Il bello di essere nessuno…

 

Io sono nessuno! Tu chi sei?
Sei nessuno anche tu?
Allora siamo in due!
Non dirlo! Potrebbero spargere la voce!

Che grande peso essere Qualcuno!
Così volgare – come una rana,
che gracida il tuo nome – tutto giugno
ad un pantano in estasi di lei!

Questa è una poesia scritta attorno al 1860, ma se ci dicessero che è stata scritta ieri potremmo crederci tranquillamente (non conoscendola). Perché il suo linguaggio è assolutamente moderno e la riflessione a cui dà vita è senza tempo, anzi, a ben vedere è perfetta per i nostri giorni in cui tutti sembriamo così assetati di celebrità (anche se le nostre “rane” più che gracidare twittano, condividono, postano…). È una poesia sull’obbligo del dover essere per forza qualcuno, e tutto sommato proprio per questo definiti e limitati; in effetti essere un nessuno ha in sé una maggiore libertà: se non si è nessuno si è liberi dal peso di rimanere sempre quel qualcuno… forse. In ogni caso quelle domande dirette a chi legge sono decisamente coinvolgenti e non scivolano via dai pensieri con immediata facilità.

L’autrice di questa poesia è Emily Dickinson (1830-1886), che viene considerata una delle più grandi voci poetiche di ogni tempo e che dall’età di 31 anni scelse di vivere in un isolamento quasi assoluto (in una stanza della sua casa di Amherst, nel Massachussetts, dove nacque), se si escludono i rapporti familiari e la corrispondenza epistolare con alcuni amici, col fratello e con ipotetici e misteriosi innamorati. Le ragioni di questo ritiro solitario non si conoscono con esattezza: alcuni studiosi hanno ipotizzato che la scelta sia stata provocata dal dispiacere di un amore contrastato, ma più probabilmente la Dickinson decise di isolarsi da una società alla quale sentiva di non poter appartenere.
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