Se potessi…quante volte ci capita di dire queste parole; Non sono rimpianti, ma semplici riflessioni su come molte cose sarebbero state diverse !

 

romi

 

Se potessi rivivere la mia vita
Se potessi rivivere la mia vita
avrei il coraggio di fare più errori la prossima volta.
Mi rilasserei, sarei preparata.
Sarei più matta di come sono stata in questo viaggio.
Prenderei meno cose sul serio.
Mi darei più possibilità.

Scalerei più montagne e nuoterei in più fiumi
Mangerei più gelati e meno fagioli.
Avrei, forse, più problemi reali,
ma un minor numero di problemi immaginari.

Vedi, io sono una di quelle persone che vive
in modo ragionevole e sensato, ora dopo ora,
giorno dopo giorno.

Oh, i miei momenti li ho avuti,
ma se mi capitasse di tornare indietro,
ne vorrei avere di più.
In effetti, mi piacerebbe provare a non avere nient’altro.
Solo momenti, uno dopo l’altro,
anziché vivere tanti anni in anticipo su ogni giorno.

Sono stata una di quelle persone che non va mai da nessuna parte
senza un termometro, una borsa dell’acqua calda, un impermeabile e un paracadute.
Se dovessi tornare indietro,
vorrei viaggiare più leggera di quello che ho.

Se potessi rivivere la mia vita,
vorrei iniziare a girare presto a piedi nudi in primavera
e rimanere così fino ad autunno inoltrato.
Andrei a ballare dei più,
andrei di più a cavallo sulle giostre,
raccoglierei più margherite.

Nadine Stair

Nadine STAIR, 1892-1988, statunitense, nativa di Luisville, Kentucky. Non si hanno altre notizie sull’attività dell’autrice: sembra che la ‘poesia’ sia stata scritta quando lei aveva 85 anni.
Il testo pare essere ispirato a un articolo di Don Herold (1889-1966, scrittore e umorista statunitense), in ‘Reader’s Digest’, ottobre 1953. Successivamente rielaborato in forma libera e poetica, il documento è stato spesso attribuito, falsamente, a Jorge Luis Borges (1899-1986, scrittore, poeta, saggista argentino) con il titolo di Istanti.

Il Domani…

 

In questa pazza estate infuocata è capitato di tutto, abbiamo visto gli sconvolgimenti più assurdi di situazioni che credevamo impossibili, paesaggi, che la nostra mente aveva registrato come eterni cambiare improvvisamente, abbiamo avuto caldo quando  e dove  si andava a cercare la frescura, abbiamo visto siccità di mesi dove la nostra vista spaziava su infinite distese di verde, mille tonalità di verde diventate un unico colore di terre bruciate. La grandine si è presentata come mai avrei immaginato. Un tempo le grandinate disastrose erano centimetri e centimetri di chicchi, che  improvvisamente imbiancavano come la neve invernale  un paesaggio assolato, bruciato dal sole, tuttavia  ancora vivo, seppur stanco di tanta calura; la grandine che ho visto quest’anno è stata come se una nuvola di ghiaggio ,che ,impattando l’atmosfera terrestre ,si fosse frantumata in milioni pezzi di ogni dimensione,da chicchi grandi  come meloni alle più piccole palline da golf,che non hanno risparmiato nulla, dalle case alle auto, le coltivazioni e i giardini.  Alberi spezzati, rami spogli di foglie,irriconoscibili allo sguardo,il tutto su un tappeto di fiori dopo il più atroce martirio. Poichè di fronte a eventi di questa portata l’uomo, nonostante sia capace di andare nello spazio, è impotente,ora come nel prossimo futuro, destinato a subire la rivincita della natura, bistrattata troppo a lungo dal genere umano, destinato a regredire ai primordi del mondo, dove dovrà umilmente tornare un niente qualsiasi tra il rifiorire della natura, a vantaggio magari di altre specie di animali più fortunate di noi. Mi sono divertita a creare questa immagine che rappresenta il domani dell’uomo e della donna, epigoni di Adamo ed  Eva.

pasticciomio

 

 

Innamorarsi di una suora…

È permesso innamorarsi a distanza di una Badessa in clausura? Innamorarsi senza sogni blasfemi e carnali, e senza pretesa di violare la casta rinuncia al mondo di una donna bellissima e carismatica con un passato colmo di amori, che si è ritirata in monastero ma è tuttora affascinante. Suor Maria Patrizia vive insieme ad altre sette clarisse dietro le grate del monastero di clausura di San Paolo. La chiamano Abbadessa, come è più rigoroso (perché deriva da abbate, poi in forma aferetica, decapitando la a, diventa badessa). Benché madre superiora, Maria Patrizia potrebbe essere figlia di alcune di loro, ormai curve e decrepite; è la più giovane del monastero. La Badessa è di una bellezza austera, magra e abbagliante, con una voce stentorea che sprigiona sicurezza. C’è chi trema al suo cospetto, quando lei, dalle grate, ti fissa negli occhi, ti prende le mani e poi ti dice: fa’ che la tua parola sia sempre creatrice. Il suo sguardo ti tiene in tensione come la corda di un arco; mai provato niente di simile. La sua mano “ha un calore particolare. Brucia. Suggestione? Può darsi, ma brucia”. Emana il fascino dell’altrove, la Badessa, una bellezza mista a rigore. Il suo carisma mette in soggezione, misterioso e cordiale. Esprime lontananza, eppure sorride. Riceve con grazia, non si nega agli incontri, ma s’intrattiene per poco, lasciando un calore nelle mani, nel cuore e un alone di luce filtrata dalle grate.

La Badessa Patrizia era una donna immersa nel mondo fino alle soglie dei quarant’anni; poi decise di cambiare radicalmente vita, prese i voti e presto divenne badessa per il carisma che emana e l’intensità della sua parola. L’Abbadessa non era amata in paese. Alcune donne di San Miniato dicono che l’abbadessa è diventata clarissa di clausura in età matura dopo aver rovinato molte famiglie, perché molti mariti si innamorarono di lei, quando era ancora la signorina B., una ragazza libera e non ancora votata a Dio. La sua clausura, per le maldicenti, è una punizione divina “per tutto il male che ha fatto prima”. Ne ha rubati di cuori, la Badessa, non si è risparmiata agli amori. Ma anche Agostino fu un amatore plurimo prima di diventare santo e filosofo.

Ora Madre Patrizia seduce nel nome del Signore e seduce le anime tramite l’udito e la vista. Sul sito del monastero, dove campeggia il suo nome, alla voce attività è scritto “vita contemplativa claustrale”. È dura la regola della loro vita quotidiana tra sveglie mattutine, preghiere, esercizi spirituali e silenzi totali. E così, a Dio piacendo, si ripetono i giorni. Vita sprecata? Ma chi fa cose più importanti e significative? Chi spreca la vita in modo diverso, tra carrelli della spesa e auto, zapping, telefono e web, più affanni e moine? Si, c’è eros, vacanze, divertimento, la cena fuori, l’aria aperta, gli spazi. Ma chi può stabilire la superiorità di una vita, se non la misura interiore? Se una vita è compiuta a misura delle sue aspettative, se una vita non va solo vissuta ma anche dedicata, se le va dato un senso…

La libertà, per Sartre, è una prigione senza muri; la prigione delle clarisse è una libertà senza corpi, per altri mondi. Certo, che scelta radicale la clausura. Fece bene a pentirsi Madre Patrizia o avrebbe dovuto seguire il corso del mondo e la sua bellezza, poi sfiorire e frenare il tempo con il lifting, le beauty farm e la dieta? A volte, la sera, penserà alla vita che ha lasciato, agli amori che ha seminato, alle notti remote, passate tra corpi, allegrie, e forse avrà voglia di piangere. Non mancheranno cedimenti, rimpianti, conati di gioventù, sussulti di corpi. Ma ogni vita sfiorisce a suo modo. La vita è colma di vuoti e di varie pienezze. Nella civiltà dell’ansia e della disperazione si può trovare la vita anche là dove si nega. Il monastero, dopo una vita nel mondo, è una via d’uscita, verso l’alto. Ma definitiva. È possibile tuttavia innamorarsi di lei, donna invisibile. Un amore incorporeo, distante, unilaterale, a sua insaputa, nella maestà del silenzio, versione arcaica degli amori ignoti e cortesi a distanza, al telefono, on-line. Parafrasando Carducci: “Badessa, cos’è mai la vita? È l’ombra di un sogno fuggente. La favola breve è finita. Il vero immortale è l’amor”.

MV. Questo brano è tratto dall’Antologia di Marcello Veneziani, scritto nel 2010.

suore-clausura

L’ossessione della felicità…

Nel codice genetico e costituzionale dell’America c’è il diritto alla felicità. Strada facendo, però, il diritto alla felicità si e trasformato in un dovere, e da qual punto la felicità e diventata una bestia feroce, insaziabile e spietata,una specie di imperativo, di ossessione. Il male comune di cui soffre il mondo intero, è il dovere della felicità. Non si evitano stillicidi e crimini nel nome della felicità .Servirebbe una nuova filosofia di vita per aiutarci a liberarci da questo dovere di essere felici mentre le condizioni reali dei nostri giorni ci ammantano più facilmente di tristezza.
C’è un tempo per l’allegria e uno per la malinconia; non vergogniamocene, non guardiamo alla tristezza come una malattia da curare con farmaci e una condanna sociale.
La tristezza è un tratto nobile che vela il nostro volto, è uno stato d’animo e non uno stato di errore; e non c’è gioia viva e piena che non abbia la sua ombra. L’idea di perpetua felicità non appartiene al genere umano, ma piuttosto ad un mondo soprannaturale , che non ci appartiene, perchè non siamo nè dei, nè automi.
La prescrizione della gioia, e la condanna del dolore, alimentano l’infelicità anziché alleviarla. Va bene reagire, magari scherzare su un destino cattivo, ma pillole benefiche per essere felici non esistono ,possiamo stordirci con palliativi, senza mai guarire.
Moltissimi sono i depressi, colpiti da una malattia che consegue a questo fine di felicità per tutti, che, se non raggiunto, deflagra nel male oscuro e ci sono purtroppo società, ambienti che stigmatizzano azioni e comportamenti come propedeutica al raggiungimento più o meno completo di questo meraviglioso stato di benessere.
Pericoloso è misurare la qualità e la dignità di una persona dal grado di felicità che raggiunge; ma tragico è applicare questa norma ai popoli interi. Tutti i tentativi di raggiungere il paradiso in terra sortiscono l’effetto di propiziare gli inferni, perchè  si sogna una società gaudente in progress nel futuro, come si è fatto finora, mentre si è letteralmente visto il contrario, se non per una piccola parte di eletti. In fondo non è stato questo il sogno delle rivoluzioni ,dai giacobini ai comunisti ? La storia ha dimostrato che far capire al popolo tutto quello di cui manca non è renderlo capace di conquistare tutto, ma soltanto aumentare le proprie  infelicità di fronte all’impossibilità di potere raggiungere certi obiettivi.Le rivoluzioni hanno solo seminato odio. Persino i terroristi islamici, gente come i talebani uccidono nel nome della felicità; il loro scopo è raggiungere il paradiso, che per loro è molto terrestre, è fatto di prelibatezze e sfizi eterni, il piacere che si eternizza. E non è un diritto, come pensavano i pionieri dell’America, ma un dovere; costi quel che costi. Anzi se più costa più ha valore. Più soffrite e fate soffrire, più si gode, dopo.
Ora è di questo assillo alla felicità che noi dobbiamo liberarci. Primo, liberandoci dall’idea che la felicità sia un obbligo sociale, un dovere pubblico prescritto dalla Costituzione. Secondo, liberandoci dall’idea che la felicità sia un nostro dovere personale, il senso e lo scopo della nostra vita, che dobbiamo far nostra ad ogni costo. Essa è semplicemente uno stato di benessere, di grazia, che sentiamo in noi, anche in momenti inaspettati, di cui ci stupiamo e scompare improvvisamente appena ci rendiamo conto che quella era la felicità.
E’ come un’ubriacatura che lascia quella piacevole sensazione di rivolerla ancora, per nostro personale piacere, perchè sappiamo quanto sia meraviglioso raccogliere queste perle per farne una collana di momenti felici, sappiamo quanto siano importanti quei nodi di tristezza tra l’una e l’altra, nostro diritto alla malinconia, alla nostalgia, emozioni che illuminano e mettono in risalto le gioie, ce le fanno apprezzare e fanno brillare la serenità su un viso, che sappia ancora guardare davanti a se; specialmente in questo periodo di diffidenze verso chi ci sta intorno (vaccinato,non vaccinato ?con le loro cariche virali ,pronti a tutto…) Basta con le angosce e le depressioni! Trasformiamo in baci le carezze di piccole gioie nelle sue imboscate, dove e quando non sapremo mai!

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Milano: il segreto di San Satiro che non tutti notano La Chiesa di Santa Maria presso San Satiro, nel capoluogo lombardo, nasconde un’illusione ottica che bisogna scoprire

Milano, interno chiesa di San Satiro
L’abside della Chiesa di Santa Maria presso San Satiro

Nel centro storico di Milano, precisamente a Via Torino su un corto vicolo cieco stretto tra due palazzi, si trova una chiesa parrocchiale edificata alla fine del Quattrocento: si tratta della Chiesa di Santa Maria presso San Satiro, che ingloba il sacello di San Satiro di epoca medievale e costituisce una delle attrazioni milanesi tutta da scoprire. Già, perché non è solo la facciata in stile neorinascimentale, con la sezione centrale suddivisa in due fasce orizzontali sovrapposte da un cornicione a loro volta separate in tre settori da lesene corinzie, il rosone, le due nicchie, la torre campanaria del IX secolo in stile romanico o la cupola con rosoni circolari ciechi a destare particolare stupore. Bisogna varcare la soglia per poter ammirare, dietro l’altare, il grande spazio formato da un’abside regolare e ben completata da colonne e decorazioni: procedendo infatti verso l’altare, quasi a toccare con mano, ci si accorge che non si può passare, poiché c’è poco meno di un metro di spazio.
E’ in realtà un’illusione ottica, una prospettiva illusoria perché l’abside non esiste. Questo inganno prospettico è opera di Donato Bramante, uno dei più grandi architetti italiani, che ha fatto fronte allo spazio ridotto della chiesa per creare la finta abside che misura 97 centimetri invece di 9 metri e 70 previsti in quello che era il progetto originale. Quello che nacque come un impedimento alla diocesi che non aveva i permessi per costruire una chiesa di più ampie dimensioni si è evoluto poi in un risultato inaspettato, vero e proprio capolavoro artistico. Il Bramante, sfidando le limitazioni, ha infatti creato l’illusione perfetta e la finta fuga prospettica di San Satiro è considerata l’antesignana di tutti gli esempi di trompe l’oeil che vennero successivamente: nella sua perfezione l’opera evidenzia anche l’influenza delle ricerche di Piero della Francesca e Donatello nel campo della rappresentazione illusionistica. Se si pensa che in origine tutto l’edificio era decorato in bianco, azzurro ed oro, ci si rende conto che l’impressione ottica, all’epoca, era davvero ricchissima.

fonte:la Repubblica

abside di santa maria presso san satiro

Con parole come queste, mi chiedesti di aspettarti quel tempo che potessi amarti anch’io. Ero poco più di una ragazzina; tu l’uomo di una vita intera…

Ti ho attesa da sempre
eri nel volto di ogni donna
all’angolo di ogni via
eri la sabbia che brucia la pelle
il vento d’aprile
la pioggia dell’ultimo dell’anno
eri nei libri che ho comprato
nei findus dei tempi neri
nelle case che ho attraversato
nelle cose che ho scritto e che ho strappate
eri con me all’osteria e al supermarket
nei giorni che la vita se ne andava
e in quelli che, come il mare, tornava
eri la luna
una sonata per piano di schumann
un occhio di lince
la posidonia che tenera s’avvinghia
le albe che venivano dopo l’insonnia
eri sempre là dove t’aspettavo
eri la pelle di cui non si può fare a meno
eri nelle cose e dentro di me
ti ho attesa da sempre

Luther Blissett

ti ho attesa da sempre

Ogni cosa ha la sua storia,anzi deve averla per forza… E

Nella vita di tutti i giorni è difficile accettare le cose per come si presentano; dobbiamo avere una spiegazione, quasi la vita fosse  un teorema matematico da dimostrare. Non per niente mi affascina questa poesia di Wislawa Szymborska dove, con l’acume ironico che  é una delle sue solite prerogative, analizza la molteplicità dei casi della vita , quasi per darci un misura di analisi.

Ogni caso
Doveva accadere.
È accaduto prima. Dopo.
Più vicino. Più lontano.
È accaduto non a te.
Ti sei salvato perché eri il primo.
Ti sei salvato perché eri l’ultimo.
Perché da solo. Perché la gente.
Perché a sinistra. Perché a destra.
Perché la pioggia. Perché un’ombra.
Perché splendeva il sole.
Per fortuna là c’era un bosco.
Per fortuna non c’erano alberi.
Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno,
un telaio, una curva, un millimetro, un secondo.
Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio.
In seguito a, poiché, eppure, malgrado.
Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,
a un passo, a un pelo
da una coincidenza.
Dunque ci sei? Dritto dall’attimo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì?
Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta
come mi batte forte il tuo cuore.

Wislawa Szymborska

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