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Storia dei sistemi elettorali : dal regno d’Italia alla repubblica

Post n°413 pubblicato il 09 Aprile 2013 da ITALIANOinATTESA
 

Storia dei sistemi elettorali : dal regno d’Italia alla repubblica-

Zagrebelsky, Questa repubblica,  pag 131, 134

 

Quando si parla di elezioni bisogna sempre specificare, perché il discorso abbia senso, quale sia il corpo elettorale ( gli aventi diritto) e quale sia il sistema elettorale ( come vengono calcolati partendo dai voti, gli eletti). Bisogna inoltre aver ben presente i diversi tipi di maggioranza: relativa, assoluta, qualificata, e il diverso conteggio dei voti : voti di aventi diritto, voti espressi, voti validi: sono concetti molto diversi.

 

Sappiamo che il corpo elettorale nel Regno d’Italia ( dal  1861) era estremamente ristretto per  censo e cultura: in sostanza, fino  alla riforma giolittiana ( suffragio elettorale maschile 1912) meno del 10 % della popolazione aveva diritto al voto. Era una stato “monoclasse”, in quanto le classi popolari erano escluse. Durante il regime fascista ( 1924 – 1945)  non ci furono elezioni libere. Solo con il 2 giugno 1946 in Italia si realizza il suffragio universale, cioè il corpo elettorale coincide con tutti i cittadini maggiorenni.  

Nel regno d’Italia il  sistema elettorale era a circoscrizione uninominale a un turno, cioè fortemente maggioritario.  Il territorio del regno era diviso in tante circoscrizioni quanti erano i deputati da eleggere ( i senatori erano nominati da re a vita) e in ogni circoscrizione si presentavano i candidati: il candidato che raggiungeva la maggioranza ( anche relativa) dei voti validi veniva eletto ( the first pass the post: chi prende di più conquista il seggio). Questo sistema favoriva i notabili (il deputato di Sesto era stato per molte legislature il Conte Ginori) e funzionava in un contesto in cui non c’erano partiti organizzati. Era drasticamente maggioritario il quanto le minoranze, anche consistenti, non avevano speranza di essere rappresentate.

 Ad esempio se in dieci circoscrizioni i candidati di indirizzo politico governativo ricevevano più voti in ciascuna di esse, poniamo, in media, il 40 % dei voti, e i candidati antigovernativi ( es: repubblicani-mazziniani) il 35% ( il resto dei voti viene disperso tra altri candidati), venivano eletti i 10 candidati governativi ( cioè il 100% dei posti), pur avendo il 40% dei voti, e nessun altro veniva  eletto.

Questo è il sistema ( uninominale a un turno, o “secco”) tuttora in vigore il Gran Bretagna: ha il vantaggio di esprimere, normalmente, delle maggioranze molto chiare e quindi di favorire la stabilità di governo e anche l’incisività delle azione di governo ( che ha una forte base parlamentare). Ha lo svantaggio di essere poco rappresentativo:  la maggioranza assoluta degli eletti può rappresentare una maggioranza relativa nel paese; in ogni caso le elezioni in GB avvengono ogni 4 anni, quindi il confronto  con gli elettori è ravvicinato. Per ovviare a questo svantaggio ( un candidato può essere eletto anche con pochi voti) , si può ricorrere al doppio turno: se nessuno raggiunge la maggioranza assoluta, si ritorna alle urne per un ballottaggio per cui l’eletto finale ha dietro di sé la maggioranza degli elettori. Questo è il sistema ora adottato il Francia. ( uninominale a doppio turno) 

Con l’avvento dei partiti organizzati e l’allargamento del suffragio si sente l’esigenza di una maggiore rappresentatività anche delle minoranze. Nella repubblica italiana  (dal 1946) si adottò il sistema elettorale con circoscrizioni di plurieletti con votazione di lista. Cioè il territorio veniva diviso il grandi circoscrizioni elettorali che esprimevano più eletti, si presentavano le liste di candidati e l’elettore votava la lista ( ed eventualmente, all’interno di questa, la preferenza). Venivano eletti i candidati, proporzionalmente ai voti di lista, che determinavano il numero dei vincitori di quella lista, e ai voti di preferenza all’interno della lista ( che determinavano l’ordine degli eletti).

Ritorna all’esempio di prima:  al posto di 10 circoscrizioni, ognuna delle quali elegge un deputato, le unifichiamo in un’unica circoscrizione che elegge 10 deputati.  I candidati si presentano in liste ( di partito):  la lista governativa, con il 40% dei voti può aspirare a 4 deputati ( non dieci!), la repubblicana-mazziniana, con il 35% può aspirare a 3 deputati,( prima nessuno), e così via .All’interno della lista, vengono eletti i candidati con più preferenze.

 

 Naturalmente più è ampia la circoscrizione, cioè più deputati può eleggere, e più completa è la proporzionalità. Questo è un sistema  proporzionale, che è stato usato in Italia del 1946 al 1994 ( centrismo e centrosinistra). Garantisce una miglior rappresentatività ( gli eletti rappresentano, all’incirca, le indicazioni degli elettori) ma ha il grosso svantaggio della frammentazione politica. Cioè dalle urne non esce una indicazione chiara, ma tanti partiti politici spesso litigiosi ( ognuno deve difendere la propria bandiera): ogni scelta viene bloccata da veti reciproci ed è difficilissimo mettere tutti d’accordo: il sistema, in poche parole, non riesce a prendere decisioni ed è bloccato. Questa è stata la situazione nella repubblica fino all’1994: praticamente nessun governo è mai durato più di un anno, qualcuno anche pochi mesi ( i governi balneari, cioè estivi, in attesa che durante l’estate i partiti raggiungessero un accordo; es: il governo Leone da giugno a dicembre 1963). Paradossalmente i governi continuamente cambiavano, travolti dalle liti di partiti, mentre i partiti al potere rimanevano sempre gli stessi, creando una inamovibilità dei politici, specie di centro e una situazione definita partitocrazia, cioè potere eccessivo dei partiti. Cioè è mancata l’alternanza politica: per quasi 40 anni la Democrazia Cristiana è rimasta al governo ( il doppio del fascismo; caso unico nella democrazie europee).  Il sistema elettorale maggioritario è stato una concausa ( assieme ad altri elementi) della  mancanza di alternanza in Italia cioè la permanenza al governo sempre degli stessi partiti, che ha sicuramente favorito la de-responsabilizzazione della classe politica ( l’effetto più grave: l’aumento delle spese coprendolo con il debito pubblico che ora sta strozzando l’Italia) e anche la corruzione (denunciata con mani pulite nel 92). 

 Per rimediare alla frammentazione politica  il sistema proporzionale può essere corretto con uno sbarramento di minoranza: cioè una percentuale minima che una lista di partito deve raggiungere per essere rappresentata: per esempio in Germania è del 5% e in Spagna del  3%. In questa maniera si scoraggiano i partiti più piccoli a presentarsi da soli : Inoltre un premio di maggioranza, cioè un surplus di eletti, può trasformare una maggioranza relativa, ad esempio ha il 40% dei voti, in maggioranza assoluta ( ricevendo il 51% degli eletti, in modo da avere una maggioranza parlamentare stabile) 

I sistemi  elettorali in Italia dal 1994 

In Italia due referendum abrogativi (nel 1991 e nel  1993) modificarono le legge elettorale richiedendo, da parte popolare, una legge maggioritaria. A questa rivolta contro il proporzionale aveva portato l’esasperazione  contro la frammentazione, la litigiosità, la corruzione e l’incapacità di decidere in cui il sistema politico era precipitato.

Si sperava che un sistema maggioritario portasse maggior chiarezza con maggioranze stabili e governo decise dagli elettori ( non dai partiti).  La legge elettorale alla fine  approvata dal parlamento ( ricordo che il referendum può abrogare, non approvare una legge) è stata il frutto di tanti compromessi ed è un misto di maggioritario e proporzionale che ha molte incongruenze.  I tre quarti dei parlamentari ( deputati e senatori)  venivano eletti con un sistema  uninominale maggioritario a un turno; il restante quarto veniva eletto con un sistema proporzionale a liste. L’elettore riceve due schede: una per eleggere con il sistema maggioritario uninominale il suo rappresentante di collegio elettorale( e questi, eletti con il maggioritario costituiscono circa il 70 % dei parlamentari), una per eleggere con il sistema proporzionale, con uno sbarramento del 5% ,  la lista di partito ( e questi costituiscono il 25 % dei parlamentari).  Lo scopo era di avere un maggioritario “ attenuato”, ma in realtà costringeva i partiti ad unificarsi per affrontare il collegio uninominale ( in cui conta l’unione) e a dividersi per affrontare il proporzionale ( in cui conta la specificità del partito).

Questo sistema elettorale ( maggioritario uninominale con una parte proporzionale) è rimasto in vigore in Italia dal 1994 al 2006, quando, a pochi mesi dalle elezioni, la maggioranza, con il governo Berlusconi, ha cambiato  nuovamente il sistema, scegliendo un proporzionale con premio di maggioranza alla coalizione. Cioè la coalizione che aveva il maggior numero di voti otteneva anche un premio di maggioranza ( per cui la maggioranza relativa dei voti diventava maggioranza assoluta degli eletti, garantendo, in via ipotetica, governabilità). La legge è stata definita dall’ onorevole Calderoli, ministro delle riforme nel governo Berlusconi ( cioè il ministro che ha sostenuta e votata la riforma!) una “porcata” per cui viene spesso definita sulla stampa “ porcellum”. Infatti ha alcuni gravi difetti, soprattutto quello di calcolare il premio di maggioranza in maniera diversa per il senato e per la camera: nel primo caso su livello regionale, nel secondo su livello nazionale con il rischio reale di una diversa maggioranza al senato e alla camera, anche in presenza degli stessi voti; significa, in un sistema a bicameralismo perfetto come il nostro, la paralisi decisionale. Rischio che si è verificano nella votazioni del 2006, in cui la coalizione vincente ( governo Prodi) ha una larga maggioranza alla camera, e un margine di pochissimi  voti al senato. Inoltre il sistema elettorale in vigore non prevede la possibilità, all’interno della lista,  di esprimere preferenze. I posti vinti  dalla lista vengono quindi assegnati secondo l’ordine dei candidati nella lista ( lista bloccata). In questa maniera i primi candidati nella lista hanno forte probabilità , a seconda della consistenza elettorale del partito, di essere eletti, mentre gli ultimi hanno, al contrario,  quella di non esserlo. Ma la posizione in lista ( che con le liste bloccate senza preferenze è cruciale) viene decisa dal partito: è il partito ( o i suoi segretari o presidenti) che scelgono  praticamente gli eletti, non gli elettori che possono solo votare la lista, e non scegliere all’interno di essa. L’accusa che viene fatta  a questo sistema è, infatti, quella di aver fortemente limitato la possibilità di scelta dell’elettore.

Un punto controverso della legge è l’indicazione sulla scheda del nome del “leader” di coalizione.  Questa non ha nessun valore costituzionale per la nomina del  presidente del consiglio dei ministri. La designazione del capo del governo, infatti, spetta la  Presidente della Repubblica e egli deve successivamente avere la fiducia del parlamento. La nostra è una repubblica parlamentare non una repubblica presidenziale ( come la francese). Se il parlamento sfiducia il governo, questo si dimette e il presidente della repubblica  procede, se possibile, a nominare altro governo, che goda della fiducia parlamentare. Quindi il capo del governo non viene eletto “ dal popolo”, ma nominato del presidente e confermato dal parlamento. 

In conclusione l’attuale sistema elettorale può essere definito un voto per liste bloccate, con premio di maggioranza ( la lista che ha la maggioranza relativa vince la maggioranza assoluta degli eletti) e con sbarramento di minoranza ( una lista che non supera il 5% non viene rappresentata).

. Questo sistema  aspira a garantire alla coalizione che è arrivata prima ( anche se senza maggioranza assoluta) una maggioranza assoluta di eletti che dia stabilità di governo. Ma giova ricordare che la maggioranza, da sola, non garantisce governabilità:  per quest’ultima ci vuole anche coesione interna, cioè essere d’accordo su cosa fare. Una coalizione può avere una grande maggioranza di eletti, ma se al proprio interno è divisa si crea un immobilismo uguale a quello creato dalla degenerazione  sistema proporzionale. Infatti si è votato con questo sistema nel 2006, con vittoria del centro sinistra ( governo Prodi), che però è entrato in crisi dopo solo due anni, portando ad elezioni anticipate. Nel 2008 ha vinto il centrodestra ( governo Berlusconi), che  , dopo due anni, (2010) è in forte crisi. Di sicuro il porcellun non ha garantito la stabilità promessa, anche se i numeri degli eletti per il centro destra  nelle elezioni del 2008 erano imponenti: nelle elezione della Camera, per esempio,  i votanti furono il 78% del corpo elettorale, di questo il 47% votò la coalizione di centrodestra che, con il premio di maggioranza, ebbe 344 deputati su 630. Praticamente con il 47% dei voti validi ha ottenuto il 55% degli eletti 

In conclusione ora in Italia si vota ad ogni elezione con un sistema diverso:

1-    per le elezioni comunali si vota con un sistema a liste di coalizione con indicazione del sindaco e premio di maggioranza, per i comuni al di sotto dei 15 mila abitanti. Per i comuni con più di 15 mila abitanti ( come Sesto) il sistema prevede, se la coalizione non raggiunge la maggioranza assoluta, il ballottaggio ( sistema a doppio turno) tra i primi due.

2-    Per le elezioni provinciali e regionali si vota con un sistema simile ( liste di coalizione con indicazione del presidente) e premio di maggioranza, senza doppio turno.

3-    Per le elezioni politiche ( parlamento nazionale)  si è votato, dal 2006, con un sistema di liste bloccate con premio di coalizione

4-    Per le elezioni europee con il sistema proporzionale di liste con preferenze  con sbarramento di minoranza. 

La molteplicità dei sistemi indica, oltre che la specificità delle votazioni, il fatto che la classe politica non ha saputo scegliere chiaramente. Infatti la situazione italiana è paradossale: mentre il corpo elettorale, quando ha potuto esprimersi sulla questione ( referendum del 92 e 94), si è sempre orientato per un sistema maggioritario che limita il numero dei partiti e garantisce stabilità, i partiti politici sono tendenzialmente propensi al proporzionale, che garantisce loro maggior potere: da qui i compromessi e l’ambiguità delle leggi elettorali italiane. Infatti i partiti “piccoli” sono accesamente proporzionalisti. Ad esempio l’UDC, nel centro destra, e Rifondazione Comunista, nel centro sinistra: entrambi hanno circa il 5% dei voti e sarebbero spazzati via ( a meno di non unirsi con altri partiti) in un sistema maggioritario semplice o a due turni ( non potrebbero ambire neanche al secondo turno). Nel sistema politico italiano sono pochi i partiti “grandi”: nessuno più del 35% e  molti sotto il 10% un sistema estremamente frammentato, frutto delle leggi elettorali ma che, nello stesso tempo, per mantenersi in vita, ha bisogni di questo tipo di leggi elettorali e non è disponibile a cambiarle : questo forse spiega la difficoltà di adottare un sistema maggioritario coerente, nonostante le indicazioni referendarie.    ....continua nel 1° commento (...forse l'unico)

 
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