Il dormiveglia di Sant’Agostino…

 

“Così il bagaglio del secolo mi opprimeva piacevolmente, come capita nei sogni. I miei pensieri, le riflessioni su di te somigliavano agli sforzi di un uomo, che malgrado l’intenzione di svegliarsi viene di nuovo sopraffatto dal gorgo profondo del sopore. E come nessuno vuole dormire sempre e tutti ragionevolmente preferiscono al sonno la veglia, eppure spesso, quando un torpore greve pervade le membra, si ritarda il momento di scuotersi il sonno di dosso e, per quanto già dispiaccia, lo si assapora più volentieri, benché sia giunta l’ora di alzarsi; così ero io sì persuaso dalla convenienza di concedermi al tuo amore, anziché cedere alla mia passione; ma se l’uno mi piaceva e vinceva, l’altro mi attraeva e avvinceva”.

Questa metafora di Sant’Agostino, tratta dalle “Confessioni” (VIII, 12) è semplicemente meravigliosa. E’ il momento in cui il filosofo di Ippona , che ha deciso di dedicarsi a Dio ,solo a Lui, dopo le dissolutezze di ogni genere, che erano state la sua vita fino ad allora, deve decidere il momento del distacco. E’ convinto, non solo , perso in un innamoramento per il Signore, come non aveva provato, neanche per la donna che aveva amato di più. Tuttavia il distacco da un mondo che lo aveva soddisfatto fino ad allora è difficile. Qui lo paragona al momento del risveglio ,quando mente e cuore sono ancora nell’appannamento del sogno, da cui è difficile allontanarsi. Si vivono quei momenti di incertezza tra il risveglio e le la voglia di non farlo. Succede a tutti noi, poi ci accorgiamo che l’incertezza nella vita non è mai buona compagna. Il tempo fugge e molte occasioni perse non tornano più.

dormiveglia

La poesia di un’emozione…

 

Entrò nel buio delle coperte e mi coprì tutto il corpo col suo. Stavo sotto di lei a tremare di felicità e di freddo. Le nostre parti combinavano una coincidenza, mano su mano, piede su piede, capelli su capelli, ombelico su ombelico, naso a fianco di naso a respirare solo con quello a bocche unite. Non erano baci, ma combaciamento di due pezzi. Se esiste una tecnica di resurrezione lei la stava applicando. Assorbiva il mio freddo e la mia febbre, materie grezze che impastate nel suo corpo tornavano a me sotto peso di amore.

Il suo teneva sotto il mio e il mio reggeva il suo, come fa una terra con la neve.

Erri De Luca

a letto

 

L’intimo ai giorni nostri.

L’intimo è ciò che si nega al pubblico per concederlo solo a chi si vuol far entrare nel proprio segreto profondo. Il pudore, che difende la nostra intimità, difende anche la nostra libertà. Non è una faccenda di vesti, sottovesti o abbigliamento intimo, ma una sorta di vigilanza, dove si decide il grado di apertura e di chiusura verso l’altro.

Ma contro tutto ciò soffia il vento del nostro tempo che vuole la pubblicizzazione della propria intimità, perché in una società consumista, dove le merci per essere prese in considerazione devono essere pubblicizzate, si propaga un costume che contagia anche il comportamento degli uomini, i quali hanno la sensazione di esistere solo se si mettono in mostra. Conformismo e consumismo hanno messo in circolazione un nuovo vizio che per comodità chiamiamo “spudoratezza”, con riferimento non tanto a uno scenario sessuale, quanto al crollo di quelle pareti che consentono di distinguere l’interiorità dall’esteriorità, la parte “privata”, “intima” di ciascuno di noi dalla sua esposizione e pubblicizzazione.

Ciò produce una metamorfosi dell’individuo che ormai si riconosce solo nella propria immagine, e perciò non cerca più se stesso. I nostri vissuti emotivi, che abitavano il segreto della nostra interiorità, dove domina il raccoglimento e il silenzio, ma forse anche la solitudine, le parole di preghiera, le parole d’amore, le parole d’amicizia, le parole di rabbia, le parole umane, hanno dovuto esteriorizzarsi come la pelle rovesciata di un serpente.

Umberto Galimberti, Il libro delle emozioni.

 

intimo

Vivo di sentimenti , nati dalle emozioni. Per questo vivo tra serenità e inquietudini della realtà quotidiana

 

Sono una persona emotiva
che comprende la vita
solo poeticamente,
musicalmente,
nella quale i sentimenti
sono molto più forti
di qualsiasi ragione.
Sono così assetata
di meraviglia
che solo lo straordinario
ha potere di su me.
Tutto ciò che
non riesco a trasformare
in qualcosa di straordinario,
lo lascio andare.
La realtà
non m’impressiona.
Credo solamente
nell’ebbrezza, nell’estasi,
e quando
la vita ordinaria
mi vincola fuggo,
in un modo o in un altro.

Anais Nin

 

anais

Il viaggio…

 Il viaggio per me è stato sempre una ricerca, non solo di luoghi, di persone nuove,  ma una ricerca sulla mia vita, di come riesco a vivere fuori dalla routine quotidiana, tra persone che non conosco, ed stato sempre un piacere immenso.  Il viaggio più è una sorpresa, più mi piace . Ancora ora, dopo moltissimi anni ricordo quel tuo improvviso:”prepara le valigie, sistema i bambini, andiamo via  da qualche parte io  e te “. Senza sapere dove, senza saper che mettere in valigia, se non il necessario per la notte ed un giorno, viaggiare leggeri, lasciando a casa anche i pensieri per immergersi in un viaggio  senza meta, scegliendo semplicemente la direzione. Era bello fermarsi per ammirare un paesaggio e poi rimanere in quel posto anche un giorno intero, e il giorno seguente ripartire per un altro luogo. Era bello arrivare ad un aereoporto e comprare i biglietti per il primo volo in partenza ,e ci siamo ritrovati così a  New York, la prima volta che mi hai portato; era l’inizio dell’autunno e i suoi colori hanno dipinto per me il più bel ricordo di quella citta, meravigliosa sempre, dove per la prima volta ho visto il cielo in un fazzoletto, inghiottito dalla città e non viceversa, come succede dovunque.   Parigi, Londra,  Caracas,  Rio, persino Hong Kong hanno il loro cielo over,  New York no, lo devi andare a cercare, sul mare, nelle periferie. dove lo sguardo torna  a spaziare. Anche l’aria che si respira durante un viaggio è speciale,sempre diversa,  un paio d’ali o un pugno in testa che lascia stordito per la grande calura, afosa soffocante. E la gente.. a me piace quella pittoresca dei villaggi, come quelli peruviani,carnagioni caffelatte , incorniciate di colori, bimbi addormentati sulle schiene delle mamme , bellissimi piccoli indios coi capelli nerissimi. Mi piace la gente della sera nei bistrot di Parigi, la gente del quartiere, semplice, chiaccherona, che ti riconosce come estraneo, ma ti accoglie e ti invita a sedere. Mi piace la notte di Bali, là  a Tanah Lot dove abbiamo dormito tra le canne e l’erba profumata dei vetiver, catturati da quel posto, dal suo mare che si perdeva nella notte… Mi piace viaggiare   su pensieri leggeri come questi, che mi portano indietro sul cammino della vita, l’unico che non possiamo programmare, un cammino lungo, fantastico il nostro. Ed ora che sei nel mio amore non  ho viaggiato più, il mondo sta nei ricordi, in migliaia di foto; quando guardo il cielo scopro di nuovo la sua profonda immensità e non desidero altro che viaggiare lassù dove tu mi appari come un miraggio!

 

 

“Io non viaggio per andare da qualche parte, ma per andare. Io viaggio per amore del viaggio. Muoversi è la grande cosa.”

Robert Louis Balfour Stevenson.

 

Un pomeriggio d’agosto all’ombra delle nostre querce..

 

Sarà anche stupido,ma bello e piacevole pensare cose di un uomo che non potrà mai sapere. Eppure sento che il cuore batte in modo diverso, anche se è un non sense-
Essere certa che non lo saprà mai e nulla si realizzerà ma chi l’ha detto che sognare fa male , che le illusioni sono negative ? Voglio cullarmi in questa illusione come fosse un mare , il piu incredibilmente colorato, un mare che sarà solo mio, il mio mare. Aspetterò ogni onda, mi lascerò travolgere e portare lontano da ogni riva, vivrò in sordina il trambusto del mio cuore,che mi accompagnerà e farà parte di me come il caldo, come la luce degli occhi, come l’emozione di un innamoramento mai sopito, che mi scuote ancora anima e corpo, mentre ritrovo il tuo sguardo e il tuo sorriso là, in quella nuvola all’orizzonte, pronta a tuffarsi nel mio mare.

tramonto mare

Ci sono luoghi…

 

 Ci sono luoghi che catturano non solo gli occhi, catturano la mente e la riportano lontano, laggiù nel tempo andato, ma mai perduto, che il cuore ha conservato tra le cose più preziose, malinconiche nostalgie di momenti magici, di desideri che si avveravano, di sogni che brillavano su lontani orizzonti. Era il tempo in cui cielo e mare si fondevano nella profondità di sentimenti, che la passione travolgeva sconquassando le nostre notti in laghi  di baci salati. Calava il sole e si accendeva quella musica ,che nemmeno l’ultimo istante della mia vita riuscirà a cancellare …e  sarà ancora estate,  noi saremo là, in quelle quiete onde di risacca, ad accarezzare lo stretto fondovalle  tra le magiche rocce.

risacca

“Tornate in chiesa, anche senza andare a messa. “Come ha ragione Marcello Veneziani con questo suo articolo su chi non frequenta più la Chiesa, per i motivi più diversi.

Da quanto tempo non entrate in una chiesa? Da tanto tempo, risponderà gran parte della gente. Lo chiedo in una domenica di fine luglio, una di quelle domeniche d’estate prese da tutt’altre mete e da tutt’altri intenti. Ad andare in chiesa sono ormai in pochi, a partecipare alle messe, anche solo festive, solo una sparuta minoranza. Inutile ripetere il rosario delle motivazioni: ateismo pratico, secolarizzazione galoppante, indifferenza, apatia religiosa, dubbi e poi fretta, distrazione, mondanità e apparenza. Si potrebbe continuare, ripetendo cose risapute, sfondando porte aperte e sbarrando portoni ormai serrati.
Invece, per una volta, proviamo a pensare in altro modo, a immaginare diversamente, e tradurla sul piano pratico, in modo inatteso. E se ci affacciassimo ugualmente in chiesa, pur con tutti i dubbi, la lontananza e l’estraneità, la diffidenza e l’antipatia per i preti? Dico non a messa la domenica, non dal prete, non chiedo tanto; e nemmeno per curiosità turistica ed estetica, come visitatori che vogliono vedere un’opera d’arte, un mosaico o un altare. Ma se tornassimo a uno a uno, a ripopolare le chiese desolate, per brevi ma non sporadiche pause di riflessione? Quante pause ci prendiamo durante il giorno, per il caffè al bar, per il fumo, per i social, per le telefonate; perché non prevedere una pausa senza oggetto, in un luogo che fa pensare? Non è una proposta oscena, non vuol profanare e nemmeno pretende di convertire; vuole aprire la mente, ritrovare un’atmosfera, depurare le passioni e rianimare le chiese, così desolate.
Consideriamo per una volta la chiesa non solo come la Casa del Signore, o il luogo santo e materno di cui dicono il Papa, i sacerdoti, la catechesi. Come sarebbe sacrosanto. Ma come luogo di raccoglimento, al riparo dai rumori e dai consumi, calmo e silente, in cui mettere a tacere anche lo smartphone, senza schermi, senza consumi né pubblicità. Un luogo di ristoro della mente e dell’anima, di interruzione del flusso temporale, di separazione dal profano scorrere del mondo e della gente (del resto, il sacro, come il tempio, vuol dire ciò che è separato). Un luogo per concentrarsi, per farsi domande e darsi risposte, evitando lo psicanalista o i farmaci. E per sentirsi immersi in un’atmosfera insolita, venata di mistero e di lontananza. Un luogo che ha una lunga storia, in cui smaltire i rancori, in cui ripetersi che l’odio fa male, innanzitutto a chi odia. E forzarsi alla serenità.
E’ follia immaginare che nel corso della giornata, in pieno centro, in mezzo ai negotia mundi, ci ritagliamo una breve fetta di solitudine pensante, di visione calma, di salto nel tempo, non dirò nell’eterno ma in un altro tempo, o meglio in un’altra scansione del tempo, un’altra direzione? Pensate che non faccia bene una pausa del genere? Pensate che non rischiari la mente e non aiuti a controllare le passioni, la rabbia, l’odio, l’ansia? Forse non sarà contento il parroco, e nemmeno il Papa, che si possa fare un “uso” laico, non confessionale, non devoto della Casa del Signore, senza passare dalla loro mediazione. Si, quella è la via giusta, ma a un popolo svogliato e refrattario, che gira al largo dalle chiese e guarda dalla parte opposta, sarebbe già una gran cosa suscitare un’insolita attenzione per un modo diverso di vedere, di sentire, di essere al mondo. Ma è poi molto diverso rispetto agli usi profani della Chiesa, ridotta nella migliore delle ipotesi a rifugio, mensa e accampamento per i senzatetto e nella peggiore a sala convegni, manifestazioni musicali, ostello o addirittura ristorante, una volta sconsacrata, perché ormai deserta e disertata? Se è diverso, lo è in meglio. Pensate che non sia quello un uso propriamente religioso della chiesa, aiutare gli uomini a ritrovare la propria interiorità, il rapporto profondo col mondo circostante, col prossimo, il rispetto del silenzio, della calma, della meditazione, dell’attenzione e della preghiera? Non è fede né rito, eucaristia o liturgia; semmai, agli occhi di un devoto o di un sacerdote, può essere ciò che li precede, ne predispone il terreno favorevole. Comunque meglio che il nulla. Sarebbe bello vedere le chiese rianimarsi, aprirsi ai viandanti indaffarati che cercano e magari ritrovano senso, mistero e rispetto della vita. Per ridimensionare ciò che fuori costa tanto ma vale poco, per depurarsi dai rancori e dai furori.
Certo, il credente dirà che in chiesa si va per incontrare Dio, per adorare Lui e venerare i santi, per pregare, partecipare alla messa, confessarsi e farsi la comunione, o per battezzarsi, cresimarsi, sposarsi e benedire i defunti. Ma non sarebbe improprio né banale concepire la chiesa come luogo per respirare con la mente e il cuore, per disintossicarsi dalla vita profana, per essere più veri, più aperti al senso della vita. Come luogo in cui sentire dopo tanto tempo quella carezza che un tempo chiamavamo spirituale. Siamo analfabeti spirituali, occorre una prima, elementare iniziazione…
Poi, chissà, in loco potrà sorgere il “gusto” di pregare, di accodarsi a un rito, di prendere a frequentare una parrocchia, di parlare col prete o coi devoti. Ma non sto pensando che quello debba essere l’esito inevitabile. Fa bene già solo così. Fa bene a chi entra, fa bene a chi vede entrare, fa bene a chi sta dentro, alla Chiesa stessa che torna vivente, non imbalsamata, presente e non passata, dove non si finge culto e devozione ma si è più disarmati e veri. Magari solo per passare un quarto d’ora di verità, al posto del famoso e penoso quarto d’ora di celebrità.

MV   

Quando il ricordo insiste…

03_Luna.Park

ILLUSTRAZIONE DI ZAC

Luna Park, banco dei pesci rossi

 

Era lunedì mattina, erano le otto. Alberto smontava dal turno di notte. Pioveva, ma lui non aveva nessuna voglia di prendere un mezzo di trasporto e ritornare subito a casa sebbene fosse stanco dopo tre angioplastiche e due massaggi cardiaci di un’ora a fine turno e una pioggerellina fastidiosa che gli entrava tranquillamente fra il bavero del cappotto alzato e il collo. Teneva in mano un ombrellino di color rosso e lo guardava dall’interno. Le bacchette piegate, storte e in leggero movimento, ricordavano le zampette di un ragno impegnate nel tessere una ragnatela; all’esterno invece sembrava un papavero in balia del vento. Quel futile riparo gliel’aveva prestato la sua collega che montava il turno successivo, con la promessa che glielo avrebbe riportato il giorno dopo. Sarebbe stato meglio tornare a casa, prepararsi un buon caffè e farsi una doccia calda, ma decise di fare due passi. Voleva stare fuori al di là del vento e di quella fastidiosa pioggerellina. Voleva andare al Parco Sempione. Tagliò per il quartiere di Brera e si diresse verso il parco. Spense il cellulare e continuò a camminare. Quella mattina non era di reperibilità. Era libero di dormire, correre, leggere o comunque non fare altro per tutto il giorno. Alberto, dopo la morte della moglie, non riusciva più a stare molte ore in quella casa. L’aveva messa in vendita, in affitto, aveva abbassato drasticamente il prezzo di vendita suscitando infinite perplessità da parte dei parenti, l’aveva trasformata in un semplice dormitorio di lusso. La verità era che Alberto non si dava ancora pace. Era pieno di dolore e di rabbia. Non aveva mai accettato quell’ingiusta condanna a morte a una donna di soli ventinove anni: sua moglie aveva avuto un infarto davanti ai suoi allievi durante una supplenza di latino. E lui quella mattina di febbraio era lontano per un congresso. Era tranquillo solo in reparto e soprattutto in sala operatoria dove nessuno gli poneva domande o gli dava consigli. Era lui che gestiva e guidava quelle ore. Era lui che tentava di salvare una vita, un cuore interrotto, fermo per alcuni minuti o fermo per sempre. Ma con sua moglie non aveva potuto fare nulla. Lui era lontano. Lei era morta mentre lui era a un brunch con un collega americano. Quando atterrò a Malpensa trovò la stessa pioggerellina e suo fratello Luca all’uscita. Si abbracciarono forte e non si dissero nulla. Arrivarono a casa e lei era distesa. Ancora bella e con un lieve sorriso. Il colore della sua pelle ricordava il marmo illuminante del Canova ma i suoi tratti rappresentavano i segni di una separazione definitiva. Lei sarebbe scomparsa per sempre a soli ventinove anni. Quella notte Alberto, con una manata violenta buttò per terra il vaso trasparente dei pesci rossi. Si sbriciolò e i pesci saltellarono per alcuni secondi, poi rimasero per una settimana sul pavimento. Immobili e puzzolenti. Fu la domestica a buttarli via. Giunto nel parco si accorse di un piccolo Luna Park addormentato fra le mura del Castello Sforzesco e le fronde secche degli alberi. I banchi erano chiusi e nessuno si aggirava a quell’ora. Scoprì un banco con la scritta: ”Si vincono pesci rossi!”. Sorrise e si sedette su una panchina davanti a quella frase un po’ scolorita e leggermente storta. Si accese una sigaretta, rimase lì tutto il giorno.

Alberto conobbe sua moglie per un tappo di sughero sulla testa davanti a una fila di peluche. Conigli bianchi numerati. Semplici bersagli su un nastro in movimento.

 

 

Ho ascoltato l’IA su Rai Radio1 condurre Eta Beta colla voce del suo conduttore abituale Massimo Cerofolini.

 

Massimo Cerofolini è conduttore Radio Rai di programmi tecnologici in campo informatico. Dopo aver creato un suo avatar, con la sua voce, stamattina, nel programma  Eta Beta su RadioRai1, ha ceduto all’intelligenza artificiale il compito di condurre la sua trasmissione. Come al solito l’ho ascoltata ,e naturalmente essendo informata , con una certa curiosità. Come al solito la trasmissione ha presentato una serie di interviste proprio sulla paura che IA e robot stiano per prendere il posto dell’uomo nel campo del lavoro. Ora non so che cosa possa esserci dietro alla preparazione di questo primo esperimento, che, per quel che mi riguarda, posso definire riuscito ,poichè  non ho notato alcuna differenza dalle altre trasmissioni. Anche se è vero che Massimo Cerofolini  sia un ottimo conduttore, rispettoso dell’interlocutore e quindi facile per riprodurne anche il comportamento durante l’interviste. Un’altra cosa che non è dato sapere è se le domande siano state preparate dal conduttore in persona, oppure elaborate dalla stessa IA  ,informata sull’ argomento da trattare. Sicuramente il risultato sarebbe da valutare conoscendo questo particolare , ignoto. Sicuramente sbalordisce pensare che , tuttavia ,questo sarà domani, e un domani molto prossimo. Ho capito dalle interviste che gli algoritmi dell’IA sostituiranno l’uomo in molti lavori, per lui pericolosi o di tale complessità che solo  potentissimi  PC potranno svolgere, ma molto spesso accompagneranno nel lavoro tutte le persone preparate per questi nuovi ruoli in attività già esistenti o in nuove o innovative , delle quali ancora non si sa, anche se alla base pare dovrebbero  esserci clima e sostenibilità ambientale di quanto verrà prodotto in futuro. L’IA non vuole sostituire l’uomo, per lo meno quelli disposti ad ottenere una preparazione specifica per questo nuovo modo di lavorare, qualunque sia l’età dei lavoratori. Sarà fuori chi si autoescluderà e la sua sopravvivenza sarà garantita da quei lavori manuali semplici per i quali non si spendono soldi a creare algoritmi. Quindi, così dicono, il lavoro non mancherà e dove mancherà sarà surrogato da un reddito universale. Questo è tutto il mondo nuovo  ,che pare essere già all’orizzonte, ma quanto è preparata la gente ad una realtà sconosciuta, che fin’ora ci è stata mostrata soltanto come un mondo da favola fantascientifica ? Non lo so e da parte mia sono felicissima di avere tanti anni di normalissima quotidianità come fardello da portare con me il giorno, sempre più vicino in cui metterò la parola The end al film della mia vita. Non mi piace per niente il futuro che attende l’umanità.

ia

PS : Chiedo scusa per la riproduzione che si è edita in fondo, non so nè come   nè perchè, ma le mie nozioni informatiche non sono sufficienti a rimuovere il superfluo, nonostante  tentativi ripetuti.