
Mina ha compiuto 85 anni. So che non sta bene spifferare l’età delle signore, ma Mina è una divinità, e gli anni sono solo un paravento della sua immortalità.
Come capitò a molti regnanti, inclusi i nostri Savoia, Mina è una regina in esilio, seppure volontario, ma non manca di mandare ancora messaggi canori alla nazione e al mondo intero. Solo pochi mesi fa ha donato un ennesimo suo album ai suoi devoti, Gassa d’amante. Per chi non lo sapesse, la gassa d’amante serve in barca per realizzare un’asola provvisoria con una cima, che per i non marinari è una corda, in modo da evitare che alcuni oggetti a bordo cadano in acqua. Riferimento adatto a una sirena incantatrice come lei. Tra i suoi brani c’è il bellissimo Buttalo via, con Francesco Gabbani; ma di Mina non si butta mai niente, anche se il paragone col suino è irriverente, quasi blasfemo. Poco tempo prima con un altro ragazzo che poteva essere figlio di suo figlio, Blanco, ci aveva donato un altro brano squisito, Briciolo d’allegria. Che fenomeno Mina, neanche Adriano Celentano, con cui faceva coppia sui troni canori del nostro paese, le sta più al passo.
Come dice il suo nome, Mina è un magnifico ordigno canoro: non a caso scoppiò come la guerra mondiale in Italia nella primavera del 1940. Aveva un cognome risorgimentale e insurrezionale, Mazzini, e come gli anarchici e i rivoluzionari di un tempo si è rifugiata in Svizzera, nella Lugano bella che cantavano i fuorusciti. Da almeno 65 anni canta, prima sul podio ora da latitante, in contumacia. Si perde nella notte dei tempi l’anno in cui ci rese ciechi di lei, ritirandosi dal video, ma per fortuna ci lasciò la cosa più importante, la delizia musicale per il nostro udito. Sparì più o meno quando non si fece più vedere anche Lucio Battisti, che visse vent’anni da entità invisibile, e poi morì precocemente, in scontrosa cattività. Insieme furono i Santi patroni della canzone italiana, assurti in cielo e dal cielo discesi in forma di canto. Mina ha vissuto ormai più anni nella clandestinità che in video. La visibilità rende famosi, l’invisibilità rende divini.
Quando andava in video, Mina era banalmente la voce grintosa e urlante dell’Italia nuova, figlia del boom economico; l’Italia che figliava e cresceva in ogni senso, scopriva il mare e le vacanze, andava in vespa e in cinquecento, vedeva la tv e si perdeva nella radio. La vedevi in tv ora con Walter Chiari, ora con Lelio Luttazzi, ora con Paolo Panelli, Alberto Lupo, i presentatori e i comici di una volta, i duetti canori; memorabili i suoi dialoghi con Alberto Sordi e col mitico Totò. Roba da studio uno. Poi proseguì gli studi da privatista, a casa sua. Quando la tv passò al colore, lei passò alla trasparenza, si rese invisibile. Ma accompagnò ugualmente nella sua evanescenza generazioni diverse nei viaggi d’amore, nei canti e soprattutto nei disincanti, perché le sue canzoni narravano di amori finiti, svaniti, quantomeno tormentati.
Devoto frequentatore del suo Minareto musicale, solo una volta, tanti anni fa, insinuai una malignità sul suo conto di cui mi pento ancora. In quel tempo, erano gli ultimi anni del millennio scorso, Mina scriveva una rubrica adorabile di varia umanità e io dubitai che fosse farina del suo sacco e lo scrissi su un settimanale che dirigevo. Lei mi mandò una deliziosa lettera in cui riuscì quasi a convincermi che era una scrittrice traviata dalla musica; forse perfino una filosofa, che aveva ripiegato sulla canzone. A quali gloriosi risarcimenti porta talvolta la vita… “Caro Marcello Bello – mi scrisse allora Mina chiamandomi con lo pseudonimo che usavo nella rubrica satirica – la mia mamma adorata sostiene, fin da quando io ero piccola, che scrivo bene. Ora tu mi confermi che ha ragione. Sì, perché il fatto che tu pensi che i miei pezzi li scriva il direttore è per me un complimento talmente grande che mai mi sarei sognata di meritare. Tu dici che sono una grande cantante perché ho l’ugola d’oro. Invece è perché ho un cervello fenomenale … E anch’io te lo dico con ammirazione e non con perfidia, ma soprattutto te lo dico perché il tuo pezzo (molto carino, se avessi un giornale ti vorrei con me) mi ha messo una grande voglia di scherzare”. E così continuava, tra carezze e coltellate… Sto ancora aspettando che Mina fondi un settimanale e mi chiami a scrivere con lei, in modo che possa anch’io vantarmi come altri noti parolieri di aver scritto per Mina.
Vidi una sola volta da bambino Mina dal vivo, cantava in un veglione, come si chiamavano allora i concerti con ballo, in un teatro al mio paese. Ma interruppe la sua esibizione perché fu insultata da alcuni cafoncelli che le rivolsero allusioni pesanti alla sua vita privata, riferendosi a vicende che agli occhi di oggi sarebbero del tutto comuni. Lei s’offese, giustamente, e piantò il palcoscenico. Patì da allora il cantus interruptus di Mina, una patologia che mi lasciò un desiderio insaziabile di lei.
In un libro dal titolo che sembrava dedicato proprio a lei, La sposa invisibile, cantai il suo passaggio dalla visibilità all’invisibilità come un passaggio al mito, allieva di Pitagora e navigante nelle sfere celesti. La consideravo iconoclasta di se stessa. L’idea di scomparire mi sembrò pure un’alternativa migliore al lifting, alle pietose cure dimagranti, alla chirurgia plastica, insomma alla vecchiaia dissimulata, per difendersi dall’oltraggio degli anni e dall’insolenza dei chili in eccesso, semplicemente sparendo alla vista. Anche perché una voce così intensa che incita all’amore non poteva provenire da una grassa e matura signora, già logorata dalla vistosità in tv, quando appariva con la testa turrita e la risata sfacciata. Mina, fece la sua scelta, tra carisma e marketing, e si dileguò.
Il minareto da cui Mina Muezzin lancia le sue canzoni, è naturalmente la sala d’incisione; talvolta ha lanciato pure messaggi pubblicitari ma, si sa, anche gli angeli mangiano fagioli, come diceva un sapiente della nostra antichità, Bud Spencer. Scorporando la sua voce, disincarnando il canto, diventò la colonna sonora delle più intime tenerezze di molte generazioni, dove l’amare sconfina in amarezza. Cantami o’ Diva. Così viviamo ancora nella civiltà minoica da lei de-cantata, anche in sua assenza, come accade alle stelle di cui arriva la luce in terra anche se nel frattempo si sono eclissate. Mina è patrimonio dell’umanità di svariate generazioni che oggi hanno dai trenta ai cento anni, e non dispiace a volte nemmeno ai ragazzini. Non a tutti, però: per anni quando mia figlia era bambina cambiava sul suo ditino le canzoni sulla mia autoradio appena sentiva la voce di Mina, per lei insopportabile, soprattutto perché piaceva a me, cioè a uno di trent’anni più vecchio di lei. Ma io ancora adesso quando sento la sua voce mi sento a casa, in paradiso. Ottantacinque primavere, mai un autunno. Un miracolo.
Marcello Veneziani