Il dormiveglia di Sant’Agostino…

 

“Così il bagaglio del secolo mi opprimeva piacevolmente, come capita nei sogni. I miei pensieri, le riflessioni su di te somigliavano agli sforzi di un uomo, che malgrado l’intenzione di svegliarsi viene di nuovo sopraffatto dal gorgo profondo del sopore. E come nessuno vuole dormire sempre e tutti ragionevolmente preferiscono al sonno la veglia, eppure spesso, quando un torpore greve pervade le membra, si ritarda il momento di scuotersi il sonno di dosso e, per quanto già dispiaccia, lo si assapora più volentieri, benché sia giunta l’ora di alzarsi; così ero io sì persuaso dalla convenienza di concedermi al tuo amore, anziché cedere alla mia passione; ma se l’uno mi piaceva e vinceva, l’altro mi attraeva e avvinceva”.

Questa metafora di Sant’Agostino, tratta dalle “Confessioni” (VIII, 12) è semplicemente meravigliosa. E’ il momento in cui il filosofo di Ippona , che ha deciso di dedicarsi a Dio ,solo a Lui, dopo le dissolutezze di ogni genere, che erano state la sua vita fino ad allora, deve decidere il momento del distacco. E’ convinto, non solo , perso in un innamoramento per il Signore, come non aveva provato, neanche per la donna che aveva amato di più. Tuttavia il distacco da un mondo che lo aveva soddisfatto fino ad allora è difficile. Qui lo paragona al momento del risveglio ,quando mente e cuore sono ancora nell’appannamento del sogno, da cui è difficile allontanarsi. Si vivono quei momenti di incertezza tra il risveglio e le la voglia di non farlo. Succede a tutti noi, poi ci accorgiamo che l’incertezza nella vita non è mai buona compagna. Il tempo fugge e molte occasioni perse non tornano più.

dormiveglia

Le parole vanno comprese nel loro vero significato…

 

Le parole sono importanti (cit.)
La frase detta così è da sinistri, cioè non vuol dire nulla: valori “assoluti” di per se le parole come gli atti non hanno.

Importante delle parole è comprenderne e condividerne il SIGNIFICATO (da signum fero: porto un segnale, un emblema). I cultori delle NEOLINGUE vorrebbero invece imporre significati artificiali cangianti, “più corretti”, “adatti ai tempi che cambiano”, al fine di influenzare i comportamenti mediante mutamenti del senso (tipo cartelli stradali).

 Cerchiamo invece radici e significati autentici.

GLEBA: in latino è la zolla di terra, per traslazione é il campo, il fondo da coltivare. La SERVITU’ DELLA GLEBA già in epoca tardo romana (“colonato” regolamentato da Diocleziano) e nel Medioevo era una figura giuridica diffusa che legava l’abitante del contado a una determinata area, a un terreno che NON possedeva. Era una figura formalmente libera ma con obblighi da schiavo: indissolubilmente connesso alla zolla di cui era servo, al punto da esser venduto, con famiglia, assieme ad essa.  Il proprietario poteva multare il colono che uscisse dalla sua “gleba” senza permesso e anche stabilire in quali modi potesse utilizzare i compensi per i suoi servigi extra (la paga base era in natura).

SERVO DELLA GLEBA NELLA NEOLINGUA DIVIENE: “LA CITTA’ IN 15 MINUTI”.

Non avrete nulla – nemmeno figli – e sarete felici!

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La censura che avanza… strisciando piano piano..

 

Non varcate questa porta se…”. Giordano Bruno  Guerri lo ha fatto scrivere all’ingresso della mostra “I Censurati. Nudo e censura nell’arte italiana d’oggi”, da me ideata, da Adele Barbetta sponsorizzata, dal Vittoriale ospitata, da Liberi libri catalogata. Non varcate la porta di Villa Mirabella (sede della mostra, a pochi metri dalla Prioria dannunziana) se temete i nudi dei migliori artisti italiani viventi, i quadri censurati dai social che per un capezzolo olio su tela succede che blocchino, sospendano o comunque boicottino i profili colpevoli di tanta audacia. Danneggiando l’artista e dirigendo il corso dell’arte verso un neopuritanesimo  di stampo americano e pure un po’ cinese. Le porte e il loro saggio utilizzo sono la migliore alternativa alla censura. Ti attira? Entra. Ti infastidisce? Rimani fuori. La porta non è un muro ma non è nemmeno un buco: è lo strumento della libertà di scelta. “All’arte appartengono il segreto e il nascosto” ha scritto il filosofo Byung-Chul Han, contrario alla “società della trasparenza”, un mondo senza scampo e senza porte dove su ogni intimo gesto, su ogni intimo gusto incombe il linciaggio universale. La porta sia riconosciuta come un diritto dell’uomo.

Camillo Langone

censurati

Com’è triste vedere Francesco inerte davanti alla morte. Esultano gli ex Pci.

Una volta si segnavano tutti, ora non lo fa neppure Bergoglio a Palazzo Madama per non urtare una cerimonia laica. E per Veltroni e compagni il gesto suona ormai come un’offesa

Com'è triste vedere Francesco inerte davanti alla morte. Esultano gli ex Pci

Un fatto straordinario, ha detto Walter Veltroni commentando il Papa entrato e uscito dalla camera ardente di Napolitano senza nemmeno un segno della croce. Lo dico anch’io: è proprio un fatto straordinario. E però in senso opposto: a differenza del Veltroni gongolante su RaiTre lo giudico un fatto straordinariamente negativo. Un tempo il segno della croce lo facevano tutti e in tante occasioni. Mia nonna, la ricordo come se fosse ora, lo faceva anche quando sentiva la sirena di un’ambulanza. Io che pure non sono né nonno né Papa lo faccio ogni volta che entro in un cimitero. È un gesto per me naturale che significa almeno due cose: pietà verso i morti e preghiera verso chi ha promesso di farli risorgere. E figuriamoci se non lo faccio in una camera mortuaria, un posto dove non mi metto certo ad analizzare la fede o la non fede del defunto: lo faccio e basta. Del resto se i famigliari fossero infastiditi da simili visioni potrebbero sempre affiggere un cartello: «Ingresso vietato ai cristiani» In tal caso girerei i tacchi e me ne tornerei a casa, siccome non entro dove non posso essere me stesso. E per un cristiano il segno della croce è per l’appunto cruciale. Un tempo lo facevano tutti e adesso non lo fa nemmeno il Papa. Non mi piace fare la parte dell’apocalittico, è un ruolo ingrato, ma se quanto accaduto nella camera ardente del Senato non evidenzia lo stato agonico del cattolicesimo romano ditemi voi. Per Veltroni la fissità bergogliana testimonia il «grande rispetto del pontefice nei confronti delle istituzioni di questo Paese». L’ex capo del partito democratico sembra dunque confondere il segno della croce con la pernacchia. Ma se davvero i segni cristiani sono considerati ormai alla stregua di insulti, perché non andare oltre? Perché non avvicinarsi ancor più alla sensibilità del mondo incredulo? Nel corso della loro storia i gesuiti lo hanno fatto molte volte: andarono in Cina per evangelizzare e a forza di avvicinamenti finirono cinesizzati, andarono verso il comunismo per cristianizzarlo e a forza di avvicinamenti finirono comunistizzati… Il Papa gesuita che ha fatto trenta al prossimo funerale potrebbe fare trentuno: presentarsi in clergyman, senza quell’assurdo, anacronistico abito bianco e soprattutto senza quell’impressionante croce sul petto, indelicata verso atei, buddisti, maomettani, zoroastriani

Veltroni su RaiTre ha parlato ovviamente anche di politica. Argomento su cui sembrava più ferrato. Sembrava. Secondo lui Napolitano ha sempre «fatto ciò che andava fatto, agendo nell’interesse nazionale». Secondo me nell’elogio veltroniano mancava un «sovra»: in almeno due occasioni (guerra di Libia e cacciata di Berlusconi) il cosiddetto Re Giorgio agì nell’interesse sovranazionale. Ma non è questo il momento e non è questo l’articolo, non vorrei andare fuori tema e torno al nocciolo della questione che è squisitamente religiosa.

Un Papa così inerte è sconfortante per tutti i fedeli. Starsene impalato davanti a una bara è un venir meno alla propria missione, assegnata da Gesù a Pietro (e dunque ai suoi successori) durante l’Ultima Cena: «Conferma i tuoi fratelli». Un Papa che davanti alla morte si mostra senza parole né gesti non conferma: smentisce. Forse è stato ultra rispettoso verso l’ateo morto, di sicuro è stato poco riguardoso verso i cristiani vivi, in primis quelli che nei paesi islamici hanno pagato e pagano la manifestazione esteriore del proprio cristianesimo con persecuzioni e carcere, a volte col patibolo. In ogni tempo i grandi pensatori cristiani hanno assegnato grande valore al segno della croce. Per Tertulliano bisognerebbe farselo «ad ogni passo, quando si entra e quando si esce, nell’indossare i vestiti, a tavola, nell’andare a letto…». Per Ratzinger è nientemeno che «la sintesi della nostra fede». Invece il video del Papa immoto e silenzioso al Senato mi è sembrato una sintesi dell’agnosticismo costituzionale. E mi ha fatto venire in mente una poesia poco allegra di Cesare Pavese, quella che finisce così: «Scenderemo nel gorgo muti». Vade retro! Gesù nel Vangelo di Matteo ci esorta a fare l’esatto contrario: «Gridatelo sui tetti!». Lui che da quindici secoli fa il segno della croce nel mosaico di Sant’Apollinare in Classe.

Camillo Langone   

Quando si bilancia la nostra vita, inevitabilmente si valutano anche le amicizie…

Gli amici sono compagni di un viaggio, la vita, che non sai quando né come finirà. Alcuni li perdi durante il cammino dopo averci condiviso un tratto di strada, altri li trovi per caso e ti dici “wow, sarà un piacere camminare insieme”. Altri ancora semplicemente sai che sono e saranno sempre lì, che non ti giudicheranno per i tuoi silenzi, per le paturnie e per le assenze ma ti aspetteranno e si faranno trovare pronti quando e se la situazione lo richiederà. Gli amici, quelli veri, non sono poi tanti, ma sanno essere più che sufficienti.

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L’agosto di Cesare Pavese e non solo…

Agosto, il mese adolescente

Agosto non è un mese ma uno stato d’animo; è l’adolescenza dell’anno, in cui si esce dal mondo e dal tempo e si entra nella natura e nel mito. Il tempo è sospeso anche se corrono i giorni, e ciascuno vive in agosto l’esperienza primitiva del ritorno all’origine. La festa patronale, le stelle di San Lorenzo e l’apoteosi del ferragosto, le cicale e le notti bianche, il caldo e il mare, i corpi liberi e vogliosi di vita; e poi la luna e i falò, la spiaggia, la bella estate, feria d’agosto. Cesare Pavese cantò, sin nei suoi memorabili titoli appena citati, la bellezza e il mito d’agosto e dell’estate.  Da meridionale associo agosto al sud, è il mese del ritorno a sud, della discesa a sud di tanti settentrionali. Eppure se l’agosto naturale e sensuale, marino e salmastro, solare e notturno, è situato al sud, l’agosto in parole e poesie è associato a uno scrittore del nord più profondo che raccontò le Langhe e le sue colline. Lui, Pavese. Agosto, dicevo, è il mese adolescente. In agosto di solito debutta l’adolescenza, i primi amori, le prime scoperte, la libertà e la trasgressione già nel tirar tardi la sera e allontanarsi da casa. Ma in agosto è il mondo adulto che torna adolescente, perché cerca il gioco, il trastullo, la vita senza diaframmi che si mostra nuda, come i corpi e i pensieri. Agosto è poi maledetto perché è mese di folle e di file; tutto si fa meno bello per spalmarsi come una crema abbronzante su più persone. Ma l’età di agosto è l’adolescenza, dimentica gli affanni passati e quelli venturi, è una tregua, un oblio, una fuoruscita dai giorni consueti. Nell’adolescenza, spiega Pavese in Feria d’agosto, c’era un tesoro che noi non sapevamo; c’è fascino e stupore, come dentro una favola. Tutto è visto con altri occhi, sotto altra luce: è l’essenza del mito. Verrà poi la nostalgia a ricordare quel tempo mitico, gremito di simboli, però ci mancherà “la purezza iniziale di vivere nell’essere genuino”. Gli unici paradisi a noi concessi, si sa, sono i paradisi perduti; lo disse Proust, lo disse Borges, lo dice in altri modi Pavese. Quando sei in paradiso non ci fai caso; quando ci ripensi e ne avverti la mancanza il paradiso è già perduto. Prima si vive, poi si conosce, non si vive e si conosce nello stesso tempo; questo è il mistero di vivere secondo Pavese. L’infanzia per lui è il vivaio dei simboli; l’adolescenza sprigiona la voglia di viverli con tutti i sensi, anche quelli nascosti. La vita adulta, avverte Pavese, aggiungerà ben poco al tesoro infantile di scoperte. L’essenza dello stupore, lo stato di grazia, per lui, non è restare dentro se stessi ma spargersi nei luoghi fino a sparire dentro di essi: farsi quel campo, quel cielo, quel bosco; aggiungo, quel mare. Io non esisto, esiste il cielo. Io non esisto, esiste agosto. Nessun bambino ha coscienza di vivere in un mondo mitico, dice Pavese. Nessun bambino sa cosa sia il paradiso dell’infanzia; anzi, l’infanzia è poetica solo per gli adulti. C’è nel bambino “un immediato e originario contatto alle cose”. Che si perde quando si diventa adulti, e finisce agosto. Tornando nei panni dello scrittore, Pavese annota: “quando si prende in mano la penna per narrare sul serio, tutto è già accaduto, si chiudono gli occhi e si ascolta una voce che è fuori dal tempo”. Il poeta cerca di “rinverginarsi” dice Pavese, cioè tenta a ritroso di ritrovare la purezza perduta. La narrazione, l’arte, è il ritorno cosciente all’adolescenza, ossia a quella stagione della vita che è ponte tra il mito e la realtà, tra l’infanzia e la vita adulta, tra lo stupore e la conoscenza. Cosa rende mitico e sacro un paesaggio? È avvertire quello spazio nella sua unicità. Così sono nati i santuari, nota Pavese; isolando un luogo dal mondo, come è d’altronde il significato etimologico di templum. “Feste, fiori, sacrifici sull’orlo del mistero che accenna e minaccia di tra le ombre silvestri. Lì sul confine tra cielo e tronco, poteva sbucare un dio”. Prima che cogliere il significato delle parole, sentite la musica, il ritmo, l’atmosfera propizia, il suono delle parole che cantano quei luoghi. Il mito è lì. La festa ricelebra il mito e insieme lo instaura ogni volta, come se fosse la prima volta. Pavese scriveva queste cose all’indomani della Grande Storia, subito dopo la tragedia della guerra mondiale, in quel Novecento dove tutto era schiacciato sotto il peso della storia. La letteratura come il cinema, si rifugiava nel realismo per applicare la narrazione storica alla vita minuta dei giorni e della gente comune. Pavese invece presta l’ascolto al mito, nello stormire delle foglie, riconosce il battito della natura, volge lo sguardo al piano simbolico, avverte da lontano la danza del dio. La storia nel suo tempo è un divenire incessante, imperativo; una retta che corre verso l’infinito, il progresso è la sua legge inesorabile ed euforica: invece Pavese si rifugia in agosto, nell’adolescenza, nel mito, nella natura, sente il ciclo della vita e delle stagioni, scorge la circolarità dei destini e il loro perentorio accadere. Negli anni trenta si era rifugiato nella letteratura americana, di cui sentiva l’afrore giovanile e selvaggio delle passioni contro il retaggio senile della storia europea. La mitopeia infantile, scrive, ha questo di particolare: le cose si scoprono, si battezzano, soltanto attraverso i ricordi che se ne hanno. È una conoscenza di seconda mano, non si vedono le cose la prima volta, “quello che conta è sempre la seconda”. Ciascuno di noi, avverte, possiede una mitologia personale: e qui la mente di ciascuno si popola di ricordi mitizzati della propria infanzia d’agosto. “A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e attraversare la strada, e tutto era bello, specialmente di notte”.

Fu proprio in agosto che Pavese si tolse la vita. D’estate era nato, d’estate chiuse il suo cerchio. La bella estate.

Marcello Veneziani

Equinozio 2023…

Domani 23 settembre cade l’equinozio d’autunno, che, come l’anno bisestile aggiunge un giorno al calendario ogni quattro anno, questo è un giorno mobile e varia sul calendario di settembre tra i giorni 21 e 23. Questo, come per l’anno bisestile dipende dal fatto che i giorni dell’anno non hanno tutti la stessa durata; l’equinozio , infatti ,è quel momento dove l’asse di rotazione terrestre si trova in posizione verticale rispetto alla linea Sole-Terra; quindi, non subisce nessuna inclinazione nei confronti del Sole. All’equinozio, il giorno e la notte hanno quasi la stessa durata in tutto il pianeta. Da questo fatto deriva dal latino aequa nox il nome equinozio .L’Equinozio segna, quindi, il passaggio delle stagioni e rappresenta il movimento ciclico dell’Universo, il concetto di ritorno. Gli antichi Greci collegavano questo giorno al mito di Ade, Demetra e Persefone. Persefone diventata sposa di Ade, dio delle Ombre e portata nel sottoterra dopo il suo rapimento,avrebbe ottenuto dallo sposo il permesso di tornare sulla terra al seguente equinozio per aiutare la madre, dea della Terra a far rinascere la natura dopo l’inverno.
Secondo alcuni antichi miti celti, invece, l’equinozio d’autunno è la festa dell’oscurità che divide gli innamorati e le madri dalle figlie.
In realtà l’equinozio d’autunno è il giorno dell’equilibrio, perchè le ore diurne e notturne sono uguali. In passato questo momento aveva un doppio scopo: occuparsi dei raccolti più importanti, ma anche decidere ciò che era necessario per l’inverno. Tutta una questione di equilibri, uno spazio dove è possibile rimettere in ordine le cose e ritrovare l’armonia nella nostra vita.

I simboli dell’equinozio d’autunno

– Melograno- E’legato al mito di Demetra e Persefone. Infatti secondo la leggenda Persefone mangiò i frutti che le vennero offerti da Ade, in particolare alcuni chicchi di melograno, legandosi per sempre al regno dei morti.

– Mora – Per questo frutto di fine estate raccontano che non andrebbe mangiato i mesi successivi a settembre perché contaminato da forze oscure.

– Bambola di paglia o bambola del grano – Deriva dai miti nordici e celtici, costruita con le ultime spighe di grano e usata come auspicio per un raccolto abbondante.

Da noi dicono che per dare il benvenuto all’autunno e celebrare l’equinozio, sia di buon auspicio rimanere alzati tutta la notte del giorno dell’equinozio, proprio per rendere onore alle stesse ore di luce e di buio. Rimanere svegli sembra porti fortuna per i progetti futuri e per ritrovare la pace interiore.
E allora diamo il Benvenuto Autunno con il giusto atteggiamento.

equinozio

Tra l’egoismo sfrenato del mondo c’è anche chi si dimentica di esistere…

 

Se pensi a quelle volte nella vita che hai trattato le persone con un amore e una correttezza straordinari, e te ne sei preso cura in maniera totalmente disinteressata, solo perché avevano valore come esseri umani… Ecco, la capacità di fare altrettanto con noi stessi. Di trattare noi stessi come tratteremmo un buon amico, un amico prezioso. O un nostro bambino che amiamo più della vita stessa. E penso che sia possibile arrivarci. Penso che in parte il compito che abbiamo sulla terra sia imparare a fare questo.

David Foster Wallace, Come diventare se stessi

 

amore verso prossimo

Com’era avanti col pensiero Oriana Fallaci…

Io non sono un Conservatore. Non simpatizzo con la Destra più di quanto non simpatizzi con la Sinistra. Sebbene rifiuti ogni classificazione politica, mi considero una rivoluzionaria. Perché la Rivoluzione non significa necessariamente la Presa della Bastiglia o del Palais d’Hiver. E certamente per me non significa i capestri, le ghigliottine, i plotoni di esecuzione, il sangue nelle strade. Per me la Rivoluzione significa dire “No”. Significa lottare per quel “No” Attraverso quel “No”, cambiare le cose.

E di sicuro io dico molti”No”. Li ho sempre detti. Di sicuro vi sono molte cose che vorrei cambiare. Cioè non mantenere, non conservare. Una è l’uso e l’abuso della libertà non vista come Libertà ma come licenza, capriccio, vizio. Egoismo, arroganza, irresponsabilità. Un’altra è l’uso e l’abuso della democrazia non vista come il matrimonio giuridico dell’Uguaglianza e della Libertà ma come rozzo e demagogico egualitarismo, insensato diniego del merito, tirannia della maggioranza. (Di nuovo, Alexis de Tocqueville…). Un’altra ancora, la mancanza di autodisciplina, della disciplina senza la quale qualsiasi matrimonio dell’uguaglianza con la libertà si sfascia. Un’altra ancora, il cinico sfruttamento delle parole Fratellanza-Giustizia-Progresso. Un’altra ancora, la nescienza di onore e il tripudio di pusillanimità in cui viviamo ed educhiamo i nostri figli. Tutte miserie che caratterizzano la Destra quanto la Sinistra.

Cari miei: se coi suoi spocchiosi tradimenti e le sue smargiassate alla squadrista e i suoi snobismi alla Muscadin e le sue borie alla Nouvel Riche la Sinistra ha disonorato e disonora le grandi battaglie che combatté nel Passato, con le sue nullità e le sue ambiguità e le sue incapacità la Destra non onora certo il ruolo che si vanta di avere. Ergo, i termini Destra e Sinistra sono per me due viete e antiquate espressioni alle quali ricorro solo per abitudine o convenienza verbale. E, come dico ne La Forza della Ragione, in entrambe vedo solo due squadre di calcio che si distinguono per il colore delle magliette indossate dai loro giocatori ma che in sostanza giocano lo stesso gioco. Il gioco di arraffare la palla del Potere. E non il Potere di cui v’è bisogno per governare: il Potere che serve sé stesso. Che esaurisce sé stesso in sé stesso.

Oriana Fallaci

oriana fallaci

Avanti popolo, indietro tutta!

Avanti popolo sarà il titolo del programma che Nunzia De Girolamo condurrà su Raitre al posto di Carta Bianca della Berlinguer, passata sulle reti Mediaset. Titolo audace, e azzeccato, a mio parere, perché scompiglia gli schieramenti ma che ha creato subito indignazione presso i custodi dell’ortodossia progressista. Ma come, su Raitre, al posto della Berlinguer, con un titolo che sembra uno sfottò della sinistra, o per dir meglio, del comunismo… Un oltraggio alla memoria di Berlinguer e del suo partito. Vorrei far notare, senza alcuna polemica, che l’oltraggio alla memoria di Berlinguer semmai l’ha compiuto la stessa Bianca Berlinguer preferendo, presumibilmente per una questione di ingaggio, una rete del nemico storico della sinistra, Berlusconi, alla rete storica della sinistra italiana. Nunzia De Girolamo stava smaltendo il suo precedente impegno politico nel centro-destra, e si stava ripresentando in veste di animatrice della tv d’intrattenimento. Poi, per una vicenda particolare, ossia per l’impreviste dimissioni della Berlinguer e il forfait di Nicola Porro, rimasto anch’egli a Mediaset con un doppio contratto, si è pensato di puntare sulla De Girolamo, che è sveglia e duttile, multitasking, e con l’ispirazione di sinistra della rete ha un curioso legame di parentela: è sposata con Francesco Boccia, uno dei leader del Pd.
Incuriosisce l’impasto che si va profilando: in una rete tradizionalmente di sinistra, un ex ministro del centro-destra che stava dedicandosi ai programmi d’intrattenimento e perfino a ballare in tv, va a condurre un programma dal titolo così forte e impegnativo e annuncia di voler inventare un format un po’ Funari un po’ Costanzo, sulla linea di confine tra politica e antipolitica.
Perché ci siamo soffermati a parlare di un programma, attaccato prima di nascere che vedrà la luce solo il prossimo 3 ottobre? Non per i suoi protagonisti, le polemiche, il tema della Rai e la linea di Raitre, ma per una questione di fondo: dove è finita la spinta al cambiamento nel nostro Paese, dov’è e da che parte sta il nuovo che avanza?
Per anticipare il senso di una risposta abbiamo affiancato il titolo della nota canzone socialista Bandiera rossa, scritta nel 1908 da Carlo Tuzzi, che annunciava un popolo alla riscossa verso il suo trionfo, al titolo di un programma di culto della Rai negli anni ottanta, di Renzo Arbore, con la presenza scintillante di Nino Frassica e tutta la banda arboriana: Indietro tutta! Cosa vogliamo dire? Che la speranza, l’attesa, la passione del cambiamento non c’è più in questo momento in Italia e forse non solo in Italia. Nessun popolo è in marcia, avanza o aspetta cambiamenti, né a destra né a sinistra, né tra i Cinque stelle né altrove. Con l’arrivo per la prima volta nella storia politica del nostro Paese, della destra nazionale e sociale alla guida del governo, abbiamo completato il ciclo: abbiamo avuto al governo il centro-destra e il centro-sinistra, abbiamo avuto i tecnici e i grillini, ci mancava solo la destra-destra, che viene da An e prima ancora dal Msi. Ora abbiamo anche quella da circa un anno alla guida del governo. E avvertiamo tutti, da tutte le parti, che è finita l’epoca in cui aspettavamo cambiamenti, svolte e nuovi corsi. La linea che prevale è sempre la stessa ed è dentro le coordinate imposte dagli scenari sovranazionali, tra Unione Europea, Patto Atlantico, Nato e Usa, indirizzo economico nel segno di Draghi e della Banca centrale europea, conformità al mainstream. Solo divergenze sul piano simbolico, o su temi che non hanno una ricaduta economica e non comportano cambiamenti di rotta, come per esempio i temi civili, la toponomastica, le questioni sensibili, l’orsa Amarena…
Non c’è una forza che oggi rappresenti il cambiamento e la voglia di imprimere una svolta al Paese: la destra della Meloni procede con i piedi di piombo, è prudente, non fa passi falsi, non accoglie nemmeno chi agita le sue stesse istanze di un anno fa, si attiene alle linee maestre tracciate dai poteri sovranazionali. La sinistra pure, si limita ad agitare principi in temi che non hanno una vera ricaduta civile, sociale e soprattutto economica, dai diritti lgbtq+ all’antifascismo, con l’accusa ridicola al governo Meloni di essere contro i migranti e insieme di aver consentito il loro raddoppio da quando è al governo. Nessuno si aspetta più dalla sinistra il cambiamento, al più la restaurazione del dominio precedente. E in fondo, alla restaurazione punta anche il Movimento 5stelle, con le sue battaglie in difesa del reddito di cittadinanza e del superbonus e il costante paragone tra una surreale età dell’oro quando c’era Giuseppe Conte al governo, e la tragedia in cui saremmo caduti da quando c’è Meloni a Palazzo Chigi. E da lontano, in piccolo, un nuovo “partito” nostalgico muove i suoi primi passi: il centro di Matteo Renzi che fonda il suo appeal sul ricordo di quando c’era lui alla guida dell’Italia.
Se esaminate i loro messaggi, da destra a sinistra, nessuno punta sul cambiamento, tutti sulla continuità, il ritorno, la restaurazione, il ripristino. Il futuro è visto più come minaccia che come promessa; suscita paura più che speranza. A questo quadro di vertice corrisponde un paese che ha smesso di confidare nel nuovo, scottato da un turn over di aspettative deluse o presto risoltasi  in senso contrario. Il risultato che ne deriva è appunto quello descritto in partenza: Avanti popolo, indietro tutta!

 Marcello Veneziani