Camilleri e De Crescenzo scrittori pop, non giganti..

Nella stessa settimana di mezza estate, un luglio di cinque anni fa, il Sud, l’editoria italiana e la letteratura popolare persero due grandi pop-writer e due figure pubbliche con grande seguito: Andrea Camilleri e Luciano De Crescenzo. Entrambi hanno reso più accattivante il sud, i suoi linguaggi, il suo modo di vivere e di pensare, la Sicilia di Camilleri e la Napoli di De Crescenzo. La sorte ha dato a Camilleri il privilegio di vivere una lucida e riverita vecchiaia, ha recitato per vent’anni il ruolo di Grande Vecchio e di Oracolo Siculo della Tv e delle Lettere. Invece ha dato a De Crescenzo un ventennio di declino e di ritiro dalle scene pubbliche per ragioni di salute. Ricordo vent’anni fa a una cena De Crescenzo si presentò esibendo un biglietto preventivo di scuse perché non riconosceva i volti delle persone, anche a lui note o addirittura amiche. I primi tempi si pensò a una spiritosa trovata dello scrittore, che conoscendo molte persone non ricordava i loro nomi e dunque era un modo gentile e simpatico per scusarsi in partenza della distrazione e non passare per superbo e scostante. In realtà soffriva di prosoagnosia, una malattia seria.

Entrambi sono stati scrittori assai popolari, e l’uno deve molto alla traduzione televisiva dei suoi romanzi, l’altro al cinema e alla partecipazione attiva nella simpatica scuola meridionale di Renzo Arbore. De Crescenzo si tenne sempre lontano dalla politica e dalle ideologie, si definì monarchico, indole di destra ma votante a sinistra, un po’ ateo e un po’ cristiano, ma preferì non mischiarsi nelle vicende della politica. Camilleri invece da anni ormai aveva assunto il ruolo di testimonial della sinistra, si era schierato apertamente in modo radicale, con qualche nostalgia del comunismo e un’antipatia viscerale che tracimava nell’odio verso Berlusconi ieri e verso Salvini di recente, fino alla famosa dichiarazione del vomito. Ma per giudicare un autore si deve avere l’onestà intellettuale e lo spirito critico di distinguere le sue posizioni politiche dalla sua prosa e dall’impronta che lascia nella letteratura. A questo criterio ci sforziamo di attenerci, ma l’aperto schierarsi di Camilleri gli è valso da morto una glorificazione veramente esagerata. Mentre De Crescenzo ha avuto un trattamento sottotono.  Eppure De Crescenzo, oltre a riabilitare con arguzia il sud, aveva avuto il merito non secondario di aver reso simpatica e popolare la filosofia a tanti, e soprattutto la filosofia antica. Aveva reso famigliare la figura di Socrate, i presocratici, lo Zarathustra nietzschiano, stabilendo un ponte con la Magna Grecia. I professori di filosofia trattavano con sussiego De Crescenzo, come se fosse un abusivo del pensiero e un profanatore della filosofia: ma lui non ha trascinato in basso la filosofia, ha innalzato il lettore comune facendogli scoprire e amare la saggezza dei filosofi. Lui è stato un campione amabile di filosofia pop. Quanti accademici contemporanei hanno allontanato i lettori dalla filosofia, coi loro linguaggi involuti che nascondevano scarsa originalità e più scarso acume. Allontanavano la gente senza avvicinarsi alle vette del pensiero. Meglio De Crescenzo a questo punto…

Dal canto suo Camilleri è stato uno scrittore di talento, ha inventato un suo linguaggio gustoso e simil-siciliano, ha scalato le classifiche librarie quanto e più di De Crescenzo, anche perché la narrativa tira più della saggistica, le sue opere sono state tradotte in tutto il mondo, aiutato dal successo televisivo di Montalbano che è una delle fiction più vendute nel mondo.  Ma i necrologi agiografici, gli infiniti servizi dedicati dai tg, i paragoni con Pirandello e Verga, e perfino con i classici, non gli hanno reso un buon servizio.   Quando muore un personaggio pubblico bisogna rispettare la memoria e difenderlo dai suoi detrattori come dai suoi esagerati incensatori. Camilleri intrigava con le sue trame, sapeva gigioneggiare in video e sul palco, col suo tono da cassandra sicula e l’aura istrionica del vegliardo, assumendo un ruolo ironico-profetico. Grande affabulatore. Sul piano civile, sbandierava l’antifascismo, seppure molto postumo, ieri antiberlusconiano, poi antisalviniano. Una polizza per farsi incensare, come era già avvenuto in vita, e come è avvenuto in morte. Era uno scrittore bravo, un giallista e un autore di polizieschi di successo, non un Gigante, non il Grande Scrittore che entra nella storia della grande letteratura. Non esagerate, Camilleri rimane nella bestselleria corrente e nella personaggeria di scena del nostro tempo. Non rendetelo ridicolo, paragonandolo a Pirandello e Verga e pure a Sciascia. E’ come se negli anni trenta avessero paragonato Guido da Verona e Pitigrilli, autori di successo e di talento, a D’Annunzio e Pirandello. Via, abbiate senso della misura e delle proporzioni. Non mettetegli pennacchi e aureole, abbiate rispetto di un morto; lo scrissi allora sui social e oltre a una marea di consensi ricevetti insulti isterici dai suoi fan, che sono spesso lettori di un solo autore, non hanno termini di confronto, e credono che leggere Omero o Camilleri, Proust o Saviano sia la stessa cosa. La mia polemica non era rivolta contro Camilleri ma contro chi lo usa per scopi politici e lo innalza a tal punto da rendergli un cattivo servizio. Sappiate distinguere il successo dalla gloria, il cantastorie dalla storia, il “colore” dal pensiero. Pirandello descrisse a teatro la condizione dell’uomo contemporaneo, la perdita delle verità, l’avvento del relativismo; Camilleri seppe intrattenere, piacevolmente, migliaia di lettori e milioni di spettatori. Sono due cose diverse. Camilleri non è Pirandello, e De Crescenzo non è Benedetto Croce. Lo dico per difendere la verità e la memoria di ambedue, De Crescenzo e Camilleri.

Marcello Veneziani                                                                                      

Morgan sia messo in condizione di non nuocere, ma non impeditegli di lavorare ….

 

Nessuno che riesca a distinguere il peccato dal peccatore. Far perdere al musicista contratti e concerti non è giustizia, è vendetta. Visto anche il numero di infervorati, somiglia a una lapidazione. Il duro mestiere del genio. Ieri Busi e Bene, oggi Morgan e Sgarbi.
Sono tutti pagani (Calcutta con quel nome magari sarà induista) e quindi non riescono a distinguere il peccato dal peccatore. Preziosissimo insegnamento di Santa Madre Chiesa. Pio XII disse che “bisogna essere risoluti contro l’errore e pieni di riguardo verso gli erranti”. Che Morgan sia un errante non ho difficoltà a crederlo, per un articolo di blanda critica mi scrisse messaggi vaneggianti per ore (quanto tempo da perdere ha quest’uomo?). Se il musicista è davvero pericoloso sia messo in condizione di non nuocere: arresti domiciliari, braccialetto elettronico, non so. Ma non gli si impedisca di lavorare. Fargli perdere contratti e concerti non è giustizia, è vendetta. Visto anche il numero di infervorati, somiglia a una lapidazione. E sono tutti senza peccato? Urge inoltre distinguere l’arte dall’artista. Qui oltre che cristiano sono proustiano: Marcel invitava a separare l’opera dalla biografia, altrimenti si riduce tutto a pettegolezzo (o linciaggio). Sid Vicious ha forse accoltellato la fidanzata ma che spettacolo la sua “My way”. Gesualdo da Venosa ha ammazzato la moglie fedifraga e il di lei amante eppure nessuno si presenta alla Decca col presuntuosissimo, prepotentissimo “O lui o io”. Battiato lo spiegò alla perfezione: “Musicista assassino della sposa / cosa importa? / scocca la sua nota / dolce come rosa”.

Camillo Langone__da __IL FOGLIO

 

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La guerra non dichiarata ma spietata della sinistra ai poveri…

 

Opprime chi non può permettersi l’auto elettrica, chi non può spendere per il pollo bio allevato all’aperto, chi non ha i soldi per comprarsi una casa di classe energetica. E anche Cicalone che disturba i ladri non va bene.

“Oppressione dei poveri”. E’ uno dei “quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio”, leggo a pagina 20 del “Catechismo della Dottrina cristiana pubblicato per ordine del Sommo Pontefice san Pio X” (Edizioni Ares). Al tempo, nel 1912, gli oppressori erano i padroni delle ferriere. Oggi sono le persone di sinistra. E’ esplosa la guerra della sinistra contro i poveri, una guerra non dichiarata eppure spietata, una guerra che ha dell’incredibile per chi ne ignora le ragioni (io invece credo di conoscerle). La sinistra ambientalista opprime chi non può permettersi l’auto elettrica, la sinistra animalista opprime chi non può spendere per il pollo bio allevato all’aperto, la sinistra climatista opprime chi non ha i soldi per comprarsi una casa di classe energetica A, la sinistra immigrazionista (la Cgil che denuncia Cicalone perché disturba i ladri!) opprime i pendolari costretti a prendere la metro e a farsi borseggiare dai latinos… Il peccato grida, i peccatori attirano l’ira di Dio. Andranno all’inferno le persone di sinistra? E’ il minimo sindacale.

Camillo Langone__da __IL FOGLIO

 

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Temendo la brace, la Francia resta in padella…

 

A sentire i telegiornali, a leggere i giornali, in Francia e in Europa, c’è un sollievo generale. Tutti contenti, finito l’incubo, pericolo scampato, rompete le righe. Vince il Fronte popolare, siamo liberi e felici. Il quotidiano L’Unità, organo di retroguardia della sinistra condensa le sciocchezze del mainstream in un titolo a tutta pagina: Siamo tutti antifascisti, inneggiando alle piazze di Parigi e d’Europa che hanno sconfitto Le Pen dimostrando che la sinistra è viva. Senti i tg della Rai, i famosi melones, che dicono: che sollievo, sono stati i giovani, le piazze, le donne a far vincere la sinistra…
Un cumulo di sciocchezze e ipocrisie. Per cominciare, astensionisti a parte, il primo partito che raccolse il 34 per cento dei voti è stato il Rassemblement di Le Pen. Voto popolare, nazionale, giovanile, operaio, femminile. Come ci può essere sollievo generale in Francia per la sconfitta di chi avevano votato più di tutti? Al primo turno gli altri partiti furono sconfitti. Ma siccome il sistema elettorale consente di sommare gli sconfitti in un Fronte fondato sulla desistenza nelle candidature, la somma degli sconfitti ha sconfitto il vincitore. Il risultato non rispecchia la volontà degli elettori, perché ogni singolo addendo, almeno a livello popolare, non aveva nulla a che spartire con gli altri. In quella somma la sinistra ha la sua quota divisa in tre forze; il resto sono centristi, macroniani e liberali.
La sinistra non ha vinto un bel niente; è stato Macron il Furbo che dal primo momento – e lo scrivemmo già quando annunciò di voler sciogliere il Parlamento- ha scommesso sulla partita Le Pen contro il resto del mondo, giocando cioè sul fatto che lei non aveva possibilità di trovare alleati al secondo turno. E avrei scommesso da subito che sarebbe finita così. Lui, l’Impopolare, viene salvato dal Fronte Popolare degli Sconfitti. La loro unione, lo vedono tutti, è fondata solo sull’impedire a Le Pen di andare al governo. Non è un’unione per la Francia ma una conventio ad excludendum. Non è pro ma anti. Ecco perché tengono in piedi quel fantasma putrefatto che è l’antifascismo, ottant’anni dopo che il fascismo è morto. Perché con quella formula surreale impediscono il cambiamento, salvo poi dividersi nel dopo, e proseguire nella miseria di governi impopolari. Macron campa su questo da anni, ma non solo lui.
In Italia quella formula la invocano sempre e tuttora è l’unico collante, l’unica prospettiva, l’unica strategia che sanno mettere in piedi. Di fronte alla chiamata antifascista non ti puoi tirare indietro. Cos’è poi la chiamata antifascista, in che cosa consiste a parte la seduta spiritica di far rinascere il fascismo? Consiste nel rifiuto della sovranità popolare e nazionale nel nome dell’unione europea, cioè delle élite che governano l’Europa e dei poteri annessi; rifiuto che viene tradotto in antirazzismo. Poi consiste nel rifiuto della famiglia naturale, dei legami comunitari, della civiltà e delle tradizioni nel nome dei diritti civili tipo aborto e nei diritti gender riassunti in quel codice fiscale mezzo algebrico diventato mantra, lgtbq+ a cui aggiungerei l’asterisco, che sostituisce ogni fine parola con o e con a (beati i sardi che finiscono molte parole in u, e così scampano la militante idiozia del neutro). E consiste infine nell’accoglienza dei migranti, la cancellazione della propria civiltà e delle radici civili e religiose per far posto a chi viene da fuori; e nel richiamo retorico alla pace (salvo guerre a getto continuo, corsa ad armarsi, ma sempre per scopi democratici, umanitari, anzi pacifisti). Il tutto incipriato nel verde; ma se lo fa la destra è ecofascismo.
La formula politica dell’antifascismo, che da noi si chiamò arco costituzionale, è la stessa da più di sessant’anni: centro-sinistra.
Il centro-sinistra globale, che esclude ogni destra che non voglia diventare reggicoda del medesimo centro-sinistra globale (nome in codice: Ursula). Detto in breve: o la Meloni si taianizza, o finisce ai vannacci.
Sul piano dei sistemi l’antifascismo nasconde il tradimento della sinistra nei confronti della lotta al capitalismo: il capitale diventa alleato perché il nemico supremo da abbattere è sempre e solo il fascismo (che non esiste). Così Mélenchon fa patti con Macron, la sinistra diventa ovunque la guardia bianca del capitale. Cosa riceve in cambio? L’adozione del proprio manuale ideologico antifascista, filo-migranti e filo-transgender. Al di là di una spruzzatina pop sui temi sindacali e sociali, la sinistra di fatto non sogna alcun superamento del capitalismo, è dentro il suo mondo e la sua tabula rasa, concorre a cancellare la civiltà ereditata; il suo nemico non è più il Padrone, i ricchi, i giganti della finanza e i potenti, che sono invece suoi alleati, ma la famiglia, la civiltà tradizionale, la sovranità nazionale e popolare, riassunti nella formula diabolica del fascismo, con aggravante obbligata del razzismo. A dir la verità anche le destre, pur ai margini, sono dentro lo stesso acquario capital-occidentale, salvo comizi.
La formula viene applicata ovunque. Se tu per esempio denunci, come è capitato a me, che un treno ad alta velocità e lungo percorso non può abbandonare a metà corsa sui binari, per sciopero, i viaggiatori, tra cui donne, bambini, disabili, trovi sempre quattro coglioni di sinistra (non trovo definizione migliore, le altre sono peggiori) che ti attaccano: ah, il solito fascista, vuole abolire il diritto di sciopero. I problemi concreti del presente, il disagio reale dei cittadini, cancellati dal solito mantra ideologico di un secolo fa. A questo serve l’antifascismo, usato dai cinici furbi e dai cretini acidi.
L’Eliseo per Marine Le Pen è il supplizio di Tantalo, potrà anche prendere il 40% ma con quel sistema elettorale al secondo turno sarà sempre sconfitta. Le occorrerà al primo turno la maggioranza assoluta. Altrimenti ci sarà sempre un Mélenchon a fare l’antisistema ma poi ad accettare il patto col diavolo pur di non far vincere il super-diavolo (inesistente), il Fascismo. Su queste pantomime regge il potere.
Trasferite ora la vittoria degli sconfitti che si apprestano a non governare la Francia nel caso italiano e nell’euforia della sinistra nostrana. Ci sono due differenze con la Francia: il sistema elettorale qui non è di doppio turno e la destra, grazie a Berlusconi (va detto), ha la possibilità di coalizzarsi e governare. Non c’è nulla da imparare dalla Francia, è roba vecchia anche da noi, nulla di nuovo: è Fritto Misto nelle urne e Aria fritta per il Paese. Temendo la brace inesistente del fascismo, l’Unione ciechi di Francia ha scelto di restare in padella. Friggetevi.

Marcello Veneziani   

Il virus ideologico del climatismo…

Destra e sinistra sono entrambe state contagiate dalle campagne favorevoli alla decarbonizzazione. E la pervasività dell’ecologismo non fa sconti.

“Il climatismo è un virus ideologico che contagia destra e sinistra. Non c’è partito politico che non sia a favore della decarbonizzazione”. Nicola Porro nel suo ultimo libro “La grande bugia verde. Gli scienziati smontano, con dati reali, i dogmi dell’allarmismo climatico” (Liberilibri) mi ricorda che la destra è solo una sinistra moderata. E che un cristiano, ossia un antropocentrico, il carbone deve farselo piacere moltissimo visto che costa pochissimo e consente non soltanto ai ricchi di riscaldarsi d’inverno e rinfrescarsi d’estate.
Porro fa un acuto confronto: “E’ come se in piena ubriacatura comunista tutti fossero stati concordi sui principi marxisti. E, quei pochi contrari, si fossero limitati a mettere in discussione solo i tempi necessari per arrivare a qualcosa che era dato per acquisito”. Dunque il climatismo è culturalmente peggio del comunismo: ancor più pervasivo, ancor più totalitario. Lo conferma la presenza nel governo di cosiddetta destra di un ministro che ha appena meritato questo titolo: “Pichetto ha un piano: più rinnovabili per un’Italia green”. Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica? No, Ministro della Grande Bugia Verde.

Camillo Langone__da __IL FOGLIO

clima

Non cadere nel tranello…

 

Conosco poco i ragazzi di Gioventù nazionale per ragioni d’età e di lontananza da ogni militanza politica. Ma se li paragono ai ragazzi del Fronte della gioventù di ieri e soprattutto se li paragono ai ragazzi militanti della sinistra di oggi, mi sembrano decisamente più miti, più integrati, vorrei dire più inoffensivi. I giovani militanti della destra nazionale di ieri attraversarono gli anni di piombo e altre stagioni cruente, vissero climi di mobilitazione politica, furono sprangati e cacciati, messi a tacere con violenza, alcuni non potevano andare in giro da soli, ci furono anche decine di morti; anche per questo, oltre che per un sentimento politico di non celata continuità simbolica col passato, se non fascista almeno neofascista, erano comunque più esposti al rischio di rispondere alla violenza con la violenza, mostravano più fierezza e avevano un frasario militante più vigoroso, da partito emarginato e ghettizzato. I ragazzi di Gioventù nazionale vivono invece in un’epoca in cui la storia è sparita, la cultura politica si è rarefatta e la politica è l’ombra di se stessa, ridotta solo a leadership e teatrino sui media. E militano nel partito di maggioranza relativa che sta al governo. Quel che affiora a volte in una boutade è solo fiction della storia passata, scampoli ridotti a fumetti, personaggi-cartoons; più gli effetti allergici del politically correct e l’insofferenza verso il soffocante canone woke. Sono ragazzi che possono suscitare giudizi diversi, positivi o negativi, per il loro impegno nonostante l’apatia politica e l’anemia di passioni o per le loro scelte che possono piacere o no; ma certo non suscitano preoccupazione, tantomeno paura.  C’è più violenza molecolare, allo stato sfuso, nella società, sui social, tra i ragazzi presi nel circuito di droga, velocità, narcisismo e ossessione di procacciarsi soldi per accedere ai loro desideri, piuttosto che nella politica. Gli episodi di cronaca lo confermano tragicamente: nessuno uccide in nome di Mussolini o di Che Guevara mentre ogni giorno qualcuno uccide per questioni di droga, di soldi o perché teme di perdere la sua ragazza.

Rispetto poi ai giovani militanti di sinistra, o quantomeno alle frange più radicali, i ragazzi di Gioventù nazionale non occupano case, scuole e università, non impediscono agli altri di parlare o di entrare nelle università, non aggrediscono chi non la pensa come loro e non fanno spedizioni punitive anche all’estero per massacrare di botte i loro nemici. Nessuna persona di senno e in buona fede, dotata di un minimo senso della realtà, può davvero pensare che i ragazzi di Gioventù nazionale siano pericolosi per la libertà e per la democrazia, per l’incolumità altrui e per la tenuta delle istituzioni.   Per giudicare un movimento politico e i suoi militanti ci sono due criteri oggettivi: le posizioni politiche assunte pubblicamente e i comportamenti pratici. E non mi sembra che su ambo i lati ci sia qualche segnale preoccupante di pericolo; tanto più nel paragone con i loro dirimpettai di sinistra, eco-radicali, ecc. Ciò che si dicono in privato, le gag, le battute off record, non ha alcuna rilevanza politica, pratica e giuridica.

Quando viaggio nei treni locali, sento dialoghi tra ragazzi che si divertono nel cazzeggio e amano i paradossi per violare e beffeggiare divieti e tabù, che ieri riguardavano il sesso, la fede e le tradizioni e oggi riguardano migranti, gender e “nazifascismo”. Non sono militanti di nessun partito, forse neanche simpatizzanti, ma dicono battute che riprese in un consesso pubblico susciterebbero riprovazione, indignazione e condanna. Loro stessi, penso, in un contesto pubblico non le direbbero, e magari non lo pensano veramente; o al più semplificano ed esagerano (fanno appunto la caricatura) quel che realmente pensano.  Se qualcuno s’infiltrasse in un qualunque gruppo militante di sinistra, probabilmente battute come uccidere un fascista non è un reato, auspici per la premier di finire a testa in giù, maledizioni e insulti, voglia di eliminare l’avversario, sarebbero diffusi esattamente come le infelici battute dei ragazzi spiati. Ma anche di quelle battute non c’è da tener conto, finché non vengono espresse in sede pubblica e politica, magari accompagnate da un atteggiamento minaccioso e da comportamenti conseguenti. Sappiamo pure che quando si bandiscono i concorsi per l’assunzione di mostri qualcuno poi si presenta sempre all’appello, per vanità e fatuità, per “provocare” o per chissà quale meccanismo perverso di domanda e di offerta. Se li invochi di continuo, prima o poi qualcuno arriva.  Quel che è inaccettabile e da rifiutare senza possibilità di mediazione è invece la trappola in cui si vorrebbero far cadere i leader. È una continua, perentoria intimazione a scusarsi, a dichiarare quel che lorsignori suggeriscono, come nei tribunali dell’Inquisizione; e a cacciare, sconfessare, prendere le distanze dai propri iscritti, esponenti, alleati. È una vessazione permanente, da respingere in partenza, senza nemmeno discutere, perché in malafede, finalizzata solo a nuocere, a far perdere consensi, a dividere, a mettere in stato d’accusa e d’inferiorità l’avversario, a imporre il proprio gioco, le proprie regole e il proprio frasario. Il sottinteso di questo giochino al massacro è che la sinistra in questione non è solo avversaria nel campo di gioco, ma è anche arbitro e segnalinee, cronista e giudice sportivo. Ogni volta che chiedono abiure e dichiarazioni bisogna respingerle senza nemmeno entrare nel merito, rispondendo che non hanno nessun titolo per imporre all’avversario il gioco che a te fa comodo; in quanto giocatore non puoi arbitrare la partita, ammonire ed espellere chi vuoi, o fischiare il fuori gioco, falli e decretare punizioni, annullare i gol. Giocate la vostra partita, e contendete sul campo la vittoria agli avversari.  Per tornare invece alla realtà, ma davvero qualcuno pensa sul serio che quattro battute carpite in privato a quattro ragazzi siano un pericolo per la libertà e la democrazia e coinvolgano le responsabilità del governo? Via, raccontatela ai fessi.

 Marcello Veneziani            

Senso e insensatezza in una terra desolata…

 

Se uno fosse un paziente che si risveglia in Occidente da un coma di 30 anni… non sarebbe in grado di orientarsi; non solo non riuscirebbe a riconoscere il mondo, ma nemmeno a vederne il senso.
Non è un compito facile né piacevole tentare di capire cosa sta accadendo nel Mondo Occidentale di oggi…
A dire… come mai il linguaggio usato dai politici occidentali, dalla stampa mainstream e dagli onnipresenti trend-setter, ha poco o nessun senso? Come mai la maggior parte di ciò che dicono sono sfacciate bugie? Come mai tanti leader occidentali oggi sono impacciati, puerili pasticcioni che sembrano usciti dalla stessa fabbrica? Perché mancano tutti di istruzione, di nozioni storiche e persino di competenze di base? Perché mancano tutti di carattere? Perché non ci sono più diplomatici in Occidente? Perché abbiamo “Clooney-Tunes” come arbitri di ciò che possiamo leggere e imparare sul nostro mondo? Come mai un degenerato senile e irascibile è a capo di uno Stato dotato di armi nucleari? Perché la maggior parte dei regimi europei abbraccia avidamente politiche suicide? E… che ne è dei loro cittadini?
Il paziente stordito potrebbe allora rendersi conto di un odore pervasivo… qualcosa che segnala la putrefazione – la stucchevole dolcezza dei “valori occidentali” condita con il tanfo del neoliberismo cadaverico.L’Occidente sta crollando… ma ci sono due Occidenti… e uno sta crollando più velocemente dell’altro. (1) Il Vecchio Occidente – l’Europa. (2) Il “Nuovo Occidente” – il resto dell’Occidente, ovvero i territori post-coloni (frutto dell’eredità coloniale britannica, i primi nati circa 250 anni fa): Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda e “Israele”.È il Vecchio Occidente che si sta sgretolando più velocemente… E questo è in parte dovuto al senso di identità originaria che si sta svuotando dall’interno.
La Vecchia Europa si sta trasformando in un vuoto. Ha perso quasi del tutto le sue tradizioni, le sue ricche culture, il suo passato, la sua civiltà… E, in virtù degli obblighi di conformità del neoliberismo e del processo di omologazione incrementale incarnato dall’UE e dalla NATO, i singoli Stati stanno perdendo le ultime vestigia di un’identità originaria e autentica. Ed essere completamente privi di identità rende disperati – spesso a proprie spese.
Per riempire il vuoto sempre più dilatato… la missione neoliberale ha fornito alle masse occidentali un “minimarket orientato all’immagine pubblica” che offre una gamma di narrazioni insidiose e nuove identità confezionate che includono merci come: guide passo-passo alla celebrità, dritte per liberarsi dagli obblighi sociali, eroismo basato su impronte di carbonio minime, i fondamenti del femminismo radicale, il virtuosismo vegano, modelli per la modificazione del corpo, un’ampia selezione di generi, ecc. E privandoli di un pensiero indipendente, questi nuovi prodotti identitari hanno reso questi consumatori disorientati ancora più sottomessi alle autorità delle narrazioni.
Questo potrebbe essere uno dei motivi per cui gli Stati europei si sono assoggettati a diventare vassalli dell’Impero e hanno da tempo rinunciato a pensare ai propri interessi di sicurezza nazionale.
L’assoggettamento tende a generare meccanismi di compensazione illusori… Dopo aver praticamente acconsentito alla distruzione dei gasdotti Nord Stream e allo smantellamento della sua industria (pur rimanendo nell’illusione della sua bravura militare), la Germania ha partecipato con i suoi padroni a una strategia per far saltare il Ponte di Crimea. Poi c’è la Francia: nel delirio della sua passata gloria (ingloriosa) come “la Grande Nation”, le petit Napoléon Macron ha acconsentito a permettere agli ucraini di colpire obiettivi all’interno della Federazione Russa usando armi francesi e sta ancora considerando di inviare soldati francesi a combattere in Ucraina. La Finlandia e i chihuahua baltici hanno dimostrato di essere pronti ad affrontare il loro grande vicino. L’Ucraina, la cui intera popolazione viene sacrificata all’Egemone, continua a effettuare bombardamenti sul territorio russo e medita persino di colpire i suoi sistemi radar di allerta nucleare.
Nel frattempo, e nonostante tutte le narrazioni escogitate fornite, la maggior parte dei cittadini europei si trova in uno stato psicologico di grave depressione… I segni e i sintomi sono abbondanti: paura, mancanza di speranza, letargia, ritiro sociale, minore produttività, perdita di creatività, un senso generale di “morte e distruzione”. Certo, esiste una minoranza di coraggiosi dissidenti che osano pensare e parlare in modo indipendente, ma vengono perseguitati e sempre più spesso sottoposti a caccia alle streghe. La Vecchia Europa è ormai, nel suo complesso, autolesionista e suicida. Non vede più una ragion d’essere per sé stessa. Non vede più una “Daseinsberechtigung”…
Gli Stati occidentali post-coloniali, tuttavia, sono ancora impregnati di un forte senso di identità. Ciò è particolarmente evidente negli Stati Uniti e in “Israele”. Sebbene le loro popolazioni abbiano pochi o nessun legame con le radici storiche, la civiltà e la cultura dei loro antenati europei, continuano a nutrire un fanatico senso di “diritto divino” sulle terre che i loro antenati colonialisti hanno brutalmente invaso. Gli Stati Uniti, in particolare, si sentono investiti della missione divina di redimere l’umanità facendo proseliti con i loro “valori” e il loro stile di vita in tutto il pianeta. Nonostante il programma neoliberale dell’Occidente di distruggere le società e la cultura ovunque, anche all’interno dei propri territori, il senso di preminenza divina dei post-coloni abbonda ancora e certamente prevarrà finché esisteranno. Sono “gli eletti”. E così questi Stati hanno conservato le loro identità originaria, per quanto squilibrate possano essere.
Non c’è da stupirsi quindi che l’Egemone e il suo avamposto “Israele” stiano conducendo escalation avventate… senza alcun piano B… senza un minimo di pensiero strategico. Perché sono convinti di essere incolpevoli, intoccabili, invincibili… E – finora – sono inarrestabili.
Si può quindi vedere il declino dell’Occidente come una patologia a due punte: una parte maniacale, una parte depressiva… con entrambe che negano la Realtà… sommerse in uno stato di totale irrazionalità.
Le potenze occidentali hanno raggiunto il loro capolinea. Questa è l’ultima tappa della loro lunga cavalcata di saccheggio e il culmine del loro sistema, l’ultima fase del loro capitalismo neoliberale.
Non hanno nient’altro per cui vivere.
Se il resto di noi sopravvive al loro schianto, cercheremo di costruire un nuovo mondo… e se vogliamo perdurare e vivere insieme in armonia: allora dovrà essere senza il loro sistema…

E magari potremo iniziare questo percorso con la domanda: “Che cos’è ciò per cui viviamo?”

Nora Hoppe – Al Mayadeen

 

senso e nonsenso

 

Potere alle donne…

Le ultime elezioni europee hanno confermato una tendenza: il passaggio del comando politico dagli uomini alle donne. Giorgia Meloni ed Elly Schlein guidano i due maggiori partiti nostrani, su cui si fonda il nostro bipolarismo imperfetto. E a livello europeo, Marine Le Pen è la vera vincitrice di questa tornata elettorale. Ma non solo: Ursula van Der Leyen eRoberta Metsola, presidenti della commissione e del parlamento europeo, sono uscite bene dalle elezioni, nonostante la sconfitta delle forze eurocratiche, la disfatta di Macron in Francia e di Scholz in Germania. E altre donne guidano altri paesi, da est a ovest.

Ma non è un fenomeno contingente; c’è qualcosa di più profondo e strutturale: il potere sta passando alle donne. Non c’è bisogno di essere femministe per plaudire a questa svolta ginecocratica. Personalmente mi sono convinto che il futrazione del latino Domina, è colei che domina anche nella vita pubblica. uro della politica sia femmina. Non lo dico con rassegnazione o per compiacere le donne, è una pura constatazione di fatto: si, la politica oggi si addice di più alle donne. E non dirò nemmeno che è un segno di decadenza della politica. Le donne oggi hanno più determinazione, carattere, tenacia, si applicano di più, sono meno superficiali e multitasking, più adatte a governare e guidare la politica. L’uomo molla, è molle, ha meno volontà. Non siamo al regno della Amazzoni ma si deve prendere atto che la Donna, contLe donne sono più portate alla concretezza, sono più pragmatiche e sono meno inclini alla corruzione e alla disonestà politica.
Un tempo le Golda Meir e le Indira Gandhi, ma  anche le regine del passato, facevano storia a sé. Poi venne il tempo della Thatcher e poi della Merkel; oggi sta diventando la norma.
Le donne hanno una vocazione naturale alla crematistica, che dai tempi di Aristotele è l’arte di gestire l’economia, e riguarda non più solo le spese di casa, ma quelle del condominio-Paese o del condominio Unione. Una donna guida pure la Banca centrale europea, Christine Lagarde, la Draghi in versione euro-femminile. Che non suscita, almeno in me, simpatia e ammirazione, ma è una conferma ulteriore di questa svolta.
Non è lo stato d’animo sconfortato e depresso di un uomo, di un maschio che vede ormai il passaggio di consegne e si lascia prendere da una specie di sindrome di Stoccolma. È un’abdicazione serena, che libera l’uomo dall’ansia di prestazione politica e dal dovere di dimostrare la sua maggiore capacità di visione e di gestione, l’attitudine al comando e alla decisione. In fondo, ci sono già state epoche nell’antico mediterraneo all’insegna del matriarcato. Che ancora si riflette in alcune società del sud, dove l’uomo regna ma la donna governa. Anche quando restavano in casa a esercitare il loro potere a latere, erano le mandanti dei loro consorti, laddove gli uomini amavano figurare, duellare, guerreggiare, ma poi delegavano alle loro mogli, sorelle e madri, la gestione della casa, della famiglia e delle strategie di prossimità. Quell’eredità ancestrale è venuta ora a maturazione e si è fatta sistema; e la disfatta della politica, la maggioranza assoluta del popolo sovrano che abdica alla sovranità e non va a votare, sono ulteriori segnali che qualcosa è cambiato, dobbiamo prenderne atto e trarre le dovute conseguenze. All’uomo resta, se sarà in grado di mantenerlo, il regno degli scopi ultimi, il mondo dei significati, l’arte, il gioco, il pensiero, la metafisica. Anche se veniamo da un secolo, il novecento, in cui il pensiero forte è stato più rappresentato dalle donne. Dopo millenni di dominio maschile, le pensatrici più vigorose del Novecento sono loro: Simone Weil e Hannah Arendt, Maria Zambrano e Rachel Bespaloff e altre pensatrici e scrittrici. Mentre gli uomini in larga parte dichiaravano la morte della filosofia e la sconfitta del pensiero, o fallivano nei loro sogni, figli del superuomo nicciano, il pensiero delle donne, al di là delle rivendicazioni femministe, assumeva vigore politico, filosofico e religioso. Peraltro entri in libreria, vai a cinema o a teatro o a una conferenza e vedi più donne che uomini. È un segnale.
Il repertorio classico delle motivazioni aveva fino a ieri un senso, pur nel suo corredo di ovvietà: quando l’uomo andava in guerra e a caccia, quando sfidava l’incognito, il pericolo e le intemperie, si sporgeva fuori casa e portava da mangiare alla famiglia, comunque si occupava lui delle fonti di sostentamento, aveva una naturale propensione non solo a guidare la società ma anche a interpretarla, a capirla, tramite la cultura, lo spettacolo, la ricreazione. Oggi è tutto un sorpasso. In più prevale per i maschi giovani lo stereotipo del bamboccione, motteggiato dalle donne con la frase-password: “non ha le palle”. Anche da qui prende corpo l’evirazione della politica.
Un tempo si diceva che gli uomini hanno una visione generale delle cose, mentre le donne hanno una visione particolare, ravvicinata. Oggi non è più così, l’individualismo egocentrico, la vanità e il puerile narcisismo hanno reso gli uomini più preoccupati della loro sfera personale, quanto se non più delle donne. Anche in politica prevale il particulare, la carriera personale, i fatti propri, se non gli interessi privati. Non so se chiamarla emancipazione femminile o piuttosto decadenza maschile; non se se sia da ascrivere più a un’accresciuta sensibilità e capacità delle donne o a un crescente inebetimento e inettitudine dei maschi. Direi salomonicamente a entrambi. Oggi quando si deve eleggere un presidente o un premier mi trovo a dire: speriamo che sia femmina.

Marcello Veneziani     

Cosa fu la Dc..

 

Rieccola, la Dc, un pezzo della vita nostra, di noi seniores. Torna per i suoi ottant’anni, ma a dir la verità, già quarant’anni fa ne dimostrava ottanta. O quantomeno così la percepivamo noi italiani, tanto ci pareva eterna, inossidabile, antica. Andreotti ci sembrava un reperto della preistoria già quando aveva solo sessant’anni; si sprecavano ironie sulla sua, sulla loro longevità politica. Essendo poi per indole e ragione sociale moderati, sobri e morigerati, i democristiani sembravano vecchi anche da giovani. Ma quella percepita antichità della Democrazia Cristiana indicava anche un’altra cosa: aderiva così profondamente alle fibre del nostro paese da essere considerata un elemento naturale della nostra vita pubblica e privata. Avevamo per così dire somatizzato la Dc o la Dc aveva somatizzato l’Italia, pur senza alcuna enfasi di italianità e di identità nazionale. Apparve quasi l’autobiografia degli italiani, come si disse pure del fascismo: il fascismo-Stato pretese di essere la versione paterna mentre la Dc-Stato fu la versione materna.

L’occasione per celebrare gli ottant’anni della sua nascita è un convegno  a Roma, introdotto da Ortensio Zecchino, moderato da Paolo Mieli, con alcuni storici, che dà il via a una serie di incontri e seminari triennali sulla storia della Dc nella storia d’Italia: Anima e corpo della Dc.

Cosa è stata la Dc per l’Italia in relazione al suo tempo? Fu in primo luogo il più grande ammortizzatore di conflitti e guerre civili, di tensioni sociali, di passioni ideali. Venivamo da un’Italia divisa in due e la Dc fu la tregua sine die, il disarmo e l’oblio dell’Italia venuta dal passato, dal Risorgimento, dalle Guerre, dal fascismo e dall’antifascismo. Riportò l’Italia dalla storia a casa, anzi non pensò all’Italia ma si prese cura degli italiani e li riportò in famiglia, alla vita di ogni giorno. Quando si spaccia il voto alle donne come una vittoria progressista si dimentica che furono le donne a far vincere la Dc contro il fronte progressista. Votarono il partito della Madonna e della famiglia, mica l’emancipazione femminista.

La Dc non pretese di raddrizzare le gambe storte degli italiani, come i rivoluzionari e i riformatori; non ebbe pretese correttive, etiche, non sognava l’uomo nuovo; assecondò il suo popolo e la sua indole, nel nome della libertà, ma di fatto della comodità, del quieto vivere, mettendo ciascuno a proprio agio. Fu indulgente la Dc, mai punitiva, mai vendicativa e di fronte a ogni massimalismo rispondeva col minimalismo rassicurante; gli estremisti li avversava in campagna elettorale, poi tentava di ammansirli e assorbirli. Se la destra coltivava la fiamma del passato e la sinistra si crogiolava nel sol dell’avvenire, lo scudo crociato si curava del presente. Era la realtà concreta, senza cedere al neo-realismo. Se la destra si appellava alla nazione e la sinistra si richiamava al socialismo sovietico, la Dc si piazzò a Occidente, tra la Chiesa e gli Stati Uniti, sotto la protezione delle vecchie zie. Non promosse crociate ma dighe per arginare il comunismo o il nazionalismo; era il partito delle piccole, solide certezze, rispetto alle avventure temerarie e ai focosi ideali. Il suo modello sociale era la versione soft dello statalismo fascista e socialista: un compromesso tra pubblico e privato, tra libertà e assistenza, mercato e stato. Alle forti convinzioni oppose le pratiche convenienze; trasferì l’invocazione dei santi nel campo delle raccomandazioni. Allevò clientele e spostò le aspettative sul piano personale e famigliare. Se l’Italia fu quella lungo il mezzo secolo democristiano, i meriti e le colpe della Dc furono sempre indiretti, mediati; fu sempre concausa, sia di sviluppo che di decadenza. Ovvero, non si può attribuire direttamente alla Dc il boom dell’Italia dal dopoguerra al miracolo economico; la Dc non ostacolò questo processo che avvenne più per dinamismo sociale, voglia e capacità di migliorare degli italiani nella loro vita; per certi versi lo assecondò, quantomeno garantendo un clima e sopendo le forti contrapposizioni. Allo stesso modo non si può attribuire direttamente alla Dc la decadenza della società, il caos, la perdita di valori, la scristianizzazione galoppante, la crisi di identità, appartenenza e cultura. La Dc non arginò queste derive, non si oppose, non pretese nemmeno di orientare culturalmente o ideologicamente gli italiani. Ma sarebbe ingeneroso attribuire il declino di una civiltà alla Dc, esattamente come sarebbe ingiusto attribuire alla Dc il merito dello sviluppo. Dopo De Gasperi non ebbe statisti, i suoi “cavalli di razza” furono politici navigati, a volte cinici, come Andreotti, a volte fumosi anche se di maggior respiro, come Moro. Forse Fanfani ebbe l’ambizione di essere uno statista e fare politica oltre la gestione dell’esistente. La duttilità della Dc, la pluralità di sensibilità e tendenze fu la sua forza e la ragione della sua durata.  Cominciò a declinare quando De Mita pretese di modificare l’indole della Dc, prima abbracciando l’Arco costituzionale con cui perse l’egemonia, poi cercando un’intesa col Pci e le forze laiche opponendosi al fronte avverso che univa a sua volta una parte della Dc di sempre con l’emergente leadership di Craxi (il mitico CAF). E sullo sfondo le ombre del dopo-terremoto (Irpiniagate).

Il primo crollo elettorale fu proprio con lui nel 1983, a cui seguì l’anno dopo il sorpasso dei comunisti alle elezioni europee, freschi orfani di Berlinguer. Poi la caduta del Muro, Mani Pulite, l’incapacità di rifondarsi e di accettare le conseguenze del bipolarismo; vano fu il tentativo in extremis di tornare partito popolare, senza l’ispirazione sturziana, in un mondo ormai mutato. Infine la disseminazione dei democristiani nei due schieramenti e il formarsi di alcuni partiti coriandolo. La Dc non morì del tutto, ma non si ricompose più per intero. Restò un flebile rimpianto, fino a che la tirannia del presente cancellò la sua impronta. Quel presente che era stata l’àncora di salvezza democristiana dalla storia, dai nostalgismi e dai progressismi, si ritorse contro di lei e la tumulò nel passato. L’Italia ci mise una croce sopra, non in segno di voto o di memoria dello scudo crociato; ma per seppellirla insieme all’Italia di ieri con le sue vecchie mappe e le sue vecchie mamme.

 Marcello Veneziani 

Uniti contro la Bestia…

 

 

Vedo il G7 in Puglia e mi si stringe il cuore. Non perché si faccia dalle mie parti, vicino a casa mia, ma perché vedo lì raccolto e concentrato intorno a un tavolo l’Occidente euro-atlantico, più l’ospite giapponese. E allora penso tante cose. Per mettere ordine la prendo alla lontana e parto dall’inizio: l’Europa, o meglio l’Euro-Usa, è solo una fetta del mondo, minoritaria per popolo, territorio, religione e commercio. All’interno di questo mondo che si definisce democratico, la metà del popolo sovrano non va a votare, per dissenso, disinteresse, disgusto.  Nella mezza popolazione Euro-Usa che va a votare, la maggioranza vota  A est è Putin, a Ovest è Trump, nell’Europa dell’Ovest è Le Pen, nel mezzo, almeno fino a ieri, era la Meloni più contorno di Salvini, nell’Europa dell’est è Orban e altri meno in vista (A sud-est c’è l’Ayatollah).  Ma ogni Paese ha la sua bestia interna, dalla Francia alla Spagna alla Germania, ma la bestia in questione di bestiale poi fa solo una cosa: cresce nei consensi, vince democraticamente le elezioni. Un successo bestiale. Per restare in Europa, i due presidenti più scarsi della storia di Francia e di Germania, Flic & Floc, hanno preso appena il 14 per cento dei voti della metà d’elettorato che è andato a votare; praticamente niente. Ma decidono loro le sorti dei loro paesi, dell’Europa e sono tra i grandi decisori del mondo. Schulz è di imbarazzante mediocrità, ogni cosa che fa, che dice, che esprime con lo sguardo è la vacuità, la miseria del nulla, la disgrazia del niente. Macron, invece, è di massima furbizia e minima intelligenza, ha un moralismo transgenico e intermittente, sconfinato, pari solo al suo cinismo. Sanno, i due, di non essere amati nel mondo, in Europa e soprattutto nei loro Paesi, dal loro Sovrano, il popolo francese, tedesco, europeo. Eppure stanno lì come se nulla fosse accaduto e decretano, decidono, tramano. C’è da fermare la Bestia, non possiamo scendere. In America nei confronti di Trump è in atto il più schifoso e clamoroso tradimento della democrazia, del diritto, del rispetto della libertà e della diversità di opinioni, stanno cercando di impedire di farlo candidare in tutti i modi, a colpi di sentenze, multe, colpi bassi, inguinali; mignottate, in ogni senso. L’argomento principe che motiva questa guerra preventiva per impedire l’accesso al voto è che lui porterebbe l’America fuori dalla democrazia, dai diritti, dalla libertà, dalla civiltà. E per impedire che questo avvenga sospendono la democrazia, i diritti, la libertà, la civiltà… Ma la cosa più ridicola in questa sceneggiata, è che quel signore col ciuffo alla Casa Bianca c’è già stato, abbiamo le prove di cosa succede quando va al potere; e non è successo niente di quel che oggi profetizzano in caso sciagurato di sua vittoria. Non solo, ma non ci furono guerre con lui, a differenza di chi lo precedette e di chi lo ha sostituito; non ci fu tracollo economico ma crescita e benessere; tanto è vero che quattro anni dopo, i cittadini sovrani lo rivogliono al governo. Perché la Bestia andò a casa, dopo aver perso democraticamente le precedenti elezioni (e non consideriamo l’ombra di brogli).  In Europa la Bestia è Marine Le Pen, mentre la Meloni, anche lei confermata a pieni voti al governo, sta a bagnomaria, o a bagnomarine, sotto osservazione, per vedere come si comporta, se è in o out, se si normalizza, cioè si ursulizza o si lepenizza. La Bestia in questione non ha mai compiuto nessuna bestialità, ha solo il torto grave di combattere per le sue idee da decenni; e il torto più grave di essere la più votata di Francia, più del doppio di quel che prende il giovanotto scarso e scaltro dell’Eliseo.  In Europa siamo un tantino più evoluti rispetto all’America: rilasciamo, seppure a malincuore, la patente di voto alla Bestia. Ma appena prende più voti del dovuto, revochiamo il diritto di circolazione. E se i voti sono troppi per impedire la circolazione allora imponiamo la Ztl: al centro del potere la Bestia non può accedere, sono sbarrate tutte le vie d’accesso, le alleanze, i repubblicani. L’ultimo caso è dei gollisti che da decenni sono diventati autogollisti, perché si rovinano con le loro stesse mani e anziché fare maggioranza di centro-destra e governare seppure in condominio con la Bestia, preferiscono finire in terza fila, da comparse, nel trenino di Macron.  Eppure ci sarebbe da fare un discorso semplice: se la Bestia raccoglie i voti della maggioranza del popolo sovrano non può essere più considerata bestia se non a condizione di definire bestiale il popolo sovrano e la democrazia. Quando la Bestia prende i voti che ieri erano dei gollisti, dei centristi, dei moderati, non possiamo più giudicarla come espressione di frange estremiste. C’è il vostro popolo là, non potete ignorarlo, dovete fare i conti…Nel frattempo al G7 volano stracci, aborti, follie, sanzioni e ancora soldi per Zelenskij. Ed è curiosa la rappresentazione dei fatti che viene fornita nell’EuroUsa zone, Italia inclusa, dall’informazione d’apparato: se un’incursione russa uccide nove ucraini si fa titolo sulla strage; poi passi alla Palestina e apprendi con euforia che sono stati liberati quattro ostaggi, e tutti siamo felici; piccolo particolare fatto cadere con disattenzione, nell’operazione sono stati uccisi 275 palestinesi. In Ucraina nove morti fanno, giustamente, orrore e notizia; a Gaza 274 palestinesi uccisi per liberare 4 ostaggi no, capita, normali incidenti sul lavoro. Ma in che mondo viviamo? Ma si, nel mondo, anzi nella porzione di mondo, che ritiene di essere campione dei diritti, del libero pensiero, della verità e della pace. Il mondo che si oppone alla Bestia. Siamo ridotti così male che il migliore degli ospiti della Meloni al g7 è addirittura Papa Francesco…

Marcello Veneziani