La leggenda maya del colibrì…

 

Secondo gli antichi Maya gli Dei hanno creato tutte le cose sulla Terra e, nel fare ciò, ogni animale, ogni albero e ogni pietra sono stati incaricati di fare un lavoro. Ma quando ebbero finito, notarono che non c’era nessuno incaricato di trasportare i loro desideri e pensieri da un luogo all’altro. Dato che non avevano più fango o mais per creare un altro animale, presero una pietra di giada e con essa scolpirono una freccia molto piccola. Quando fu pronta, le soffiarono addosso e la piccola freccia volò fuori. Non era più una semplice freccia, ora aveva la vita: gli dei avevano creato il ts’unu’um , cioè il colibrì.  Le sue piume erano così fragili e così leggere, che il colibrì poteva avvicinarsi ai fiori più delicati senza muovere un solo petalo. Brillava sotto il sole come gocce di pioggia e rifletteva tutti i colori.  Quindi, gli uomini hanno cercato di catturare quel bellissimo uccello per fare decorazioni con le sue piume. Gli dei, vedendoli, si arrabbiarono e dissero che se qualcuno avesse osato catturare un colibrì, sarebbe stato punito.
Ecco perché i colibrì non possono essere tenuti in gabbia. Gli dei li hanno creati per volare liberamente. Ma gli dei non solo hanno creato questi splendidi uccelli e li hanno resi liberi. Assegnarono loro anche un lavoro: i colibrì avrebbero dovuto portare i pensieri degli uomini e degli dei stessi da una parte all’altra.  Ecco perché, secondo la leggenda, quando un colibrì appare improvvisamente davanti a te, porta un messaggio di amore e affetto da qualcuno che ti sta pensando.

colibrì

Il Mediterraneo…

Per quelli che l’attraversano ammucchiati e in piedi sopra imbarchi d’azzardo, il Mediterraneo è un butta dentro. Al largo d’estate s’incrociano zattere e velieri, i più opposti destini. La grazia elegante, indifferente di una vela gonfia e pochi passeggeri a bordo, sfiora la scialuppa degli insaccati. Non risponde al saluto e all’aiuto. La prua affilata apre le onde a riccioli di burro. Dalla scialuppa la guardano sfilare senza potersi spiegare perché, inclinata su un fianco, non si rovescia, affonda, come succede a loro. Qualcuno di loro sorride a vedere l’immagine della fortuna. Qualcuno ci spera, di trovare un posto in un mondo così. Qualcuno di loro dispera di un mondo così.

erri de luca

zattera

Benefici errori..

 

Certe volte bisogna prendere le decisioni sbagliate, perché quelle giuste sono tali solo col senno di poi. Ma noi viviamo adesso, non poi. E bisogna imparare a sbagliare bene, a fare gli errori giusti, e magari a non rifarli più. O a rifarli altre centro volte, dipende. Chi non sbaglia mai non è saggio. È morto. Sbagliate, e fatelo continuamente. Col cervello, convinti di ciò che comporterà, e se ci saranno conseguenze, felici di incontrarle. Perché gli errori giusti esistono. Sono momenti trasparenti di libertà che ci permettiamo di prendere per seguire noi stessi. Perché la coerenza, come la definisce la gente, non esiste. Cosa c’è di più coerente del dar retta ai propri istinti? Chi l’ha detto che se anni fa eravamo contrari ad una cosa, ora non possiamo farla? Chi è il giudice? Dov’è il tribunale? Ascoltatevi. Assecondatevi. Pentitevi.Vivrete,allora, una vita intera sapendo di aver fatto una marea di scemenze, certi però di essere stati davvero voi stessi, di aver vissuto una vita che è appartenuta a voi,e a nessun altro.Irripetibile. Unica. Vera

errori benefici

Quando i pensieri sono sempre attuali…

Il problema umano del capitalismo moderno può essere formulato nel modo seguente. Il capitalismo moderno necessita di uomini che cooperino in vasto numero; che vogliano consumare sempre di più; i cui gusti siano standardizzati e possano essere facilmente previsti e influenzati. Necessita di uomini che si sentano liberi e indipendenti, che non si assoggettino ad alcuna autorità e tuttavia siano desiderosi di essere comandati, di fare ciò che ci si aspetta da loro, di adattarsi alla moderna macchina priva di frizione; che possano essere guidati senza la forza, guidati senza capi, incitati senza uno scopo, tranne quello di rendere, di essere sulla breccia, di funzionare, di andare avanti. Qual è il risultato? L’uomo moderno è staccato da se stesso, dai suoi simili, dalla natura.

Erich Fromm

The young office worker looks at his small spoon in surprise when he sees the giant ladle in his boss's hand. (Used clipping mask)

Il principe serpente,un racconto della Persia antica…

 

C’erano una volta un re ed un visir che erano amici da lunga data: entrambe le loro mogli aspettavano un bambino e decisero che se fossero nati un bambino e una bambina li avrebbero poi fidanzati e fatti sposare.
Ma quando nacquero, la moglie del re ebbe un serpente, mentre la moglie del visir una bellissima bambina.
La bambina e il serpente crebbero insieme, malgrado tutto: la bambina era contenta del suo amico, per lei non era un animale ripugnante.
Un giorno, erano ormai grandi, i due stavano giocando insieme quando di colpo la pelle del serpente cadde e venne fuori un bellissimo giovane.

Poco dopo il ragazzo riprese le sembianze del serpente.
Non visto, il re aveva assistito a tutto e chiese alla giovane di fare in modo che il figlio non diventasse più un serpente.
Quando il principe riprese la forma umano la ragazza gli bruciò la pelle di serpente. Lui allora la guardò e scomparve.
Disperata, la ragazza non sapeva più a chi rivolgersi.

Un giorno incontrò una vecchia maga, che le disse:
– Il tuo amato è lontano da qui: dovrai consumare sette paia di scarpe per trovarlo!
La ragazza allora partì attraverso strade, boschi, deserti e il giorno in cui finì di consumare il settimo paio di scarpe arrivò vicino ad un castello cupo, incastrato su una montagna.
Fuori c’era un leone malconcio, che le chiese qualcosa da mangiare: lei gli diede l’ultimo pezzo di carne che le era rimasto.
Poi trovò delle formiche, che le chiesero di aiutarle a ricostruire il proprio formicaio: lei fece come le era stato chiesto. Infine, sulla porta del castello c’era la porta che scricchiolava e lei usò l’ultimo olio che aveva per oliarla.
Entrò nel castello, in cui viveva un genio malefico, che aveva imprigionato il suo principe.
Lo trovò incatenato e lo liberò. Ma il genio si buttò al loro inseguimento.
Urlò alla porta:- Chiuditi e non lasciarli uscire!
Ma la porta gli rispose:- Lei mi ha unto ed ha avuto cura di me, non posso non lasciarla uscire!
Allora disse alle formiche:- Pungeteli e fermateli!
Ma le formiche risposero:- Non possiamo: lei ci ha aiutato!
Per finire il genio urlò al leone: -Sbranali!
– No, non posso, lei mi ha dato da mangiare!
Il genio non poteva allontanarsi troppo dal castello e si disintegrò nell’aria.
La ragazza e il principe tornarono al loro Paese dove si sposarono e vissero felici e contenti.

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” Mamma, come ho fatto a venire da te e papà ? Prima non c’ero…

Un figlio .
Sai da dove vieni?
…vicino all’acqua d’inverno
io e lei sollevammo un rosso fuoco
consumandoci le labbra
baciandoci l’anima,
gettando al fuoco tutto,
bruciandoci la vita.
Così venisti al mondo.
Ma lei per vedermi
e per vederti un giorno
attraversò i mari
ed io per abbracciare
il suo fianco sottile
tutta la terra percorsi,
con guerre e montagne,
con arene e spine.
Così venisti al mondo.

Da tanti luoghi vieni,
dall’acqua e dalla terra,
dal fuoco e dalla neve,
da così lungi cammini
verso noi due,
dall’amore che ci ha incatenati,
che vogliamo sapere
come sei, che ci dici,
perché tu sai di più
del mondo che ti demmo.
Come una gran tempesta
noi scuotemmo
l’albero della vita
fino alle più occulte
fibre delle radici
ed ora appari
cantando nel fogliame,
sul più alto ramo
che con te raggiungemmo.

Pablo Neruda

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Questa meraviglia di poesia è la metafora della vita, che solo un poeta come Neruda avrebbe potuto scrivere. La vita fa parte della natura e come ogni cosa del mondo degli uomini ha un inizio naturale, coadiuvato dall’amore, che ,quando è tutto ,tutto può fino a generare un figlio, che ne è praticamente il concentrato. Una descrizione che porta a comprendere l’amore infinito per un figlio,che è il tutto di ogni genitore, lo scopo di una vita; e questi versi sono un regalo davvero speciale da donare ad un figlio- E se si pensa che Neruda lo immaginò soltanto questo figlio, l’emozione poetica si moltiplica all’infinito.

Dedicato a tutti quelli che non riescono a vedere il proprio valore.

 

Carolina parla poco e cammina senza far rumore, si nasconde dalla vita perché non è come vorrebbe, perché non riesce a smettere di sentirsi in difetto. Non riesce a sentirsi mai “abbastanza”. E nessuno sa perchè, ma lei sussurra una canzone. Lei cammina e va lontano, ma mai abbastanza, lei lavora e sputa l’anima a lavare i pavimenti, a lustrare le maniglie di portoni, che custodiscono famiglie in doppiopetto, che salgono le scale e la salutano come quando accarezzi la testa di un cane, come quando sorridi come a dire “ti guardo per sentirmi migliore, ti guardo ancora per convicermi  di nuovo”. Lei china sulla scale sputa l’anima e i sospiri d’ammoniaca e se lo chiede e sottovoce si risponde “mai abbastanza”.

Carolina occhi scuri come il fondo della notte, si ferma un attimo e ti guarda come a dire “non azzardarti far domande, non devi accorgerti di me, è inutile che insisti, non ti lascerò entrare”. Ti sorride come a dire “adesso lasciami passare, come i viaggiatori alle stazioni, che appena son passati non ricordi neanche il viso, neanche il suono della voce, neanche se siano mai esistiti veramente”. E si guarda Carolina, nello specchio dell’ingresso e vede zigomi sabbiosi come le dune che scalava a dieci anni, vede guance screpolate, come gli affreschi nelle chiese sconsacrate, che ti senti a disagio solo a vederle a lontano. Dovrebbero esserci anche gli occhi, forse nascosti chissà dove, ma tira a indovinare, meglio non rischiare di incrociarli in quello specchio, che lei lo sa che fanno male, ti si piantano addosso, ti tormentano, ti ricordano che respiri ancora. Decisamente è meglio non rischiare. Carolina che tiene un diploma e trenta grammi di speranze in un cassetto, che se lo apre sente l’odore di quei giorni di risate, di pasticcini e luci al neon e tutti a dire “adesso sì che sei speciale, adesso esci e fatti valere e trova un uomo e metti su famiglia, che è così che si deve fare”.

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Ma lei già lo sapeva di non esserne capace, di non sapere come fare, di non essere mai abbastanza. Lei ha un figlio che ha vent’anni, vive a Londra per amore e un marito di quaranta fuggito chissà dove e non è vero che il tempo cura le ferite, per lei ogni giorno che finisce non fa altro che aumentare il sale sulla pelle, i pensieri fanno male e si piazzano di taglio sul respiro, come i gradini che torturano le ginocchia. Che a pensarci la sua storia è un po’ così, un dolore lieve e costante, che ti logora e ti scava, implacabile, incessante. Carolina che si sdraia sulla sera, come fanno le tovaglie sopra i tavoli, quelle che sono un po’ fuori misura e lasciano uno spigolo scoperto alle intemperie. Si sdraia per abitudine, in un silenzio devastante, in una solitudine che disturba. Tiene una foto sotto al cuscino, c’è un bambino che sorride, ha i suoi, occhi neri come il fondo della notte, lei si raggomitola i pensieri e si addormenta sussurrando una canzone. Il mondo fuori è soddisfatto. Carolina mai abbastanza  . La canzone che sussurra l’ha sentita un giorno, chissà dove e fa così: Da adesso in poi.

“Come le lampade hanno bisogno di petrolio, così gli uomini hanno bisogno di essere nutriti di una certa quantità di ammirazione. Quando non sono abbastanza ammirati, muoiono”, (Henry de Montherlant – Pietà per le donne).

Pinocchio non c’è più__blog

Il luogo inesplorato…

 

Una leggenda narra che quando gli dei crearono la razza umana discussero a lungo sul luogo in cui nascondere le risposte alla vita, così da costringere gli umani a cercarle. Un dio propose: “Mettiamo le risposte in cima a una montagna. Non andranno mai a cercarle lassù”.”No”, risposero gli altri, “le troverebbero subito” . Un altro dio propose: “Mettiamole nel centro della terra. Non andranno mai a cercarle laggiù”. “No” , risposero gli altri, “le troverebbero subito”. Poi parlò un altro: “Mettiamole in fondo al mare.Non andranno mai a cercarle laggiù”.  “No”, risposero gli altri,  “le troverebbero subito”.  Cadde il silenzio…  Poco dopo un altro parlò: “Potremmo mettere le risposte dentro di loro.  Non andranno mai a cercarle laggiù. “

E così fecero.

Marie Luise Von Franz

il senso della vita

La prova della malvagità dell’uomo nelle etichette indecifrabili…

C’è bisogno di impegno e ricerca per capire di cosa sono realmente fatte le cose che indossiamo. Due acquisti da raccontare.

capi abb.

Felice di essere la tua realtà.

 

Non rimproverarti mai niente. Le tue colpe, o almeno quelle che tu credi tali, non sono niente di cui pentirti. Non hai niente da ascoltare da chi ti dice come avrebbe fatto se fosse stato al posto tuo. Tu sei il tuo posto e che gli altri rimangano al loro. E sei un posto bellissimo. Non sei una tappa, sei la destinazione finale. Non sei il mezzo, ma il fine. Non sminurti, non accontentarti, non fare di qualcuno la tua priorità assoluta. Costruisciti una casa in cui tornare quando tutto finisce,una casa solo tua, fatta di interessi, passioni, segreti, sogni. Tu sei i tuoi libri, il tuo profumo preferito, il tuo diario, i tuoi pensieri, i tuoi affetti, tutti quanti,la felpa che usi sempre quando l’estate piano piano finisce e la sera rinfresca un po’- Non sei un periodo di attesa, non sei un’alternativa, sei una scelta, non sei un punto interrogativo, sei la risposta. Non sei una spiaggia che possono raggiungere tutti, tu sei il mare.

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