Chiedo silenzio…

 

Chiedo silenzio di Pablo Neruda è una delle poesie più belle del poeta cileno, un inno all’amore e alla donna della sua vita Matilde Urrutia.

Ma, soprattutto, la poesia di Neruda è una lezione sulle cose che veramente contano nella vita. C’è un momento in cui si abbandona tutto ciò che è futile banalità, seppur mascherata di grandezza, per vivere solo le cose autentiche.

Chiedo silenzio

Ora, lasciatemi tranquillo.
Ora, abituatevi senza di me.

Io chiuderò gli occhi

E voglio solo cinque cose,
cinque radici preferite.

Una è l’amore senza fine.

La seconda è vedere l’autunno.
Non posso vivere senza che le foglie
volino e tornino alla terra.

La terza è il grave inverno,
la pioggia che ho amato, la carezza
del fuoco nel freddo silvestre.

La quarta cosa è l’estate
rotonda come un’anguria.

La quinta cosa sono i tuoi occhi.

Matilde mia, beneamata,
non voglio dormire senza i tuoi occhi,
non voglio esistere senza che tu mi guardi:
io muto la primavera
perché tu continui a guardarmi.

Amici, questo è ciò che voglio.
E’ quasi nulla e quasi tutto.

Ora se volete andatevene.

Ho vissuto tanto che un giorno
dovrete per forza dimenticarmi,
cancellandomi dalla lavagna:
il mio cuore è stato interminabile.

Ma perché chiedo silenzio
non crediate che io muoia:
mi accade tutto il contrario:
accade che sto per vivere.

Accade che sono e che continuo.

Non sarà dunque che dentro
di me cresceran cereali,
prima i garni che rompono
la terra per vedere la luce,
ma la madre terra è oscura:
e dentro di me sono oscuro:
sono come un pozzo nelle cui acque
la notte lascia le sue stelle
e sola prosegue per i campi.

È che son vissuto tanto
e che altrettanto voglio vivere.

Mai mi son sentito sé sonoro,
mai ho avuto tanti baci.

Ora, come sempre, è presto.
La luce vola con le sue api.

Lasciatemi solo con il giorno.
Chiedo il permesso di nascere.

Pablo Neruda

In questi versi c’è tutta la sensibilità che un uomo matura nel tempo ,diventando sempre più quel saggio, al quale il concetto di amore è condizione essenziale del vivere.
Pablo Neruda parla agli amici che lo circondano.
E, in Pido Silencio,esordisce manifestando la voglia di isolarsi da tutto ciò che lo circonda, per esigenza di pace interiore, voglia di rigenerarsi, di rinascita, voglia di tempo per poter godere di alcune cose .Per questo ha bisogno di una pausa dal suo quotidiano,troppo affollato da quegli impegni che gli rubano tempo alle stagioni della vita, che scorrono ,inesorabilmente perdute all’amore. Il poeta vuole vivere le cose essenziali della vita, nella sua semplicità di affetti e grandi amori come quello per la moglie Matilde, i cui occhi lo fanno continuamente innamorare e godere immensa gioia. A questa felicità non vuole rinunciare per niente al mondo.

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Io sono due…

 

“Io sono due..”

Io sono due
è chiaro ora
sono due più uno
meno uno e fanno due
che due volte sono
nata e due volte morta
due volte mi sono persa
forse una volta di più
perché due e una sono tre
le volte che ho sbattuto
e una volta ho anche vomitato
ma erano forse due
dato che sono in quattro
a tirarmi per i piedi
mentre dormo con voce di drago
e una volta sola ho amato
ma saranno duecento le volte
che ho toccato l’allegria
però non duecento volte sono nata
perché al centonovantanove
mi sono stufata ed ecco
al due mi sono scordata
non fosse due sarebbe zero
sono io e l’altra due
prendimi come sono
di una due e di due una.

Dacia Maraini

 

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” La biblioteca di Babele”.

 

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La frase di Jorge Luis Borges è tratta da una delle sue opere più emblematiche, La biblioteca di Babele. In questa frase, filosofia e poetica si associano per riflettere la sua profonda meditazione sull’immortalità della conoscenza e quanto l’umanità sia effimera a confronto con l’eternità unversale.

“Forse mi inganneranno la vecchiaia e la paura, ma sospetto che la specie umana – l’unica – stia per estinguersi e che la Biblioteca sia destinata a permanere: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta”

Borges e la Biblioteca come metafora dell’Universo, un luogo in cui siano conservati tutti i libri e la conoscenza nota, ma anche in embrione tutta la conoscenza possibile , che si scriverebbe in ogni combinazione immaginabile di lettere e simboli. Praticamente Borges immagina che la conoscenza sia infinita, e l’ idea che la Biblioteca rimanga immutata e incorruttibile, mentre l’umanità si estingue. Il seguito di tutto questo è una montagna di interrogativi esistenziali. Dopotutto, se l’umanità coi suoi eccessi è destinata ad estinguersi , a chi potrà servire questa immensa biblioteca, se nessuno sentirà il bisogno di consultarla ?
La Biblioteca, simbolo dell’intera eredità culturale umana, potrebbe rimanere intatta, ma a quale scopo? Troppo riduttivo sarebbe erigerla a
testimonianza vuota della nostra esistenza, un monumento all’inutilità. L’immortalità della Biblioteca, in contrasto con la mortalità dell’uomo, crea una tensione tra ciò che è eterno e ciò che è temporaneo. Borges sembra suggerire che, mentre l’uomo cerca disperatamente di lasciare un segno duraturo, di costruire qualcosa che possa sopravvivere oltre la sua vita, alla fine tutto ciò può rivelarsi vano. La conoscenza, la cultura, l’arte sono tutte espressioni della nostra umanità, ma senza di noi, esse non hanno alcuno scopo. Allora perchè si stanno anche anticipando questi tempi, con il rifiuto di tutto quello che è stato cultura, non solo nei libri, ma nella realtà di un’umanità, che con noi e il nostro retaggio ha nulla da spartire. Evidentemente il destino dell ‘eterno universale è destinato, almeno per gli umani a rimanere quell’immenso vuoto in cui, per una magia quantistica ci troviamo a galleggiare, senza scopo e importanza.

Speciale empatia…

Riservo a pochi il diritto di avere accesso al mio cuore e per me raccontarsi è una forma di intimità. Ho un’idea d’amore e amicizia oramai rara, perchè ogni legame per me richiede profondità. Il bene che ti darò sarà un prolungamento del bene che mi voglio.

La mia felicità diventerà la tua ed il tuo dolore sarà anche il mio. Questo è l’unico modo di amare che conosco. Un modo che mi lega tanto a chi amo, ma anche un modo che mi dimostra quanto sia doloroso confondere gli altri con te stesso.

Charles Bukowski

 

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La rabbia___Poesia di Pier Paolo Pasolini-

 

Esiste l’odio ,esiste la rabbia; sono emozioni , sentire violenti che entrano in noi e ci trasportano quasi in un altro luogo dove ,a volte,si possono vivere impulsi e brutalità, non sempre accompagnati  dal nostro raziocinio. Quando agiamo,scatenati dall’ira , spesso poi ci pentiamo.Nei lontani tempi passati, credo che gli uomini fossero meno presi da questi scatti di ira. La quotidianità sempre uguale li rendeva assuefatti alle loro condizioni di vita, meno esposti a risentimenti, invidie. Ognuno accettava la sua condizione fin dalla nascita, pochissime le persone che vivevano molto bene, e questo era nella logica dei fatti. Oggi, esposti come siamo alla continua comunicazione, che ci arriva da ogni parte, sono poche le persone che vivono ancora nel più completo isolamento dell’analfabetismo, per cui siamo tutti esposti quotidianamente alle ingiustizie del mondo evidenziate dalla politica,dalla cronaca che ogni giorno si intrufolano nelle nostre vite. Pensiamo al recente attentato a Donald Trump, a quanto la violenza sia ormai normalizzata nel nostro mondo. Pensiamo al gossip, che ci mostra ogni giorno la dolce vita di chi nuota nella ricchezza, incurante delle miserie altrui. Non mi ha stupito imbattermi oggi in una poesia sulla rabbia, scritta da uno dei più considerati intellettuali , scrittori, poeti e uomini di cinema del secolo scorso, Pier Paolo Pasolini.

L’autore, che unisce il piano ideologico a una dimensione più intima e autobiografica, cerca in se stesso le emozioni ,mettendone in luce le contraddizioni, che sono anche le nostre, e descrive l’emozione della rabbia, avvertita come un piccolo demone che avvelena l’anima.
Quando si è arrabbiati non si riesce a focalizzare altro: una delle emozioni più fisiche e potenti, che si irradia dalle viscere e ci fa diventare altro da noi, se non siamo in grado di governarla. Trasformiamo allora la rabbia in una fisicità prorompente: l’accecamento, l’incendio, la pancia… In una parola, un impulso ingovernabile,che ha bisogno di trasformarsi in azione, di scatenarsi al di fuori di noi per liberarci. Può una tale emozione diventare poesia? Si, ed anche  una poesia bella, intrigante, vera.. Infatti in questi versi Pasolini la fa vivere nel giardino “speciale” di sua madre, come un demonio che lo distrugge.

La rabbia –
Vado sulla porta del giardino, un piccolo
infossato cunicolo di pietra al piano
terra, contro il suburbano
orto, rimasto li dai giorni di Mameli,
coi suoi pini, le sue rose, i suoi radicchi.

Intorno, dietro questo paradiso di paesana
tranquillità, compaiono,
le facciate gialle dei grattacieli
fascisti, degli ultimi cantieri:
e sotto, oltre spessi lastroni di vetro,
c’è una rimessa, sepolcrale. Sonnecchia,
al bel sole, un po’ freddo, il grande orto
con la casetta in mezzo ottocentesca,
candida, dove Mameli è morto,
e un merlo cantando, trama la sua tresca.

Questo mio povero giardino, tutto
di pietra… Ma ho comprato un oleandro
nuovo orgoglio di mia madre
e vasi di ogni specie di fiori,
e anche un fraticello di legno, un putto
obbediente e roseo, un po’ malandro,
trovato a Porta Portese, andando
a cercare mobili per la nuova casa. Colori,
pochi, la stagione è così acerba: ori
leggeri di luce, e verdi, tutti i verdi…

Solo un po’ di rosso, torvo e splendido,
seminascosto, amaro, senza gioia:
una rosa. Pende umile
sul ramo adolescente, come a una feritoia,
timido avanzo d’un paradiso in frantumi…
Da vicino, è ancora più dimessa, pare
una povera cosa indifesa e nuda,
una pura attitudine
della natura, che si trova all’aria, al sole,
viva, ma di una vita che la illude,
e la umilia, che la fa quasi vergognare
d’essere così rude
nella sua estrema tenerezza di fiore.
Mi avvicino più ancora, mi sento l’odore…

Ah, gridare è poco, ed è poco tacere:
niente può esprimere una esistenza intera!
Rinuncio a ogni atto… So soltanto
che in questa rosa resto a respirare,
in un solo misero istante,
l’odore della mia vita: l’odore di mia madre…
Perché non reagisco, perché non tremo
di gioia, o godo di qualche pura angoscia?
Perché non so riconoscere
questo antico nodo della mia esistenza?
Lo so: perché in me è ormai chiuso il demone
della rabbia. Un piccolo, sordo, fosco;
sentimento che m’intossica
esaurimento, dicono, febbrile impazienza
dei nervi: ma non ne è libera più la coscienza.

Il dolore che da me a poco a poco mi aliena,
se io mi arrabbio appena,
si stacca da me, vortica per conto suo,
mi pulsa disordinato alle tempie,
mi riempie il cuore di pus,
non sono più padrone del mio tempo…
Niente avrebbe potuto, una volta, vincermi.
Ero chiuso nella mia vita come nel ventre
materno, in quest’ ardente
odore di umile rosa bagnata.

Ma lottavo per uscirne, là nella provincia
campestre, ventenne poeta, sempre, sempre
a soffrire disperatamente,
disperatamente a gioire… La lotta è terminata
con la vittoria. La mia esistenza privata
non è più racchiusa tra i petali d’una rosa,
una casa, una madre, una passione affannosa.
È pubblica. Ma anche il mondo che m’era ignoto
mi si è accostato, familiare,
si è fatto conoscere, e, a poco a poco,
mi si è imposto, necessario, brutale.
Non posso ora fingere di non saperlo:
o di non sapere come esso mi vuole.

Che specie di amore
conti in questo rapporto, che intese infami.
Non brucia una fiamma in questo inferno
di aridità, e questo arido furore
che impedisce al mio cuore
di reagire a un profumo, è un rottame
della passione… A quasi quarant’anni,
io mi trovo alla rabbia, come un giovane
che di sé non sa altro che è nuovo,
e si accanisce contro il vecchio mondo.
E, come un giovane, senza pietà
o pudore, io non nascondo
questo mio stato: non avrò pace, mai.

Pier Paolo Pasolini

 

la rabbia

Cos’è l’erotismo?

Cos’è l’erotismo?

È il corpo che desidera
in maniera imprevedibile.
Il desiderio precede per salti,
avanza, si ferma, torna,
si allontana.
L’erotismo è darsi, è negarsi,
Prendere senza dare o dare senza prendere, non è mai la cosa giusta, la cosa sana,
l’erotismo è una volta sola,
non è legato alla bellezza,
non è stima, ammirazione,
non è conoscenza,
l’erotismo non lo conosci un’ora prima e non lo ritrovi un’ora dopo.
È un’idea dell’amore a pugni chiusi: in una mano c’è la vita, nell’altra c’è la morte.
L’erotismo è rischio,
non è rispetto,
buona educazione,
l’erotismo va dove vuole,
ma non è mai violenza
anche quando è urgente,
precipitoso,
ha sempre una sua estetica
rigorosa, non fa parlare
il corpo, non lo usa,
l’erotismo è il corpo,
è il suo canto muto,
è la vicinanza di chi è lontano,
non è soccorso, aiuto,
non è cordiale,
non arriva quasi mai alla fine,
l’erotismo non è farsi del bene,
non è capire,
non è quello dell’altra volta
e non ti assicura niente
per il futuro.
L’erotismo muore appena
lo organizzi, appena
gli dai una strada.
L’erotismo non vuole e non dà,
ha un’altra, misteriosa nobiltà.

 
Franco Arminio

 

Il bacio come simbolo di amore, intimità e connessione. Oggi giornata mondiale del bacio…

 

. “Ti manderò un bacio con il vento” suggerisce un modo di comunicare l’affetto tanto potente e discreto, un bacio che può giungere dovunque in qualsiasi spazio,in qualsiasi tempo,e oltre, nell’eternità, creando una connessione che va oltre la presenza fisica. In questo bacio c’è tutto, tenerezza, dolcezza, passione, ogni intimità che trascende l’umano sentire.

Il Bacio

Ti manderò un bacio con il vento
e so che lo sentirai,
ti volterai senza vedermi ma io sarò li.
Siamo fatti della stessa materia
di cui sono fatti i sogni
Vorrei essere una nuvola bianca
in un cielo infinito
per seguirti ovunque e amarti ogni istante.
Se sei un sogno non svegliarmi.
Vorrei vivere nel tuo respiro
(Mentre ti guardo muoio per te
Il tuo sogno sarà di sognare me
Ti amo perché ti vedo riflessa
in tutto quello che c’è di bello)
Dimmi dove sei stanotte
ancora nei miei sogni?
Ho sentito una carezza sul viso
arrivare fino al cuore.
Vorrei arrivare fino al cielo
e con i raggi del sole scriverti ti amo.
Vorrei che il vento soffiasse ogni giorno
tra i tuoi capelli,
per poter sentire anche da lontano
il tuo profumo!
(Vorrei fare con te quello
che la primavera fa con i ciliegi)

Questi versi bellissimi sono attribuiti a Pablo Neruda, ma non credo gli appartengano, non per i sentimenti espressi, ma poichè la lirica è un po’ diversa da quella che sento nei suoi versi.

OIG2 (2)

… e io ti mando questo bacio, dovunque tu sia, arriverà col vento, che ha attraversato il mio cuore, con te, per sempre  Amore mio!

Si scrive per popolare il deserto… per non morire…

 

Si scrive per popolare il deserto… per non morire…
per essere ricordati e per ricordare… anche per dimenticare…
anche per esser felici… per far testamento… per giocare…
per scongiurare, per evocare… per battezzare le cose…
per surrogare la vita, per viverne un’altra…
per persuadere e amorosamente sedurre… per profetizzare…
per rendere verosimile la realta’…
Tante sono, suppergiu’, le ragioni per scrivere.
Una di piu’, ma forse una di meno (non ho contato bene),
delle ragioni per tacere.

 
Gesualdo Bufalino

 

 

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Una notte d’estate e la poesia di Antonio Machado.

Notte d’estate (Noche de Verano) di Antonio Machado è una poesia che mette in scena la solitudine e il vuoto del poeta proiettati sul paesaggio di un vecchio villaggio durante una notte estiva.

Notte d’estate
È una bella notte d’estate
Tengono le alte case
aperti i balconi
del vecchio paese sulla vasta piazza
Nell’ampio rettangolo deserto,
panchine di pietra, evonimi ed acacie
simmetrici disegnano
le nere ombre sulla bianca arena.
Allo zenit la luna, e sulla torre
la sfera dell’orologio illuminata.
Io in questo vecchio paese a passeggiare
solo come un fantasma.

Noche de verano, (testo originale)

Es una hermosa noche de verano.
Tienen las altas casas
abiertos los balcones
del viejo pueblo a la anchurosa plaza.
En el amplio rectángulo desierto,
bancos de piedra, evónimos y acacias
simétricos dibujan
sus negras sombras en la arena blanca.
En el cenit, la luna, y en la torre,
la esfera del reloj iluminada.
Yo en este viejo pueblo paseando
solo, como un fantasma.

Antonio Machado

Il caldo di una notte d’estate, i climatizzatori che non facevano ancora sentire il loro rumore notturno, i balconi delle case ai piani alti, per far entrare la frescura della notte.
Tutto questo creava comunità, appartenenza, identità collettiva .Questo paesaggio risveglia il senso di solitudine di chi lo vive , come Antonio Machado,espressione di un malessere esistenziale per una perdita recente , oppure ,chi lo ricorda può ritrovarvi luoghi antichi, sommessi momenti di piacevole solitudine in periodi giovanili, quando le notti semplici e silenziose facevano da sfondo a sogni e desideri. Chi non ha avuto momenti come questi, che ripensati ad anni di distanza non ci vedano ,come il fantasma di Machado, aggirarsi tra tutto quello che non c’è più ed è stato , per noi, tantissimo? E l’orologio della torre ci  fa scorrere ,proprio  davanti agli occhi, il film della vita che scorre e di quello che è stata la nostra esistenza.

borgo estivo

La magia de “L’Infinito” di Giacomo Leopardi, che ci spinge a guardare oltre i confini imposti dal reale per vivere il piacere e la felicità.

 

L’Infinito è una delle poesie di Giacomo Leopardi più belle, dove il Poeta riflette oltre le cose materiali varcando l’immaginazione per entrare negli spazi sterminati dell’interiorità ,unica via per la ricerca del piacere e della felicità, che ,non trovando conferme nel reale, genera quel Pessimismo tipico del grande genio ,che è consapevole fino in fondo di ciò che lo circonda e dei limiti che la vita gli ha offerto.

Ma, oggi si può benissimo guardare all’”Infinito” da un altro punto di vista, anche perché quella solitudine che dona al poeta quell’”ermo colle” nell’era della “connessione perenne” rischia di non essere possibile, poichè l’uomo si dedica poco o niente all’introspezione.
Questa poesia è oggi patrimonio dell’Umanità.

L’Infinito

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

Giacomo Leopardi

La lirica è un viaggio verso l’infinito piacere e la felicità,oltre la realtà della vita, come la Divina Commedia fu il viaggio di Dante verso Dio. Per Leopardi come per noi l’Infinito non è altro che un viaggio tra il finito e l’infinito, nel mondo delle illusioni dove l’uomo vuole cercare la felicità in un futuro, che poi si rivelerà essere un meraviglioso irraggiungibile miraggio. Viene fuori il pessimismo , che è il light motiv di tutto il pensiero leopardiano, la dolce tristezza di un cuore restio alla resa dell’evidenza di una natura matrigna, che lo induce alla continua riflessione sulla vita dell’uomo. Infatti possiamo trovare la felicità soltanto in quel luogo oltre il colle, oltre la siepe, quando ci perdiamo in quello spazio infinito, che ci mostra la bellezza dell’eternità.

infiito