggiava sulla spiaggia solitaria, permettendo di fare lunghe passeggiate sul bagnasciuga senza il pericolo di inciampare nei bagnanti stesi al sole; d’essere involontario(?) bersaglio di pallonate, o, peggio ancora, d’essere investiti dagli ombrelloni sradicati dal vento.
Entrambi concordavano che l’autunno e l’inverno erano le sta-gioni migliori per godere delle facoltà terapeutiche e spirituali del ma-re. Sostenevano che il mormorio delle onde dava voce a un mistero irrisolvibile, inducendo a una profonda riflessione su una questione, se-condo loro, fondamentale per capire la vita e l’uomo: qual è l’esatto momento in cui l’onda nasce e quello in cui muore. Tra quanti si tormentavano nella soluzione dell’enigma, vi era chi affermava che l’onda si forma nell’attimo in cui sembra morire, ossia quando si riversava sulla riva con un ultimo, rabbioso ruggito. A sostegno di questa tesi, costoro riferivano dell’allegra melodia che si levava dai filamenti di schiuma dell’onda morta allorché, insinuandosi tra i ciottoli sulla sabbia, rifluivano nel mare come anime finalmente libere dal vincolo corporale, pronte a librarsi nel cielo quasi rinascessero a nuova vita.
Sebbene il problema non avesse mai suscitato il mio interesse, quando spalancai le imposte del balcone nel salottino per cambiare aria alla casa, affacciandomi sulla spiaggia a osservare le onde rin-corrersi sul mare fui assalito dal dubbio: la morte non potrebbe essere il preludio di una nuova vita?[…]

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IL LIBRO: “RAGGIOLO, UNO SCORCIO DI PARADISO IN TERRA”

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In vendita su Amazon

“Raggiolo, frazione di Ortignano in provincia di Arezzo, a 10 km da Bibbiena, è un paese del Casentino Toscano arroccato a 600 mt sulle pendici del Pratomagno, prospiciente il mistico pano-rama de La Verna dove San Francesco ricevette le stigmate. Circa venti anni fa mio suocero, il maestro Osvaldo Petricciuolo, vi acquistò una proprietà rurale che riadattò a casa d’arte per raccogliere parte della sua ricca produzione artistica. Per anni con la mia famiglia vi abbiamo trascorso l’estate. Là i miei figli sono cresciuti tra prati, boschi, ruscelli, respirando aria pura, mangiando cibi genuini, facendo i bagni nel fiume, pescando gamberi, giocando all’aperto con gli altri bambini. Ora che sono giovani Raggiolo per loro rappresenta un bagaglio di ricordi sbiaditi che cedono il passo a quelli eccitanti dell’adolescenza che hanno il nome di una ragazza cui si associa lo smarrimento e il rapimento per la scoperta dell’amore, le goliardate con gli amici, le occupazioni scolastiche, i nauseanti postumi della sbronza, l’impagabile sensazione di scoprirsi grandi in vacanza da soli con gli amici senza l’assillo dei genitori. Anche per me Raggiolo costituisce un bagaglio di ricordi, ma, diversamente dai miei figli, più vivi che mai, seppure riferiti all’epoca in cui loro erano piccoli.”

Così incomincia questa raccolta di pensieri e racconti dove il protagonista è Raggiolo, perla del Casentino Toscano, inserito nell’esclusiva lista dei borghi più belli d’Italia, in grado di trasfondere attraverso la magica atmosfera che vi si respira un mix emozionale, suscitando nell’animo umano ataviche reminiscenza che fanno riscoprire all’uomo quanto sia intimo il proprio rapporto con la natura. Suddiviso in tredici capitoli, il libro vuole essere un omaggio a un luogo dove la dimensione umana non si è ancora persa; un’oasi naturale in cui ogni individuo può rifugiarsi per ritrovare se stesso; uno scorcio di paradiso in terra.

Buona lettura

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SIGNATURE RERUM

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Di seguito un estratto dal mio ultimo romanzo SIGNATURE RERUM-IL SUSSURRO DELLA SIBILLA 

Entrai in libreria. Oltre alla commessa seduta dietro il bancone impegnata a risolvere un cruciverba, nel locale non c’era nessun altro. Salutai con un cenno del capo e mi avvicinai alle colonne di libri che si innalzavano dal pavimento. L’aspetto miserevole di molti volumi confermava la loro lunga gestazione in magazzino, non sminuendone però il valore trattandosi di testi autorevoli.

Ero accosciato davanti a una pila di volumi per leggerne i titoli sbiaditi sui frontespizi, quando una voce familiare mi salutò:

<<Buongiorno>>

Mi voltai a fissare l’atleta che quella mattina mi aveva svegliato facendo ginnastica in giardino.

<<Buongiorno>> feci rialzandomi prontamente.

<<Le chiedo ancora scusa per questa mattina.>>

<<Non crucciarti, sono mattiniero.>>

<<Anche a lei piace leggere?>>

<<Appena il lavoro me lo consente.>>

<<Che genere preferisce?>>

<<Romanzi.>>

<<Anch’io! Ha trovato qualcosa d’interessante?>>

<<Sono appena entrato…>>

<<Venga>> disse guidandomi verso una catasta di libri addossati a uno scaffale vicino al retrobottega. <<Qui sicuramente troverà qualcosa d’interessante.>>

Mi inginocchiai per visionare i volumi.

<<Le piacciono gli scrittori sudamericani?>>

<<Ho letto qualcosa di Marquez, Borges, Coelho. Ultimamente Jorge Amado.>>

<<Se non lo avesse già letto, legga questo, sicuramente le piacerà.>> Con cautela sfilò dalla colonna di libri un volume e me lo porse.

<<L’amore al tempo del colera>> lessi.

<<Tra i romanzi di Marquez, lo ritengo in assoluto il migliore!>>

<<Ho letto Cronaca di una morte annunciata e Cent’anni di solitudine, non mi hanno entusiasmato granché.>>

<<Lo legga>> insistette.

Lessi la trama sul retro di copertina.

Prediligendo i thriller sapevo che difficilmente mi sarebbe piaciuto. Tuttavia, notando l’ansia con cui la ragazza mi guardava, decisi di acquistarlo per non deluderla.

Mentre pagavo, il volto le s’illuminò di gioia. Per un attimo la sua freschezza cacciò via le angustie dal mio animo.

 

Usciti dal negozio, dirigendoci in piazza, facemmo le presentazioni.

<<Io sono Laura>> fece porgendomi la mano.

<<Io Riccardo, e dammi del tu>> sorrisi, ricambiando la stretta.

<<Che ci fai qui?>> chiese, reclinando il capo. Lo sguardo intelligente luccicò di vita. Le orbite si restringevano ai lati conferendole un vago aspetto orientale. La parabola del naso curvava a punta sulla bocca piccola e sensuale, separata dal mento poco accentuato da una ruga sottile. La giacca a vento le nascondeva il corpo.

<<Vivi qui?>> chiesi.

<<Sono ospite della sorella di mio padre, mi sto allenando per La Quattro Laghi>>

<<Cos’è?>>

<<Una mezza maratona che attraversa passa per i quattro laghi flegrei. Malgrado siano solo 21 chilometri, è massacrante a causa dei continui saliscendi. Alla scorsa edizione mi sono classificata sesta assoluta tra le donne.>>

<<Un buon piazzamento>> osservai.

<<Sì, considerando la tendinite che mi obbligò a stare ferma per quasi sei mesi. Alla prossima, però, punto al podio!>>

La voce decisa ne palesava il carattere determinato.

<<Studi?>>

<<Sono iscritta a giurisprudenza. Vorrei fare l’avvocato. Tu di cosa ti occupi?>>

<<Lavoro in banca. Faccio il consulente finanziario>>

<<Ossia?>>

<<Suggerisco alle persone come far fruttare i propri risparmi.>>

<<Un giorno verrò a trovarti!>>

<<Possiedi dei risparmi?>>

<<Non ho un euro>> disse scoppiando a ridere. La sua ilarità mi contagiò, risi anch’io.

 

Giungemmo nella piazza assordata dai veicoli provenienti dal lungomare. Al bivio una parte delle vetture deviava verso il centro mentre l’altra proseguiva in direzione Pozzuoli. Il traffico era regolato da un’affascinante vigilessa dai capelli biondi coadiuvata da una coppia di pensionati che, muniti di palette, bloccavano i veicoli per consentire l’attraversamento ai pedoni.

 

<<Io sono arrivata>> disse Laura, fermandosi davanti la palazzina dai muri scrostati. Fui tentato di dirle che ero stato bene in sua compagnia, che mi sarebbe piaciuto rivederla. Tacqui per non apparire ridicolo.

<<Grazie per il consiglio>> feci, mostrandole la busta contenete il libro di Marquez.

<<Spero ti piacerà!>> sorrise.

Ci lasciammo con una calorosa stretta di mano.

 

Pranzai in cucina. Avvolgendo gli spaghetti alla forchetta, ripensavo a Laura, alla sua vitalità, al suo entusiasmo. Conoscevo uomini molto più grandi di me che non avevano alcuna difficoltà ad intessere una relazione con una ragazza più giovane di loro. In alcuni casi, addirittura più giovani delle loro stesse figlie.

Quando ne parlavano, tutti ammettevano che avere accanto una donna giovane come per magia annullava il peso degli anni, dissolvendo il tedio del matrimonio. Alcuni non lesinavano ad arricchire i propri racconti con particolari intimi affinché si sapesse che erano ancora nel pieno del vigore fisico. Mentre ascoltavo le loro avventure boccaccesche, mi chiedevo cosa avrei fatto se anch’io avessi incontrato una ragazza disposta ad intrecciare una relazione con me. Istintivamente il pensiero ritornò a Laura.

Poiché per carattere tendo a razionalizzare qualunque evento turbi il mio equilibrio interiore, mi imposi di considerare le inquietudini suscitate in me da Laura come logica conseguenza del difficile momento sentimentale che stavo attraversando. Ritrovarmi da solo, dopo tanti anni vissuti con Monica, era un trauma difficile da superare. Sospettai che il mio inconscio si fosse messo alla ricerca della terapia con cui riempire quell’imprevisto vuoto esistenziale. Pertanto non potevo escludere considerasse Laura la medicina per risanare le fratture del mio animo. Ripudiando ogni forma di medicinale convinto che, alla lunga, può nuocere più dello stesso male da curare, convenni che era meglio la dimenticassi; che l’unica medicina efficace per fronteggiare il difficile il momento che stavo attraversando era il trascorrere del tempo.

Ricacciai Laura dalla mente.

 

L’incessante suono del campanello alla porta mi ridestò.

Mi ero addormentato sulla poltrona davanti al televisore acceso. Filtrando dai vetri del balcone, il tramonto stemperava nel salotto smorti bagliori di luce. Chiedendomi chi fosse, andai ad aprire.

<<Ciao!>>

Il sorriso di Laura rischiarò la sera.

<<Disturbo?>> domandò.

<<Nient’affatto>> feci sorpreso e felice nello stesso tempo.

<<Posso entrare?>>

<<Certo.>> Mi spostai di lato per farla passare.

<<Carino qui>> commentò guardandosi intorno. <<E’ casa tua?>>

<<Di mia sorella.>>

Sfilandosi il giubbotto di pelle, si avvicinò alla libreria, dando uno sguardo ai libri allineati sulle mensole.

<<Dammi la giacca>> dissi.

Mentre appoggiavo il giubbotto sullo schienale della poltrona, ammirai l’asciutta compattezza del suo fisico: il seno sodo gonfiava il maglione; le gambe lunghe e i glutei muscolosi riempivano di sensualità i jeans.

<<Sorpreso?>> mi sorrise sedendosi sulla poltrona, accavallando le gambe.

<<Abbastanza>> ammisi restando in piedi, cercando di non mostrarmi imbarazzato.

<<Sono stata da un’amica che abita da queste parti. Passando ho visto la luce accesa e ho pensato di passare a salutarti.>>

<<Hai fatto bene. Gradisci qualcosa da bere?>>

<<Cosa hai?>>

<<Coca, sprite, aranciata, birra, caffè…>> elencai come un cameriere.

<<Basta>> mi stoppò divertita. <<Una coca va benissimo!>>

Seduti in poltrona, l’uno di fronte all’altra, sorseggiando la lattina di Coca Cola, Laura mi parlò della sua passione per la corsa.

<<Praticamente corro da quando ero bambina. In qualunque stagione e con qualsiasi tempo. Per me correre è vita. Non riesco a immaginarmi la mia esistenza senza la corsa. Correre mi ha insegnato a limare le spigolature del mio carattere. Per natura sono impulsiva, esuberante, aggressiva. Correndo ho imparato a frenare questi aspetti del mio essere. Quando si corre per tanti chilometri bisogna avere il buonsenso di non bruciare subito le energie altrimenti si rischia di fermarsi per strada, di non raggiungere la meta. Nella vita accade, più o meno, la stessa cosa: per realizzare un obiettivo devi partire piano per non disperdere le energie e l’entusiasmo. Senza energie ed entusiasmo non si va da nessuna parte!>>

<<Tu ne hai da vendere, di entusiasmo!>> osservai.

<<L’entusiasmo in me è fisiologico. Fa parte del mio DNA. Qualunque cosa faccia, anche la più sciocca, è sostenuta sempre dall’entusiasmo. Sai perché tante persone sono infelici?>>

<<Perché?>>

<<Perché mancano di entusiasmo. Puoi essere ricco sfondato, avere tante amanti più di Casanova, successo nel lavoro, avere la possibilità di poter viaggiare in ogni angolo del mondo, ma se manchi d’entusiasmo sei una macchina senza benzina che ha bisogno d’essere spinta dagli altri per continuare a procedere. Io non ho un soldo, non ho niente a parte l’entusiasmo, eppure sono felice. Solo il pensiero che un giorno potrei avere bisogno del sostegno degli altri per vivere mi fa stare male.>>

Abbozzai un sorriso.

<<Sono qui per ritrovare l’entusiasmo>> confessai.

<<Lo so, l’ho capito quando in libreria ti ho visto inginocchiato davanti a quella catasta di libri. Solo chi è alla disperata ricerca di qualcosa avrebbe scorso i volumi con la tua stessa frenesia. Quel che tutti cercano nella vita, senza sapere esattamente cosa, è l’entusiasmo!>>

<<Dovresti fare la psicologa invece dell’avvocato.>>

<<Valutare giuridicamente è un’analisi psicologica! Il carattere delle persone, il loro modo d’essere lo determini dal comportamento, non certo da ciò che pensano. Se ci limitassimo a giudicare le persone solo da ciò pensano rischieremmo di fare i processi alle intenzioni, rovinando la gente onesta. E sai perché?>>

<<No!>>

<<Il pensiero è come un fiume, mentre scorre trasporta con sé di tutto, sia il buono che il marcio. Sta a noi decidere cosa salvare dall’acqua e cosa invece lasciare che la corrente porti via con sé. Questa scelta rivela chi davvero siamo, essendo l’origine delle nostre azioni-. Tutto il resto pensieri e parole al vento. Non possiamo giudicare una persona né per il suo modo di pensare né perché ha detto una frase fuori luogo in un momento di rabbia o di disperazione. Siamo esseri umani, non dei: nostro dovere è limitarci a valutare i fatti!>>

Tanta saggezza in quel fiore in germoglio mi disarmò.

Mi alzai e andai al balcone. I bagliori delle case illuminate sulla dorsale del promontorio di Capo Miseno sembravano candeline accese su una torta in una stanza buia. Da dietro l’insenatura apparve il transitante bagliore delle luci di un traghetto diretto alle isole. All’orizzonte, adagiata sul mare, Capri dormiva tranquilla vegliata dal proprio faro che a intervalli regolari squarciava il buio segnalandone la presenza ai naviganti perché ne rispettassero il sonno.

Fissai Laura.

<<Credi che riuscirò a trovare l’entusiasmo?>> chiesi.

<<Si trova sempre ciò che ci appartiene … Adesso devo proprio andare, oggi ho studiato poco e voglio recuperare.>>

Si alzò porgendomi la lattina vuota.

<<Sei certo che non ti infastidisco se continuo ad allenarmi nel tuo giardino?>> domandò mentre l’aiutavo ad infilare il giubbotto.

<<Mi offendo se non la fai!>>

<<Pratichi qualche sport?>>

<<Vado in palestra tre volte a settimana. Niente d’impegnativo. Giusto un po’ di ginnastica e di pesi per tenermi in forma.>>

<<Ti piacerebbe correre con me?>>

<<Non ho l’occorrente!>>

<<Ti piacerebbe?>> insistette.

<<Certo che sì!>>

<<Vedi, soffochi l’entusiasmo per un motivo futile. Ho un amico che vende articoli sportivi. Se vuoi, domani ti porto da lui.>>

<<Va bene.>>

L’accompagnai alla porta.

Laura balzò in sella al motorino parcheggiato davanti casa e l’avviò.

<<A domani>> fece infilandosi il casco.

<<A domani>> le feci eco salutandola con la mano.

 

Mentre ero in cucina a preparare la cena, all’improvviso mi sovvenne come un flash l’immagine di mio cognato che giocava a tennis.

Come un forsennato iniziai a rovistare la casa da cima a fondo. Sembravo un investigatore che percepisce a pochi passi da sé la prova schiacciante per inchiodare il colpevole ma non riesce a trovarla. Dove potevano essere? Fissai la scalinata che saliva in soffitta. Un lampo mi attraversò la mente. Salii di corsa la rampa di scale. Aprii la porta del solaio e accesi la luce, rischiarando l’interno. La fioca lampadina illuminò la cassetta degli arnesi, le biciclette dei bambini e le scope appoggiate al muro dirimpetto, il pacco di giornali ingialliti poggiato su una sedia sgangherata, due barattoli di pittura sistemati in un angolo l’uno sull’altro, dei pennelli induriti. L’armadietto a sinistra attirò la mia attenzione. Mi avvicinai e lo aprii senza indugio. Una fila di scatole di scarpe era allineata sul ripiano centrale. Scelsi quella di una nota marca di articoli sportivi. La scoperchiai: esultai alla vista delle scarpe da tennis. Io e mio cognato calzavamo lo stesso numero. Guardai nuovamente nell’armadietto: sulla scansia in alto era appoggiata una fila di buste di cellophane contenenti indumenti sportivi. Le svuotai una ad una sul pavimento fino a quando non trovai la tuta da ginnastica di Francesco.

 

L’umidità del mattino mi penetrava nelle ossa.

In prossimità del cancello della villa, saltellavo sulla sabbia con le braccia penzoloni per riscaldarmi, scrutando sulla battigia alla ricerca di Laura.

<<Volere è potere!>> risuonò di spalle la sua voce. Mi voltai.

<<Buongiorno>> la salutai.

<<Sei qui da molto?>>

Guardai l’orologio al polso.

<<Una ventina di minuti.>>

<<Se avessi saputo che m’aspettavi, avrei aumentato l’andatura.>>

<<Non preoccuparti.>>

Mi fissò i piedi.

<<Quelle non vanno bene>> fece fissando le scarpette da tennis che calzavo. <<Sono dure e hanno la pianta stretta. Per correre servono scarpe come queste>> Alzò il piede mostrandomi le sue. <<Leggere, con la pianta larga in modo che il peso del corpo sia ammortizzato interamente dal piede senza sforzo.>>

<<Allora non si corre?>>

<<Certo che corriamo, ma, appena puoi, compra delle scarpe adatte altrimenti ti infortunerai, garantito!>>

Iniziammo a riscaldarci. Afferrando una mano alla ringhiera, stringevamo l’altra mano al collo del piede, piegando la gamba all’interno in modo da toccare col tallone la natica. Restavamo in quella posizione per diversi secondi per poi fare lo stesso con l’altra gamba. Terminati gli esercizi, Laura si piantò al mio cospetto.

<<Unisci le gambe; flettiti sul busto senza piegare le ginocchia e cerca di toccarti con le mani le punta dei piedi come faccio io>>. Così dicendo s’inarcò sulle gambe tese, poggiando sul terreno i palmi delle mani. Restò in quella posizione per un tempo interminabile.

<<Adesso provaci tu>> fece rialzandosi.

Inarcai il busto, flettendo leggermente le ginocchia.

<<Se pieghi le ginocchia sbagli l’esercizio.>>

<<Non ci riesco>> gemetti. Il sangue mi andava alla testa.

<<Sei legato>> disse tastandomi le cosce: il tocco delle sue mani mi eccitò. Mi premette la mano sulla schiena perché mi flettessi meglio sul busto. Provai un dolore lancinante.

 

Corremmo una buona mezz’ora sul lungomare, parlando di noi.

Di tanto in tanto Laura interrompeva la conversazione, preoccupata delle mie condizioni fisiche.

<<Tutto bene?>> mi chiedeva premurosa.

<<Tutto ok!>> rispondevo strizzando l’occhio.

Al rientro, in giardino, dopo aver fatto gli esercizi di scarico, mi fece sdraiare con la schiena sulla panca, controllando che eseguissi correttamente gli addominali.

Feci la mia bella figura in quanto in palestra mi sottoponevo a massacranti serie di addominali per bruciare i grassi, reggendo un peso sull’addome.

<<Bravo>> si complimentò.

Toccò a lei.

Sollevandosi sul busto la tesa muscolatura delle cosce si delineò sotto la calzamaglia. Involontariamente posai lo sguardo al tessuto aderente sotto cui si delineava il pube. Il respiro le gonfiò il seno.

<<Stanca?>> feci cercando di nascondere il turbamento suscitatomi dalla sua femminilità.

<<Per niente>> disse alzandosi. <<Ci vendiamo domani alle sette?>> domandò sistemandosi ai fianchi l’elastico della tuta.

<<Perfetto!>> risposi.

Inaspettatamente, prima di andare via, mi baciò sulla guancia.

 

Uscito dalla doccia, indossai l’accappatoio di spugna e rientrai in camera da letto. Aprii l’armadio per prendere i pantaloni. Lo specchio all’interno dell’anta rifletté la mia immagine. Accostai la faccia al vetro: qualche timida ruga solcava le estremità degli occhi. Slacciai la cinta dell’accappatoio, riflettendo il corpo nudo nello specchio. Indietreggiai di qualche passo per analizzarmi a figura intera nel vetro. Tutto sommato potevo ritenermi soddisfatto, non avevo il benché minimo accenno di pancia. Le gambe erano toniche. I pettorali definiti in modo giusto. I bicipiti manifestavano forza. Forse qualche eccesso di grasso ai fianchi …

<<Ma che sto facendo?>> pensai ad un tratto ad alta voce, provando vergogna di me stesso.

Con un colpo secco richiusi l’armadio. Mi stavo comportando alla stregua di quegli uomini che ogni giorno, mattina e sera, si mirano nello specchio terrorizzati dal pensiero di scorgere sul proprio corpo i segni del tempo. Era la prima volta che mi comportavo in quel modo ridicolo. Proprio io che non perdevo occasione di replicare a chi si lamentava del passare degli anni:  <<Le uniche certezze della vita sono il passato e la morte. Tutto il resto è solo speranza e mistero!>>

 

La mia passione per i miti virgiliani risaliva all’epoca del liceo. Tra i tanti episodi delle gesta di Enea prediligevo l’incontro tra l’eroe latino e la sibilla cumana. Cuma distava pochi chilometri da Bacoli. La giornata tersa, riscaldata da un tiepido sole, mi invogliò a visitare l’Acropoli.

 

Risalivo il viale che conduceva agli scavi, attorniato da una calca di ragazzini festosi in gita scolastica. In prossimità dell’ampia sala d’ingresso scavata nel tufo della collina su cui gli antichi avevano edificato il sacro sito, levai lo sguardo alla cima del monte. La fitta vegetazione ammantava le pendici, nascondendo agli sguardi i resti del tempio di Giove eretto sull’apice. Entrando nell’ampia sala di tufo che come un limbo separava la biglietteria dal sito archeologico, osservai i piccoli loculi scavati nelle pareti dove anticamente alloggiavano le lucerne. Non appena fui nel parco, mi accostai alla ringhiera alla mia destra e mi affacciai nel canalone sottostante da dove proveniva l’eco dei colombi annidati nelle spaccature della rupe. Sotto di me si apriva uno slargo dove un ingresso scavato nella pietra conduceva nella città sotterranea. Ammirando quel suggestivo scenario, la fantasia cominciò a galoppare: mi domandai se il complesso archeologico non fosse opera dei Cimmeri, il misterioso popolo delle tenebre, per dar vita ai loro rituali sacri. E solo dopo l’avvento dei colonizzatori greci e successivamente dei romani aveva assunto i connotati attuali con i resti dei templi di Apollo e di Giove. Dubbioso mi incamminai verso il viale alberato che rasentava il margine della collina delimitato da una lunga staccionata in ferro. Al di sotto della terrazza la fitta vegetazione della foresta di Cuma si estendeva fino ai margini della spiaggia del Fusaro. All’orizzonte, ammantata da una sottile foschia, Ischia appariva come una misteriosa signora col velo calato sul viso per nascondersi agli sguardi degli uomini.

Contemplai il suggestivo panorama quasi fossi rapito in mistica ebbrezza: non c’era da stupirsi se gli antichi avessero scelto quel luogo per onorare gli dei e se Virgilio vi avesse fatto sbarcare Enea, gettando i semi della civiltà romana. Pochi siti al mondo suscitavano malie tanto intense nella fantasia degli uomini come quel luogo la cui eterna instabilità del sottosuolo, battezzata bradisismo, caratterizzata dal periodico innalzamento e abbassamento del suolo, lo accomunava simbolicamente alla vita con i suoi alti e bassi. I periodici sommovimenti della terra, unitamente alle esalazioni dei gas che dal suolo si libravano nell’aria alterando i sensi, agli sguardi degli antichi dovettero apparire come manifestazione di una volontà suprema che aveva prescelto quel luogo per manifestarsi e comunicare con gli uomini. Da qui la scelta di edificare il sito in onore del Nume.

Fissai le pigre onde del mare svolgersi sulla spiaggia. Respirai profondamente. Senza indugio mi diressi all’antro della sibilla imboccando l’oscuro corridoio che trafiggeva la collina alle mie spalle.

Man mano che avanzavo nelle tenebre accompagnato dall’eco dei miei passi, osservando la forma del corridoio che ricordava vagamente una vagina, ebbi la sensazione di inoltrarmi nell’intimità della terra. Avanzando in quel grembo tufaceo, più volte fui colto dalla sensazione che occhi invisibili mi spiassero. Attraverso gli enormi squarci laterali intagliati sul fianco dell’antro, fasci di luce provenienti dall’esterno laceravano il buio, proiettando la mia ombra sulla parete opposta. Timoroso avanzai incontro all’ignoto fino a quando non giunsi nella sala della sibilla. Il moncone di pilastro templare posto dinanzi al tabernacolo dove la pitonessa vaticinava, accresceva di mistero l’atmosfera.

Dai meandri della memoria mi sovvenne alla mente la storia della sibilla cumana: la sibilla era una splendida fanciulla. Affascinato dalla sua bellezza Apollo, pur di averla come sacerdotessa, la tentò in ogni modo, offrendosi di esaudirne qualunque desiderio. La donna raccolse una manciata di sabbia e chiese di vivere tanti anni quanti fossero i granelli di sabbia racchiusi nel pugno. Ma dimenticò di chiedere anche il dono dell’eterna giovinezza. Il dio l’accontentò. Con lo scorrere del tempo, la sibilla scoprì d’essere caduta vittima della propria vanità e del cinismo del nume: il suo aspetto si ridusse sempre di più a quello di una larva fino a scomparire, restando percepibile solo la voce. A quel punto il dio le promise di farla restare eternamente giovane a patto che lei avesse giaciuto con lui. Pur di non perdere la propria purezza, la sibilla rifiutò. Ecco il motivo per cui, ancora oggi, c’è chi sostiene che è possibile ascoltarne la voce.

In quell’attimo una voce di donna sorse dal nulla, sussurrandomi: <<L’entusiasmo è il motore della vita. Chi soffoca l’entusiasmo uccide se stesso. Ogni uomo è un dio in embrione che solo vivendo ha modo di manifestare la propria grandezza!>>

Istintivamente mi guardai intorno alla ricerca di Laura. Intorno a me solo silenzio e oscurità. La sibilla aveva vaticinato. Era compito mio penetrare il senso delle sue parole. […]

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IL PIACERE DI CORRERE A RAGGIOLO

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Di seguito la versione integrale dell’articolo  pubblicato su comunicaresenzafrontiere.it

Sono ormai circa venticinque anni che ogni estate con la mia famiglia passiamo un periodo di vacanza a Raggiolo dove mio suocero, il pittore/regista Osvaldo Petricciuolo,  comprò e ristrutturò un casolare di campagna dando vita alla casa d’arte museum petricciuolana in cui sono conservate molte delle sue opere d’arte.

Situato nel Casentino Toscano, a cinquanta chilometri d’Arezzo in direzione Firenze, Raggiolo sorge sulle pendici del Pratomagno, “una dorsale montuosa che si innalza tra il Valdarno superiore e il Casentino a nord-ovest della città di Arezzo”. Posto a 750 metri sul livello del mare, è lambito ai fianchi da due fiumi, il Barbozzaia e il Teggina, le cui limpide acque si incontrano a valle in località Il Mulino per proseguire insieme il loro corso fino a Bibbiena per poi tuffarsi nell’Arno arricchendone l’alveo.

Da quando con regolarità iniziammo a venire in vacanze a Raggiolo, nutrendo fin da ragazzo la passione per la corsa, immancabilmente prima di partire metto in valigia le scarpette e gli indumenti da runner in maniera da allenarmi al fresco, respirando finalmente aria pulita.

Sia che ci fermassimo una settimana, quindici giorni o addirittura un mese come quest’anno, ogni volta che siamo in vacanza a Raggiolo, almeno per tre/quattro giorni, esco di casa intorno alle 7 del mattino per scendere in macchina a Ortignano. Dopo aver parcheggiato l’auto nello spazio antistante la fabbrica di abiti per bambini, parto dal Municipio per arrivare come minimo fino al bivio con la statale per Firenze e tornare indietro per complessivi dieci chilometri.

Essendo il percorso caratterizzato da continui tornanti e ripetuti strappi in salita, quei dieci chilometri hanno un potenziale di fatica superiore alla distanza effettiva. Se poi decidessi di partire direttamente da Raggiolo per arrivare fino a San Piero In Frassino e risalire, i dodici chilometri del percorso vanno divisi nei quattro chilometri di discesa iniziale, nei quattro chilometri di falsopiano complessivi tra andata e ritorno tra Ortignano e San Piero, e nei quattro chilometri di salita finale che da Ortignano conducono alla piazza di Raggiolo, di cui gli ultimi settecento metri con una pendenza del 10%.

Per quanti amano lo sport all’aria aperta, in particolare correre, Raggiolo è l’ideale per abbinare all’attività sportiva il piacere di ritrovarsi immersi nella natura, respirando ossigeno a pieni polmoni anche ad agosto inoltrato quando in città l’afa mista allo smog fanno boccheggiare; magari incrociando, mentre si corre, uno scoiattolo che ti taglia la strada, o rischiare di calpestare la sagoma di un rospo o di un serpente spiaccicati sull’asfalto da un veicolo mentre si godevano impavidamente il sole sulla carreggiata.

 Partire in piena estate alle 7 del mattino con una temperatura di 15/18 gradi e correre per circa un’ora sotto i 20 gradi è un piacere che solo chi corre può comprendere e apprezzare. Per quanto in città puoi decidere di andare a correre quando è ancora buio nella speranza di godere un po’ di fresco, anche a quell’ora il caldo e, soprattutto, l’elevato tasso di umidità rendono praticamente impossibile lo sforzo fisico. In quei momenti ti ritrovi a sudare e ad ansimare nemmeno fossi in una sauna, maledicendo te stesso per essere voluto per forza scendere. A quel punto, per fronteggiare l’afa, inizi a fare gli allunghi, alternandoli con la camminata veloce, nella speranza di regalarti un minino di frescura grazie al venticello che ti avvolge mentre spingi sulle gambe.

Macché, nemmeno in quel caso riesci a mitigare la calura.

Correre di mattina  a Raggiolo, o in qualsiasi altro luogo di collina o di montagna, è una fortuna. Ritengo sia un dovere di ogni runner cogliere al volo tale opportunità, non appena gli si presentasse l’occasione.

In città facciamo tanti sacrifici pur di ritagliarci uno spazio di tempo libero per correre, per sentirci liberi, – spesso la mattina presto o la sera non appena rientriamo da lavoro,  soprattutto d’inverno sia che faccia freddo, piova o nevichi – che non avrebbe senso non approfittare di un soggiorno di qualche settimana in un luogo come Raggiolo per appagare la propria passione in condizioni ottimali.

Ovviamente non è detto che si debba essere per forza un runner o uno sportivo per apprezzare il piacere di respirare la frizzantezza dell’aria. Basta semplicemente aver voglia di fare una passeggiata salubre di pochi chilometri, magari anche nel tardo pomeriggio quando il sole si approssima al tramonto e l’aria inizia a rinfrescare, per godere ciò che per chi vive in città è da considerarsi un vero e proprio privilegio, anzi un miraggio!

Per quanto mi riguarda, essendo un runner, se venissi a Raggiolo e non portassi con me l’attrezzatura per la corsa, sarebbe come se un amante della pesca andasse in vacanza in una località di mare particolarmente pescosa e non portasse con se la canna da pesca o l’attrezzatura da sub, fucile incluso.

So bene che chi non coltiva la passione per la corsa considera un folle chi come me, anche in villeggiatura, si alza presto al mattino per macinare chilometri sull’asfalto o sullo sterrato. Mentre potrebbe starsene tranquillamente a letto fino e tardi; oppure in giardino immerso nella sdraio a leggere un buon libro,  fare un cruciverba; o semplicemente godersi il relax, perdendo lo sguardo e la mente nella vastità del panorama che si stende all’orizzonte.

Le passioni vanno sempre coltivate, soprattutto quando si ha la possibilità di poterlo fare in un ambiente consono, sognato tutto l’anno.

Non approfittarne equivarrebbe a un crimine.

Buone vacanze!

 

MARATONA DI NAPOLI, QUANDO SI FARA’?

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Ogni qualvolta partecipo a una maratona che non fosse a Napoli, o la seguo da spettatore in televisione, com’è successo ieri per quella di New York, osservando lo scenario lungo cui si dispiega il percorso, non posso fare a meno di chiedermi perché tutte le maggiori città italiane e internazionali riescono a organizzare una maratona che duri nel tempo, pur non offrendo un panorama suggestivo e spettacolare come quello partenopeo, mentre Napoli, che a livello scenografico potrebbe affermarsi tra i primi posti, se non prima in assoluto, non vi riesca.

Tralasciando le possibili difficoltà organizzative derivanti dall’individuare il tracciato per la gara e la data in cui si possa interdire il traffico cittadino per almeno sette/otto ore senza turbare l’animo dei napoletani, insofferenti agli stop alle auto anche per pochi minuti figurarsi per quasi mezza giornata, la domanda si ripete sempre come un mantra: perché non si riesce?

Quale sia la risposta, francamente non saprei proprio. Di certo, se dopo diciotto edizioni non si è riusciti a strutturare una gara che garantisse per gli anni a venire la dovuta continuità, grazie al percorso collaudato e al periodo in cui si dovesse svolgere – come invece regolarmente accade ormai da anni a Firenze, Roma, Milano, Torino, Venezia, Parigi, Berlino, Londra, New York, Valencia, – è probabile che le difficoltà, più che di natura tecnica, siano burocratiche.

Anche perché a Napoli, ormai da almeno quattro anni, si organizza una mezza maratona di livello internazionale che lo scorso anno ha fatto registrare oltre seimila partecipanti e per la prossima edizione del 2019 punta a sfiorare i diecimila iscritti, un record per il sud Italia. Una mezza maratona che, proprio per la bellezza dello scenario in cui si svolge e per il percorso tecnico su cui si corre, è considerata tra le più belle mezze maratone al mondo. Una gara capace di catalizzare oltre seimila atleti è un grande viatico per il turismo in quanto molti runner che provengono da fuori Napoli si organizzano con le famiglie e con gli amici per regalarsi un week end di turismo e sport, rilanciando l’economia cittadina; favorendo non solo l’organizzazione ma tutto l’indotto che è coinvolto nell’evento: alberghi, ristoranti, pizzerie, negozi, musei.

Poiché credo, con il dovuto rispetto, che Napoli. sia a livello paesaggistico che culturale, non abbia nulla da invidiare a nessun’altra città al mondo, New York inclusa, mi stupisce come le varie amministrazioni cittadine che si sono avvicendate negli ultimi venti anni non si siano adoperate affinché anche a Napoli si organizzasse una maratona di livello mondiale, come se, oltre al calcio, nessun altro sport meriti attenzione.

Oddio, se proprio fosse impossibile organizzarla per motivi a noi ignoti, meglio limitarsi alla collaudatissima ventuno, anziché scommettere sulla maratona con il rischio che il suo insuccesso si ripercuota negativamente anche sulla ventuno, vanificando i tanti sforzi fatti negli anni affinché assurgesse a evento sportivo di livello mondiale.

Ma se davvero, come con sempre maggiore insistenza si vocifera, nel 2020 finalmente anche Napoli avrà la sua maratona, allora significa che chi di dovere si sta muovendo in sordina, studiando nel dettaglio ogni minimo particolare per garantire un’edizione entusiasmante che possa ripetersi nel tempo invece di restare anch’essa isolata come tutte le altre precedenti edizioni.

Nell’attesa, godiamoci la mezza maratona di Napoli che si svolgerà il 24 febbraio 2019. Di sicuro sarà una festa indimenticabile!

CONVERSARE CORRENDO

L'immagine può contenere: 3 persone, persone in piedi e spazio all'aperto

Corro da più di vent’anni e mai ho vissuto la corsa semplicemente  come attività sportiva. Per quanto mi riguarda correre era, è e sarà sempre prima di tutto un momento di aggregazione sociale; un sano pretesto per condividere qualche ora con gli amici al fine di scambiare con loro, mentre ci alleniamo, qualche simpatica battuta, qualche aneddoto divertente o piccante. Cogliere a pretesto le decine di chilometri che si percorrono durante un medio o un lungo per dar vita a discussioni serie, che abbiano come argomento la famiglia, i figli, il lavoro, la politica. Se non addirittura volgere il pensiero a chi non c’è più, tipo un genitore o un amico, e onorarne la memoria parlandone con nostalgia mentre le scarpette asfaltano la strada.

Ciò accade soprattutto quando non si ha l’assillo di dover preparare una gara, ma si corre per il solo gusto di correre, da soli o con gli amici. Nel primo caso, man mano che le gambe macinano chilometri, i pensieri si purificano e, quando hai finito, hai la netta sensazione di sentirti più leggero. Non soltanto perché, correndo, hai bruciato calorie e, dunque, hai perso un po’ di chilo. Ma soprattutto perché, correndo, la tua mente rimuginava sui tanti problemi che assillano la quotidianità e, quando giungi al traguardo, hai la netta sensazione di aver trovato la soluzione a qualcuno di essi. Se non, addirittura, la riflessione ti è servita ad acquisire la consapevolezza che molti di quei problemi che ti assillavano un paio d’ore prima di iniziare a correre, sembrandoti macigni senza soluzione, in realtà sono inezie che si possono risolvere con un minimo di razionalità!

Se invece corri insieme a un amico o in gruppo, la compagnia ha la magica capacità di rendere meno stancante la seduta di allenamento, indipendentemente se devi fare un lavoro particolare o correre per una ventina di chilometri. Mentre corri affiancato a un altro runner, non fa niente se lo conosci da tempo o se è la prima volta che lo vedi – magari vi siete incrociati lungo la strada e, salutandovi, appurato che dovevate fare gli stessi chilometri, avete deciso di correre insieme -, inizi a parlare di te, del perché hai iniziato a correre, e, senza rendertene conto, l’argomento di conversazione slitta su questioni più intime nemmeno vi conosceste chissà da quanto.

In maniera del tutto naturale, così come avvenne alcune domenica fa mentre con un amico percorrevamo il Sangermano, la salita che da Agnano di Napoli si inerpica per quasi due chilometri fino all’accademia aeronautica di Pozzuoli, ti ritrovi a parlare di tuo padre che non è più; delle sue passioni per l’arte e il calcio che aveva praticato fino a sessant’anni quando si manifestarono i primi sintomi dell’Alzheimer – i vuoti di memoria, il non riconoscere i familiari -, rendendolo ai tuoi occhi un estraneo tanto che, quando andavi a trovarlo, ti intrattenevi giusto cinque minuti, suscitando la rabbia di tua sorella e la giustificazione di tua madre la quale invece aveva capito che il tuo “fuggire” era conseguente al fatto che non riuscivi a sopportare la vista di tuo padre inebetito; dei quattro anni in cui, da quando si allettò il 16 dicembre del 2007, tutte le mattine prima di recarti a lavoro, passavi da lui per pulirlo e cambiargli le medicazioni alle piaghe da decubito che gli scavavano la schiena in maniera indegna e dolorosa. Il tutto sotto lo sguardo vigile di tua madre, pronta a intervenire e a rimproverarti se papà manifestava sofferenza. Spiegare che quei quattro anni in cui fu allettato per te rappresentarono un grande insegnamento di vita in quanto ti hanno fatto capire quanto futile sia la vita. Facendoti apprezzare il valore di ogni singolo istante. Inducendoti ad approfittare di ogni momento “buono” che la vita ti riserva in quanto non puoi sapere quel che ti aspetta dopo!

Oppure parlare animatamente di politica, come è successo ieri mattina sempre percorrendo il Sangermano. L’amico con cui si è intavolata la discussione, inizialmente voleva fermarsi perché non pensava di farcela. E invece, distratto dalla conversazione che stavamo intavolando, ha completato l’intero percorso senza particolari patemi. A conferma che correre in compagnia ha la capacità  di alleviare la fatica, sia fisica che mentale.

Non so se e quando tornerò ad allenarmi per gareggiare. L’incidente di circa un anno fa, a poco più di un mese dalla maratona di Firenze, con conseguente frattura della spalla sinistra, che mi costrinse a portarecper un mese il tutore e ad andare nel capoluogo toscano in veste di turista, mi ha fatto passare la voglia di fare allenamenti mirati per preparare una gara. Per ora preferisco correre per divertirmi e rilassarmi. E già questo è una motivazione che giustifica ampiamente le levatacce mattutine che faccio per ritrovarmi con gli amici alle 5,30 sul lungomare di Pozzuoli per fare i classici dieci chilometri di allenamento.

Per quanto mi riguarda, non vi è nulla di più piacevole che iniziare la giornata facendo qualcosa che piace, soprattutto se hai modo di condividerla con chi nutre la tua stessa passione!