Col Covid il tempo non corre più in linea retta, ma si sta arrotolando su se stesso in una spirale che chiude sempre più-

Circa un anno fa ammettevamo che non se ne poteva più, ed era bello e utile dirlo perché almeno così segnavamo un punto nello spazio-tempo. Tracciavamo la nostra posizione sulla mappa e nella storia: ormai troppo distanti dal punto di partenza, dall’inizio della traversata, ma ancora non abbastanza vicini a quello di arrivo, alla fine dell’allucinazione. Da quando ho letto per la prima volta della variante che sarebbe poi stata ribattezzata Omicron, ho avuto la sensazione di aver sviluppato un nuovo punto di vista sulla questione. Passato un anno dal momento in cui ammettevo di non poterne più, capisco adesso che lo scherzo crudele della pandemia non sta nello spostare sempre un po’ più in là la fine della strada. Lo scherzo crudele della pandemia sta nel piegare la strada su se stessa fino a chiuderla in un anello: un girotondo infinito perché non comincia e non finisce in nessun punto e comincia e finisce nello stesso punto.

È una condizione che impedisce anche la disperazione del “non poterne più”, ma aumenta il terrore di non sapere più dove ci si trova. Pensare alla pandemia ormai richiede uno sforzo simile a quello necessario a credere alle storie di fantasia: sospensione dell’incredulità, la decisione consapevole di credere all’incredibile, la scelta di aggiungere l’impossibile all’elenco delle possibilità. Acquisisco ogni giorno nuove notizie sulla situazione, ma mi rendo conto che ormai nessuna di queste aggiunge niente alla mia consapevolezza: ogni nuova informazione resta al di fuori di me, diventa un altro mattone dell’architettura assurda che mi circonda: la ripetizione illusoria dell’ambiente circostante costruisce la trappola perfetta (dalla quale si può sfuggire solo impiegando la forza che per definizione permette di andare oltre le cose per come sono, cioè la magia). La ripetizione è ciò che ormai mi dà la nausea: con omicron abbiamo impiegato a fini di tassonomia più della metà dell’alfabeto greco antico, mi chiedo cosa faremo quando arriveremo all’omega. Quando mi rispondo che probabilmente ricominceremo da capo, arriva la nausea.
Naturalmente esiste una parte razionale di questo discorso che si rifiuta di cedere all’accettazione disperata delle cose come stanno, che non ammette la possibilità del rifugio nei paradisi fantastici. Il tempo non si è fermato e le cose oggi non stanno come stavano ieri: in due anni abbiamo imparato e abbiamo inventato, e abbiamo aperto minuscoli varchi nel labirinto che il Covid-19 sembra averci costruito e stretto attorno. Forse la salvezza sta in questa consapevolezza, dimenticata nei tanti anni in cui ci eravamo convinti che la storia fosse finita e che non ci fossero più cambiamenti (sconvolgimenti) da vivere: il tempo scorre in minuscoli varchi, va avanti in flussi sottili che spesso sfuggono alla percezione, prosegue anche in momenti come questo in cui esso sembra intrappolato dentro se stesso, e noi con lui.

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Fonte:Rivista Studio

Amore mio. Meu Amor…

 

Manuale di pittura e calligrafia.

Amore mio. Meu amor.
Ripetere queste due parole
per dieci pagine, scriverle
ininterrottamente,
senza sosta, senza spazi bianchi,
prima lentamente,
lettera dopo lettera,
disegnando le tre colline
della M manoscritta,
l’anello tenue della E
simile a braccia che riposano,
il letto profondo di un fiume
che si scava nella U,
e poi lo sgomento
o il grido della A
sulle onde del mare,
eccole, dell’altra M,
e la O che non può essere
se non quest’unico
nostro sole,
e infine la R divenuta casa,
o tetto, o baldacchino.
E subito dopo
trasformare questo lento disegno
in un unico filo tremolante,
la traccia di un sismografo,
perché le membra rabbrividiscono e si turbano,
il mare bianco della pagina,
una distesa di luce
o un lenzuolo levigato.
“Meu amor, “amore mio” hai detto,
e l’ho detto anch’io,
spalancandoti la mia porta,
e tu sei entrata.
Tenevi gli occhi bene aperti
venendomi incontro,
per vedermi meglio o più di me,
e hai posato la borsa per terra.
E, prima che ti baciassi,
per poterlo dire serenamente,
hai detto: “Stanotte rimango con te”.

José Saramago

una donna, un uomo

Passerà questo tempo e nel cielo limpido torneranno a volare le speranze, libere come gli uccelli…

Passerà questo tempo come passano
tutti i giorni orribili della vita
Si placheranno i venti che ti abbattono
Stagnerà il sangue della tua ferita

L’anima errante tornerà al suo nido
Quel che ieri si perse sarà trovato
Il sole senza macchia concepito
uscirà di nuovo nel tuo costato

E dirai al mare: Come ho potuto
annegato senza bussola e smarrito
giungere al porto con le vele rotte?

E una voce ti dirà: Non comprendi?
Lo stesso vento che ha rotto le navi
è quello che fa volare i gabbiani.

Óscar Hahn

Verità e politica…

HANNAH ARENDT, Verità e politica

Nessuno ha mai dubitato del fatto che verità e politica siano in rapporti piuttosto cattivi l’una con l’altra e nessuno, che io sappia, ha mai annoverato la sincerità tra le virtù politiche. Le menzogne sono sempre state considerate dei necessari e legittimi strumenti non solo del mestiere del politico o del demagogo, ma anche di quello dello statista.

Ha ragione da vendere questa scrittrice quando parla dei politici come persone incapaci di dire il vero. Non solo, a me pare che siano alla continua ricerca di ingarbugliare quello che vogliono farci sapere del loro operato. Come si vede sempre, ma specialmente in questi anni di pandemia, la verità sulla Covid  non si saprà mai, dato che è impossibile estrapolare un dato certo da tutti quelli che ci vengono quotidianamente serviti dai media e dai politici stessi. Oggi  ho letto una dichiarazione di Antony Fauci il quale si dichiara pronto a dire la verità sui “veri” numeri dei morti  a causa di covid. In America la sua ricerca inizia dai bambini, ospedalizzati in questi anni e che non ce l’hanno fatta.  Da un suo primo sguardo ai numeri  di direbbe che i bambini morti a causa della Covid siano pochi a confronto di quanti deceduti con Covid, ma per altre cause. E questo calcolo , se fatto  sui numeri decessi del mondo, credo darebbe un altro volto alla pandemia, ridicolizzando per prima cosa la gestione della pandemia stessa, che continua a fare enormi danni economici a causa del panico, che il sistema ha voluto creare tra la popolazione, spavalda su tutto, ma  con una paura di morire, che sfiora il ridicolo. Lo stesso discorso si può fare sui tamponati positivi, conteggiati come nuovi contagi del giorno, mentre molti sono gli stessi dei giorni precedenti, non ancora negativizzati.  E su questo discorso  si può andare avanti all’infinito. Istituzioni, qualunque siano, bugiarde, per tattica, per convenienza ,o forse e soprattutto per incompetenza totale !

politici

Quando una persona invecchia…(pensierino)

Quando un uomo anziano …..

è morto nel reparto geriatrico di una casa di cura in un paese
di campagna australiana , si credeva che nulla di valore
egli avesse potuto lasciare…. Più tardi , le infermiere sistemando i suoi pochi averi , trovarono una  poesia. La qualità ed il contenuto impressionarono
lo staff che volle farne tante copie da distribuire agli infermieri
di tutto l’ospedale.
Un’infermiera di Melbourne volle che una copia della poesia
comparisse nelle edizioni di Natale delle riviste di tutto il paese,
come unico lascito di questo vecchio per i posteri ,preoccupandosi in
modo particolare  che figurasse su tutte le riviste per la salute mentale.
E’ stata anche fatta una raccolta di immagini dedicata a questa
semplice ma eloquente poesia.
E così questo vecchio , che nulla pareva potesse dare al mondo,
ora è l’autore di questa poesia ‘ anonima ‘ che vola attraverso
la rete internet.

” Cranky ” – uomo vecchio …..

Cosa vedi infermiera ? … Cosa vedete ?
Che cosa stai pensando mentre mi guardi ?
” Un povero vecchio ” …. non molto saggio …
con lo sguardo incerto ed occhi lontani …
Che schiva il cibo …. e non da risposte ….
….. e che quando provi a dirgli a voce alta :
…. ” almeno assaggia ” !!!
sembra nulla gli importi di quello che fai per lui ….
Uno che perde sempre il calzino o la scarpa ….
…. che ti resiste, non permettendoti di occuparti di lui ….
per fargli il bagno , per alimentarlo …
e la giornata diviene lunga ….

Ma cosa stai pensando ? …. E cosa vedi ??
…. Apri gli occhi infermiera !! ….
perchè tu non sembri davvero interessata a me ….
Ora ti dirò chi sono …. mentre me ne stò ancora seduto quì
a ricevere le tue attenzioni … lasciandomi imboccare per compiacerti.
” Io sono un piccolo bambino di dieci anni con un padre
ed una madre ,
Fratelli e sorelle che si voglion bene ….
Sono un ragazzo di sedici anni con le ali ai piedi ….
che sogna presto di incontrare l’amore ….
A vent’anni sono già sposo … il mio cuore batte forte ….
giurando di mantener fede alle sue promesse ….
A venticinque ….ho già un figlio mio ….
che ha bisogno di me e di un tetto sicuro ,
di una casa felice in cui crescere.
Sono già un uomo di trent’anni e mio figlio è cresciuto …. velocemente, siamo molto legati uno all’altro da un sentimento
che dovrebbe durare nel tempo.
Ho poco più di quarant’anni, mio figlio ora è un adulto
e se ne và, ma la mia donna mi stà accanto ….
per consolarmi affinchè io non pianga.
A poco più di cinquant’anni … i bambini mi giocano attorno
alle ginocchia …..
Ancora una volta , abbiamo con noi dei bambini io
e la mia amata..
Ma arrivano presto giorni bui …. mia moglie muore …..
…. guardando al futuro rabbrividisco con terrore ….
Abbiamo allevato i nostri figli e poi loro ne hanno allevati dei propri.
….. e così penso agli anni vissuti … all’amore che ho conosciuto.
Ora sono un uomo vecchio … e la natura è crudele.
Si tratta di affrontare la vecchiaia … con lo sguardo di un pazzo.
Il corpo lentamente si sbriciola …
grazia e vigore mi abbandonano.
Ora c’è una pietra … dove una volta ospitavo un cuore.
Ma all’interno di questa vecchia carcassa un giovane
uomo vive ancora ….
e così di nuovo il mio cuore martoriato si gonfia ….
Mi ricordo le gioie … ricordo il dolore.
Io vorrei amare, amare e vivere ancora ….
ma gli anni che restano son pochissimi ….
tutto è scivolato via ….. veloce !!!
E devo accettare il fatto che niente può durare …..

Quindi aprite gli occhi gente …. apriteli e guardate ….
…. ” Non un uomo vecchio ” …..
avvicinatevi meglio e … vedete ME !!!

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Ricordatevi questa poesia quando incontrate
una persona anziana per evitare di metterla
da parte senza guardare all’anima giovane che le sta all’interno perchè tutti noi un giorno, saremo così ……
purtroppo-

dal web

 

vecchio

 

 

Sogniamo a occhi aperti, viviamo a occhi chiusi.

Abbiamo scambiato il giorno con la notte. Sogniamo a occhi aperti, viviamo a occhi chiusi. Non riusciamo a sognare e non riusciamo a vivere la realtà. Due osservazioni di segno opposto, ricorrenti e veritiere per descrivere la vita presente. La chiave per comprendere perché due verità così divergenti hanno un comune fondo di verità è nel loro campo d’applicazione: come succede ai lattanti, abbiamo scambiato il giorno con la notte. Ovvero applichiamo alla veglia le categorie del sogno e al sogno le categorie della veglia. Da un verso cresce la paura della vita e della realtà. Paura della violenza, dello straniero, del razzista, delle malattie, del contagio, del buio, dell’inquinamento. E paura di far figli, di perdere il tenore di vita, paura del futuro ma anche del passato. Allora si cerca rifugio nelle illusioni, nella mitologia secondaria o d’asporto, nel fumo, nelle trasgressioni, nella vacanza, nel video, nella cuffia, nei carrelli della spesa. Non è una novità aggrapparsi alle illusioni: cambiano i veicoli, gli oggetti usati, non gli effetti.

In un passato anche recente, le illusioni furono le utopie rivoluzionarie, le ideologie che promettevano paradisi in terra e società perfette. Le illusioni degli uni erano le paure degli altri, il terrore, la violenza. C’era chi bruciava i sogni dopo aver incendiato la realtà e chi faceva il contrario. I disagi, le violenze, le paure del presente sono passate con gli anni dalla sfera pubblica e storica alla sfera intima e privata, ma rivelano la stessa tendenza a scambiare il sogno con la veglia. Quando dovremmo vivere la realtà quotidiana alla luce del sole, fare i conti con ciò che siamo davvero, con il mondo concreto che ci circonda, con la nostra vita, i suoi limiti e le sue imperfezioni, ci rifugiamo nei desideri, inseguiamo chimere, viviamo di universi fittizi, mondi perfetti, società inesistenti, fughe nella realtà virtuale; incapaci di vivere, ci abbandoniamo ai sogni, compreso il sogno della merce. E quando invece dovremmo sognare, lasciare il campo alla libera immaginazione, all’incanto o all’irruzione del mito, allora ci barrichiamo nelle ferree leggi della ragione, nella contabilità, nella tecnica e nei bisogni materiali. Così l’amore è ridotto alla libido, la religione è ridotta a transfert nei cieli dei nostri bisogni e delle nostre paure, l’arte è ridotta all’audience e alle condizioni socio-economiche, le idee ai rapporti di produzione e consumo, la cultura al potere culturale. Ci snaturiamo quando dovremmo vivere secondo natura e ci aggrappiamo alla natura quando dovremmo liberare i sogni soprannaturali. Funzionano a pieno regime le fabbriche dei sogni, dalla fiction all’astrologia: Theodor Adorno in Stelle su misura analizzò questo trasloco nella veglia delle allucinazioni oniriche e delle psicosi notturne. L’inversione tra il giorno e la notte, tra il sogno e la veglia, trovò nel surrealismo e poi nel ’68 una formula di successo: l’immaginazione al potere. Il risultato fu rovesciare l’uomo, farlo camminare con la testa e pensare con i piedi, cioè con la praxis, ribaltando così il rapporto col cielo e la terra. I malesseri del presente – come i dolorosi furori del passato – hanno quella stessa matrice: sogniamo quando dovremmo vivere, viviamo quando dovremmo sognare. Dormienti di giorno, insonni di notte, apriamo gli occhi quando è buio, li chiudiamo quando c’è il sole. Pesanti nella leggerezza e leggeri nella gravità.

Gli psicanalisti, come Hethan Watters, raccontano cosa succede quando si perdono i sogni di notte e la realtà di giorno. È la chiave più giusta per spiegare la malattia occidentale: la pretesa di calcare il cielo con i piedi e di camminare con la testa. Così i nostri dei e i nostri miti sono pedestri, all’altezza delle nostre suole, o al più dell’inguine, e la nostra vita terrena si perde nel cervello, in quella tirannia dell’immaginazione sulla realtà, del cervello sulla vita concreta che Paul Celàn, prima di suicidarsi, chiamava psicocrazia. I miti caduti in terra si chiamano malattie. Viviamo bene in stato di sospensione e di incoscienza, da automi e fruitori dell’attimo. Quando viviamo male, i sogni si fanno incubi e la realtà si fa maledizione inflitta da altri. Così la vita diventa una confortevole patologia. La via d’uscita, facile a dirsi e ardua a realizzarsi, è restituire i sogni alla notte e la veglia al giorno, ridare il cielo agli dei e la terra agli uomini, ripristinando il duplice bisogno di miti e di realtà che ci rende uomini, mai scambiandoli di posto e di momento.

MV, Alla luce del mito

sogni

Il primo giorno dell’anno…

 

   Ilangolo primo giorno dell’anno                                        

 Lo distinguiamo dagli altri
come se fosse un cavallino
diverso da tutti i cavalli.
Gli adorniamo la fronte con un nastro,
gli posiamo sul collo sonagli colorati,
e a mezzanotte lo andiamo a ricevere
come se fosse un esploratore
che scende da una stella.

Come il pane assomiglia al pane di ieri.
Come un anello a tutti gli anelli.
La terra accoglierà questo giorno
dorato, grigio, celeste,
lo dispiegherà in colline,
lo bagnerà con frecce di trasparente pioggia
e poi, lo avvolgerà nell’ombra.

Così è:
piccola porta della speranza,
nuovo giorno dell’anno,
sebbene tu sia uguale agli altri
come i pani a ogni altro pane,
ci prepariamo a viverti in altro modo,
ci prepariamo a mangiare, a fiorire, a sperare.

Pablo Neruda.