La liberazione dall’inganno…

 

Ricavato da un pezzo unico di marmo, questa scultura rappresenta un pescatore liberato da un angelo da un intrico di reti, allegoria dell’uomo liberato dai suoi peccati. Questo lavoro era così intricato che, nel 18mo secolo il filosofo Giangiuseppe  Origlia lo descriveva come” l’ultimo e più impegnativo test al quale potesse aspirare uno scultore di marmo”.
Queirolo lavorò a questa grande opera da solo, senza nemmeno un assistente o un laboratorio. Addirittura altri scultori si rifiutarono di toccare il lavoro così delicato , per paura che si rompesse nelle loro mani.

Questo capolavoro si trova alla Cappella di Sansevero a Napoli, insieme ad altri miracoli in marmo. nfatti si trovano anche “Il Cristo Velato”(1753) di Giuseppe  Sanmartino e “La verità celata”(1750) di Antonio  Corradini-

Francesco Queirolo (1752-1759)

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La censura che avanza… strisciando piano piano..

 

Non varcate questa porta se…”. Giordano Bruno  Guerri lo ha fatto scrivere all’ingresso della mostra “I Censurati. Nudo e censura nell’arte italiana d’oggi”, da me ideata, da Adele Barbetta sponsorizzata, dal Vittoriale ospitata, da Liberi libri catalogata. Non varcate la porta di Villa Mirabella (sede della mostra, a pochi metri dalla Prioria dannunziana) se temete i nudi dei migliori artisti italiani viventi, i quadri censurati dai social che per un capezzolo olio su tela succede che blocchino, sospendano o comunque boicottino i profili colpevoli di tanta audacia. Danneggiando l’artista e dirigendo il corso dell’arte verso un neopuritanesimo  di stampo americano e pure un po’ cinese. Le porte e il loro saggio utilizzo sono la migliore alternativa alla censura. Ti attira? Entra. Ti infastidisce? Rimani fuori. La porta non è un muro ma non è nemmeno un buco: è lo strumento della libertà di scelta. “All’arte appartengono il segreto e il nascosto” ha scritto il filosofo Byung-Chul Han, contrario alla “società della trasparenza”, un mondo senza scampo e senza porte dove su ogni intimo gesto, su ogni intimo gusto incombe il linciaggio universale. La porta sia riconosciuta come un diritto dell’uomo.

Camillo Langone

censurati

Come il tempo condiziona il pensiero…

 

ragazza

In un quadro del 1860 di Ferdinand Georg Waldmüller viene ritratta una giovane donna che passeggia in un paesaggio bucolico, tenendo tra le mani quello che a un primo sguardo sembra proprio essere… un cellulare.È un mistero che ritorna di moda periodicamente, ma fa sempre scalpore.

Gli amanti della fantascienza ,che di questa vivono,hanno visto subito la prova di una viaggiatrice nel tempo, anche se fin troppo integrata nell’epoca , mentre c’è chi invece ha provveduto a dare una spiegazione storico-culturale, rivelando la vera natura dell’oggetto tenuto tra le mani dalla ragazza.
Come hanno fatto notare diversi critici d’arte, i viaggi nel tempo non c’entrano: la ragazza avrebbe tra le mani un libro di preghiere o, secondo l’account Twitter The Daily News Opinion, una piccola Bibbia, in una versione molto diffusa a metà Ottocento grande quanto il palmo di una mano.

Non è la prima volta che scoviamo (presunti) viaggiatori nel tempo in quadri antichi: un altro esempio è il dipinto del 1937 dell’artista italiano Umberto Romano, Mr. Pynchon and the settling of Springfield , dove uno dei personaggi sembra osservare uno smartphone – che in realtà è probabilmente un semplice specchio.

pinc. Romano

Ciò che ha maggiormente stupito Peter Russell, il funzionario governativo in pensione che per primo, nel 2017, notò lo strano oggetto sul dipinto di Waldmüller, è come il contesto in cui viviamo influisca sulla nostra capacità di interpretare ciò che vediamo: “Nel 1860 qualunque osservatore avrebbe identificato nell’oggetto che la ragazza ha tre le mani un libro di preghiere: oggi, tutti vediamo una giovane donna assorbita dalle notifiche del suo smartphone”. Infatti la figura del dipinto riflette ,come uno specchio, milioni di donne per le strade del mondo civilizzato.

  Da Focus

 

Un mandorlo in fiore, opera tra le più gioiose di Vincent van Gogh…

 

 Mentre a Milano arriva la più grande mostra interattiva dedicata a Van Gogh, che farà la gioia degli appassionati di Van Gogh, ma soprattutto delle nuove tecnologie quali la realtà virtuale, quella aumentata, racconto questo dipinto di Vincent van Gogh , nella sua semplice realtà bidimensionale, in cui veramente scopri l’artista per quello che è secondo la sensibilità artistica ed emotiva di chi guarda.

mandorlo in fiore

Mandorlo in fiore___Vincent van Gogh

Van Gogh visse con entusiasmo la più produttiva era della sua carriera proprio nel Sud della Francia, che, con riferimento ad Arles, definiva “il Giappone del Sud, per la sua abbondanza di solarità e di alberi che fioriscono. Arrivò la prima volta nel marzo del 1888, mentre gli alberi da frutta stavano per sbocciare, ed immediatamente iniziò a dipingere un mandorlo, senza pensarci due volte e di questo disse:” Mi sono isolato da tutto e da tutti perchè gli alberi sono in fiore e io voglio dipingere questa atmosfera provenzale di attonita gaiezza.” Questo particolare dipinto, il più famoso tra i diversi mandorli, che portano la sua firma, è stato creato anche per un altro motivo speciale. Era nata, infatti, sua nipote, la figlia del suo amato fratello Theo. E’ uno dei rarissimi dipinti di Van Gogh che mostra speranza, gioia e serenità. Tutto questo fa di quest’opera, il più speciale tra i suoi dipinti.

Per le strade della città…

 

L’arte di esibirsi in strada per fare spettacolo è molto antica. Si comprende col fatto che l’uomo sia amante dell’allegria e del divertimento, per natura abbia sempre amato il gioco privato o come esibizione. Per moltissimi secoli questi personaggi girovaghi vivevano delle loro esibizioni, unica forma di intrattenimento per il pubblico, fino all’avvento del cinema e della televisione, fino ai moltissimi modi di oggi per essere presenti e mostrarsi ovunque. Non c’era festa di paese dove non si potesse godere di questo divertimento. Ancora oggi se ne incontrano parecchi, specialmente nelle grandi città dove ogni luogo di grande transito possa essere buono.Spesso capita anche di potere osservare,o ascoltare artisti di tutto rispetto,che si esibiscono gratis o per qualche offerta. Non penso che siano sfaccendati, ma persone geniali, talentuose, talmente appassionate alla loro abilità da farne lo scopo del loro vivere, iniziando dal modo più semplice per arrivare al pubblico.

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Un livello di precisione tale da rasentare la magia nera. Questa artista di strada pare un incrocio tra un giocoliere e un prestigiatore. Non sono molte le persone che riescono ad affinare e unire il lavoro della mente con la perfetta coordinazione delle braccia. Non è facile dire se sia una donna o un uomo, è un individuo moderno gender donna secondo me.

 

Una pittrice un po’speciale…

 

Tamara de Lempicka è stata una pittrice polacca dallo stile Art Déco, nata a Varsavia il 16 maggio 1898.
Dopo la morte del padre, Tamara trascorre qualche anno con la nonna Clementine e insieme a lei compie il primo importantissimo viaggio in Italia, nel 1907, per poi trasferirsi a San Pietroburgo.
Nella città russa conosce e sposa un giovane avvocato, Tadeusz Lempicki, dal quale deriva il suo nome d’arte e con il quale si traferisce a Parigi nel 1918. Nella Ville Lumière Tamara frequenta l’Académie de la Grande Chaumière e nel 1922 espone per la prima volta al Salon d’Automne.

Tamara scrisse di se stessa:”Sono stata la prima donna a dipingere in maniera chiara e pulita: questo è il segreto del mio successo. Un mio quadro può essere subito riconosciuto tra altri cento…Il mio stile attirava subito l’attenzione: era chiaro, era perfetto.”
Ho incrociato questa sua opera, che non avevo mai visto e mi ha ispirato a parlare di lei.

tamara de Lempika, la domeuse1930

Tamara de Lempika__La dormeuse (1930)

Nel 1925 ottiene i primi riconoscimenti a Parigi trasformandosi in una delle icone della pittura femminile.

Tamara de Lempicka si ispira alle rotondità e le tonalità tipiche di Ingres e al post-cubismo del suo maestro Andrè Lhote. La pittrice dipinge la plasticità dei corpi creando una luce artificiale con ombre decise di influenza cubista e un gusto Art Déco riletto in chiave personale. Tamara dipige con pennellate piatte e compatte, utilizza colori accesi graduati per creare linee pure e definite. Le sue opere sono dense di erotismo e provocazione. Le donne di Tamara sono nuove veneri moderne, borghesi e altezzose, hanno la pelle avorio e sono adagiate in pose sensuali, riflettendo il clima culturale e la moda del suo tempo.

La meraviglia dei disegni di Picasso…

 

“Bisogna uccidere l’arte moderna. Questo significa che bisogna uccidere sé stessi, se si vuole continuare ad essere in condizione di fare qualcosa.”

Con questa frase scritta da Picasso al culmine del successo della sua pittura cubista, voglio raccontarvi il disegno di Pablo Picasso. Pare strano che proprio uno come lui, il più rivoluzionario nell’arte dell’inizio del novecento, dopo aver dato vita al movimento Cubista, parli di “uccidere l’arte moderna”, per ritornare a quelli che sono i più tradizionali moduli figurativi classici, ricercare nuove soluzioni innovative per evitare di ripetersi, cosa che non gli piaceva e voleva sempre essere il primo a ideare un nuovo modello di espressione.
Picasso non è solo cubismo, quest’ultimo rappresenta solo una stagione della sua opera lunghissima e instancabile; si sa che la sua formazione fu assolutamente tradizionale, che le sue abilità tecniche erano formidabili e che il suo legame con il “classico” riemerge nella sua potente seduzione, in tutti i momenti di svolta nella carriera dell’artista.

Oltre a essere un pittore, scultore e ceramista, Picasso esprime con massima efficacia la sua forza creativa attraverso il disegno e l’incisione, ovvero in quelle tecniche nelle quali la sua mano e il suo segno sono liberi e immediati. Ancora oggi si trovano in vendita centinaia di disegni di Picasso, frutto di una produzione talmente vasta e originale da sembrare infinita; Picasso disegnava continuamente e aveva raggiunto con il suo segno una tale sicurezza da riuscire a dare vita, con una sola linea, a figure eleganti e compiute, come pochi altri artisti sono mai stati in grado di fare. Un segno essenziale, preciso, asciutto e pulito che si curva e si modula senza nessuna esitazione.
Si tratta di una linea-spazio che definisce una forma chiusa precisa e compatta, da scultore, che si fa perimetro, senza esitazione alcuna. Grande attenzione è posta anche sulla composizione del disegno; le forme sono in relazione fra loro attraverso un equilibrio perfetto.
Nel disegno con materie grasse e friabili quali la grafite e le matite o con tecniche elastiche ed umide come la penna , il bistro o l’inchiostro, la sua linea disegnativa, così simile a quella di Ingres, è la sintesi dello sdoppiamento che ciascun artista vive tra realtà e anima, un segno fluido che si muove alla ricerca del linguaggio perfetto per dare forma e far vivere ciò che l’animo vive.
Infatti “Il disegno non è la forma, ma il modo di vedere la forma” scriveva Picasso.

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La Danza___Pablo Picasso

 

La femminilità tra gli impressionisti…

 

Berthe Morisot nasce nel 1841 in Francia in una famiglia borghese. Il padre è un funzionario statale, la madre la pronipote del pittore Jean-Honoré Fragonard. A dieci anni, insieme alle due sorelle e al fratello, Morisot si trasferisce a Parigi, dove entra in contatto con un ambiente culturale in fermento, grazie anche ai genitori che rendono la propria abitazione un ritrovo di artisti.

In quegli anni le accademie erano ancora precluse alle donne, per questo i genitori di Morisot realizzano per le figlie un atelier casalingo dove far loro prendere lezioni di pittura .Nonostante lo studio dei grandi classici della pittura, Berthe Morisot dimostra un’insofferenza verso le convenzioni e le tecniche classiche. Per questo motivo grazie a conoscenze riesce ad inserirsi nell’atelier di Jean-Baptiste Camille Corot. Questi la spinge a dipingere en plein air e, in questo periodo, Morisot entra in contatto con  i grandi artisti dell’epoca .Nel 1868 Berthe Morisot conosce Manet, con il quale instaura una profonda amicizia.
I due artisti si influenzano a vicenda nello stile e Manet la sceglie anche come musa per alcuni dei suoi quadri.Qualcuno parla di una relazione tra i due, ma Manet è sposato e qualche anno dopo averlo conosciuto, Morisot sposa il fratello, Eugène Manet.Dopo il matrimonio, con il marito Morisot trasforma la propria casa in un ritrovo per intellettuali, dove vengono invitati anche artisti come Zola, Mallarmè, Rossini, Renoir, Daumier, Monet e Degas, e non smette mai di dipingere e sperimentare anche con altri artisti e nel 1873 si associa al movimento dell’Impressionismo, fondando con Monet, Pissarro, Sisley, Degas, Renoir e altri artisti la Società anonima degli artisti, pittori, scultori, incisori, ecc. Dopo una prima mostra in cui non viene accolta benevolmente nonostante le si riconosca talento e bravura, lei non si scoraggia e continua a dipingere ed a esporre fino a diventare una degli esponenti di spicco del movimento. Dopo di lei, al movimento impressionista si aggiungono le artiste Marie Bracquemond, Eva Gonzales e Mary Cassatt.I suoi lavori hanno spesso come protagonisti donne e bambini, in particolare sua figlia Julie Morisot, e nonostante Manet le suggerisca di utilizzare prevalentemente il nero, utilizza sempre colori chiari e pennellate veloci e leggere, tutti elementi caratteristici dell’impressionismo ,realizzando bozzetti preparatori e focalizzandosi sulle espressioni e sulle emozioni dei soggetti ritratti nelle sue opere. Berthe Morisot muore improvvisamente a soli 54 anni, nel 1895, a causa di una polmonite. Sebbene in vita il suo talento sia stato universalmente riconosciuto, lo stesso non avviene dopo la morte. Sulla sua lapide nella tomba della famiglia Manet infatti viene apposta la scritta “vedova di Eugène Manet”, senza alcun riferimento alla sua carriera di artista. Anche sul certificato di morte non le viene resa giustizia, viene infatti scritto che la donna risulta senza professione.
Omaggi al talento di Berthe Morisot sono stati fatti spesso nel corso degli anni. A lei è stato dedicato un film, realizzato da Caroline Champetier e basato sull’incontro tra la pittrice e Édouard Manet. L’artista ha anche un asteroide a lei dedicato, il 6935 Morisot.

il balcone

Il mondo sottosopra: le fotografie di Philippe Ramette.

Un uomo, in un elegante abito scuro, cammina sul tronco di un albero in una bella giornata d’autunno:

01 albero

Lo stesso distinto personaggio, con la sua impeccabile giacca doppiopetto, solca il mare nei pressi della riva, mentre tutto intorno è sottosopra:

02 spiaggia

Poi, con un’invidiabile compostezza, levita a mezz’aria nel parco di una villa:

03 in aria su basamento

Oppure, senza mostrare il minimo timore, cammina sulla parete di un salotto:

04 muro

Impassibile e ben vestito, sfida non solo ogni legge di natura, ma anche il più comune buon senso.
Gli manca solo la bombetta per apparire come uno di quei surreali ometti che popolano i quadri di René Magritte.
Ma qui non siamo nell’universo fittizio della pittura: qui è tutto vero e quell’uomo che, nelle situazioni più improbabili, conserva la stessa flemma di un attore del cinema muto come Buster Keaton, è l’artista francese Philippe Ramette .
Nato nel 1961, disegnatore, scultore e fotografo, vive e lavora a Parigi. È lui che, qualche anno fa, ha avuto l’idea di giocare con se stesso e con la realtà, abolendo- per il tempo breve di uno scatto fotografico- le leggi fisica e della gravità.  Perché le sue foto non sono affatto- come si potrebbe pensare- frutto di un fotomontaggio o create con un raffinato programma al computer. Qui, come direbbe un prestigiatore: “non c’è trucco e non c’è inganno” (almeno digitale). “Sicuramente si potrebbe fare una manipolazione a computer- afferma Ramette- ma quello che mi interessa, invece, è il paradosso, è cercare di razionalizzare l’irrazionale”. Dietro le sue foto, infatti, c’è un lavoro da certosino che inizia con un album di disegni di vere e proprie sceneggiature.  Poi un gruppo di fedeli collaboratori si incarica di realizzarle, a partire dal suo complice di sempre, il fotografo Marc Domage, capace di sfruttare ogni angolazione per rendere la foto più verosimile e, allo stesso tempo, più assurda possibile. Insomma, è come la produzione di un un film, di cui Ramette è il regista.  Qui, ad esempio, come in un fotogramma bloccato, il nostro uomo in nero, sembra contemplare una città in bilico su un cornicione, in un atteggiamento che ricorda sia il protagonista di un film d’azione che l’eroe romantico di un quadro di Friederich.

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Senza mai un capello fuori posto, Ramette si sottopone a pose faticose e non esenti da rischi: in piedi o seduto, sospeso nel vuoto o nelle posizioni più strane. Niente paura! Anche se non si vede, è sostenuto da piattaforme, da anelli alle caviglie o da supporti rigidi inseriti nei vestiti e da tutta una serie di strutture o- come li definisce lui stesso- di “oggetti” che costruisce, per lo più, da solo e “che servono da punto di partenza per delle micro-finzioni”. E poi, ovviamente, non gli manca un’innegabile dose di sangue freddo. Come qui, dove, parallelamente all’acqua dell’oceano, attraversa, con la consueta impassibilità, la baia di Hong Kong, quasi fosse appoggiato alla balaustra del balcone di casa:

07 Hong Kong

Nessuno sforzo è troppo per lui, anzi è sempre pronto ad affrontare situazioni quanto meno poco confortevoli.
Come nella serie intitolata “Esplorazione razionale dei fondi marini”, dove Ramette si cimenta addirittura con delle foto realizzate in apnea, per cui ha dovuto preparare minuziosamente le sue immersioni al largo della Corsica e ha chiesto la collaborazione di un’intera squadra di sommozzatori.
Ed eccolo, mentre con l’immancabile giacca e cravatta, si orienta sott’acqua, leggendo una carta:

08 acqua legge

Oppure mentre, tranquillamente seduto, osserva il paesaggio sottomarino:

09 acqua ramette

In un video  Philippe Ramette spiega gli avventurosi processi tecnici che precedono gli scatti delle sue fotografie.
Ma, forse è meglio non indagare troppo per lasciarsi conquistare dalla magia (e dalle sensazioni vertiginose) delle sue immagini.
Come questa, dove, seduto sul bordo di un precipizio nel Sud della Francia, nella posa del “Pensatore” di Rodin, contempla, con tutta calma, la strada stretta e piena di curve che sembra correre sotto di lui:

10 precipizio

“La mia idea- spiega-è quella di rappresentare un personaggio che abbia uno sguardo diverso sul mondo e sulla vita quotidiana. Nelle mie foto non c’è alcuna attrazione per il vuoto, ma la possibilità di acquisire un altro punto di vista”.
Con leggerezza, apparente disinvoltura e -perché no?- un pizzico di follia, Ramette restituisce, nelle sue foto, l’idea di una società che ha perso ogni punto di riferimento.
Con umorismo, ironia e il suo immutabile completo da funzionario modello, cerca di scardinare la nostra razionalità e modificare la nostra maniera di vedere le cose, costruendo un suo universo, insieme bizzarro e familiare, dove si può camminare sotto il mare e la gravità non esiste.
Come solo un grande illusionista o un vero artista sa fare.

 

 

 

 

Nello Studio di Jan Vermeer___L’allegoria della pittura-

Se la pittura di Vermer è tutta qui, mi pare che quel “qui” sia una vastità” (G. Ungaretti)

Ormai è una superstar. Dopo un’esistenza riservata e tutta dedicata al lavoro, dopo due secoli d’oblio e la riscoperta ottocentesca, oggi basta esporre anche uno solo dei suoi dipinti per attirare migliaia di visitatori.
A rischio quasi di farlo passare per un’icona pop.
Per ritrovare la sua magia, però, bastano il silenzio e l’incanto di un dipinto come questo: una tela, datata tra il 1666 e il ’68 e ora al Kunsthistorisches Museum di Vienna.

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La porta è aperta e la pensante tenda di broccato sembra scostata apposta per noi.  Non ci resta che oltrepassarla per entrare nello studio di Vermeer (1632-1675).  Tutto è in ordine: non c’è nulla del caos che ci saremmo aspettati nell’atélier di un pittore. Le comodità, invece, non mancano: mobili di pregio, una scultura, qualche stoffa preziosa  e perfino una carta geografica appesa alla parete, come usava, allora, nelle case dei più ricchi. La stanza, ampia e luminosa, col pavimento a grandi riquadri bianchi e neri, è quella abitualmente utilizzata al primo piano della casa della suocera. Un’agiata dimora borghese nel quartiere “papista” di Delft, dove è andato ad abitare dopo il matrimonio e la conversione al cattolicesimo. Con venti stanze e tre piani, la casa è grande, ma la famiglia è aumentata così rapidamente (quindici figli) che sembra  quasi diventata angusta. Non è facile per lui, così lento e meticoloso, isolarsi per dedicarsi alla pittura. Il suo lavoro lo occupa giorno e notte e, come al solito, fa tutto da solo: mantenere un collaboratore gli costerebbe troppo.

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Ed eccolo, al centro della scena, mentre sta ritraendo una giovane donna, che tiene in mano un libro e una tromba e ha in testa una corona di alloro. Con gli occhi pudicamente abbassati e l’aria gracile da ragazzina, sembra una delle servette di casa, travestita apposta per mettersi in posa.Un pittore e una modella: sembrerebbe un momento come tanti nella vita di un artista. Eppure, come spesso succede con Vermeer, si ha l’impressione che non sia tutto qui e che qualcosa ci sfugga.  A cominciare dall’aspetto del protagonista che, invece di mostrarsi in bella vista, ci volta le spalle, mentre siede al cavalletto, vestito con un abito fin troppo elaborato ,completamente  inadatto al lavoro.  E poi le vesti che indossa, dal giubbotto traforato sulla camicia bianca, alle calze portate arrotolate alle caviglie, sono sorpassate: andavano di moda, in Olanda, più di un decennio prima.

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Se si guarda ancora meglio, ci si accorge, poi, che Vermeer, di solito così preciso, ha mescolato parti di verità a piccole incongruenze. Intanto, la grande carta geografica alla parete rappresenta una situazione vecchia di mezzo secolo, prima della creazione del nuovo Stato olandese. Poi, per esempio,  ha tracciato sulla tela dove lavora lo schema iniziale di una composizione, però sta usando un poggia-mano, un bastoncino col pomo d’avorio, che dovrebbe essere riservato solo alla rifinitura finale.
Viene, allora, il dubbio che quella a cui assistiamo sia una messa in scena e che Vermeer abbia trasformato il suo studio nella scenografia di un teatro, in cui sia lui che la modella recitano una parte. Ma quale? La chiave sta tutta nell’abbigliamento della donna: secondo l'”Iconologia” di Cesare Ripa, un testo fondamentale per gli artisti dell’epoca, la tromba e l’alloro sono gli attributi della fama, mentre il libro allude alla storiografia.
Si tratta, dunque, di una rappresentazione di Clio, la musa della storia e dell’ispirazione artistica. Ed ecco che la scena assume tutt’altro significato: non è un autoritratto di pittore nello studio- all’epoca piuttosto frequente- ma un’allegoria della pittura.  Vermeer non è di quelli che scrivono trattati, o elaborano teorie.  Se vuole celebrare la sua arte, proprio negli anni del suo riconoscimento ufficiale e della sua nomina a Sindaco della Gilda dei pittori di Delft, preferisce farlo nel modo che conosce meglio: dipingendo.  E lo fa, senza retorica e senza enfasi, evitando di usare i soliti riferimenti mitologici o alla storia antica.  Sceglie di raffigurare una stanza di casa sua, con la luce, che entra da una finestra fuori-campo e rende vero ogni dettaglio, dalla stoffa della tenda in primo piano, al pavimento che ha l’aria di essere appena pulito, ai bagliori del bronzo scintillante del lampadario.  In questa scenografia casalinga, con un  semplice pezzo di stoffa azzurra e una trombetta di latta, trasforma una servetta timida nella musa Clio.
Poi fa sì che l’artista al cavalletto, abbigliato con un vestito fuori moda, scovato nel fondo di qualche armadio, diventi il simbolo, senza tempo, di tutti i pittori.  E ci fa capire che la pittura, più ancora della scultura, simboleggiata dalla testa di gesso posata sul tavolo, è in grado di ricreare una realtà fuori dal tempo e di rendere eterno ogni minimo frammento di vita  Vermeer sa di essere un grande pittore e ne va fiero: per questo terrà questa tela nel suo studio, senza mai venderla e, alla sua morte, la moglie rifiuterà di cederla per pagare i debiti.
Rappresenta il suo omaggio all’arte che ha sempre praticato, con orgoglio e senza mai venire meno, malgrado le difficoltà e i problemi economici.Sa che gli bastano colori e pennelli e, in quella stanza  al primo piano di una casa affollata e rumorosa di voci infantili, potrà trasfigurare, nella serena perfezione delle sue tele, anche i più modesti particolari quotidiani.
Grazie al suo modo di usare la luce e il colore, la rappresentazione di un artista al lavoro, quella di una domestica che versa il latte , di una piccola via di Delft o di una ragazza con l’orecchino di perla potranno assumere un significato universale e  diventare opere in grado di attraversare i secoli.

All’interno di quella nitida dimora olandese la pittura avrà compiuto, ancora una volta, la sua magia.