I vecchi nelle campagne ancora oggi affermano che dove mangia uno possono mangiare in due. E' una frase elementare, emblematica di quella cultura contadina dell'ospitalità che passa dal cibo, dalla tavola luogo di incontro e condivisione sereno, gioviale. Un modo d'essere talmente naturale che spiega come mai ci si sia dimenticati, a livello storiografico come politico, di una delle pagine migliori della ricostruzione dell'Italia dopo l'occupazione nazifascista e la guerra: quella dei “treni della felicità”. Un'esperienza che salvò migliaia di bambini da un destino di povertà, malattia e sfruttamento.
Una storia commovente, esaltante, che lo scrittore Giovanni Rinaldi e il regista Alessandro Piva hanno riscoperto e ricostruito con passione, attraverso la raccolta di testimonianze per il film-documentario “Pasta nera”, la cui genesi è narrata nel libro “I treni della felicità” di Rinaldi.
Era l'inverno del 1945. L'Italia da nord a sud aveva sofferto per i bombardamenti, la miseria e per la violenza degli eserciti stranieri, nemici o alleati che fossero; un'Italia stremata, affamata, ma con un'incredibile voglia di rinascita e fame di futuro.
Era un'epoca di emergenze per far fronte alle quali, immediatamente dopo la Liberazione, in ogni città sorgevano comitati per risolvere i problemi contingenti come la distribuzione dei viveri, lo sgombero delle macerie belliche, la tutela dell'infanzia. Tanti infatti i bambini abbandonati a se stessi, orfani o, come in gran parte del meridione, residenti in zone distrutte dalle bombe, da calamità naturali, soggette ad epidemie, dove la fame e la disoccupazione erano quotidianità.
A Milano Teresa Noce, battagliera dirigente comunista e partigiana da poco rientrata dal campo di Ravensbrük, intuisce che solo un gesto di solidarietà può risolvere almeno temporaneamente la drammatica situazione di bisogno dei bambini. Con ciò che rimane dei Gruppi di difesa della donna, poi confluiti nella nascente Udi – Unione donne italiane, la Noce chiede ai compagni di Reggio Emilia, realtà prevalentemente agricola e quindi con maggiori risorse alimentari rispetto a Milano, di ospitare in quei mesi alcuni bambini.
«La risposta fu al di là di ogni legittima speranza. – Si legge nella prefazione di Miriam Mafai a “I treni della felicità” – Tanto generosa che si decise di estenderla e radicarla nel Mezzogiorno (…) Furono trasferiti così, nei due inverni immediatamente successivi alla fine del conflitto, alcune decine di migliaia di bambini che lasciarono le loro famiglie per essere ospitati da altrettante famiglie contadine, nei paesi del reggiano, del modenese, del bolognese. Lì vennero rivestiti, mandati a scuola, curati».
Ma quelle donne, che avevano tessuto la Resistenza e svezzato la Repubblica, non si fermarono raggiunto il loro primo obiettivo. Così, dal 1945 al 1952, anni duri per tutto il Paese, furono ospitati nel centro-nord ben 70.000 bambini, grazie anche all'appoggio del Pci, dei Cln locali, delle sezioni Anpi, delle amministrazioni e della popolazione in genere. Un numero sorprendente.
Alessandro Piva e Giovanni Rinaldi hanno incontrato quasi per caso questa storia. Mentre stavano svolgendo ricerche sulle lotte branciantili in Puglia sono venuti a conoscenza dello sciopero di San Severo in provincia di Foggia, nel 1950, uno sciopero che ebbe conseguenze drammatiche con l'incarcerazione di 180 manifestanti. Molti arrestati erano marito e moglie i cui figli di fatto si trovarono soli, in una realtà dove anche la solidarietà umana era messa a dura prova dal niente posseduto da ogni famiglia. Questo dettaglio incuriosì gli autori che scoprirono così che circa 70 di questi “figli della rivolta” vennero mandati presso famiglie in Romagna e nelle Marche per essere accuditi, grazie a quella rete di solidarietà nata all'indomani della Liberazione, in attesa del processo e dell'assoluzione dei genitori, che arriverà nel '52.
L'umanità della vicenda li ha conquistati portandoli per anni alla ricerca dei bimbi di allora, per capire cos'avesse significato per loro prendere un treno per la prima volta nella vita; fare un viaggio di un'intera giornata senza i propri punti di riferimento: i genitori; venire catapultati in un altro mondo con dialetti, usanze e sapori diversi. Capire le motivazioni di chi li ospitò, di chi se li trovò come fratelli e sorelle.
Nelle interviste raccolte i ricordi emergono senza filtri e restituiscono interamente quegli anni di difficoltà, altruismo e ottimismo.
E' la commozione gioiosa che lega ogni pagina e immagine di Rinaldi e Piva, la commozione e semplicità di chi racconta rivivendo quei giorni, quel senso di accoglienza vera che faceva sentire i bambini parte delle famigle ospitanti.
«Lorica ci dice solo poche parole: “mio padre e mio fratello sono stati uccisi dai fascisti in un rastrellamento. Ho deciso di ospitare una bambina che aveva bisogno di aiuto per colmare questo vuoto immenso». Un momento malinconico narrato nel volume di Rinaldi, che spiega da dove venisse quella voglia di riscoprirsi uomini; ma ciò che emerge con maggior forza dalle interviste raccolte sono i momenti sereni, felici e comici dei legami che si crearono fra le persone, come nel racconto che fa ridendo Giovanni Berardi: « Franco (…).La notte non riusciva a prendere sonno: “Franco e dormi, va!”, dicevo. “Non ho sonno! Non ho sonno!, rispondeva lui. Il giorno dopo si svegliava e cominciava a guardare avanti e indietro da tutte le parti. (…) E allora, giorni dopo, quando incominciò a mangiare le tagliatelle, disse: “Noi c'avevano detto che qua c'erano i comunsiti che mangiavano i bambini”. “E' per quello, è per quello che avevi paura?” chiedevo. “Sì, stavo attento (...)”».
Oppure tornano le sensazioni delle scoperte fatte, come quella di Erminia Tancredi detta Mimì: «Mi sembrava di essere in una favola, perchè dentro quel treno vedevo tutte queste luci che si rispecchiavano nel mare, non potevo riuscire a capire cos'era, perchè neanche lo sapevo che c'era il mare. Ho svegliato anche mio fratello dicendogli: “Guarda cosa c'è lì, guarda cosa c'è!”, e poi, dopo, una di quelle signore che ci accompagnavano mi ha detto: “Quello è il mare”».
La storia dei bambini che partirono con i treni della felicità è straordinaria al punto da sembrare frutto di fantasia, che non stonerebbe narrata con un “c'era una volta...”, ma è assolutamente vera e fa parte della nostra cultura.
“Questo è un paese che ha bisogno di ricordarsi che ha fatto delle cose bellissime” (Luciana Viviani in “Pasta nera”). Gemma Bigi
Inviato da: whatweather12
il 23/11/2024 alle 18:46
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