Il viaggio, cos’è e come può essere…

Se avete letto la Recherche di Marcel Proust e amate queste tremila pagine, come le amo io, saprete che c’è un punto , nell’opera, dove lo scrittore ci racconta la sua idea di viaggio, un momento bellissimo, che mi accompagna spesso.

“Le seul véritable voyage, le seul bain de Jouvence, ce ne serait pas d’aller vers de nouveaux paysages, mais d’avoir d’autres yeux, de voir l’univers avec les yeux d’un autre, de cent autres, de voir les cent univers que chacun d’eux voit, que chacun d’eux est.”

“L’unico vero viaggio, l’unico bagno di giovinezza, sarebbe non andare verso nuovi paesaggi, ma avere altri occhi, vedere l’universo con gli occhi di un altro, di cento altri, vedere i cento universi che ciascuno vede, che ciascuno è.”

(La Prigioniera, I Verdurin litigano con il signor di Charlus, trad. di Paolo Serini )

E’ importante la contestualizzazione: la frase è infatti contenuta nel lungo capitolo in cui il Narratore si trova ad un ricevimento in casa dei Verdurin e mentre ascolta la Sonata e il Settimino di Vinteuil eseguiti da Morel ed altri musicisti si lascia andare a considerazioni sulla vita e sull’arte.

Poi il brano continua così:

“et cela nous le pouvons avec un Elstir, avec un Vinteuil, avec leurs pareils, nous volons vraiment d’étoiles en étoiles.”

“Questo noi lo possiamo fare con un Elstir, con un Vinteuil: con i loro simili, noi voliamo veramente di astro in astro.”

Vinteuil (il musicista) ed Elstir (il pittore) sono, come i lettori della RTP sanno, tra i personaggi dell’opera di Proust quelli che rappresentano l’arte.

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Ritorno al Sud

Mattino lucente a Capri, ancora fresco e disabitato di gente, dominato dalla luce mediterranea. Perché non fuggire a Punta Tragara a godersi i faraglioni inondati dal sole? Un libro, una penna e due lenti scure per entrare nel paradiso terrestre in incognito, senza restare abbagliati. Era bello star soli a Punta Tragara a spiare il trionfo della natura nell’azzurra maestà del cielo. Ma ad un certo punto arrivò una piccola sagoma.

Era una vecchia signora, curvata dalla vita, capelli rifatti da una residua vanità che ancora resiste all’assedio del tempo, una borsetta sgualcita che penzolava dal braccio, due gambette magre che spuntavano da un impermeabile vuotato di corpo. Piccola e ancora più rimpicciolita dagli anni. Giunse lentamente all’angolo estremo che sporgeva sul mare. Si affacciò alla ringhiera di Punta Tragara in direzione dei faraglioni. Si poggiò con entrambe le mani insecchite alla ringhiera che le arrivava quasi all’altezza delle spalle. E stette lì ferma, non per un attimo o per riprendere fiato. Si fermò a lungo come impietrita, ogni tanto cercava di puntare i piedi come una bambina che vuole raggiungere la credenza proibita delle delizie e guardava di sotto, nel precipizio gioioso.

In silenzio guardava e pensava, mentre la brezza leggera scuoteva appena la sua permanente. Il suo sguardo non filtrava dalle lenti spesse e leggermente affumicate, non saprei dire se la smorfia appena accennata sul volto alludesse a un dolore o a un piacere. A volte è sottile il passaggio e forte la somiglianza. Chiusi il libro e stetti a guardarla, con tenera e incuriosita passione. Immaginai di che cose fosse riempito il suo lungo silenzio, il suo miope ma lunghissimo sguardo. Mi intrufolai nel suo passato presunto e remoto. E trovai una ragazza, piccola e graziosa, di vent’anni. Spumeggiante di vita, dal passo veloce. La vidi là, poggiata alla ringhiera in una mattina degli anni trenta. Non da sola. Ma in compagnia di un uomo più alto, abbronzato, vestito di bianco, con i larghi pantaloni di lino gonfiati dal vento, i capelli dorati e ondulati, i sandali, che la stringeva e poi la baciava. Un uomo perduto nei flutti del tempo.

Ho immaginato il suo passato, le sue onde, i suoi vent’anni leggeri come la brezza di quel mattino di ottobre. La sua prima fuga a Capri con quel giovane che non c’è più, che forse diventò suo marito. E divise con lui il grigiore degli anni maturi, e poi il suo nero congedo. O forse no, quel giovane sparì insieme ai suoi vent’anni, fu un amore spezzato o sparito. Forse è la stessa cosa, sposarsi o sparire, quel giovane non è più quello in nessuno dei due casi. Ma quella mattina a Capri sorridevano e si sentivano stregati dalla magìa di quell’aura, legati in eterno – che poi dura un istante – dalla luminosa bellezza del luogo e dalla solare passione che li univa.

La piccola donna era lì a visitare il suo paradiso perduto, a portare un fiore alla vita. Pensò la vita che finisce lungo la bianca scia di uno scafo. La piccola donna estrasse dalla borsetta un fazzoletto. Lo tenne in mano come se volesse salutare una barca che non c’era. Poi lo accostò al naso senza soffiare. E riprese il suo lungo, immobile congedo dai tesori della sua vita, sporgendo ogni tanto la testa in basso come se fosse caduto là il suo passato, come un orecchino staccatosi dal suo lobo e finito nel goloso blu del mare.

La perla tornò all’ostrica nel cobalto lucente della memoria…

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Inno alla bellezza, che ci fa vivere…nonostante tutto. Il mondo è meraviglioso e noi siamo una di quelle meraviglie, ma non ce ne rendiamo conto.

“La bellezza cammina fra di noi come una giovane madre quasi intimidita dalla propria gloria. La bellezza è una forza che incute paura come la tempesta scuote al di sotto e al di sopra di noi la terra e il cielo. La bellezza è fatta di delicati sussurri parla dentro al nostro spirito la sua voce cede ai nostri silenzi come una fievole luce che trema per paura dell’ombra. La bellezza grida tra le montagne tra un battito d’ali e un ruggito di leoni. La bellezza sorge da oriente con l’alba si sporge sulla terra dalle finestre del tramonto arriva sulle colline con la primavera danza con le foglie d’autunno e con un soffio di neve tra i capelli. La bellezza non è un bisogno ma un’estasi, non è una bocca assetata né una mano vuota protesa in avanti ma piuttosto ha un cuore infuocato e un’anima incantata. Non è la linfa della corteccia rugosa né un’ala attaccata a un artiglio. La bellezza è un giardino sempre in fiore e una schiera d’angeli sempre in volo. La bellezza è la vita quando la vita si rivela. La bellezza è l’eternità che si contempla allo specchio e noi siamo l’eternità e lo specchio.”

(Kahlil Gibran)

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Saluto speciale. Una lettera di John Keats ai genitori.

 
Sweet,  sweet is the greeting of eyes
And sweet is the voice in its greeting.
When adieux have grown old and goodbyes
Fade away when old time is retreating.

Warm the nerve of a welcoming hand
and earnest a kiss on the brow,
When we meet over the sea and o’er land
Where furrows are new to the plough.

 

John Keat
Dolce, dolce è il saluto degli occhi
e dolce è la voce in questo saluto.
Quando gli adieux sono diventati vecchi e
i goodbyes svaniscono nell’allontanarsi del passato.

Caloroso il benvenuto in una stretta di mano
e serio un bacio sulla fronte,
quando ci incontriamo oltre il mare e sulla terra
dove i solchi sono nuovi per l’aratro

John Keats

poesia di john keats

John Keats’ handwritten poem “Sweet, sweet is the greeting of eyes” written at Keswick on 28 June 1818 in a letter to George and Georgiana Keats.