Tanto tuonò che piovve…

Tanto tuonò ..che piovve. Così si diceva un tempo per indicare la conseguenza di un’azione; in questo caso pioveva goccioloni di una pioggia impetuosa: sotto di lei ribolliva il terreno rilasciando vapore , l’asfalto schiumeggiava ad indicare che il temporale non sarebbe terminato troppo presto. Era questo il temporale di mezza estate, che quando si incattiviva al massimo ricopriva il terreno di una fitta grandinata. Era come se fosse tornato l’inverno ad imbiancare tutto e scurire il volto degli agricoltori, preoccupati per i danni al raccolto danneggiato. Da stamattina nuvoloni neri correvano per il cielo spinti da un vento impetuoso, che , se mitigava il caldo non prometteva niente di buono…per aprirsi improvvisamente ad un azzurro abbagliante, un sole piacevolmente mitigato da una inattesa frescura. Poi, come la sorpresa nell’uovo di Pasqua il cielo, si scuriva come la pece, lampi squarciavano l’oscurità accompagnati da tuoni che parevano il passaggio di uno stormo di bombardieri e , invece dei portelloni , si aprirono le cateratte del cielo e le conseguenze furono le stesse di un bombardamento. I più piccoli blocchi di ghiaccio avevano la dimensione di palline da golf a salire come grandi mele e meloni. In tutta la mia vita non ricordo una grandinata di simili proporzioni e pensare che negli anni scorsi ho visto la sistematica distruzione del mio giardino, nubifragio dopo nubifragio. Questo di oggi è stato l’ultimo atto, che chiude il capitolo più importante della mia vita. Cinquant’anni di amore infinito per la natura intorno a me, che viveva con me, che mi regalava quella poca felicità che la vita mi elargisce ancora. Angoli pieni di ricordi sbriciolati dalla furia di una natura incattivita come mai l’avevo vista o potessi immaginare. E sotto cataste di rami, fogli, tegole, tre auto distrutte. C’è chi vince alla lotteria e chi , in pochi minuti perde un patrimonio. Ebbene la cosa migliore è fare una bella risata. Tutto il resto sarebbe solo inutile sangue cattivo, che non risolverebbe nulla. Forse si avvicina il tempo della Fine. Così Giovanni, nell’Apolicasse , preannuncia la fine dei tempi. Forse Dio si è stufato di vedere come si è ridotto l’uomo, creato a sua immagine e somiglianza, di quali oltraggi alla vita, alla decenza sia favorevole, forse si è pentito di aver creato il mondo, per come è diventato , forse si è stufato di vedere come si è ridotta la Chiesa, con tutti i suoi scandali, incapace di trattenere i fedeli. Ormai è un continuo susseguirsi di catastrofi che si abbattono sul nostro pianeta, forse il riscaldamento globale non c’entra prorio nulla . Comunque c’è da pensare e non poco!

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Il colore della Pace…

Talil Sorek era una ragazza israeliana tredicenne quando ha scritto questa poesia che ha vinto un premio ed è diventata famosa in tutto il mondo. Attraverso un’immagine molto semplice, Talil ci fa riflettere su ciò che può significare la parola “pace”in una zona come il Medio Oriente, teatro di molte terribili guerre. Molti bambini, nati qui non sanno cosa sia il suono del silenzio diverso dal momento in cui si sentono spari e scoppi di bombe, non  sanno cosa significhi godere una notte di luna, sdraiati sull’erba ai  margini di un bosco.

13 anni

Avevo una scatola di colori
brillanti, decisi, vivi.
Avevo una scatola di colori,
alcuni caldi, altri molto freddi.
Non avevo il rosso
per il sangue dei feriti.
Non avevo il nero
per il pianto degli orfani.
Non avevo il bianco
per le mani e il volto dei morti.
Non avevo il giallo
per la sabbia ardente,
ma avevo l’arancio
per la gioia della vita,
e il verde per i germogli e i nidi,
e il celeste dei chiari cieli splendenti,
e il rosa per i sogni e il riposo.
Mi sono seduta e ho dipinto la pace.

Talil Sorek

In un momento in cui il Covid è molto utile a chiunque abbia in mente la parola “dittatura”, confrontiamo alcuni pensieri illustri sull’argomento.

In Italia a fare la dittatura non è tanto il dittatore, quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere un padrone da servire. Lo diceva Mussolini: “Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?”.
INDRO MONTANELLI

“L’ignoranza è un’erba cattiva, che i dittatori possono coltivare tra i loro simili, ma che nessuna democrazia può permettere tra i propri cittadini.”
WILLIAM HENRY BEVERIDGE.

La dittatura, qualsiasi nome abbia, si fonda sulla dottrina che il singolo non conta nulla; che lo Stato è l’unico che conta; e che gli uomini e le donne e i bambini sono venuti sulla terra al solo scopo di servire lo Stato.
HARRY S.TRUMAN

In realtà, la vera essenza di una dittatura non sta nella regolarità, ma nell’imprevedibilità e nel capriccio; coloro che vivono sotto il suo tallone non debbono mai potersi rilassare, non debbono mai essere del tutto sicuri di aver rispettato correttamente, o meno, le regole (l’unica regola pratica è: tutto ciò che non è obbligatorio è proibito). Dunque i sudditi possono sempre essere scoperti in torto.
CHRISTOPHER  HITCHENS

Non c’è tirannia peggiore di quella esercitata all’ombra della legge e sotto il calore della giustizia.
MONTESQUIEU

Non appena qualcuno si rende conto che obbedire a leggi ingiuste è contrario alla dignità dell’uomo, nessuna tirannia può dominarlo.
MAHATMA GANDHI

L’accumulazione di tutti i poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario, nelle stesse mani, di uno solo o di tanti soggetti, ereditari, autonominati o elettivi, si può considerare effettivamente la definizione stessa di tirannia. JAMES MADISON

Lo Stato totalitario fa di tutto per controllare i pensieri e le emozioni dei propri sudditi in modo persino più completo di come ne controlla le  azioni .GEORGE ORWELL

Una multinazionale è più vicina al totalitarismo di qualunque altra istituzione umana.
NOAM COMSKY

Ci sarà in una delle prossime generazioni un metodo farmacologico per far amare alle persone la loro condizione di servi e quindi produrre dittature, come dire, senza lacrime; una sorta di campo di concentramento indolore per intere società in cui le persone saranno private di fatto delle loro libertà, ma ne saranno piuttosto felici.
ALDUS LEONARD  HUXLEY

 

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” La stanza rossa “di Henri Matisse o se preferite “Armonia in rosso”, altro titolo dell’opera…

Henri Matisse dipinge “La stanza rossa” nel 1908, quando il suo percorso artistico approda al fauve, ossia alla concezione di pittura come espressione di emozioni rese attraverso il colore. E’ nota anche come Armonia in rosso. L’opera di Henri Matisse è un olio su tela che ,prima di essere quella che è ora e tale uscita dal suo studio , è stata prima verde e poi blu.

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                       Henri Matisse, La stanza rossa, 1908

Ne la stanza rossa Matisse rappresenta una domestica che prepara la tavola. . Sul tavolo, coperto da una tovaglia rossa, sono poggiati frutti, un paio di bottiglie e un’alzata con dei fiori. Sul lato opposto una sedia impagliata alle cui spalle una finestra si apre su un paesaggio stilizzato molto variopinto. Nella stanza rossa ciò che colpisce, oltre alla cromia, è la presenza di alcuni arabeschi che si snodano sulla tovaglia e sui muri e che saranno poi una costante nelle opere di Henri Matisse.

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Henri Matisse, La tavola imbandita, 1897

Henri Matisse dipinse Armonia in rosso nel 1908, quando aveva 39 anni. Undici anni prima egli si era già confrontato con il medesimo soggetto. Tra la prima e la seconda versione però cambia tutto: se gli elementi del quadro sono i medesimi (la donna, le sedie, la tavola imbandita, la finestra), lo stile , nel corso del tempo, è andato incontro ad un’estrema semplificazione e ad una accentuazione del ruolo del colore. Nella prima opera sono evidenti tutte le gamme cromatiche mentre non si vede il ricorso al disegno. Nella seconda, invece, i colori si sono ridotti al rosso predominante, al blu, al nero e al giallo, mentre ogni elemento è contornato da una spessa linea scura. Anche la costruzione dello spazio non è più la stessa: nel dipinto del 1897, le linee convergono verso un unico punto mentre ne La stanza rossa siamo di fronte a tre sole linee oblique con differenti punti di fuga. La profondità è appena suggerita dalla scansione dei colori e dal tavolo che, tuttavia, si confonde con la parete. Anche le donne sono totalmente diverse; la prima figura ha una fisicità che la seconda perde per apparire quasi un ritaglio dal fondo.
La Stanza rossa di Henri Matisse è evidente dimostrazione di pittura fauve, di cui ho parlato all’inizio e qui la violenza della cromia vuole esaltare la positività, come emozione dominante.

Nella ben nota serie LBGTqr+ quale consonante potrebbe stare per nudismo?

 

La tanto discussa legge Zan a tutela della transomofobia non è ancora stata approvata in parlamento. Tuttavia pare che, tacitamente ,i milanesi si comportino come se questa legge fosse già in vigore. La notizia non gira solo sui social, ma incominciano a parlarne anche i giornali locali con tanto di fotografie. Pare siano già alcuni giorni, che una donna, di mezzà età vaghi senza meta nel centro di Milano, da piazza del Duomo, a piazza della Scala, senza che nessuno si preoccupi di lei. Probabilmente la gente pensa che i nudisti ora facciano parte a tutti gli effetti e con tutti i diritti di quel novero di persone che va sotto la sigla LGBTqr+ alla quale forse si è aggiunta una consonante per identificarli( non so quale , sono inesperta). Tutto può essere tranne che solo fino a poco tempo fa costei sarebbe stata fermata dalle forze dell’ordine e costretta a coprirsi o portata in questura. Ora ,o quella che un tempo si chiamava carità cristiana non esiste più , o la gente ,talmente imbonita dal politicamente corretto, dall’uguaglianza, dai diritti di ognuno a vivere la propria vita come meglio crede, temendo di incorrere in un infrangimento di legge, non si espone più, tanto è il rischio di emarginazione per chi oggi va contro il pensiero dominante. Mi pare di vivere in un altro mondo, poichè si confina chi sta benissimo , sano di corpo e di mente,solo perchè disgraziatamente è risultato positivo al famoso Covid 19, e si lascia circolare una donna nuda, indisturbata, senza controllare perchè si trovi in quelle condizioni. Ebbene, se non s’interessa nessuno per carità, almeno sia la sanità pubblica ad accertare se questa donna stia esercitando un suo diritto o se sia malata o abbia problemi che la costringano ad una condizione di non sua libera scelta. Mi pare che questo potrebbe essere il minimo da fare in uno stato che si dice essere uno stato di diritto. Comunque , col cambiamento climatico e le estati di fuoco che già viviamo e pare diventeranno la norma, ben venga il nudismo nelle normalità. Estati calde, ma indubbiamente meno costose per quanto riguarda le spese di abbigliamento. In alternativa, per i più pudichi , si accettino i tatuati, senza discrimine!

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Insieme a Montecatini Terme ,finalmente la Cappella degli Scrovegni, a Padova è patrimonio UNESCO !,

 Il ciclo affrescato del Trecento di Padova è patrimonio dell’Umanità. Ben 3.694 metri lineari di affreschi consegnati dalla storia con la forza di nomi come Giotto, Giusto de’ Menabuoi, Guariento, Jacopo Avanzo, Altichieri da Zevio, Jacopo da Verona. Otto siti affrescati che immortalano quella che fu la “scuola” del Trecento artistico padovano, tra la Cappella degli Scrovegni e la Chiesa degli Eremitani, tra Palazzo della Ragione e la Cappella della Reggia Carrarese, con il Battistero della Cattedrale, la Basilica e il Convento di Sant’Antonio e gli oratori di San Giorgio e San Michele. Tutto questo tesoro ha ottenuto il sigillo dell’Unesco come “world heritage site”, patrimonio dell’umanità. Così come Montecatini Terme. L’Italia conta adesso 57 siti nella lista più ambita: sono 1.122 nel mondo.

Si chiama Padova Urbs Picta, la città dipinta, nome criptico capace di incorporare i colori e la luce del ciclo più completo di affreschi realizzato dal maestro toscano, in quella che è conosciuta a livello mondiale come la “Giotto’s Chapel”. Così la quarantaquattresima sessione del Comitato internazionale dell’Unesco, riunita a Fuzhou in Cina, con i rintocchi del martelletto del viceministro per l’educazione della Repubblica popolare cinese Tian Xuejun nella veste di portavoce del Cominato Unesco, ha sancito l’iscrizione di Padova dopo un lungo percorso iniziato addirittura nel 1996. Un iter lungo e faticoso, quello compiuto in questi 27 anni, perché Giotto e i suoi affreschi, seppur considerati un gioiello di indiscutibile valore, erano però giudicati un sito troppo piccolo e avulso da un contesto generale per diventare patrimonio mondiale dell’Umanità.

Sono serviti la tenacia e l’impegno delle forze culturali, politiche e istituzionali di Padova, per immaginare un orizzonte diverso, con un contesto più ampio, destinato a diventare un unicum nel panorama artistico del pianeta: dal sindaco Sergio Giordani, all’assessore alla Cultura Andrea Colasio, allo storico Giuliano Pisani, al project manager Giorgio Andrian, fino ai rappresentanti della Diocesi di Padova, dell’Arca del Santo, dell’Accademia Galileiana e dell’Università di Padova. In questo percorso globale con i cicli pittorici del XIV secolo, Giotto e la Cappella degli Scrovegni diventano la pietra angolare in grado di reggere l’intero impianto.

Del resto, sono i numeri a parlare: negli ultimi dieci anni gli affreschi di Giotto sono riusciti ad attrarre a Padova più di 3 milioni di turisti. Nel 2018 per la prima volta sono stati superati i 300 mila visitatori, record confermato anche nel 2019, prima che la pandemia facesse crollare tutti i contatori. “Adesso abbiamo una grande responsabilità di cui siamo consapevoli” commenta raggiante il sindaco di Padova Sergio Giordani. “Quello di oggi non è un traguardo, ma il punto di partenza di un nuovo impegno che con il supporto di Unesco intraprendiamo per essere all’altezza di questo prestigioso riconoscimento. Da oggi gli affreschi della nostra Padova meravigliosa sono finalmente Patrimonio Mondiale. E’ una gioia immensa che non dimenticherò mai”.
scrovegni

“Ma mi faccia il piacere…”

Avevamo un premier rompiscatole, con una voce insopportabile, che era quotidianamente in Tv a decantare le lodi del governo che, per mani sue, faceva cose strabilianti per questo miserrimo paese, che solo Dio premier potrebbe rimettere in sesto. Per fortuna ne siamo stati liberati e ci è capitato il meglio che l’Italia potesse trovare. Le capacità del professor Draghi sono indiscutibili, a referenziarlo bastano le sue esperienze precedenti e noi lo abbiamo visto all’opera come presidente della BCE, dove ha salvato l’Euro in un momento difficilissimo per la nostra moneta, salvaguardando molti paesi in pericolo, tra cui il nostro, reggendo le pressioni dei falchi ,che ne chiedevano la stessa fine della Grecia.In questi mesi si è fatto apprezzare, amare dagli italiani per il suo lavoro certamente, ma anche e soprattutto per il cambiamento di stile che ha imposto al suo governo, facendo sì che sparissero le quotidiane esibizioni di certi ministri, in primis evitando lui stesso di parlare continuamente alla nazione. Il suo grande stile è stato finora quel basso profilo, fin troppo, come di chi non fa in prima persona, ma sorveglia chi fa. Ebbene questo suo modo di essere faceva di lui un personaggio unico, peccato che la prima volta che abbia cercato di fare comunicazione, sia caduto immediatamente da quel piedestallo, su cui stava benissimo. Le sue parole di ieri non hanno giovato per niente alla sua fama . Grande economista, possibile bravo politico , pessimo comunicatore. Se avesse continuato a tacere sul Covid, sulle vaccinazioni, se fosse stato più attento nell’emanare il decreto green pass, evitando di assecondare troppo la sinistra per ottenere in cambio il lasciapassare alla riforma Cartabia, avrebbe fatto un figura migliore agli occhi dei cittadini italiani. E col green pass si continua con le discriminazioni, primo tra i vaccinati e non, secondo tra esercenti , che torneranno a patire e privilegiati, vedi servizi pubblici, supermercati, centri commerciali,ecc, dove si continuerà a fare soldoni. E questo in un paese dove si vuole votare la legge Zan , perchè finisca il discrimine. Non ricordo chi fosse, qualcuno noto però ,diceva sempre”Ma mi faccia il piacere….”!

 

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….e ci sono anche donne difficili, per carattere, per difesa…e sono quelle che più di altre hanno bisogno d’amore.

 

Donne difficili..

Non è da tutti
amare le donne difficili,
spigolose, quasi inaccessibili.
Solo apparentemente
sono solari ed estroverse,
anche sicure di sé,
ma in realtà sempre
diffidenti e insicure,
sempre sulla difensiva.
E si tengono tutto dentro.
Non guardatele troppo negli occhi, perché non vogliono far vedere a nessuno la loro rabbia, delusione, paura, fragilità.
La solitudine le accompagna, anche quando hanno decine di corteggiatori.
Perché amano
ma non dipendono mai dall’amore, da quell’amore che per loro è solo un sogno.
E sono dure, prima di tutto
con se stesse.
Solo chi sa guardare “oltre” il sorriso riesce a vedere il muro impenetrabile che hanno eretto.
Che difende la loro interiorità
ricca ma ferita, spaventata.
La loro sensibilità
troppe volte ferita.
Il difficile vissuto
che solo loro conoscono.
Perché sono donne spigolose, difficili, quasi inaccessibili.
Quelle con l’anima in fiamme
e il sorriso splendente.

Agostino Degas

 

donna difficile

La rifondazione materna e le nascivendole…e la legge Zan.

La rifondazione materna e le nascivendole

E se la politica ripartisse dalla maternità, ovvero dal ruolo insostituibile delle madri nel governo della vita pubblica e dalla rifondazione materna della politica? La proposta mi giunge da Viviana Micheli, docente di Liceo Classico, ora in pensione. Ed è una proposta unita a una bozza di progetto per valorizzare il ruolo centrale della maternità non in famiglia o nella società ma soprattutto in politica. Per illustrare la sua proposta, la prof Viviana, mi manda l’immagine di una bellissima scultura di Zhang Yaxi dal titolo “Mother and Child”, qui sopra. La saggezza delle donne che regnarono o che consigliarono i potenti, la maggiore sensibilità femminile, l’attenzione all’economia domestica e il prendersi cura come attitudine naturale materna, la loro concretezza unita all’amore.

La politica fu un tempo il regno dei Padri, potrà diventare il governo delle Madri? È una domanda antica ma anche beffarda se si considera il contesto attuale: il femminismo fanatico, la psicosi del MeToo e la guerra innaturale tra i sessi; l’ossessione delle quote rosa, ma soprattutto la distruzione metodica della maternità, ora con la valorizzazione di orientamenti sessuali in contraddizione con la figura materna, ora con la piaga mortificante della maternità surrogata, col relativo losco traffico degli uteri in affitto. Modelli funzionali a un altro tipo di famiglia, e interamente centrati sul desiderio, se non il capriccio, anche di un singolo, di disporre di un figlio senza passare dal suo naturale transito da un padre, una madre e dalla loro unione.

In pieno frastuono della legge Zan, con relativa mobilitazione del circo, nell’epoca del femminismo militante, del Metoo imperante, della denuncia sistematica degli abusi, dello sfruttamento e delle violenze compiuti contro le donne, viene tollerato, accettato o solo blandamente criticato il traffico indecente sulle donne e la loro gravidanza. L’utero in affitto, ovvero il commercio di maternità. Un traffico che coinvolge i bambini, i nascituri. Ma non solo: in piena retorica umanitaria verso i migranti, si accetta senza battere ciglio questa forma grave di sfruttamento dei poveri del mondo, di esproprio della prole, da parte degli europei agiati. Una forma becera di colonizzazione dell’utero e di mercato dei bambini…

È una mortificazione e una violenza inaudita per le donne, una prostituzione e un’espropriazione non solo del proprio corpo ma della maternità e dei suoi frutti naturali e affettivi, i figli. Risponde all’egoismo benestante di coppie, spesso dello stesso sesso, o di single, che usano i corpi altrui come bucce, come gusci o container, come alveari e depositi, asserviti ai propri desideri.

La legge Zan tace sull’utero in affitto e la maternità surrogata e di fatto genera i presupposti per favorirne la diffusione. Il mondo che l’ha caldeggiata evita di pronunciarsi sulla pratica odiosa e sul business che ruota, sull’insufficienza dei divieti penali e sulle proposte per dichiarare l’utero in affitto un reato universale. Non ci sono nemmeno Fedez-Ferragni, palcoscenici e tv che denuncino questi abusi… Lucio Malan di Forza Italia ha chiesto di spiegare perché si condanna Orban e il suo governo che tutela la famiglia e non quei paesi che permettono la compravendita dei figli tramite l’utero in affitto.

La maternità surrogata tocca il paradosso della nostra società avara di figli, in cui i morti superano di gran lunga i neonati, in cui gli aborti continuano a falcidiare altre vite. E l’Italia ha il triste primato del tasso più basso di natalità, a differenza del resto del mondo, del sud del pianeta in particolare, in cui il problema è opposto, l’esplosione demografica.

In un contesto del genere succede dunque che qualcuno impossibilitato ad avere figli, per mancanza di partner, per sterilità o perché omosessuali, decida di fare shopping per avere un figlio. Non adottare chi è già nato, che sarebbe un’opera meritoria, di cui sarebbe auspicabile agevolare l’impresa, a certe condizioni di garanzia del bambino prima che dei genitori; ma “commissionarlo” a donne che per povertà e bisogno decidono di vendere il loro frutto o la loro fertilità. La maternità come un pacco arrivato da Amazon direttamente a casa tua, senza la fatica della gravidanza… Un capitolo infame, degno della tratta delle schiave e del traffico di neonati e ovociti.

In questo clima proporre alla politica un ruolo materno, ritenere cioè che si debba rifondare la politica ripartendo dalle madri suona come un risveglio di ruolo e un’inversione di rotta. Tutt’altro che maschilista, perché si presuppone un ruolo non subalterno, non di supporto domestico, delle donne ma un ruolo centrale, di guida e fondamento della società. E sarebbe anche una risposta non “regressiva” alla mortificazione della maternità con la “surrogata” e l’utero in affitto. L’Europa è largamente insensibile a questi temi, e anche le grandi forze del Parlamento europeo che pure si dicono di ispirazione cristiana, come i Popolari, sono assenti e silenziose su questa piaga. Altrettanto grave è il silenzio dei movimenti femministi che dovrebbero tutelare la dignità e la vita delle donne e avversarne lo sfruttamento e la depredazione. Salvo alcune lodevoli e solitamente individuali eccezioni, i movimenti delle donne tacciono.

Eppure sarebbe una battaglia cruciale in difesa della dignità femminile e della vita nascente contro l’umanità surrogata e la riduzione dell’utero a bancomat. Nel nome della madre, del figlio e della benedetta famiglia.

MV, Panorama (n.30)

 

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