Gli elefanti. Curiosità…

 

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Quando un elefante deve essere trasportato in aereo da un Paese all’altro — ad esempio, dall’India agli Stati Uniti — nella sua gabbia viene posato… un gruppo di pulcini.

Sì, hai letto bene: dei minuscoli, fragili pulcini.

Perché?

Perché, nonostante la sua imponente mole, l’elefante ha un profondo timore di far loro del male.
E così, per tutto il viaggio, rimane perfettamente immobile, attento a non muoversi, a non spostarsi, a non rischiare di schiacciarne nemmeno uno.
In questo modo si mantiene anche l’equilibrio dell’aereo. Ma è molto più di una semplice strategia di volo.
È la prima, straordinaria dimostrazione della nobile natura dell’elefante.
Affascinati da questo comportamento, gli scienziati hanno studiato il suo cervello.
Hanno scoperto la presenza di cellule fusiformi: neuroni rarissimi, presenti anche nell’essere umano, associati a empatia, coscienza di sé, percezione sociale.
In altre parole: l’elefante non è solo grande nel corpo.
È grande nell’anima.Sente. Comprende. Ama. Agisce con una saggezza silenziosa.
Non a caso, anche Leonardo da Vinci, incantato dalla natura, scrisse:
“L’elefante incarna la rettitudine, la ragione e la temperanza.”
E descrisse così i suoi gesti:

Entra nel fiume con solennità, quasi volesse purificarsi da ogni male.
Se incontra un uomo smarrito, lo guida dolcemente verso la strada giusta.
Non cammina mai da solo: sempre in gruppo, sempre guidato da un capo.
È pudico: si accoppia solo di notte, lontano dagli altri, e poi si lava prima di rientrare nel branco.
Se incontra un’altra mandria, sposta gli animali con delicatezza, con la proboscide, per non ferire nessuno.
Ma c’è un gesto che, più di ogni altro, commuove:
Quando l’elefante sente che la fine è vicina, si allontana dal branco e va a morire da solo, in un luogo appartato.
Perché lo fa?
Per risparmiare ai più giovani il dolore di vederlo morire.
Per pudore.
Per compassione.
Per dignità.
Tre virtù rare.
Anche tra gli uomini.

Dal Web

 

La tecnologia digitale è per un cambiamento antropologico,i social ne sono la propedeutica…

 

I nostri giovani sono in uno scenario di tipo bellico, bombardati dai social. E le previsioni per il futuro sono tutt’altro che rosee. A lanciare un grido d’allarme è Paolo Crepet. “Se i social rappresentano un rischio, siamo in guerra questo è evidente”, ha detto l’esperto analizzato la vicenda giudiziaria negli USA che sta coinvolgendo i colossi dei social network. “Se qualcuno, e mi pare ci sia più di qualcuno, indica questi come almeno parzialmente responsabili di disagio, psicopatologie e addirittura morte per suicidio, allora certo non è un’esagerazione parlare di guerra in corso”, ha proseguito lo psichiatra. In merito all’accusa di ‘avere le mani sporche di sangue’ rivolta dal senatore Linsey Graham a Mark Zuckemberg, CEO di Meta, Crepet ha spiegato: “In USA è accaduta la stessa cosa un paio d’anni fa con Instagram. Ci fu anche un timidissimo tentativo di accuse da parte della commissione europea, del resto i suicidi non ci sono solo negli Stati Uniti. Ora, basti guardare alla copertina dell’Economist che titola ‘La morte dei social’. Ma non è proprio così”, ha voluto ribadire Crepet.
“È del tutto evidente che la morte annunciata dei social prevede la nascita di qualcos’altro, e qualcuno che ne sa di più sa che si chiama Rabbit o Human – afferma Crepet – Cioè nuove forme di device che funzionano solo con l’intelligenza artificiale, lo schermo, il palmo della mano e sono cose che sono già in vendita. Succederà che tutti i ragazzini e le ragazzine, ma forse non solo loro, useranno queste tecnologie che sono molto più invasive. L’AI pretende di conoscerti: fino a ieri facevamo delle domande e avevamo delle risposte dalla rete, oggi non è più così e lo vediamo già con la ricerca nei nostri telefonini”.Insomma, la tecnologia digitale “è un cambiamento antropologico – ha continuato Crepet – qui non parliamo di elettrodomestici, ma questi gadget o device rappresentano dei cambiamenti radicali. Su Human puoi fotografare un frutto e domandare quanto zucchero contenga. Immediatamente ti verranno detti i grammi di zucchero che ci sono per poi però sentirti dire che quella quantità è troppa per il tuo organismo e non puoi mangiarlo. Allora la domanda è: ma la trasgressione dove finirà? Diventeremo tutti normali, non ci sarà neanche più carnevale”.L’irruzione dell’Intelligenza artificiale nella nostra vita rischia di atrofizzare la creatività? “L’arte, da che mondo e mondo strabilia non replica. Se tu fai quello che hanno fatto gli altri un po’ meglio, non si chiama arte. Ad esempio, in meno di un minuto si può scrivere una canzone, testo e musica, per Sanremo. Arriveremo al Festival di Sanremo Orwelliano”, ha concluso Crepet.

Archivio de__IL TEMPO

 

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Se l’Intelligenza artificiale abolisce la storia,la realtà e la poesia…

 

 

Grazie all’Intelligenza artificiale la realtà è stata abolita, la creatività è stata sostituita. Se non ci credete ascoltate queste due storie.
Dunque, c’era una volta la fotografia, che documentava la realtà. Non potevi negare la verità, c’è la foto che attesta il vero.
Ma un bel giorno un fotografo di New York, Philip Toledano, ha commissionato un miracolo all’Intelligenza artificiale. Ha fatto realizzare per un festival intitolato We are at war, a Deauville, in Normandia i provini favolosi in cui Robert Capa, il famoso fotografo, documentava il D day, il giorno del mitico sbarco in Normandia. Sembrava tutto vero, le immagini, le facce, i telegrammi. E invece niente era vero, tutto era frutto di una ricostruzione fittizia di situazioni e materiali. Puro illusionismo, opera di digitazione sullo smartphone, col supporto dell’IA, anzi prestidigitazione, come fanno appunto i maghi, i prestigiatori. Toledano annuncia: l’idea della fotografia come verità è perduta per sempre. Novità assoluta o ritorno indietro, all’epoca che precede la fotografia quando il racconto, la raffigurazione mitica, pittorica, la testimonianza orale tramandata dovevano comprovare un avvenimento, senza nessuna certificazione inconfutabile. Siamo al surrealismo storico, dice il fotografo creativo. D’ora in poi le immagini non attesteranno più la realtà delle cose, sono malleabili. D’altra parte sono tristemente note le manipolazioni che avvengono sul web, nei social, di volti e corpi, spesso di minorenni, che vengono usati in scene erotiche false.
Diventa difficile anche il compito di vigilanza della polizia postale, perché le immagini passano di mano in mano e possono essere rimodificate, stravolte strada facendo, fino a perdere le tracce a cui risalire.
Ma tornando alle foto falsamente storiche: un altro colpo letale alla memoria storica, alla verità dei fatti. Come già accadeva nei regimi totalitari – Stalin faceva sparire dalle foto personaggi del regime caduti in disgrazia ed eliminati fisicamente – o come accade nelle manipolazioni odierne dei servizi segreti e della disinformazia cinetelevisiva, oggi chiunque può manipolare la realtà storica e mescolare eventi accaduti con falsificazioni. Il fotografo si esalta per questa possibilità di cancellare la realtà o modificarla a proprio piacimento. Si può rovesciare la realtà, dice Toledano, entrare in luoghi inaccessibili, vedere cose che nessuno ha mai visto e mai avrebbe potuto vedere. “L’Intelligenza Artificiale è incredibilmente flessibile, può essere come un sogno o una poesia”. Si, bello, ma la realtà non lo è, la verità nemmeno. Dovremmo esultare perché la realtà viene cancellata?
A proposito di poesia, l’Intelligenza Artificiale riesce pure a simulare l’ispirazione lirica, il genio poetico. La rivista Scientific Report ha reso noto una ricerca compiuta da un team di ricercatori dell’Universo di Pittsburgh: è stato sottoposto a un vasto campione di 1600 persone un repertorio mescolato di cinque poesie scritte da grandi poeti, da Shakespeare in giù, a cinque poesie scritte da ChatGpt. Lo scopo era dimostrare che i lettori non si accorgono della differenza, non sanno distinguere il vero dal falso. E naturalmente l’esperimento è riuscito. Ma l’inganno è doppio. Non solo quello dichiarato di versi scritti dal poeta e di versi scritti dall’IA. Ma il vero inganno è la falsa creatività della macchina: ChatGpt genera tramite algoritmi testi che assemblano brani provenienti da un immenso magazzino dati. Pescano versi nel mare magnum dell’universo poetico, non c’è alcuna ispirazione creativa.
Operazione matematica priva di intelligenza, assemblaggio di alta precisione tecnologica, non ispirato da vena lirica e creativa. Non c’è nessun poeta commosso dietro quei versi, anche se non si può escludere che possano produrre emozione e commozione in chi li legge.
Abbiamo raccontato due storie parallele o forse convergenti, in cui avviene una cosa e accadono tre conseguenze. La premessa è che si perdono i confini tra il vero e il falso, tra l’autentico e il finto, tra il reale e l’inventato. L’utente non sa più distinguere tra i due ambiti, è tutto in balia dell’Intelligenza Artificiale. Le conseguenze che ne derivano sono di tre tipi. La prima: la realtà, la storia, i fatti possono essere sostituiti. La seconda: la creatività, l’ispirazione poetica, il genio, possono essere sostituiti. La terza: l’uomo, come la storia e come la poesia, è superfluo, può essere sostituito. Dobbiamo gioire o preoccuparci di tutto questo, festeggiare o spaventarci, esaltarci o deprimerci? È un progresso per l’umanità o una catastrofe?
Lasciate che io lo consideri d’istinto o di primo acchito più una sconfitta che una conquista, più un fallimento che un progresso. Poi mi ricompongo, metto da parte lo spirito apocalittico e provo a ragionare. L’Intelligenza Artificiale è preziosa in molti campi, a volte ci fa vivere meglio, espande le nostre possibilità di vita e di conoscenza. Però, a tre condizioni. La prima è che si possa distinguere il vero dal falso, la poesia dal tarocco, il poeta dal robot; ovvero che ci siano ancora i mezzi per separare gli uni dagli altri fino a renderli riconoscibili. La seconda è che si possa controbilanciare la potenza della tecnologia con un sapere critico, un’intelligenza a misura d’uomo, una cultura in grado di compensare la crescita della IA e l’uomo possa orientare, filtrare, governare, dirigere la Tecnica senza esserne diretto. La terza è che l’espansione dell’IA artificiale si possa fermare quando diventa inquietante e pericolosa per l’umanità e per il mondo. L’uomo cavalchi la tigre se non vuol esserne trascinato e infine travolto

 

Il Il cromosoma Y sta davvero scomparendo? Sembra di sì, ma facciamo chiarezza

A quanto pare è probabile che il cromosoma Y, fondamentale per determinare lo sviluppo del sesso biologico maschile nella nostra specie, stia esaurendo il suo tempo, ed è prevista una sua estinzione entro i 10 milioni di anni. Questo a causa del fatto che questo cromosoma continua a rimpicciolirsi e che le zone attive e realmente utili sono davvero pochissime. Per intenderci, negli umani il sesso maschile è stabilito dalla presenza di un cromosoma X e di un cromosoma Y, mentre il sesso femminile dalla presenza di due cromosomi X. Il cromosoma Y si sta estinguendo probabilmente perché non può avere una grande ricombinazione (scambio di materiale genetico) con il cromosoma X a cui è accoppiato e di conseguenza colleziona sequenze geniche inutili che successivamente vengono degradate. Se inizialmente (166 milioni di anni fa) il cromosoma Y contava quasi 1700 geni, oggi ne contiene appena 45. Inoltre si trova in un ambiente inospitale, i testicoli, con l’ampia possibilità di subire problematiche di mutazione o di non essere trasmesso se la persona decide di non avere figli. Questo non vuol dire l’estinzione del genere di sesso maschile, poiché ci sono già stati casi di altre specie in cui gli esemplari maschi hanno perso il cromosoma Y: hanno semplicemente attuato un’altra strategia genetica per avere lo stesso risultato.

A cosa serve il cromosoma Y ed è vero che lo stiamo perdendo?

I cromosomi sessuali sono l’unica coppia di cromosomi diversi tra loro: tutti noi abbiamo almeno un cromosoma X ereditato da nostra madre nell’ovulo fecondato, e un altro cromosoma (che può essere X o Y) portato dallo spermatozoo che va a fecondare. L’associazione di XX o XY determina il sesso del nascituro: una combinazione cromosomica XX è specifica dello sviluppo femminile e XY di quello maschile. Mentre il cromosoma X contiene molti geni e quindi molte informazioni, la Y contiene molte sequenze ripetute, e pochi geni utili: quelli che attivano la formazione per lo sviluppo dei testicoli e pochi altri.

L’esperta di scienze molecolari Jenny Graves, professoressa e genetista presso l’Istituto La Trobe, è una dei numerosi scienziati che sostengono la probabile e lenta scomparsa del cromosoma Y tra i 4,6 milioni di anni e i 10 milioni di anni. Questa ipotesi è sostenuta da diverse evidenze scientifiche, ma ancora non si possono sostenere certezze a riguardo. Attualmente il cromosoma Y ha circa 45 geni e partiva da circa 1700 geni in origine. Se l’andamento di rimpicciolimento progressivo continuasse ad essere questo, il tasso di perdita potrebbe portare all’estinzione di questo cromosoma.

Perché il cromosoma Y si sta degradando?

Tutti gli altri cromosomi, diversi da X e Y, ricombinano tra di loro, vale a dire che si scambiano delle informazioni genetiche (pezzi di cromosoma) durante la meiosi (divisione cellulare), per avere più variazione genetica ed eliminare eventuali mutazioni deleterie.

Il cromosoma Y, invece, essendo diverso per dimensioni, forma e funzione dal suo omologo X, non può ricombinare con nessun altro cromosoma, quindi tende ad accumulare mutazioni deleterie.  Può solo effettuare una specifica ricombinazione interna a sé stesso, che va a compensare un pochino la mancanza di ricombinazione tra due diversi cromosomi Y. Questo è uno dei motivi per cui il cromosoma Y si accorcia sempre di più: accumula mutazioni deleterie, ossia parti inutili che nel tempo tendono ad essere eliminate. Questa degradazione, per ora quindi, riguarda solo le zone con accumuli di mutazioni deleterie. Non è chiaro, però, se i geni del cromosoma Y possano essere in parte mantenuti permanentemente – perché sono in qualche modo “utili” – oppure c’è da considerare che un collasso completo possa essere imminente. Per esempio, la regione SRY, in particolare, potrebbe essere mantenuta e restare l’unica esistente, poiché in essa sono contenute le informazioni per lo sviluppo delle caratteristiche maschili e determina quindi il sesso. Sappiamo soltanto che abbiamo esempi in cui geni specifici maschili, tra cui anche il gene SRY, sono andati perduti in alcune specie di mammiferi. Ci sono altri motivi per cui il cromosoma Y si degrada, ed è quindi probabile che scompaia, per esempio il fatto che questo cromosoma viene trasmesso di generazione in generazione sempre e solo nei testicoli. Di fatto all’interno dei testicoli avvengono molte divisioni cellulari, poiché c’è bisogno di produrre continuamente spermatozoi. Queste numerose meiosi aumentano la probabilità di avere danni al DNA che non possono essere corretti: di conseguenza riducono le possibilità del cromosoma Y di sopravvivere e aumenta la probabilità di trasmettere una variante di Y deteriorata ai figli. Inoltre, se non si può avere una grossa ricombinazione e ci sono cromosomi Y particolarmente sani e senza danni, questi potrebbero essere persi per sempre se il portatore decide di non avere figli e quel cromosoma conseguentemente non viene ereditato.

Se scompare il cromosoma Y scompariranno anche i maschi della specie umana?

C’è da dire che, malgrado l’evidenza scientifica del rimpicciolimento del cromosoma Y, non c’è da escludere la possibilità che invece non scompaia e venga mantenuto, visto che parliamo comunque di una proiezione da qui ad almeno 4,6 milioni di anni. Ma, anche se dovesse scomparire il cromosoma Y, non è detto che scompaiano i maschi. Ci sono esempi di mammiferi (il più evidente è nel ratto giapponese del genere Tokudaia) in cui il cromosoma Y si è dissolto, ma si sono istaurati diversi meccanismi per la determinazione del sesso maschile. Molto più probabilmente, quindi, se il cromosoma Y dovesse estinguersi, si evolveranno nuovi geni determinanti il sesso, e la differenziazione dei cromosomi sessuali ricomincerà.

L’essere umano, inoltre, non è una specie partenogenetica (quel processo in cui la cellula uovo non ha bisogno dello spermatozoo per essere fecondata), quindi è difficile che possa scomparire il maschio in sé. In generale, maschi e femmine della specie umana sono più o meno nello stesso numero. Vista questa tendenza, è difficile che possa cambiare il tutto portando alla scomparsa completa dei maschi e quindi a uno sbilanciamento dei sessi. Infatti, i maschi restano pur sempre necessari per la riproduzione umana, escludendo l’approccio della clonazione

 Ilaria  Zappitelli

Quel misero 0,01 che si crede il re dell’universo…

 

 

Abbassa la cresta, Uomo. Non solo sei un puntino disperso in una briciola trascurabile dell’Universo denominata Terra. Ma anche sulla terra, tra i viventi, oltre a essere un parvenu, sei solo un infinitesimo esemplare rispetto a tutti gli esseri viventi. Se la democrazia fosse estesa a tutto il pianeta, l’umanità sarebbe una trascurabile ultraminoranza rispetto al mondo delle piante: noi umani siamo sulla terra appena lo 0,01 per cento degli esseri viventi, mentre le piante sono l’87 per cento. I funghi, da soli, ci surclassano, sono assai più numerosi di noi umani; a essere giusti non dovrebbero essere gli uomini ad andare a funghi, ma i funghi ad andare a uomini, cogliendo quelli non velenosi. Gli animali sono già più numerosi di noi, gli insetti non ne parliamo; ma anche loro rispetto alle piante sono veramente una sparuta minoranza sulla terra.

Partendo da queste considerazioni, un famoso e assai seguito studioso delle piante, Stefano Mancuso, critica la pretesa di definire l’uomo misura di tutte le cose. Ma che unità di misura siamo, il millimetro?, visto che apparteniamo a una ridicola ultraminoranza. Vero è che il filosofo sofista Protagora aggiungeva che siamo misura di tutte le cose che sono in quanto sono e di quelle che non sono per ciò che non sono; dunque stabiliva una cernita intelligente che difficilmente un fungo o una foglia sarebbero in grado di fare. Ma agli occhi dei botanici integralisti l’antropocentrismo è la pretesa arrogante di essere al centro dell’universo mentre siamo solo una virgola nell’immenso libro del creato. Anche il nostro modello di organizzazione, piramidale, gerarchico, rispondente a una pretesa razionalità, è uno spocchioso, fallimentare schemino di gran lunga inferiore rispetto ai sistemi organizzativi delle piante. Spesso siamo inconsapevoli imitatori dei sistemi vegetali; per esempio internet, sostiene Mancuso, somiglia a una rete vegetale più che a un modello antropocentrico. Le piante hanno un sistema organizzativo molto più resistente, efficace, innovativo, rivoluzionario rispetto a noi obsoleti tromboni umanocentrici. «È sempre più riconosciuto – scrive A. Bertrand – che le piante sono organismi sensibili che percepiscono, valorizzano, imparano, ricordano, risolvono problemi, prendono decisioni e comunicano». Insomma non avranno nervi né cervello, non sanno cosa sia l’intelligenza di tipo umano, ma il loro sistema organizzativo è ben più evoluto, oltre che naturalmente ecosostenibile, del “nostro”. Con una capacità di adattamento che noi uomini e bestie ce la sogniamo. Da qui l’idea, all’apparenza bislacca, di battersi per i diritti delle piante e di riconoscere dignità alle piante. Già l’età dei diritti umani fu superata con l’estensione dei diritti agli animali. Ora è maturo il tempo di riconoscere i diritti del regno vegetale. A quando l’allargamento dei diritti al regno minerale? Sarebbe una “pietra miliare” per una nuova civiltà giuridica che parifica uomini, bestie, piante e sassi e riconosce pari dignità alle persone come alle foglie e alle rocce.

Mancuso cerca il consenso degli stessi umani, rilevando che noi dobbiamo la nostra vita alle piante, grazie all’ossigeno, al cibo e alle fibre biodegradabili di cui ci riforniscono. Quindi passare dalla parte delle piante non è un modo per piantare l’uomo ma fa anche l’interesse degli stessi uomini che vivono grazie alle piante. Nella sua esagerazione l’apologia botanica ha tuttavia qualcosa di buono e perfino di utile: genera una maggiore sensibilità nei confronti del pianeta, dell’aria, dell’ambiente, del verde e dunque una conseguente attenzione nei confronti del loro e del nostro eco-sistema.

Ma come sappiamo, tutta questa campagna in favore delle piante si inserisce nel nuovo spirito apocalittico della nostra epoca, che partendo dallo sconvolgimento climatico e dall’alterazione dell’ambiente, attribuito all’inquinamento prodotto dall’uomo e allo sviluppo industriale, consumistico e moderno, si spinge a considerare l’uomo il nemico principale del pianeta. E dunque la priorità, l’emergenza è salvare il pianeta dall’uomo, che è l’agente distruttore. L’utopia dei “plantocrati” è che il pianeta può salvarsi solo se l’uomo viene neutralizzato, disarmato, reso innocuo e subalterno. È possibile sognare un mondo migliore disabitato dagli uomini, salvato dalla nefasta presenza umana? Ma soprattutto è possibile per noi uomini ragionare a scapito dell’umanità? Siamo uomini, non teste di rapa…

Dal nostro piccolo, piccolissimo punto di vista umano non riusciamo a non considerare prioritaria la vita e l’intelligenza umane. Homo sum nihil a me alienum puto”, diceva Publio Terenzio Afro, ossia “Sono un essere umano, e niente di ciò ch’è umano reputo estraneo a me”. La commedia di Terenzio s’intitolava non a caso Heautontimorùmenos ovvero Il punitore di sé stesso. E l’idea che l’uomo debba mettersi nei panni delle piante, ragionare e organizzarsi come loro, prendendo a modello il regno vegetale, tanto da rinunciare al punto di vista antropocentrico, è autopunitiva, autodistruttiva, e in definitiva antiumana.

Chiedeteci di piantare più alberi in città, di rispettare le piante, amarle e studiarle, come ci insegnavano Goethe e Jünger, e da noi Ulisse Aldovrandi e Federico Cesi; ma non chiedeteci di piantare l’umanità e la sua intelligenza per mimetizzarci da vegetali. L’umanità con la sua intelligenza è schiacciata tra l’incudine dell’intelligenza artificiale e il martello dell’intelligenza vegetale. Pover’uomo, soffocato nella morsa tra la pianta e il robot.

Marcello Veneziani       

Perché quando siamo in imbarazzo arrossiamo?

Perché quando siamo in imbarazzo arrossiamo?
Da quale meccanismo cerebrale è causato il rossore sulle guance tipico dell’imbarazzo? Uno studio ha trovato la risposta (in modo un po’ sadico).

Perché quando siamo in imbarazzo arrossiamo?

Che cosa c’è di più imbarazzante di essere costretti a esibirsi in un karaoke di fronte a sconosciuti? Semplice: dover rivedere in video la propria performance canora. A queste due torture consecutive sono state esposte 60 ragazze dai 16 ai 20 anni, con un obiettivo scientifico di tutto rispetto: scoprire come mai l’imbarazzo ci fa arrossire.

Gote rosse per l’imbarazzo: due ipotesi principali
Finora erano due, per gli psicologi, le possibili spiegazioni del rossore per la vergogna, che nel 1872 Charles Darwin definì “la più peculiare e umana tra tutte le espressioni emotive”. Secondo alcuni arrossiamo quando consideriamo quello che devono aver pensato, di noi, gli altri; la seconda ipotesi collega più semplicemente il rossore alla sensazione di essere esposti, al centro della scena. Il nuovo studio, pubblicato su Proceedings of the Royal Society B, avvalora quest’ultima ipotesi: la reazione sarebbe collegabile a un aumentato – e immediato – senso di autoconsapevolezza, e non a elaborazioni più complesse sul giudizio altrui.

Dopo aver pubblicato un annuncio generico di ricerca di volontari per un “compito sociale” e un esperimento che includeva la visione di filmati sotto scansione cerebrale, i ricercatori dell’Università di Amsterdam (Paesi Bassi) hanno ricevuto la disponibilità di decine di volontarie femmine (e solo due maschi: da qui la decisione di limitarsi a un campione al femminile).
Le partecipanti sono state invitate a sorpresa a esibirsi in un karaoke con solo quattro canzoni disponibili: Let It go (di Elsa di Arendelle), Hello di Adele, All I Want For Christmas Is You (Mariah Carey) e All The Things She Said delle t.A.T.u.. Le canzoni sono state scelte apposta per richiedere virtuosismi e provocare imbarazzo. Oltretutto, le esibizioni delle giovani volontarie sono state filmate.
Dopo una settimana, le partecipanti sono state invitate in laboratorio per guardare i video delle performance proprie o altrui mentre la loro attività cerebrale veniva studiata in risonanza magnetica funzionale (fMRI). Per provocare maggiore imbarazzo, è stato comunicato loro che le altre volontarie stavano guardando i loro video canori.
Le scansioni cerebrali hanno smentito Darwin, evidenziando che il rossore per l’imbarazzo andava di pari passo con una maggiore attività nel cervelletto, una regione collegata all’arousal, un’attivazione fisiologica legata anche alle emozioni. Si sono attivate anche aree della corteccia visiva, perché le volontarie stavano prestando molta attenzione alla loro performance. Nessuna attivazione è stata invece notata nelle regioni implicate nel lavoro di mentalizzazione, cioè nell’immaginare che cosa stanno pensando gli altri.
Se dal punto di vista fisiologico il rossore è provocato dall’aumento dell’afflusso di sangue alle guance (o alle orecchie, o al collo), in termini psicologici sembra dunque che si arrossisca perché ci si sente maggiormente esposti, “osservati”, e non perché si immagina il giudizio degli altri su di noi. L’ipotesi andrà comunque confermata su una popolazione più variegata di quella scelta per lo studio.

Da__FOCUS   

Sono il tuo corpo…

 

Sono il tuo CORPO, e mi rivolgo a te.

Sono così come tu mi pensi; ti prego, pensa che io sia bello; lo sarò.

Quando pensi alle malattie e le cerchi in me… sono costretto ad obbedire e m’ammalo.

Quando hai molti pensieri negativi, m’ammalo, perché stai sperperando per questi pensieri la forza vitale.

Quando gioisci, ringiovanisco e fiorisco.

Le mie risorse sono tante. Credi in me, posso guarire anche quando i medici emetteranno una sentenza della fine. Aiutami semplicemente con la tua fiducia in me.

Sono fatto per funzionare per tantissimi anni; perché inizi a pensare alla vecchiaia già a 35-40 anni? Perché credete che i 100 anni sia un limite?

Quando vuoi mangiare qualcosa, chiedimelo se ne ho bisogno. Se imparerai a sentirmi, ti risponderò.

Sulla bellezza. Non riempirmi di vari integratori, botox, gel, silicone… posso essere bello anche senza questa roba, aiutami solo, e assumerò le forme che vorrai tu.

Mi piace passeggiare, nuotare, correre, ballare, mi piace il massaggio, il sesso. Mi piacciono le occupazioni che ti portano gioia.

Stare tutto il giorno davanti al computer o la Tv… non troppo.

Ti credo molto. Se tu credi di ingrassare perché hai mangiato un pezzo di torta, realizzerò il tuo pensiero e ingrasserò.

Ti amo molto. Mi piacerebbe sentire da te delle parole d’amore e di gratitudine. Almeno qualche volta. Ma se non lo farai… ti amo lo stesso.. incondizionatamente.

Sono io, il tuo corpo… il tuo Universo. Anche tu sei una particella dell’immenso universo.

Ti ringrazio.. esisto perché tu lo hai voluto. E sono così come mi vuoi vedere. Aiutiamoci!

Francesco Oliviero

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Curiosità sullo zafferano, per chi lo ama nel risotto alla milanese o in altre gustose ricette , sia italiane, che esotiche-

Passeggiando nel corridoio delle spezie di un negozio di alimentari nel 2024, una selezione si distingue tra gli altri: lo zafferano. A Whole Foods, 0.5g di “Hand-Harvested Saffron Threads” vende per $ 8. In altre parole, è costoso. E ‘costoso anche su internet: un sito web offre solo dieci cucchiai (dieci grammi) di zafferano per $ 120.
L’ironia dello zafferano è che tutto lo zafferano deve essere raccolto a mano dalla pianta Crocus sativus, un fiore che fiorisce petali viola e blu in autunno. Lo zafferano è costoso non perché sia difficile da coltivare, ma a causa del lavoro e dei tempi noiosi necessari per estrarlo dal fiore. Le pregiate “stimmate” rossastre-arancioni si formano al centro della pianta poche settimane dopo la fioritura, e devono essere raccolte a metà mattina, quando il fiore è completamente aperto al sole. Un sito web di giardinaggio descrive il processo di raccolta dello zafferano come qualcosa che dovrebbe essere fatto con pinzette a un tavolo da cucina. Per secoli, lo zafferano è stato un prezioso colorante, spezie e profumo e il processo di raccolta non è cambiato molto. Secondo uno studio neozelandese in un campo con moderne routine di semina e fertilizzazione, ci vogliono tra 70.000 e 200.000 fiori per produrre un chilogrammo di fili di zafferano essiccati. I fiori devono essere raccolti a mano e gli stimmi rimossi per l’essiccazione, e il risultato è che ci vogliono “circa 370-470 ore di lavoro per produrre 1 kg di zafferano secco.”
Il Crocus sativus era derivato dal Crocus cartwrightianus, probabilmente originario dell’attuale Iran. Lo zafferano che conosciamo oggi dariva dal lavoro di esseri umani “selezionando gli esemplari con stigmi eccezionalmente lunghi.” Crocus sativus è sterile e non produce i propri semi fertili. Pertanto, gli esseri umani devono dissotterrare i cormi (radici e steli riproduttivi sotterranei) e piantarli altrove.

Il commercio internazionale portò lo zafferano dall’attuale Medio Oriente e Mediterraneo in Spagna, dove fu probabilmente introdotto per la coltivazione nel 921. Centinaia di anni dopo, lo zafferano poteva essere trovato ovunque dai campi dell’Inghilterra alla Russia.
Uno dei primi riferimenti allo zafferano risale al 2300 a.C., in La leggenda di Sargon di Akkad, un’opera mesopotamica che descrive il luogo di nascita del fondatore dell’impero accadico come “città dello zafferano.” La parola “zafferano” è molto simile in molte lingue in tutto il mondo. Gli etimologi fanno risalire la parola al latino medievale “safranum”, che deriva dalla parola araba az-za’Faran.
Nel 2022, abbinando arte antica e genetica, nuove ricerche pubblicate su Frontiers dimostrarono che il Crocus sativus diventò di uso comune per la prima volta in Grecia nel 1700 a.C. Molte antiche opere d’arte minoiche raffigurano lo zafferano, tra cui l’affresco di scimmie blu raccogliendo zafferano sotto.

.Il Crocus sativus è noto soprattutto per le sue proprietà culinarie. E ‘il sapore pietra angolare in molti piatti da tutto il mondo, che vanno dalla paella al biryani. Alcuni chef descrivono lo zafferano come degustazione “leggermente terroso e dolce,” mentre emana un “aroma affumicato.”Ma lo zafferano è anche apprezzato per il suo valore medicinale e aromatico. Allo zafferano in piccole dosi è stato precedentemente attribuita  proprietà sedative, espettoranti, stimolanti, stomachiche, antispasmodiche, antiisteriche e afrodisiache ed è stato prescritto anche in febbre, melanconia e ingrossamento della milza. In alcuni casi, è stato anche usato come abortivo.

Lo zafferano può essere utilizzato anche per tingere capi di abbigliamento o pelle. Per gli indù, lo zafferano è uno dei colori più sacri, ed è talvolta “applicato come un colorante rosso sulla fronte,” scrivere Madan et al. A Roma, spiegare Basker e Negbi, “è stato utilizzato per colorare la veste del matrimonio.” Anche i monaci buddisti indossano notoriamente abiti del colore dello zafferano, anche se le vesti non sono tinte con la pianta.

Linea colorata incisione dello zafferano di C.H. Hemrich, dopo T. Sheldrake

I fiori di Crocus sativus fioriscono in autunno per pochi giorni e devono essere raccolti nelle prime ore del mattino, a mano. La natura laboriosa della raccolta ha creato un mercato in cui lo zafferano è molto più costoso di molte altre spezie popolari. Come spiega l’archeologo Jo Day, “la casa reale della Navarra del XV secolo, ad esempio, pagava otto volte tanto lo zafferano quanto il pepe, anch’esso una spezia molto costosa…”

Oggi, la maggior parte dello zafferano è coltivato in paesi in cui i lavoratori sono pagati meno rispetto ai loro omologhi dell’Europa occidentale. I produttori principali sono l’Iran, l’India e la Grecia. Il prezzo di lusso dello zafferano ha anche stimolato tentativi di farlo crescere negli Stati Uniti.

Una fattoria di zafferano, Torbat heydariyeh, provincia di Razavi Khorasan, Iran via Wikimedia Commons

Lo zafferano non è una pianta molto resistente al clima. Anche se resistente all’acqua e quindi fiorente nelle regioni semi-aride, diventa difficile coltivarla quando ci sono temperature altissime per lungo tempo, poiché lo zafferano potrebbe impiegare più tempo per fiorire, ritardando così il guadagno per molti piccoli agricoltori ,che si affidano a queste piccole piante per vivere La necessità di una diversificazione economica può essere alla base dei recenti sforzi  dei coltivatori di zafferano , atti ad offrire opportunità al turismo.

Nuova teoria sui buchi neri: materia attratta, ma non divorata-

 

I buchi neri attraggono la materia, ma senza divorarla completamente, lasciandola ruotare all’esterno in un vortice di frammenti. Questa nuova visione dei buchi neri rivoluziona l’immagine tradizionale di questi enigmatici oggetti cosmici. Nonostante la loro gravità eserciti una potente attrazione sulla materia, quest’ultima non riesce a penetrare al loro interno poiché il concetto di tempo, come lo conosciamo, non esiste al loro interno. Questa innovativa immagine dei buchi neri emerge dalla ricerca pubblicata sulla rivista Physical Review D da Salvatore Capozziello ed Emmanuele Battista del dipartimento di Fisica “E. Pancini” dell’Università Federico II di Napoli, e Silvia De Bianchi del dipartimento di Filosofia “Piero Martinetti” dell’Università Statale di Milano. “Nella teoria della Relatività generale esiste il problema delle singolarità“, ha dichiarato Capozziello all’ANSA. “Buchi neri e Big Bang sono situazioni estreme in cui si perde la cognizione della fisica come la conosciamo e, con essa, la concezione del tempo come parametro che descrive normalmente passato, presente e futuro“. Questo “è un cruccio da decenni, a cominciare da Einstein“.

Per investigare gli effetti dell’avvicinamento a un buco nero, i ricercatori hanno impiegato, alla luce della teoria di Einstein, le stesse coordinate fisiche utilizzate nello studio delle onde gravitazionali. “Ci siamo accorti che quando si cade verso un buco nero la velocità si riduce a zero, la curvatura diventa finita (non infinita come in presenza di singolarità) ed è impossibile entrare in esso“, ha proseguito Capozziello. Si verifica il fenomeno che i tre fisici, in particolare De Bianchi, chiamano ‘atemporalità’: “Se oltre l’orizzonte degli eventi il tempo diventa immaginario, non è più possibile trattare il buco nero come un sistema dinamico e non è possibile, per un qualsiasi oggetto fisico, entrare in esso“. Di conseguenza la materia, pur se attratta dalla gravità del buco nero, non riesce a entrare al suo interno e finisce per accumularsi intorno ad esso.

Filomena Fotia

buchi-neri

La mappa di un millimetro cubo di cervello umano, per la prima volta: «Una complessità mai vista prima»

Ricercatori di Google e neuroscienziati dell’Università di Harvard hanno combinato l’imaging cerebrale con l’intelligenza artificiale, ricostruendo le cellule e le connessioni in un tessuto grande quanto mezzo chicco di riso

Un millimetro cubo di cervello mappato con dettagli spettacolari

Neuroni in un frammento di corteccia cerebrale (credit: Google Research & Lichtman Lab, Università di Harvard; rendering di D. Berger, Università di Harvard

Potrebbe sembrare un prato fiorito, un paesaggio onirico. Ma anche un’opera d’arte estremamente complessa. E in fondo l’immagine qui sopra è davvero un’opera d’arte incredibile: si tratta di un millimetro cubo di cervello umano ingrandito all’inverosimile.

Mezzo chicco di riso

Il lavoro è di un team congiunto di ricercatori di Google e neuroscienziati dell’Università di Harvard, che hanno combinato l’imaging cerebrale con l’elaborazione e l’analisi delle immagini basate sull’intelligenza artificiale, ricostruendo le cellule e le connessioni all’interno di un volume di tessuto cerebrale grande quanto mezzo chicco di riso. È una visione senza precedenti del cervello umano, che potrebbe aiutare a comprendere meglio i disturbi neurologici e a rispondere a domande fondamentali sul funzionamento della nostra «materia grigia». Le sei immagini ottenute dai ricercatori, pubblicare su Science e Nature, sono state messe a disposizione della comunità scientifica.

Oltre 50mila cellule

La mappa 3D copre un milionesimo di un cervello e contiene circa 50mila cellule e 150 milioni di sinapsi, le connessioni tra i neuroni. Il frammento è stato prelevato da una donna di 45 anni durante un intervento chirurgico per curare l’epilessia. Proviene dalla corteccia, un’area coinvolta nell’apprendimento, nella risoluzione dei problemi e nell’elaborazione dei segnali sensoriali. Il campione è stato immerso in conservanti e colorato con metalli pesanti, per rendere le cellule più visibili.

Una foresta intricata e misteriosa: ecco come si presenta un millimetro cubo di cervello umano

Un neurone (bianco) con 5.600 assoni (prolungamenti che trasmettono i segnali nervosi, in blu). In verde le sinapsi, cioè le connessioni tra i neuroni (credit: Google Research & Lichtman Lab, Università di Harvard; rendering di D. Berger, Università di Harvard)

Intelligenza artificiale

Jeff Lichtman, neuroscienziato dell’Università di Harvard (Cambridge, Massachusetts) e i suoi colleghi hanno tagliato il campione in circa 5mila fette – ognuna dello spessore di 34 nanometri – che sono state poi fotografate con microscopi elettronici. Il team di Viren Jain, neuroscienziato di Google a Mountain View (California), ha quindi messo a punto modelli di intelligenza artificiale in grado di «ricucire» le immagini al microscopio per ricostruire l’intero campione in 3D. «Ricordo il momento in cui sono entrato nella mappa e ho guardato una sinapsi del cervello di questa donna, per poi zoomare su altri milioni di pixel – ha raccontato Jain -. È stata una specie di sensazione spirituale».

Una foresta intricata e misteriosa: ecco come si presenta un millimetro cubo di cervello umano

La corteccia cerebrale ha sei strati, visibili in questa immagine (credit: Google Research & Lichtman Lab, Università di Harvard; rendering di D. Berger, Università di Harvard)

Una estrema complessità

Esaminando il modello in dettaglio, i ricercatori hanno scoperto alcuni neuroni «annodati» su sé stessi e altri in grado di creare fino a 50 connessioni tra loro. «In generale, tra due neuroni si trovano al massimo un paio di connessioni – ha spiegato Jain -. Nessuno aveva mai visto niente del genere prima d’ora. È quasi un po’ umiliante: come potremo mai fare i conti con tutta questa complessità?». Il team ha inoltre individuato coppie di neuroni che formano immagini speculari. «Abbiamo trovato due gruppi che inviavano i loro dendriti (ramificazioni dei neuroni, ndr) in direzioni diverse e a volte c’era una sorta di simmetria» ha aggiunto lo scienziato.

Una foresta intricata e misteriosa: ecco come si presenta un millimetro cubo di cervello umano

Un neurone (bianco) riceve segnali dagli assoni che possono «dirgli» di accendersi (in verde) e quelli che possono «dirgli» di non farlo, in blu (credit: Google Research & Lichtman Lab, Università di Harvard; rendering di D. Berger, Università di Harvard)

La mappa del cervello

La mappa è molto complessa e per la maggior parte deve ancora essere esaminata: potrebbe contenere errori creati dal processo di «cucitura» delle singole immagini. «Molte parti sono state “corrette”, ma ovviamente si tratta di pochi punti percentuali i punti percentuali rispetto alle 50mila cellule presenti» ha ammesso Jain. L’équipe ha in programma di produrre mappe simili su campioni di cervello di altre persone, ma è improbabile che nei prossimi decenni si riesca a ottenere una mappa dell’intero cervello umano.

 Laura Cuppini