“Tornate in chiesa, anche senza andare a messa. “Come ha ragione Marcello Veneziani con questo suo articolo su chi non frequenta più la Chiesa, per i motivi più diversi.

Da quanto tempo non entrate in una chiesa? Da tanto tempo, risponderà gran parte della gente. Lo chiedo in una domenica di fine luglio, una di quelle domeniche d’estate prese da tutt’altre mete e da tutt’altri intenti. Ad andare in chiesa sono ormai in pochi, a partecipare alle messe, anche solo festive, solo una sparuta minoranza. Inutile ripetere il rosario delle motivazioni: ateismo pratico, secolarizzazione galoppante, indifferenza, apatia religiosa, dubbi e poi fretta, distrazione, mondanità e apparenza. Si potrebbe continuare, ripetendo cose risapute, sfondando porte aperte e sbarrando portoni ormai serrati.
Invece, per una volta, proviamo a pensare in altro modo, a immaginare diversamente, e tradurla sul piano pratico, in modo inatteso. E se ci affacciassimo ugualmente in chiesa, pur con tutti i dubbi, la lontananza e l’estraneità, la diffidenza e l’antipatia per i preti? Dico non a messa la domenica, non dal prete, non chiedo tanto; e nemmeno per curiosità turistica ed estetica, come visitatori che vogliono vedere un’opera d’arte, un mosaico o un altare. Ma se tornassimo a uno a uno, a ripopolare le chiese desolate, per brevi ma non sporadiche pause di riflessione? Quante pause ci prendiamo durante il giorno, per il caffè al bar, per il fumo, per i social, per le telefonate; perché non prevedere una pausa senza oggetto, in un luogo che fa pensare? Non è una proposta oscena, non vuol profanare e nemmeno pretende di convertire; vuole aprire la mente, ritrovare un’atmosfera, depurare le passioni e rianimare le chiese, così desolate.
Consideriamo per una volta la chiesa non solo come la Casa del Signore, o il luogo santo e materno di cui dicono il Papa, i sacerdoti, la catechesi. Come sarebbe sacrosanto. Ma come luogo di raccoglimento, al riparo dai rumori e dai consumi, calmo e silente, in cui mettere a tacere anche lo smartphone, senza schermi, senza consumi né pubblicità. Un luogo di ristoro della mente e dell’anima, di interruzione del flusso temporale, di separazione dal profano scorrere del mondo e della gente (del resto, il sacro, come il tempio, vuol dire ciò che è separato). Un luogo per concentrarsi, per farsi domande e darsi risposte, evitando lo psicanalista o i farmaci. E per sentirsi immersi in un’atmosfera insolita, venata di mistero e di lontananza. Un luogo che ha una lunga storia, in cui smaltire i rancori, in cui ripetersi che l’odio fa male, innanzitutto a chi odia. E forzarsi alla serenità.
E’ follia immaginare che nel corso della giornata, in pieno centro, in mezzo ai negotia mundi, ci ritagliamo una breve fetta di solitudine pensante, di visione calma, di salto nel tempo, non dirò nell’eterno ma in un altro tempo, o meglio in un’altra scansione del tempo, un’altra direzione? Pensate che non faccia bene una pausa del genere? Pensate che non rischiari la mente e non aiuti a controllare le passioni, la rabbia, l’odio, l’ansia? Forse non sarà contento il parroco, e nemmeno il Papa, che si possa fare un “uso” laico, non confessionale, non devoto della Casa del Signore, senza passare dalla loro mediazione. Si, quella è la via giusta, ma a un popolo svogliato e refrattario, che gira al largo dalle chiese e guarda dalla parte opposta, sarebbe già una gran cosa suscitare un’insolita attenzione per un modo diverso di vedere, di sentire, di essere al mondo. Ma è poi molto diverso rispetto agli usi profani della Chiesa, ridotta nella migliore delle ipotesi a rifugio, mensa e accampamento per i senzatetto e nella peggiore a sala convegni, manifestazioni musicali, ostello o addirittura ristorante, una volta sconsacrata, perché ormai deserta e disertata? Se è diverso, lo è in meglio. Pensate che non sia quello un uso propriamente religioso della chiesa, aiutare gli uomini a ritrovare la propria interiorità, il rapporto profondo col mondo circostante, col prossimo, il rispetto del silenzio, della calma, della meditazione, dell’attenzione e della preghiera? Non è fede né rito, eucaristia o liturgia; semmai, agli occhi di un devoto o di un sacerdote, può essere ciò che li precede, ne predispone il terreno favorevole. Comunque meglio che il nulla. Sarebbe bello vedere le chiese rianimarsi, aprirsi ai viandanti indaffarati che cercano e magari ritrovano senso, mistero e rispetto della vita. Per ridimensionare ciò che fuori costa tanto ma vale poco, per depurarsi dai rancori e dai furori.
Certo, il credente dirà che in chiesa si va per incontrare Dio, per adorare Lui e venerare i santi, per pregare, partecipare alla messa, confessarsi e farsi la comunione, o per battezzarsi, cresimarsi, sposarsi e benedire i defunti. Ma non sarebbe improprio né banale concepire la chiesa come luogo per respirare con la mente e il cuore, per disintossicarsi dalla vita profana, per essere più veri, più aperti al senso della vita. Come luogo in cui sentire dopo tanto tempo quella carezza che un tempo chiamavamo spirituale. Siamo analfabeti spirituali, occorre una prima, elementare iniziazione…
Poi, chissà, in loco potrà sorgere il “gusto” di pregare, di accodarsi a un rito, di prendere a frequentare una parrocchia, di parlare col prete o coi devoti. Ma non sto pensando che quello debba essere l’esito inevitabile. Fa bene già solo così. Fa bene a chi entra, fa bene a chi vede entrare, fa bene a chi sta dentro, alla Chiesa stessa che torna vivente, non imbalsamata, presente e non passata, dove non si finge culto e devozione ma si è più disarmati e veri. Magari solo per passare un quarto d’ora di verità, al posto del famoso e penoso quarto d’ora di celebrità.

MV   

Con una ricerca tutta italiana si salveranno i coralli..

 

Lo sbiancamento dei coralli è un fenomeno che, nei casi estremi, determina la morte di questi organismi, con conseguenze devastanti per le barriere coralline, ecosistemi fondamentali per l’economia globale, la protezione delle coste dai disastri naturali e la biodiversità marina. Per contrastare questo fenomeno ,presso l ‘istituto tecnologico università Bicocca Milano sono stati condotti degli studi, che hanno evidenziato l’efficacia della Curcumina, estratta dalla curcuma, come preventivo per questo grave degrado dei coralli ,contemporaneamente allo studio di un materiale biodegradabile utile per la somministrazione.

Per saperne di più cliccate  il link sotto l’immagine.

sbincamento coralli

https://www.ansa.it/canale_scienza/notizie/ragazzi/news/2023/07/24/dalla-curcuma-unarma-per-salvare-i-coralli-_db76576c-6738-4542-b7d3-361ad6d3cd8c.html

 

La Cartella- Dai racconti di Vetro di Andrea Salvatici.

 

05_Cartella

ILLUSTRAZIONE DI ZAC

Cartella

La cartella era su una sedia della cucina, davanti al forno. Il grembiule sopra un’altra sedia vicino alla porta. Il fiocco blu e il colletto bianco, entrambi stirati e puliti come il grembiule, si trovavano sopra il tavolo. Erano le sette del mattino. Sulle pareti della cucina, del bagno, del salotto, dello studio, delle camere, dello sgabuzzino, della terrazza e della cantina, bigliettini, tantissimi bigliettini adesivi sparsi come polline a primavera in quella casa oramai diventata di carta. Un banale riscontro d’aria l’avrebbe sparpagliata come quel fiore di campo chiamato “Bocca di leone “oramai sfiorito, bianco. Tutti i mobili, tutti gli oggetti, tutto era stato inventariato. Il colore delle cose non c’era più. Solo frasi semplicissime e disegni. Quell’insolito linguaggio appiccicato su tutte le cose, ogni giorno che passava diventava sempre più bianco, sempre più somigliante a un pagina bianca. Non rimaneva altro che aggrapparsi ai suoi  sguardi, ai suoi sorrisi, ai suoi gesti sempre più ripetitivi, indecifrabili, ma sempre dolorosamente umani. Prese la cartella e lo aspettò nell’ingresso. Ferma, con un sorriso: un banco di nebbia? Un frammento emotivo ancora reale? Un tratto ancora vivo del suo volto? Chi lo sa? Aspettava comunque suo figlio con un’espressione facciale importante.

–  Hai preso i soldi per la schiacciata? Vieni, fatti sistemare il grembiule! Il fiocco? Il colletto bianco dove sono? Ah, bene! Sei pronto! Adesso puoi andare a scuola! A scuola!  – disse la donna davanti allo specchio dell’ingresso con suo figlio dietro alle sue piccole spalle.

–  Dammi un bacio! E ricordati amore mio di passare a salutare la moglie del portinaio!

– Va bene mamma! – rispose suo figlio.

Mario accompagnò la madre in salotto e l’aiutò a sedersi sulla poltrona. La donna chiuse gli  occhi. Vicino a lei un tavolino anni Trenta carico di libri di fisica quantistica. Quella donna era stata direttrice del dipartimento di fisica di Milano. Ora quei libri erano dei semplici soprammobili, dei ricordi, degli oggetti, delle cose da toccare con le dita. Spesso la badante la trovava addormentata con le dita sopra i suoi libri. Alcuni per terra come farfalle  schiacciate, altri ai suoi piedi. Libri sparsi intorno a lei come uno sciame di api morte.

Suonò il campanello. Era la badante come ogni mattina. Puntuale e precisa nel fare i suoi compiti in quella casa dove oramai il lessico famigliare si era ridotto a imitare i petali secchi e bianchi  di un fiore chiamato “Bocca di leone”.

Mario baciò sua madre. Prese la cartella, il grembiule, il fiocco e il colletto, li mise in tasca e uscì di casa dopo l’arrivo della badante.

Salì nella sua BMW 7.30, appoggiò la cartella sul sedile anteriore, quest’ultimo costretto ogni mattina a indossare il grembiule blu. Sistemò il colletto bianco e il fiocco intorno al poggiatesta.

Poi girò la chiave e uscì dal garage.

 

 

Da Il Corriere della Sera

I cambiamenti climatici. Chi li vuole, quanto ne ha colpa l’uomo comune? Cosa c’è dietro, chi ci guadagna, e perchè?

 

photographie aérienne de rizières en terrasses

 

Questo  è un servizio del Tg2 , andato in onda nel 2014, e  potrebbe chiarirvi le idee, aiutarvi a capire cosa sta succedendo e se è proprio il caso di credere ciecamente al terrorismo meteorologico-Ascoltate bene la data prevista per questi esperimenti e fatevi qualche domanda

 

Trent’anni fa finì la Balena Bianca (ma non era vero)-

Il 26 luglio di trent’anni fa finiva l’eterna Dc. Anche l’eternità aveva fatto il suo tempo. Fu l’esperienza più longeva di potere nella storia dell’Italia unita, durò più del doppio del fascismo, non lasciò mai il potere per circa mezzo secolo, e neanche dopo. Dopo che la Dc chiuse i battenti, c’erano più parlamentari democristiani disseminati tra i due poli, nei parlamenti della seconda repubblica, che ai tempi dello Scudo crociato. Fino a poco tempo prima del suo liquefarsi, e mutarsi provvisoriamente in Partito Popolare, eravamo tutti convinti che la Dc fosse un ghiacciaio eterno, un monumento perenne; la minaccia peggiore per coloro che non lo erano, era “morirete democristiani”. E invece un giorno di mezz’estate di trent’anni fa, a morire fu lei, la Dc, e scelse la faccia giusta per le esequie, quella di Mino Martinazzoli.
Non morì del tutto e per davvero, altre dc si moltiplicarono nel tempo e il ceto democristiano sotto falso nome rioccupò il potere e il sottopotere, riempì le dispense del paese, un po’ come le scatolette della carne Montana nella pubblicità. Tuttora c’è un Mattarella al Quirinale e il gran ciambellano della Repubblica è sempre quel Bruno Vespa, per non dire di tutto il resto…
La Dc assunse fattezze teologiche, non percepibili a occhio umano, ma la sentivi fiatare ogni giorno, nelle pieghe del vivere civile, delle istituzioni, della tv, del Paese. Coerentemente con la sua matrice cristiana, la Dc acquisì il dono dei santi, si fece Partito Metafisico e Ubiquitario, luogo paranormale di mediazione tra le opposte delusioni. L’eternità democristiana sfida i secoli, la calura e il maltempo e sopravvive anche al decesso dei suoi leader terreni (l’ultimo fu Forlani). Perché la Dc è davvero il Partito Italiano, come Agostino Giovagnoli intitolò anni fa la biografia della Balena Bianca. La Dc è stata veramente l’ultima autobiografia della nazione. Un minestrone visceralmente italiano per masse casalinghe, dette massaie. Non so se la Dc sia stata un bene o un male; da ragazzo pensavo che fosse un male, condividevo Pasolini che la definiva “il nulla ideologico mafioso”. Ora penso che sia stata una via di mezzo, a ogni livello; ci poteva andare meglio, ci poteva andare peggio. Non rappresentò l’Italia eroica né quella fanatica, ma l’Italia modesta, senza grilli per la testa, che tira a campare, non ha grandi progetti ma non commette gravi errori, vive e lascia vivere. La Dc è un seminterrato nelle nostre coscienze, attraversa il paese come una metropolitana. Fu un evento naturale come la pioggia, ma non fu un evento meteo estremo, ci ricorda il tempo in cui anche il caldo, la pioggia e i venti erano moderati.
A volte avevi l’impressione che i dc erano un aggregato di poteri sparsi, senza un filo conduttore; un po’ come “fare abitare tutti i Giuseppe in un solo quartiere”, come scrisse Giorgio Manganelli di alcune collezioni senza collante. Ma la Dc un collante ce l’aveva, qualcuno lo chiamava potere: il collante che li univa era la loro ideologia.
Scriveva Prezzolini che la fine dello Stato pontificio fu una benedizione per la Chiesa che uscì dal suo territorio ristretto e si insinuò dappertutto; la stessa cosa può dirsi della Dc: quando finì di essere un partito si fece epidemica, con la sua assente presenza, ingombrante e disincarnata. Già quando governava, gli elettori dc si defilavano, non si dichiaravano tali, quasi si vergognavano e non solo quelli che praticavano il voto clientelare di scambio; dai sondaggi pareva quasi in via d’estinzione; poi, nell’urna, la Dc restava sempre il primo partito. Era il mistero di Fatima della politica nostrana: tutti la portavano addosso ma nessuno la dichiarava alla dogana.
La forza della Dc fu la sua duttilità, non oppose mai resistenza alle cose, ma assecondava il loro corso per tentare poi di orientarlo, di piegarlo, di ammorbidirlo. Era resiliente prima che si scoprisse la parola. Una specie tecnologicamente avanzata di dorotei recita sottovoce ogni giorno lo pseudo-crociano “perché non possiamo non dirci democristiani”. I democristiani forse un giorno sopravviveranno anche al tramonto del cristianesimo.
Per dirla in breve. La Dc fu la maglia della salute degli italiani, un animale domestico che molesta e intenerisce perché ci riporta al tempo andato. Esiste ancora, come per gli orfani di guerra e gli handicappati, una quota seggi riservata agli ex dc. La Dc fu contagiosa: il fascismo fu virile, la Dc virale. In medio stat virus. La Dc garantì comode continuità con lo Stato sociale fascista e aree fabbricabili alla sinistra nella cultura, nei tribunali, tra coop, sindacati ed enti locali. Fu la versione mammista del paternalismo fascista e la sorella bigotta della fratellanza comunista. Fu un ombrello materno per ripararsi dalla bufera del Novecento: offrì alle due italie insanguinate dalla guerra civile la fuoruscita dalla storia a tariffe agevolate. Fu il partito dell’amnistia, dell’amnesia e dell’ammuina. Più che il partito di Cristo fu il partito di Ponzio Pilato, almeno fino all’operazione Mani pulite. Fu il partito americano, ci piazzò il Pacco Atlantico. Garantì una serena lungodegenza al riparo dalla storia, con vitto e alloggio. Barattò il senso dello Stato con lo statalismo, badante obesa e inefficiente ma comoda e indulgente. Ci salvò dal comunismo, non dal conformismo né dal consumismo. Garantì la libertà, non la dignità. Ogni mattina i democristiani andavano a messa per fare il pieno di santità, in modo da consumarlo in piccoli peccati lungo il giorno.
E poi i suoi protagonisti. Andreotti restò per sempre un interrogativo, illustrato dal suo stesso fisico curvo. Fanfani fu un mezzo De Gaulle, anche nella statura e nelle ambizioni. Moro, il narcostatista, prendeva gli avversari per stanchezza, ma la sua mollezza fu alla fine ripagata col sangue. De Gasperi fu il mito fondatore della Dc; Ciriaco la demitizzò. Scalfaro fu la sua estrema unzione, Segni la sua urna funeraria, Martinazzoli il suo funerale, Cossiga la sua autopsia e Mattarella la sua mummia, rianimata dalla rielezione. Il massimo ideologo della Dc fu Orietta Berti che teorizzò: finché la barca va lasciala andare. A volte rimpiango anch’io la Dc; ma lo faccio in bagno, di nascosto, nel pieno delle funzioni corporali. Chi vuol rifondare la Dc deve prima dimostrare che sia mai scomparsa.

                            MV     

Quando il ricordo insiste…

03_Luna.Park

ILLUSTRAZIONE DI ZAC

Luna Park, banco dei pesci rossi

 

Era lunedì mattina, erano le otto. Alberto smontava dal turno di notte. Pioveva, ma lui non aveva nessuna voglia di prendere un mezzo di trasporto e ritornare subito a casa sebbene fosse stanco dopo tre angioplastiche e due massaggi cardiaci di un’ora a fine turno e una pioggerellina fastidiosa che gli entrava tranquillamente fra il bavero del cappotto alzato e il collo. Teneva in mano un ombrellino di color rosso e lo guardava dall’interno. Le bacchette piegate, storte e in leggero movimento, ricordavano le zampette di un ragno impegnate nel tessere una ragnatela; all’esterno invece sembrava un papavero in balia del vento. Quel futile riparo gliel’aveva prestato la sua collega che montava il turno successivo, con la promessa che glielo avrebbe riportato il giorno dopo. Sarebbe stato meglio tornare a casa, prepararsi un buon caffè e farsi una doccia calda, ma decise di fare due passi. Voleva stare fuori al di là del vento e di quella fastidiosa pioggerellina. Voleva andare al Parco Sempione. Tagliò per il quartiere di Brera e si diresse verso il parco. Spense il cellulare e continuò a camminare. Quella mattina non era di reperibilità. Era libero di dormire, correre, leggere o comunque non fare altro per tutto il giorno. Alberto, dopo la morte della moglie, non riusciva più a stare molte ore in quella casa. L’aveva messa in vendita, in affitto, aveva abbassato drasticamente il prezzo di vendita suscitando infinite perplessità da parte dei parenti, l’aveva trasformata in un semplice dormitorio di lusso. La verità era che Alberto non si dava ancora pace. Era pieno di dolore e di rabbia. Non aveva mai accettato quell’ingiusta condanna a morte a una donna di soli ventinove anni: sua moglie aveva avuto un infarto davanti ai suoi allievi durante una supplenza di latino. E lui quella mattina di febbraio era lontano per un congresso. Era tranquillo solo in reparto e soprattutto in sala operatoria dove nessuno gli poneva domande o gli dava consigli. Era lui che gestiva e guidava quelle ore. Era lui che tentava di salvare una vita, un cuore interrotto, fermo per alcuni minuti o fermo per sempre. Ma con sua moglie non aveva potuto fare nulla. Lui era lontano. Lei era morta mentre lui era a un brunch con un collega americano. Quando atterrò a Malpensa trovò la stessa pioggerellina e suo fratello Luca all’uscita. Si abbracciarono forte e non si dissero nulla. Arrivarono a casa e lei era distesa. Ancora bella e con un lieve sorriso. Il colore della sua pelle ricordava il marmo illuminante del Canova ma i suoi tratti rappresentavano i segni di una separazione definitiva. Lei sarebbe scomparsa per sempre a soli ventinove anni. Quella notte Alberto, con una manata violenta buttò per terra il vaso trasparente dei pesci rossi. Si sbriciolò e i pesci saltellarono per alcuni secondi, poi rimasero per una settimana sul pavimento. Immobili e puzzolenti. Fu la domestica a buttarli via. Giunto nel parco si accorse di un piccolo Luna Park addormentato fra le mura del Castello Sforzesco e le fronde secche degli alberi. I banchi erano chiusi e nessuno si aggirava a quell’ora. Scoprì un banco con la scritta: ”Si vincono pesci rossi!”. Sorrise e si sedette su una panchina davanti a quella frase un po’ scolorita e leggermente storta. Si accese una sigaretta, rimase lì tutto il giorno.

Alberto conobbe sua moglie per un tappo di sughero sulla testa davanti a una fila di peluche. Conigli bianchi numerati. Semplici bersagli su un nastro in movimento.

 

 

Lo studente e l’anello…

 Storia sufi

Un allievo presentò al suo maestro un problema: “Sono qui, maestro, perché sono tanto debole, e non ho la forza per fare niente. Dicono che non servo a nulla, che non faccio bene niente, che sono lento e molto stupido. Come posso migliorare? Che posso fare per valorizzarmi di più?”.

Il maestro, senza guardarlo, disse: “Sono molto spiacente mio caro, ma ora non posso aiutarti, devo prima risolvere il mio problema. Forse dopo”. E facendo una pausa parlò: “Se mi aiuterai, potrò risolvere il mio problema con più rapidità e dopo forse potrò aiutarti a risolvere il tuo”.

“Va bene, maestro, “, balbettò il giovane, ma si sentì un’altra volta sminuito.

Il maestro, prese un anello che portava al mignolo, lo dette al ragazzo e disse: “Monta a cavallo e vai fino al mercato. Devi vendere questo anello perché devo pagare un debito. È necessario che tu ottenga per l’anello il massimo possibile, ma non accettare meno di una moneta d’oro. Va e torna con la moneta il più velocemente possibile”.

Il giovane prese l’anello e partì. Arrivò al mercato e cominciò a offrire l’anello ai commercianti. Essi lo guardavano con interesse, fino a quando il giovane diceva quanto pretendeva per l’anello.

Quando il giovane menzionava una moneta d’oro, alcuni ridevano, altri andavano via senza nemmeno guardarlo, e solo un vecchietto fu amabile al punto di spiegargli che una moneta d’oro era molto preziosa per comprare un anello.

Tentando di aiutare il giovane, arrivarono a offrire una moneta d’argento e una tazza di rame, ma il giovane ricusava le offerte seguendo le istruzioni di non accettare meno di una moneta d’oro.

Dopo aver offerto il gioiello a tutti coloro che passavano al mercato e abbattuto per l’insuccesso, montò a cavallo e ritornò. Il giovane avrebbe desiderato avere una moneta d’oro per comprare egli stesso l’anello, liberando così il suo maestro, dalla preoccupazione e poter poi ricevere il suo aiuto e i suoi consigli.

Entrò in casa e disse: “Maestro,, mi dispiace molto, ma è impossibile ottenere ciò che ha chiesto. Forse si potrebbero ottenere 2 o 3 monete d’argento, ma non credo che si possa ingannare nessuno sul valore dell’anello”.

“È importante quello che mi dici, ragazzo”, obiettò sorridendo. “Prima si deve sapere il valore dell’anello. Prendi il cavallo e vai dal gioielliere. Chi meglio di lui può sapere il valore esatto dell’anello? Digli che vuoi venderlo e domanda quanto ti può dare. Ma non importa quanto ti offre, non lo vendere. Torna qui con il mio anello”.

Il giovane arrivò dal gioielliere e gli dette l’anello da esaminare. Il gioielliere lo esaminò con una lente d’ingrandimento, lo pesò e disse: “Dica al suo maestro, che, se vuole venderlo ora, non posso dargli più di 58 monete d’oro”. “58 monete d’oro!”, esclamò il giovane. “Sì”, replicò il gioielliere, “io so che col tempo potrei offrire circa 70 monete, ma se la vendita è urgente…”.

Il giovane corse emozionato a casa del maestro, per raccontare quelle che era successo. Il maestro, dopo aver udito quanto offerto dal gioielliere, disse: “Tu sei come questo anello, una gioia preziosa e unica. Può essere valutata solo da uno specialista. Pensavi che chiunque potesse scoprire il suo vero valore?”. E così dicendo tornò a collocare il suo anello nel dito.

Tutti noi siamo come questa gioia. Preziosi e unici e andiamo per tutti i mercati della vita pretendendo che persone inesperte ci valorizzino. Ripensa al tuo valore!

valore anello

 

Un ‘inimmaginabile storia d’amore…

 

capelli biondi

Quella che vedete , che a prima vista potrebbe sembrare una reliquia, in verità non lo è ,ma  si tratta di un inusuale pegno d’amore. Lo si può ammirare alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano.Una storia, una storia d’amore tanto bella quanto proibita, tra un dotto umanista e una ragazza potente e tormentata.

Siamo a Ferrara nel 1502.

Siamo nella corte del duca Alfonso d’Este, straordinario mecenate delle arti e della cultura, che, come di consueto, attendeva l’arrivo di numerosi giovani poeti e letterati di talento da accogliere nella sua corte. E fu proprio lì, fra tanta poesia e magnificenza, che due giovani si videro per la prima volta. Il giovane poeta conosceva la duchessa solo per sentito dire e gli era stato riferito più volte del fascino che esercitava, eppure non appena la vide, rimase folgorato dalla sua bellezza. I suoi lunghi e lucenti capelli biondi, illuminati dai raggi del sole, riflettevano la luce che entrava dalle grandi vetrate del palazzo, donandole un’aurea quasi celestiale. Come poter dimenticare una visione così? Con la scusa della dedica di un’opera iniziò una relazione platonica come poche e molto appassionata che li legò per anni. La storia da platonica diventò epistolare a causa della peste che li separò. Intense lettere d’amore, le quali, ancora oggi, vengono considerate come le più belle mai raccolte. Insieme a una di esse, la giovane duchessa, inviò anche una ciocca dei suoi adorati capelli, gli stessi capelli che lui amava accarezzare nei loro incontri furtivi e che ora, quasi come una promessa d’amore che supera il tempo e soprattutto la distanza, può continuare ad accarezzare per sentirla vicina in attesa del loro prossimo abbraccio.

 Il destino avverso non li fece più incontrare.

La duchessa, chiamata Lucrezia Borgia, nonché figlia illegittima del Papa Alessandro VI, morì giovanissima, lasciando però dietro di sé una fama che la rese immortale e che la farà ricordare sempre come una donna di potere leggendaria e controversa.

Lui, invece, dopo la morte di lei, divenne Cardinale, delineandosi in pochissimo tempo non solo come personaggio di spicco dell’umanesimo italiano, ma anche come grande uomo di Chiesa, noto con il nome di Pietro Bembo.

La bellezza e il fascino di questa reliquia, forse, stanno proprio nel suo mistero che l’ha resa un grande tesoro ancora incredibilmente intatto nonostante il tempo, come intatto, fino alla fine, è stato il grande amore che ha vissuto.

Ho ascoltato l’IA su Rai Radio1 condurre Eta Beta colla voce del suo conduttore abituale Massimo Cerofolini.

 

Massimo Cerofolini è conduttore Radio Rai di programmi tecnologici in campo informatico. Dopo aver creato un suo avatar, con la sua voce, stamattina, nel programma  Eta Beta su RadioRai1, ha ceduto all’intelligenza artificiale il compito di condurre la sua trasmissione. Come al solito l’ho ascoltata ,e naturalmente essendo informata , con una certa curiosità. Come al solito la trasmissione ha presentato una serie di interviste proprio sulla paura che IA e robot stiano per prendere il posto dell’uomo nel campo del lavoro. Ora non so che cosa possa esserci dietro alla preparazione di questo primo esperimento, che, per quel che mi riguarda, posso definire riuscito ,poichè  non ho notato alcuna differenza dalle altre trasmissioni. Anche se è vero che Massimo Cerofolini  sia un ottimo conduttore, rispettoso dell’interlocutore e quindi facile per riprodurne anche il comportamento durante l’interviste. Un’altra cosa che non è dato sapere è se le domande siano state preparate dal conduttore in persona, oppure elaborate dalla stessa IA  ,informata sull’ argomento da trattare. Sicuramente il risultato sarebbe da valutare conoscendo questo particolare , ignoto. Sicuramente sbalordisce pensare che , tuttavia ,questo sarà domani, e un domani molto prossimo. Ho capito dalle interviste che gli algoritmi dell’IA sostituiranno l’uomo in molti lavori, per lui pericolosi o di tale complessità che solo  potentissimi  PC potranno svolgere, ma molto spesso accompagneranno nel lavoro tutte le persone preparate per questi nuovi ruoli in attività già esistenti o in nuove o innovative , delle quali ancora non si sa, anche se alla base pare dovrebbero  esserci clima e sostenibilità ambientale di quanto verrà prodotto in futuro. L’IA non vuole sostituire l’uomo, per lo meno quelli disposti ad ottenere una preparazione specifica per questo nuovo modo di lavorare, qualunque sia l’età dei lavoratori. Sarà fuori chi si autoescluderà e la sua sopravvivenza sarà garantita da quei lavori manuali semplici per i quali non si spendono soldi a creare algoritmi. Quindi, così dicono, il lavoro non mancherà e dove mancherà sarà surrogato da un reddito universale. Questo è tutto il mondo nuovo  ,che pare essere già all’orizzonte, ma quanto è preparata la gente ad una realtà sconosciuta, che fin’ora ci è stata mostrata soltanto come un mondo da favola fantascientifica ? Non lo so e da parte mia sono felicissima di avere tanti anni di normalissima quotidianità come fardello da portare con me il giorno, sempre più vicino in cui metterò la parola The end al film della mia vita. Non mi piace per niente il futuro che attende l’umanità.

ia

PS : Chiedo scusa per la riproduzione che si è edita in fondo, non so nè come   nè perchè, ma le mie nozioni informatiche non sono sufficienti a rimuovere il superfluo, nonostante  tentativi ripetuti.

Badanti ucraine, italiani e famiglie in coda sotto il sole per mangiare: l’altra estate di Milano al «Pane quotidiano»

 

Come può un paese civile permettere che si leggano simili notizie su un quotidiano, e a maggior ragione quando il paese è una democrazia avanzata come quella italiana? Per fortuna le leggiamo e non ci resta che provare un grande sconforto quando questi spettacoli si vedono in una tra le città più ricche del mondo, dove girano soldi a suon di milioni e miliardi. Milano, un esempio, perchè il  giornale è milanese, ma questo è lo spettacolo che da anni offrono ai cittadini tutte le grandi citta ed anche i piccoli centri, dove in nome della globalizzazione si è concentrata e si concentrerà ancora su pochissimi eletti, da chi e perchè non si sa, la maggior parte della ricchezza, allo scopo di preparare un nuovo ordine mondiale . Hanno inventato mille scuse per selezionare la gente e far si che vivere la povertà sia il massimo in un paese dove la fame, l’impossibilità di avere una casa decente, lavori decorosi  e duraturi anche dopo anni studi ,sono compensate da mille false libertà, impensabili fino a pochi anni orsono. Dopo tutto la gente di buon cuore esiste da sempre, molto spesso fa anche parte di quella categoria di eletti che sfornano volontari a gogò perchè fa chic  la notte,nei locali alla moda parlare di quel lavoro che placa magari molti sensi di colpa verso un’umanità che non dovrebbe esistere in un mondo in cui ci dicono che siamo tutti uguali, comunque siamo fatti, comunque desideriamo essere, liberi col diritto ad essere felici sempre e comunque, onorati e rispettati anche senza soldi  ,perchè di fame oggi non muore più nessuno. Infatti ogni giorno nascono dovunque luoghi come questo dove si distribuisce di tutto e le code aumentano dovunque.

 

 

Badanti ucraine, italiani e famiglie in coda sotto il sole per mangiare: l’altra estate di Milano al «Pane quotidiano»

di  Andrea Galli

In viale Toscana la fila di persone in attesa di ricevere prodotti alimentari è impressionante. Nella pesante borsa di plastica consegnata dai volontari ci sono anche arance e pesche, addentate al volo togliendo la mascherina

Badanti ucraine, italiani e intere famiglie in coda sotto al sole per mangiare: l'altra estate di Milano al «Pane quotidiano»

«Pane quotidiano» in viale Toscana (foto Claudio Furlan/LaPresse)

Nemmeno son le 8, anzi deve ancora passarne di tempo, e già andiamo verso i 29 gradi che poi sul marciapiede assolato di viale Toscana, in direzione del centro d’aiuto per i poveri «Pane quotidiano», chissà quanti sono per davvero. Con un’azione da riflesso condizionato, residenti in transito consegnano bottigliette d’acqua a noialtri in coda. Ma tanto il tema non è dissetarsi: è mangiare. Avvengono scene così, come quando dopo un’operazione chirurgica viene rotto il digiuno: si lecca il piatto portato dall’infermiera senza manco guardare il contenuto.

Nella pesante borsa di plastica consegnata dai volontari, che operano con ritmo e celerità da ospedale da campo, ci sono anche arance e pesche, addentate al volo togliendo la mascherina. Sono tante, le donne con mascherina, badanti che vogliono proteggere gli anziani, fedeli alla missione nonostante paghe penose (e senza contributi): chiedendo a caso, ci raccontano di 5 euro all’ora, o 6, oppure anche 6,5. In abbondanza ucraine, con la pandemia avevano perduto il posto e quindi i monolocali in affitto, ed erano tornate in Ucraina per poi scappare con la guerra; prima abitavano ai lembi di Milano, tipo Forze Armate e Giambellino, ora là costa troppo e sono nell’hinterland, Sesto San Giovanni o Corsico. La prossima settimana partiranno di nuovo per l’Ucraina, bus privati passano a prenderle direttamente a casa; non andranno in ferie ma a verificare che le abitazioni abbiano resistito alle bombe.

 

Avanzano col sorriso bambini sudamericani, le mamme dietro che li lasciano correre, ed escono sempre col sorriso, i bambini, carichi di libri di seconda mano regalati. S’assiste a una gran frenesia: incolonnarsi, ritirare il sacchetto e scappare per cominciare il turno di lavoro ovunque esso sia. Al proposito: uomini con magliette col logo di aziende di spedizioni, tute da imbianchini, scarponi da muratore. Parecchi egiziani, meno i marocchini; dal suddetto incedere e pure dal comportamento, non appare diffusa la categoria dei perditempo, o parimenti dei lestofanti che insomma scroccano del cibo gratis pur non avendone bisogno. Tutto può sempre essere, per carità, dopodiché al «Pane quotidiano» certo non fanno selezione all’ingresso. Chi c’è, c’è. E ci sono: italiani tra i quaranta e i cinquanta (si vergognano, dicono che portano il cibo ad amiche invalide delle anziane madri), e stampelle, sedie a rotelle, movimenti ridotti a causa di ictus, gambe divorate dalle zanzare, scarpe ai piedi più grandi o più piccole, signore arabe che vendono confezioni di biscotti di quelle a metà prezzo nei supermercati, volti consumati e/o arrabbiati, un signore che per 5 euro vende dei mocassini e uno che per 8 euro trattabili vende magliette, e una generale non disponibilità a scambiare delle chiacchiere. Non per altro: proprio non c’è verso, bisogna prendere la prossima corsa del bus o del metrò, sennò sballano tutti gli orari.

Al «Pane quotidiano», mirabile realtà mai abbastanza ringraziata, ci vengono le televisioni sotto le feste per documentare che in coincidenza d’una mezza Milano che s’abbuffa di dolci e consuma stipendi in ordini su Amazon per i regali, ecco, avanza un’altra Milano fragile, prossima al precipizio se non già tracollata. Ma era così anche prima e sarà così ad agosto. Chiaro, che i bisogni e pertanto i numeri aumentino è un altro discorso. Padre e due figli dall’Albania: «Viviamo da una parente, già ci ospita e cerchiamo di non pesare anche sul mangiare». Mamma colombiana, due figli uno per mano, più il terzo nel passeggino, nudo dal pannolino: «Il martedì e il venerdì faccio tre ore a pulire in una casa. I bambini stanno con mia sorella, senza figli, e mia sorella va a pulire al posto mio gli altri giorni della settimana». Nel mezzo del popolo in marcia zigzagano cinquantenni italiani amanti della corsa diretti al parco, sulla testa il sudore si miscela alla tinta: costoro fanno fatica a proseguire, la coda si accorcia rapida poi cresce ancora e ancora, un minuto contiamo duecento passi, dieci minuti dopo i passi sono trecento, ed è una coda che piega improvvisa a destra oppure a sinistra a seconda di dove batta il sole.