SIGNATURE RERUM – IL SUSSURRO DELLA SIBILLA

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[…]Poggiai le valige sulla soglia della villa. Presi le chiavi dalla tasca del giubbotto e aprii l’ingresso del mio nuovo alloggio.
L’odore di chiuso ristagnante nell’ambiente testimoniava che la casa era disabitata da tempo. Ne fui sorpreso perché Stefania e Francesco amavano vivere lì. Soprattutto d’inverno, quando il tranquillo sciabordio del mare riecheggiava sulla spiaggia solitaria, permettendo di fare lunghe passeggiate sul bagnasciuga senza il pericolo di inciampare nei bagnanti stesi al sole; d’essere involontario(?) bersaglio di pallonate, o, peggio ancora, d’essere investiti dagli ombrelloni sradicati dal vento.
Entrambi concordavano che l’autunno e l’inverno erano le sta-gioni migliori per godere delle facoltà terapeutiche e spirituali del ma-re. Sostenevano che il mormorio delle onde dava voce a un mistero irrisolvibile, inducendo a una profonda riflessione su una questione, se-condo loro, fondamentale per capire la vita e l’uomo: qual è l’esatto momento in cui l’onda nasce e quello in cui muore. Tra quanti si tormentavano nella soluzione dell’enigma, vi era chi affermava che l’onda si forma nell’attimo in cui sembra morire, ossia quando si riversava sulla riva con un ultimo, rabbioso ruggito. A sostegno di questa tesi, costoro riferivano dell’allegra melodia che si levava dai filamenti di schiuma dell’onda morta allorché, insinuandosi tra i ciottoli sulla sabbia, rifluivano nel mare come anime finalmente libere dal vincolo corporale, pronte a librarsi nel cielo quasi rinascessero a nuova vita.
Sebbene il problema non avesse mai suscitato il mio interesse, quando spalancai le imposte del balcone nel salottino per cambiare aria alla casa, affacciandomi sulla spiaggia a osservare le onde rin-corrersi sul mare fui assalito dal dubbio: la morte non potrebbe essere il preludio di una nuova vita?[…]

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Annamaria Varriale e le Ricamatrici di Bacoli

Annamaria Varriale, al centro, e Nadia Severino, all'estrema sinistra, insieme alle maestre e a un gruppo di allieve della scuola di ricamatrici
Annamaria Varriale, la quarta da sinistra, e Nadia Severino, all’estrema sinistra, insieme alle maestre e a un gruppo di allieve della scuola di ricamatrici di Bacoli

Pozzuoli

Sabato 14 settembre, con il convegno PREPHILLOXERA presso Palazzo Migliaresi, s’è ufficialmente aperta la XIV edizione di Malazè il festival ArcheoEnoGastronomico dei Campi Flegrei che proseguirà fino al 24 settembre con eventi sparsi su tutto il territorio flegreo e hub culturali al Rione Terra, sul Lago d’Averno e nel Cratere degli Astroni. Tra gli eventi in programma sabato 14, in contemporanea con il convegno di cui sopra,  nel salone d’ingresso di Palazzo Migliaresi le ricamatrici di Bacoli dell’Associazione “Antonia Maria Verna” hanno esposto alcuni manufatti. L’associazione è presieduta dalla scrittrice Annamaria Varriale;vicepresidente Nadia Severino. Abbiamo colto l’occasione per intervistare il presidente per meglio conoscere l’associazione e le sue attività.

 

Annamaria Varriale da scrittrice a Presidente dell’Associazione Ricami di Bacoli  Antonia Maria Verna, a cosa è dovuta questa metamorfosi?

Io amo l’arte in tutte le sue forme e il ricamo è sicuramente un’espressione artistica, non soltanto puro artigianato. Inoltre, quando posso, sostengo tutte le attività di volontariato che portano avanti le eccellenze locali, e questo è sicuramente un bellissimo esempio. All’epoca mi chiesero se volessi essere Presidente dell’associazione, ne fui onorata, e da sei/sette anni ricopro l’incarico.

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Chi era Antonia Maria Verna?

Una suora di Ivrea che nel 1828 fondò l’ordine delle Suore di Carità dell’Immacolata Concezione di Ivrea, scomparsa nel 1838 e beatificata nel 2011. Nel 1860, subito dopo l’unità di Italia, un gruppo di suore dell’ordine si trasferì a Napoli per portare assistenza agli orfani e alle ragazze meno fortunate istituendo orfanotrofi e asili. In seguito le suore estesero la loro opera di carità e di educandato in altre zone dell’ex Regno di Napoli tra cui Bacoli dove fondarono non solo asili e scuole ma anche la scuola di ricamo che esiste tuttora.

Dov’è esattamente situata la scuola?

Cappella, una frazione di Bacoli. Il  parroco della chiesa della Madonna del Buon Consiglio, molto cortesemente, ci ha messo a disposizione il laboratorio che fu di suor Michelina Scotto di Vetta la quale a sua volta aveva delle ragazze a cui insegnava il ricamo legato alla tradizione delle suore di Ivrea.

Uno dei manufatti della scuola
Uno dei manufatti della scuola

Quante iscritte avete?

Attualmente venticinque tra cui anche ragazze disabili e donne che purtroppo hanno perso i figli le quali hanno scoperto nel ricamo una valida terapia per fronteggiare il proprio handicap e il proprio dolore. E poi ci sono ragazze e donne che lo fanno per passione tra cui un ingegnere e una psicoterapeuta. Come zone di provenienza le nostre allieva vengono non sono solo dai campi flegrei ma anche da Napoli, Calvizzano, Acerra a conferma che l’arte del ricamo, contrariamente a quanto si possa pensare, è viva più che mai su tutto il territorio campano anziché in zone ristrette.

I corsi quante volte a settimana si tengono?

Tre volte a settimana, dalle 9 alle 12. La scuola apre il primo ottobre e chiude il 30 maggio. La quota di iscrizione è di 15€ più 20€ mensili. Un importo irrisorio proprio per non tradire lo spirito ecumenico che caratterizzò la fondazione della scuola, ma che ci consente quel minimo di sostentamento per l’acquisto del materiale didattico e la partecipazione a eventi come Malazé che richiedono  dei piccoli investimenti se vuoi fare bella figura quando ti presenti.

Annamaria Varriale tra le maestre ricamatrici Pina e Teresa Costagliola
Annamaria Varriale tra le maestre ricamatrici Pina e Teresa Costagliola

I manufatti, una volta terminati, vengono messi in commercio?

No, le ragazze cuciono esclusivamente per loro, la famosa “rota”, al fine di regalarsi un prodotto la cui realizzazione richiede una spesa iniziale di poco più di 20€ per l’acquisto del panno su cui ricamare, ma quando sarà terminato avrà un valore di mercato di oltre 200€. Per essere precisi, seppure i manufatti non vengono venduti, spesso riceviamo commissioni da parte di ragazze e donne in procinto di sposarsi le quali ci chiedono di realizzare dei capi specifici per il loro corredo, o addirittura da persone del luogo, in particolare di Monte di Procida, emigrate all’estero, per lo più negli Stati Uniti, che ci richiedono capi particolari per serbare con sé oltreoceano un ricordo della propria terra.  Ciò ci consente di portare avanti un’arte di grandissimo impegno e capacità che, diversamente, rischierebbe di scomparire. Inoltre, vista la disoccupazione che c’è oggi nel nostro paese,  l’arte del ricamo offre una grande opportunità di lavoro con ampi margini di guadagno,  se fatta come si deve.

Sirena ricamata dalle ricamatrici di Bacoli

Dunque il ricamo è un mestiere che rende!?…

Potrebbe rendere! Purtroppo, essendo un lavoro artigianale, e quindi circoscritto, è poco conosciuto. Pertanto  le committenze scarseggiano. Per far sì che l’arte del ricamo diventi un’impresa occorrerebbe fosse più conosciuta. Noi in passato abbiamo organizzato mostre, ad esempio SUL FILO DELLA CANAPA, estendendo gli inviti a realtà come la nostra dislocate su tutto il territorio nazionale per  conoscerci, confrontarci e farci conoscere dal pubblico. Purtroppo anche questo tipo di iniziative richiedono investimenti e con i pochi fondi di cui disponiamo non possiamo certo permetterci chissà che! Inoltre questo fa sì che per le maestre della scuola non ci sia  alcun guadagno; lo fanno  per passione e  per tenere viva una tradizione locale che si tramanda da madre in figlia da oltre un secolo.

Una serie di manufatti delle ricamatrici di Bacoli

Quante insegnanti avete?

Due sorelle, Pina e Teresa Costagliola: sono bravissime! Ritornando al discorso degli esigui fondi di cui disponiamo, ci tengo a sottolineare che come scuola non riceviamo il benché minimo sostegno da parte delle istituzioni: non pretendiamo un contributo economico, ma almeno una struttura dove impiantare la scuola le autorità ce la potrebbero concedere… Se non fosse stato per il parroco di Cappella che ci ha concesso di disporre dei locali del vecchio laboratorio di ricamo, oggi tutto questo che ammirate a Malazè probabilmente non esisterebbe.

Domanda d’obbligo, quali sono le ambizioni della scuola?

Di crescere e di farci conoscere per tramandare quest’arte bellissima che è anche terapeutica in quanto, attraverso la necessaria concentrazione per ricamare, aiuta a rilassarsi e a dimenticare le problematiche esistenziali. Già questo mi sembra un buon motivo per sostenerla!   

GIANNI BICCARI PRESENTA LA SUA MOSTRA DI FOTO DI SCENA A POZZUOLI

L'immagine può contenere: 2 persone, persone che sorridono, persone in piedi

Sabato 7 settembre a Pozzuoli, presso il Polo Culturale di Palazzo Toledo, alla presenza dell’Assessore alla Cultura del Comune di Pozzuoli Maria Teresa Moccia Di Fraia, s’è inaugurata la mostra fotografica EMOZIONI E PALCOSCENICO di Gianni Biccari. La mostra sarà visitabile fino al 21 settembre, tutti i giorni esclusa la domenica, dalle 9-13 e dalle 15-19. Per l’occasione abbiamo rivolto alcune domande all’autore.

Dopo circa un anno dal successo al PAN, Gianni Biccari ripropone la mostra di foto di scena EMOZIONI E PALCOSCENICO a Pozzuoli, quali sono le aspettative?

Di far conoscere al pubblico e a chi volesse fruirne l’esistenza di questo vasto archivio fotografico che ho creato in trent’anni di attività come fotografo di scena.

Quando ti intervistai durante la mostra al PAN mi raccontasti di un attore presente all’inaugurazione il quale, il giorno dopo, ti telefonò per farti complimenti e chiederti perché non avevi esposto una sua foto: in questa mostra compare?

Ci sta e spero la foto gli piaccia. Lo scopriremo a breve visto che dovrebbe venire.

Nell’anno in corso hai improvvisamente ripreso a pieno regime la tua attività fotografica in maniera, oserei dire, inarrestabile: a cosa lo imputi?

A questa incontenibile voglia di fotografare che mi è tornata. Io ho sofferto il passaggio dalla pellicola al digitale. Poi ho vissuto il momento topico della crisi dello spettacolo per cui la committenza si è assottigliata, anche perché molti si accontentavano della foto scattata con il telefonino. La molla per la ripresa è scattata grazie a mio figlio Matteo che vuole fare l’attore e al pensiero che tutte le fotografie di scena che ho finissero nel dimenticatoio.

L'immagine può contenere: 4 persone, tra cui Matteo Biccari, persone che sorridono, persone in piedi e testo

Gianni Biccari con Luca Sorbo, curatore della mostra, e suo figlio Matteo

Dopo Napoli e Pozzuoli in quale altre sedi approderà la mostra?

A giugno di quest’anno è stata a Roma, alla cartiera latina sull’Appia Antica, e probabilmente dovrebbe andare a Pisa…

Da dove nasce questo progetto puteolano?

Nasce da una comunione di intenti con l’Assessore della Cultura Maria Teresa Moccia Di Fraia. Tempo fa ci incontrammo e le portai il catalogo che stampammo per il PAN, lei rimase entusiasta e mi chiese di trovare un modo per esporla a Pozzuoli. Abbiamo avuto l’opportunità di poter usufruire dei locali di questo splendido Palazzo Toledo e in un mese ci siamo dati da fare perché il progetto si realizzasse.

Visto che lo spazio messo a disposizione dal comune è quasi tre volte superiore a quello del PAN, presumo ti sia divertito nell’allestimento…

Assolutamente sì! Abbiamo rivoluzionato completamente l’allestimento: al PAN le fotografie  erano a parete, adesso invece sono esposte su strutture che, ci tengo a sottolinearlo, abbiamo creato mia moglie e io  con l‘aiuto di Massimo Colutta e Michele Schiano. Ci siamo divertiti anche perché, grazie allo spazio a disposizione, ho potuto esporre foto XXL che mai avrei potuto presentare al PAN, o, se lo avessi fatto, ne avrei messe tre, sacrificando tutte le altre.

L'immagine può contenere: 2 persone, persone in piedi

Gianni Biccari con l’Assessore alla Cultura Maria Teresa Moccia Di Fraia

In un recente incontro che avemmo all’ART GARAGE non escludesti di realizzare un progetto fotografico che avesse come soggetto Pozzuoli e i campi flegrei, è sempre vivo?

Sì, mi frulla in testa l’idea di coniugare l’antico e il moderno. Però, preso da tante cose, in primis la rassegna fotografica che coordino all’ART GARAGE, è un progetto che al momento ho accantonato.

Quando riprenderete all’ART GARAGE?

Tra fine ottobre e inizio novembre. Già abbiamo contatto tutti gli autori, dobbiamo stilare solo il calendario.

Anche quest’anno, come le precedenti edizioni, darete spazio esclusivamente a fotografi o prevedete qualche intermezzo con un altro tipo di artisti?

Per il momento solo fotografi, ma non escludo che durante il cammino non potremmo inserire qualcosa di diverso dalla fotografia.

Buon lavoro

Grazie!  

Luca Sorbo, una vita per la fotografia

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Docente di fotografia, cinema e televisione all’Accademia delle Belle Arti di Napoli, considerato tra i massimi esperti di fotografia in Italia, Luca Sorbo è il curatore della mostra fotografica EMOZIONI E PALCOSCENICO di Gianni Biccari esposta a Pozzuoli presso il Polo Culturale di Palazzo Toledo dal 7 al 21 settembre. Approfittando della sua presenza al vernissage, gli abbiamo posto alcune domande sulla fotografia in generale e quella di Biccari in particolare.

 

Professor Sorbo cosa rappresenta per lei la fotografia?

Un linguaggio straordinario che da quando è nato nel 1839 ha completamente cambiato la visione del mondo. Basta semplicemente pensare al ritratto: prima dell’avvento della fotografia le persone non avevano un ritratto di sé, a meno che non appartenessero alla ristretta cerchia dell’aristocrazia che poteva permettersi un pittore. Prendiamo come riferimento questa mostra di foto di scena, noi cosa sappiamo delle rappresentazioni di Moliere o di Shakespeare? Non sappiamo nulla di quali fossero gli allestimenti di questi grandi autori in quanto non abbiamo una documentazione come invece l’abbiamo oggi grazie alla fotografia.

Lei come si è avvicinato alla fotografia?

Ho cominciato come amatore a diciotto anni, poi a ventinove anni come fotogiornalista e a trentacinque mi sono interessato della storia della fotografia e delle tecniche fotografiche. Oggi, con un po’ di immodestia, posso dire d’essere considerato tra i maggiori esperti di fotografia a livello nazionale.

Lei dunque nasce come fotografo, come avviene il passaggio dallo scatto alla critica allo scatto?

A un certo punto mi sono accorto che c’era tanta gente che faceva fotografie e poca che le guardava. E mi sono reso conto che guardare le fotografie è difficile quanto farle! Per cui oggi il mio impegno come docente di belle arti e in altre scuole è quello di  insegnare le persone a guardare le fotografie.

Cosa intende esattamente con “guardare la fotografia”?

Avere la capacità di comprendere quello che l’autore ha fatto! La lettura di un’immagine è prima di tutto emozionale e possono farla tutti. Però quando poi si vuole passare dall’aspetto emozionale alla consapevolezza è necessario saper decriptare le scelte tecniche ed espressive. Dunque conoscere il linguaggio fotografico e comprendere quale scelte ha fatto l’autore per raggiungere quel risultato.

Quando parla di “scelte dell’autore”, lei dà per scontato che una foto sia costruita a monte?

No, assolutamente! La foto può essere casuale, come spesso accade. L’autore diventa tale nel momento in cui,tra tanti scatti, sceglie proprio quella foto. Io non solo valuto lo scatto, ma il perché l’autore ha scelto di rendere pubblico proprio quello scatto. Successivamente l’autore si valuta nel complesso delle foto, non sulla singola foto.

Come definirebbe Biccari fotografo?

Gianni prima di tutto è una persona attentissima alla tecnica e poi è un grande appassionato di teatro. Questo è il motivo per cui EMOZIONI E PALCOSCENICO è una mostra pregevole. Lui è riuscito ad unire alla competenza tecnica la passione per il teatro. Riuscire a gestire le emozioni attraverso la tecnica rende pregevoli le sue foto.

In Italia qual è il livello della fotografia?

Partiamo da un punto fermo, la fotografia in Italia viene considerata bene culturale solo dal 1999. Dal 2006 sono nati i corsi universitari, quindi abbiamo una tradizione accademica un po’ debole. Però c’è un grandissimo entusiasmo. Le mostre di fotografia sono frequentate più di quelle di pittura, sempre più giovani le si avvicinano. Manca una consapevolezza critica  e storica che necessita di tempo. Non abbiamo una tradizione fotografica radicata come ce l’hanno la musica e la pittura.   

Perché l’Italia ha riconosciuto con ritardo la fotografia come forma d’arte?

Perché ci sono cose molto più importanti come la letteratura, la pittura… Siamo il paese dei Giotto, Leonardo, Michelangelo, Raffaello; dei Dante, D’Annunzio, Pirandello… Il mondo istituzionale ha sempre guardato alla fotografia come un qualcosa di minore. La foto per anni è stata considerata mezzo per documentare, non un qualcosa che facesse arte avendo una propria capacità espressiva!

Quali sono i fotografi italiani che vanno per la maggiore?

Riferendoci ai napoletani, Mimmo Iodice, uno dei più grandi fotografi a livello europeo, Antonio Biasiucci, Cesare Accetta. A livello nazionale Ferdinando Scianna, Basilico… C’è una pattuglia di autori che però devono fare tutto da soli, non avendo uno stato che li sostiene. Come invece accade in Francia. Inghilterra e in Germanio dove ci sono istituzioni pubbliche che aiutano degli autori.

Questo arretramento dell’Italia rispetto alle altre nazioni a cosa lo imputa?

Alla disorganizzazione che purtroppo ci caratterizza un po’ in tutti i campi… Non riusciamo a fare sistema/paese. Però c’è il vantaggio che in questa disorganizzazione il singolo autore magari riesce ad ottenere risultati anche superiori rispetto a quelli del francese, del tedesco, dell’inglese che sono abituati a dei percorsi più comodi.

Come nasce la collaborazione con Biccari?

Nasce da un incontro casuale in cui lui mi parlò della sua attività di fotografo di scena a cui non dava tanta importanza. Avendo io studiato la storia della fotografia, e occupandomi di fotografia da venticinque anni, gli chiesi di vedere le foto e, visionandole, mi accorsi che il materiale era interessante. Ecco, se mi consente, il mio piccolo merito è quello di aver spinto Gianni  a organizzare questa mostra, storicizzandola. Vorrei ricordare che nel catalogo della mostra il testo di presentazione è di Giulio Baffi, il più grande critico teatrale italiano, il quale parla in maniera entusiasta del lavoro di Biccari, elogiandone la passione per il teatro che si riflette nella bellezza dei suoi scatti. Io ho storicizzato queste foto in un contesto importantissimo come il teatro a Napoli per cui ora abbiamo materiale che documenta trent’anni  di teatro.

Quali sono i suoi progetti personali per il futuro?

Sto realizzando un libro per la cineteca di Bologna,GLI ANNI SETTANTA A BOLOGNA; sto lavorando a un progetto con il MAN sulla documentazione del museo; un progetto a Capua. Fortunatamente è un periodo do lavoro molto intenso, forse troppo!   

L’ENOLOGO ALESSIO BANDINELLI SI RACCONTA

ALESSIO

Alessio da quanto tempo svolgi l’attività di enologo?

Da vent’anni. Ho iniziato lavorando in piccole aziende vitivinicole. Poi, agli inizi del duemila, non appena laureato, ho intrapreso  l’attività a pieno regime.

Cosa ti ha spinto a scegliere questa professione?

Per quanto riguarda il lavoro, non ho mai avuto il sogno nel cassetto. Però mi sono sempre piaciuti i lavori attinenti all’agricoltura. Papà negli anni novanta era consigliere nazionale dell’ASI, associazione italiana sommelier, e andavamo in viaggio a visitare le cantine e le aziende vitivinicole. Di conseguenza a casa si sviluppava l’interesse per tutto ciò che riguardava il vino cui si abbinava un consumo intelligente che ti portava a fare un vero e proprio viaggio in un bicchiere. Degustando un buon bicchiere di vino, socchiudendo gli occhi mentre lo bevevi, riscoprivi gli odori e i sapori della terra da cui il vino proveniva. Attraverso quel viaggio degustativo ti veniva raccontata la storia del vino che bevevi e la storia di chi lo produceva.

Sì, ma esattamente la tua propensione a fare l’enologo da dove nasce?

Forse proprio da questa esperienza adolescenziale. Anche se non escludo che potesse esserci già qualcosa in me che si era messa inconsciamente in moto. Ad esempio dopo le medie scelsi di iscrivermi all’istituto agrario di Firenze in quanto sentivo che dovevo fare qualcosa che fosse attinente alla terra. Per quanto mi riguarda ho sempre cercato un lavoro tangibile, vero. Un lavoro attraverso cui l’uomo producesse davvero con le proprie mani. E a ciò ho sempre associato l’agricoltura!

Tu oggi sei un libero professionista, ma in passato hai lavorato come dipendente presso grosse aziende. Ci spieghi come avviene questo passaggio?

È stato un percorso: ho prima studiato a Firenze poi ho avuto l’opportunità e la fortuna di formarmi in un’importante azienda trentina che produce milioni di bottiglie all’anno dove ho fatto  tutto la trafila dalla gavetta fino alla direzione tecnica. A quel punto mi son chiesto, “che si fa?”. È scattato un meccanismo per cui da otto anni  mi sono rimesso in discussione per vedere se fossi capace di fare qualcosa da solo. Penso sia la mia indole che mi porta a volermi rimettere periodicamente in gioco un po’ in tutte le cose che faccio. Oggi lavoro in quattro regioni d’Italia, seguo progetti interessanti e ambiziosi, ho presentato una domanda di brevetto sulla tecnica di vinificazione con i raspi, che spero verrà accettata. Tutto ciò mi gratifica, ma soprattutto mi stimola ad andare sempre avanti.

Tu sei molto legato a Raggiolo, ciò non ti ha mai portato a dar vita a un prodotto vinicolo che avesse come richiamo il paese?

Filosoficamente sarebbe una bella scommessa… Volendo essere realisti, qui a Raggiolo non sarebbe semplice impiantare una vite da cui poi trarre vino locale. Considera che siamo sull’Appennino, un territorio dove ci sono grossi magnati del vino: Biondi Santi per il Brunello, tanto per citarne uno. Persone che hanno investito tanto sul territorio. Non escludo che lo stesso un giorno non possa accadere anche a Raggiolo. Ma sarebbe un progetto molto ambizioso che richiederebbe un tale investimento di risorse e mezzi che, al momento, reputo impossibile da realizzarsi in quanto nella zona  non mi risulta ci  siano imprenditori  disposti a investire nella realizzazione di un’idea simile.

A proposito di ambizioni, quali sono le tua ambizioni come enologo?

Io vivo molto di soddisfazione. La riuscita di un progetto mi gratifica, mi soddisfa! L’ambizione sicuramente potrebbe essere quella di riuscire a realizzare il vino ideale. Ma fortunatamente non arriva mai, per cui sei sempre alla ricerca di nuovi orizzonti per crescere professionalmente e di riflesso anche come uomo.

Questa tua visione è comune agli artisti: ogni artista sa che la propria opera non sarà mai perfetta ma perfettibile, ossia migliorabile. In virtù di ciò, ti definiresti un artista?

Non lo so. Da tecnico della natura cerco di leggere i segnali della materia prima, di fare un’analisi della qualità delle uve prodotte nel corso degli anni e l’analisi del territorio. Tutti aspetti che mi consentono di vivere un legame profondo con la terra pur essendo appunto un tecnico.

Come sarà il vino del 2019?

È presto per dirlo. Almeno in toscana abbiamo ancora un buon mese e mezzo di attesa per fare il Sangiovese. Allo stato attuale i segnali indicano che quest’annata dovrebbe essere buona. Ma, come dico sempre, “finché non c’ho l’uva in cantina, non te lo dico!”

PAOLO SCHIATTI, CUSTODE DELLE TRADIZIONI

foto paolo schiatti

Di seguito l’intervista integrale pubblicata su comunicaresenzafrontiere.it

Intervista a Paolo Schiatti presidente della Brigata di Raggiolo la cui funzione è recuperare e salvaguardare le tradizioni di Raggiolo, perla del Casentino Toscano in provincia di Arezzo, arroccato a 600 mt sulle pendici del Pratomagno, inserito nella ristretta lista dei Borghi più Belli d’Italia.

 

Dottor Schiatti da quanto è presidente della Brigata di Raggiolo?

Da quattro anni

Quando nasce la Brigata?

Venticinque anni fa, da un’idea di un gruppo di amici. Quattro amici al bar, letteralmente. L’intenzione era quella di dar vita a qualcosa che valorizzasse Raggiolo, arrestando la perdita delle tradizioni che si poteva intraprendere.

Vi proponete tipo pro loco o il vostro compito principale è quello di serbare le tradizioni del luogo?

Assolutamente serbare le tradizioni del luogo! Tant’è vero che abbiamo deciso di non essere una pro loco e di non avere questa identificazione neanche nel nome.

Quando nasce Raggiolo?

La prima notizia storicamente accertata è del 967, prima del mille, in epoca ottoniana. Da un documento del regesto di Camaldoli risulta una donazione dell’imperatore Ottone a un cavaliere, Goffredo di Ildebrando, di alcuni territori tra cui “villa raggiola”.

Il termine raggiolo evoca alla mente il raggio di sole. E’ questa l’origine del nome?

No, è solo un’assonanza! L’analisi linguistica della cattedra di glottologia dell’università di Firenze conduce in un’altra direzione. La definizione raggiolo, per tutta una questione complessa di lemmi, indicherebbe “il luogo degli spini”, ossia un sito di non facile accesso all’interno del bosco.

La sala in cui ci troviamo si chiama “sala dei corsi” in riferimento agli abitanti della corsica. Qual è il legame tra Raggiolo e i corsi?

Dopo il 400 a Raggiolo si insediò una comunità di corsi che ripopolò l’antico castello che era andato completamente distrutto. I corsi sono gli antenati dei raggiolatti, una discendenza di cui qui a Raggiolo si va molto fieri e diversi vocaboli tipici di Raggiolo sono di origine corsa.

Per secoli l’economia di Raggiolo si è mantenuta grazie alla raccolta delle castagne e dei prodotti che vi si  ricavavano. Voi ogni anno, tra fine ottobre e inizi di novembre, in piazza organizzate la festa della castagna…

La castagnatura, è un termine tecnico del casentino.

Questa tradizione inerente la castagna esiste tuttora, o sta scomparendo e voi vi proponete di recuperarla?

Esiste tuttora, ma in maniera minima rispetto al passato. Raggiolo è stata davvero la patria della castagna fino alla seconda guerra mondiale e nei primi anni del dopoguerra. I documenti ritrovati all’università attestano che fin dal duecento i conti Guidi, ai quali apparteneva Guido Novello signore di Raggiolo tra il 1301 e il 1322, avevano selezionato una castagna tuttora esistente derivante da un tipo di castagno detto raggiolano: la castagna raggiolana. Consideri che il castagno non è un albero autoctono, ma fu importato dall’Asia dai romani. La sua estensione territoriale a livello nazionale è dovuta al fatto che è un albero da frutto. Ma soprattutto è un albero del pane: dalla farina di castagne si ottiene la polenta di castagne che rispetto a quella di mais ha la caratteristica fondamentale di essere proteica. Per generazioni a Raggiolo si è vissuto grazie alla farina di castagne.

La vostra ambizione è salvaguardare la storia e le tradizioni di Raggiolo. Turisticamente il paese sta avendo un grosso boom, non a caso è stato inserito nella lista dei borghi più belli d’Italia, e questo è sicuramente anche merito vostro. Come Brigata quali altri obiettivi vi siete proposti per portare avanti questa crescita?

Il discorso sarebbe lungo. Volendo essere sintetici, credo che alla base vi sarebbe l’esigenza di creare un’unità territoriale tra tutti i comuni edificati sul massiccio del Pratomagno. Una montagna straordinaria, con una bellezza paesaggistica unica, sulla cui cima si estende un’immensa prateria che per secoli è stata, unitamente alla Maremma, luogo di pascolo per le greggi all’epoca della transumanza; divide il Casentino dal Val d’Arno ed è circondato nel suo percorso dall’Arno. Ecco, reputo che questa sia la prima cosa da farsi, dare unità a questo mondo che ha una sua omogeneità territoriale culturale e urbanistica.

Quindi, se non ho frainteso,  tutto ciò richiederebbe non solo un impegno culturale ma anche politico!?

Sì,implica che i comuni collaborino insieme a un progetto territoriale che facesse emergere il Pratomagno in quanto tale. E dentro questo progetto fare in modo che le tradizioni dei singoli paesi venissero recuperate e salvaguardate. 

Di raggiolatti in paese ve ne sono sempre meno, mentre vi è un aumento esponenziale di turisti. Alla lunga ciò non potrebbe far cadere nel dimenticatoio la storia e le tradizioni di Raggiolo?

Certo, il rischio è reale! Ed è proprio per evitare che avvenga che come brigata ci siamo posti l’ambizioso compito di recuperare e tenere vive le antiche tradizioni del luogo e organizzare escursioni in posti dove si possono ammirare le meraviglie della natura che ci circonda. È giusto che il paese si incrementi turisticamente, ne beneficia tutta l’economia locale. L’importante è che tutto ciò non oscuri le origini e le tradizioni di Raggiolo! Finché potrò, mi impegnerò con tutte le mie forze perché la radici storico-culturali del paese non cadano nel dimenticatoio. Ovviamente con la collaborazione dei volontari della brigata, donne e uomini straordinari senza i quali tutto quel che abbiamo finora fatto sarebbe stato impossibile.

GIANLUCA GUILLARO, UN GIOVANE IMPRENDITORE NAPOLETANO SI RACCONTA

A seguire la versione integrale dell’intervista pubblicata su comunicaresenzafrontiere.it

Poco più che ventiseienne, laureato in Economia Aziendale, Gianluca Guillaro è un giovane/dinamico imprenditore napoletano che insieme a tre colleghi di università ha fondato a Roma MARKAPPA SRL, agenzia di marketing e comunicazione, in crescita esponenziale.

Gli abbiamo posto alcune domande per conoscere meglio lui e la sua azienda.

Gianluca a giugno si è fondata MARKAPPA, ci spieghi esattamente cosa è?

È una società di consulenti di marketing. Nello specifico quattro giovani professionisti del settore: io, Eduardo Saba, Giuseppe De Nicola e Andrea Sergiacomo. Ci siamo conosciuti quattro anni fa all’università Sapienza per un progetto di marketing e comunicazione digitale. Lavorammo su un prodotto yogurt che ci fu assegnato dalle nostre professoresse. Da quel progetto nacque tra noi una forte sintonia tanto che siamo riusciti a portare quell’idea sulla scrivania dell’azienda che ci fu affidata per “gioco” e per studio dalle docenti, riuscendo a venderla a questa ditta di yogurt molto nota nel nord Italia. Da lì decidemmo di metterci in gioco: aprimmo la partita IVA e iniziammo a lavorare come liberi professionisti. Da giugno di quest’anno abbiamo deciso di fare un ulteriore salto di qualità, costituendo MARKAPPA SRL e metterci sul mercato come consulenti di marketing.

Tu sei napoletano, ma MARKAPPA ha sede a Roma. Qual è il motivo di questa scelta?

La scelta di Roma dipende dal fatto che, studiando lì, già ci trovavamo sul territorio. Dunque decidemmo di prendere un ufficio nella capitale e di iniziare a lavorare.

Tu e i tuoi soci siete tutti napoletani?

No. Io sono napoletano, poi c’è un siciliano e due romani. Sembra l’incipit di una barzelletta, in realtà siamo un team ben affiatato.

Con voi avete dei collaboratori?

Abbiamo dei consulenti esterni sia per quanto riguarda la grafica sia per quanto concerne lo sviluppo di siti web.

Nello specifico mi faresti un quadro di cosa esattamente si occupa MARKAPPA?

MARKAPPA si divide in due branche fondamentali, quella del marketing strategico e quella del marketing operativo. Il marketing strategico è votato alla consulenza di marketing: un’azienda o una persona ci contatta, ci racconta la sua realtà aziendale o il proprio progetto personale, nello specifico il personal branding di cui si parla tanto ultimamente soprattutto con Instagram, e insieme pianifichiamo una strategia volta a promuovere la persona o l’azienda. Ovviamente gli obiettivi sono diversi: pubblicizzare la propria immagine o accrescere la propria notorietà; o obiettivi di vendita, quindi cercare in breve tempo una monetizzazione.

La vostra attività è limitata a aree specifiche o si estende su tutto il territorio nazionale?

Operiamo su tutto il territorio nazionale, ma i principali clienti li abbiamo nel centro-sud tra Roma, Napoli, Bari e Palermo. Questo è il nostro polo operativo maggiore.

Esattamente tu in MARKAPPA che ruolo occupi?

La mia funzione è quella del CEO, una sorta di ambasciatore di MARKAPPA, la figura esterna che insieme al direttore commerciale parla con i clienti, cerca bandi, partecipa a eventi. Un po’ il frontman della società!

Quali sono i vostri obiettivi a breve e a lunga scadenza?

A breve termine affermarci nel centro-sud come tra le prime aziende di consulenza di marketing. A lungo termine vogliamo tornare da dove siamo partiti per cui estenderci al nord Italia e, perché no, all’estero. A riguardo già stiamo trattando la comunicazione di un brand in Spagna.

In quali settori operano per lo più i vostri clienti?

I nostri clienti operano nei settori più disparati. Il nostro core business è il food insieme alla sicurezza. Ma non ci poniamo limiti. Come dicevo prima la comunicazione si apre a più settori, perfino a quello degli scrittori, come hai avuto modo di sperimentare anche tu. In questo caso ci preoccupiamo di far conoscere l’autore, di pubblicizzarne l’immagine e l’operato. Soprattutto per quanto riguarda coloro che come te affidano le proprie pubblicazioni al self publishing. Un mondo a noi sconosciuto fino a quando non abbiamo lavorato con te e con una scrittrice di Palermo. In questo caso seguiamo tutto il processo creativo, dall’impaginazione alla grafica fino alla pubblicità dell’opera.

A un neo laureato in economia suggeriresti di intraprendere il tuo stesso cammino professionale?

Certo. Anche se devo dire che il mio percorso è iniziato all’indomani della laurea: credo di aver studiato e letto più libri dal giorno dopo che mi sono laureato anziché quando ero all’università. Come diceva Eduardo, è proprio vero, “gli esami non finiscono mai!”

 

Vincenzo Giarritiello

INTERVISTA A CASSANDRA FORTIN – UNA CANADESE A POZZUOLI

Di seguiti l’intervista integrale pubblicata su comunicaresenzafrontiere.it

Ventitreenne canadese del Quebec, laureata in Scienze Storiche, Cassandra Fortin è in Europa da due anni per l’Erasmus con cui sta completando un master sui beni e i paesaggi culturali. Da sei mesi a Pozzuoli, collabora attivamente con l’associazione culturale Lux In Fabula.

A fine agosto completerà il ciclo di studi e agli inizi di settembre rientrerà in Canada. Ne abbiamo approfittato per farle qualche domanda e conoscere il suo punto di vista su Pozzuoli e i suoi abitanti.

Cassandra da quanti mesi sei in Italia?

Sono arrivata all’inizio di febbraio

Sei qui per l’Erasmus?

Sì!

In cosa stai per laurearti?

Sono laureata in Scienze Storiche. Ora sto facendo un master in beni e paesaggi culturali.

Perché hai scelto di vivere a Pozzuoli?

Perché l’Associazione Lux In Fabula, presso cui mi appoggio per i miei studi, lavora sugli stessi argomenti oggetto delle mie ricerche.

Come sei venuta a conoscenza di Lux In Fabula?

Me ne parlò una professoressa della Federico II che conosce Claudio Correale il presidente di Lux. Quando le chiesi a chi potessi rivolgermi per avere un valido sostegno alle mie attività di ricerca, mi indicò lui e la sua associazione.

Che cosa ti ha colpito dei campi flegrei?

Quando sono arrivata non sapevo che questa zona fosse vulcanica e sismica. Per me è stata una sorpresa, soprattutto vedere il modo naturale con cui gli abitanti interagiscono con questa realtà.

Puoi spiegarti meglio?

Per me che vengo da una terra dove non esistono fenomeni vulcanici così intensi come qui da voi, mi ha stupito la semplicità con cui le persone vivono quest’aspetto del territorio. Ho la sensazione che gli abitanti adorino la loro terra, anche quando li fa “ballare” costringendoli a doversene allontanare per motivi di sicurezza. Ho riscontrato che qui c’è una maniera diversa di appropriarsi del territorio rispetto a tante altre zone dell’Italia che ho conosciuto.

In che senso?…

Un esempio facile, le terme: sono una realtà molto antica, che risale all’epoca romana. Ma qui da voi è una realtà tuttora molto utilizzata, un aspetto quotidiano che caratterizza l’economia del territorio e la vita di molte persone. Pur non essendo obbligate a vivere in questa terra così problematica e pericolosa, la gente lo fa come se nulla fosse, tradendo un legame molto forte con essa. Sono cose come queste che mi hanno stupita!

Questo legame così forte con il territorio non lo riscontri in voi canadesi?

Sì, ma è diverso. Noi non abbiamo i vulcani o fenomeni come il bradisismo. Abbiamo la neve, il ghiaccio e tanta acqua. Fenomeni diversi che non ti inducono a vivere come se ti pendesse sul capo la spada di Damocle!…

Tu da quale zona del Canada vieni?

Quebec, la parte francese!

Ci puoi raccontare cosa hai esattamente fatto in questi mesi che sei stata in Italia, in particolare a Pozzuoli?

Ho lavorato a molti progetti: ho allestito un sito web per l’associazione che ho quasi finito; ho lavorato a un video sullo sgombero del Rione Terra del 1970 da cui ho tratto spunto per farne poi uno sul successivo sgombero a Pozzuoli del 1983 sempre conseguente al bradisismo.

Ora che tornerai nel tuo paese, cosa pensi ti resterà di questa esperienza in Italia, a Pozzuoli in particolare?

Studiando da antropologa, questo lavoro che sto facendo con gli abitanti che hanno vissuto e vivono la realtà bradisismica dei campi flegrei e gli sgomberi che ci sono stati, è per me un modo concreto di conoscerne in maniera più approfondita la storia e la mentalità.

Oltre alla loro capacità di adattamento alla natura instabile del territorio, cos’altro ti ha colpito dei puteolani?

La maniera di vivere sapendo cogliere l’attimo, attuando il motto latino del carpe diem. Da che sono in Italia ho avuto modo di constatare come negli italiani, e soprattutto nei napoletani e puteolani, sia insita questa filosofia di vita. Del resto non mi stupisce: vivendo in un territorio dove sai benissimo che da un momento all’altro potrebbe verificarsi un evento sismico che potrebbe completamente cambiarti la vita, è naturale che le persone vivano la propria esistenza attimo per attimo. Questo mi piace perché, così facendo, assapori ogni momento della vita. Dai valore a ogni secondo, non perdendoti nell’effimero!

Quando rientrerai in Canada?

Agli inizi di settembre.

Il pensiero di dover andare via ti rende felice o pensi che ci soffrirai un po’?

Entrambe le cose! Sono due anni che sono in Europa e mio mancano molto la mia casa, la mia famiglia, i miei amici. È vero che parlo spesso in chat con i miei familiari, in particolare con mamma, ma non è la stessa cosa!

I tuoi genitori cosa dicono di questo tuo lungo soggiorno europeo?

Quella che lo sta soffrendo molto è mamma: sia papà che mio fratello, per motivi di lavoro e di studio, stanno via da casa tutta la settimana e mamma resta molto tempo da sola. Questo mi dispiace, per cui ecco perché non vedo l’ora di rientrare in Canada!

Pensi che un giorno ritornerai a Pozzuoli?

Sicuramente, adoro questa terra e la sua gente!

Vincenzo Giarritiello

PIANO TRAFFICO UNIVERSIADI 2019: RESTANO LE PERPLESSITA’ DI CASA DEL CONSUMATORE (INTERVISTA AL RESPONSABILE CITTADINO DOTT. CARLA DE CIAMPIS)

L'immagine può contenere: Carla de Ciampis

Dopo il caos/traffico di venerdì 28 giugno conseguente al varo del piano viabilità predisposto dal Comune di Napoli per le Universiadi, da sabato 29 giugno è stato predisposto un nuovo percorso che lunedì 1 luglio, con la riapertura delle attività commerciali e lavorative, testerà la propria efficacia. Sulla scia delle polemiche dei giorni scorsi, abbiamo dato la parola al Dottor Carla De Ciampis, responsabile cittadino di Casa del Consumatore, che da diverse settimane sta lanciando allarmi inascoltati sulle probabili ripercussioni negative che il piano avrebbe avuto sulla viabilità, penalizzando i comuni cittadini.

 

Dottore alcune settimane fa lei espresse le proprie perplessità riguardo i problemi di viabilità che si sarebbero potuti presentare per i cittadini durante le Universiadi, se non fosse stato studiato dal Comune un corretto piano di viabilità. Purtroppo queste suoi dubbi hanno trovato conferma con il caos che si è verificato venerdì scorso con l’entrata in vigore del piano, costringendo i responsabili a rivederlo il giorno dopo. Alcuni giorni fa ha scritto una lettera a diversi giornali, rimarcando la sua sfiducia.  È il caso di dire “nemo profeta in patria”?

Partiamo dalla fine: la lettera a cui fa riferimento è stata l’atto conclusivo di una presa di posizione personale iniziata ai primi di giugno quando fu varato e reso pubblico sui siti istituzionali il piano traffico per le Universiadi. Non appena lo visionai notai subito che presentava diverse criticità a scapito del comune cittadino e provai a contattare anche via Facebook i responsabili delle istituzioni per confrontarci civilmente, senza purtroppo ricevere nessuna risposta. A questo punto, poiché il piano era già stato varato, era inutile fare una richiesta di convocazione. Per cui ho esternato le mie perplessità confidando che qualcuno mi avrebbe risposto.

Su quali basi si fondano le sue perplessità?

Sul fatto che da circa dieci anni Napoli è sprovvista di corsie preferenziali a causa dei lavori della Linea 1 della metropolitana. Com’era possibile pensare che strade ridotte al lumicino per via dei  cantieri per la metropolitana, strade che sono state lottizzate in buona parte dalle strisce blu con conseguente restringimento delle corsie e delle carreggiate, potessero magicamente non rivelarsi un problema per i cittadini all’atto in cui si sarebbe varato un piano viabilità per le Universiadi che giustamente prevedeva la creazione di corridoi preferenziali per il transito dei pullman che trasporteranno gli atleti dal Molosiglio a Fuorigrotta e viceversa? Con questi elementi di base non riuscivo a capire come si sarebbe fatto e quindi mi meravigliavo di come gli organizzatori e i responsabili amministrativi potessero aver trovato magicamente la soluzione. Quando c’è stata la prima attuazione del piano le mie perplessità si sono concretizzate: chiudendo le strade alla pubblica viabilità per creare i corridoi per gli atleti, relegando i cittadini in un’unica corsia tutto è subito andato in tilt!

Tra ieri e oggi sembrerebbe che la situazione sarebbe un tantino migliorata in quanto, proprio in virtù del caos di venerdì, i sensi di marcia che hanno creato tanti problemi ai cittadini, sarebbero stati nuovamente invertiti. Si aspetta domani, quando riprenderanno le attività lavorative e commerciali, per vedere se effettivamente i problemi sono stati, almeno in parte, risolti.

Ribadisco, le mie perplessità nascono dal fatto che da dieci anni a Napoli non esistono corsie preferenziali che in questo caso sarebbero servite anche per il trasporto degli atleti. In carenza di questo non capisco come abbiano potuto pensare di far circolare decine di pullman, macchine, taxi per il trasporto degli atleti senza penalizzare i cittadini!

Allo stato attuale quali sono le sue aspettative in merito?

Stamani sui quotidiani cittadini leggevo che il Comune ha preso atto che il piano così com’è non va bene, avallando dunque le mie ritrosie.

Quando all’epoca lei segnalò il problema al comune ricevette risposta?

No! In questi casi, come dico sempre, il comune cala dall’alto le ordinanze. Mi spiego: con l’ordinanza 269 del 26 giugno, dunque varata appena quattro giorni fa, il Comune per 21 giorni  vieta sia il transito che la sosta in aree specifiche perfino ai residenti muniti di regolare permesso i quali non lo hanno avuto gratuitamente ma lo hanno pagato, senza minimamente preoccuparsi di sopperire al disagio fornendo ai malcapitati la possibilità di parcheggiare gratuitamente in garage con cui preventivamente il Comune stesso si sarebbe dovuto accordare, stabilendo un prezzo di comodo per garantire a chi ne ha diritto la possibilità di parcheggiare e sostare laddove risiede.  Mi sarei aspettata quanto meno questo. Se non addirittura che, così come gli operatori delle Universiadi sono stati dotati di abbonamenti gratuiti per i mezzi pubblici, per i cittadini sottoposti ai disagi della viabilità e del parcheggio il Comune prevedesse degli abbonamenti a un costo speciale per tutta la durata del periodo dei giochi in modo da indurli a non doversi spostare con l’auto. Altra criticità che a mio avviso renderà difficile la viabilità ai napoletani durante le Universiadi è che da luglio scattano le ferie per molti operatori del settore dei trasporti su gomma e su ferro. Non a caso la funicolare che collega Mergellina a Via Manzoni resterà chiusa dal 30 giugno a settembre per lavori di manutenzione. Ora mi chiedo, possibile che in vista di un evento così importante come le Universiadi i lavori non potessero slittare alla fine dei giochi, dando la possibilità a chi viene dalla zona collinare della città di muoversi  senza grosse difficoltà?

Come responsabile dell’associazione consumatori lei cosa chiede?

Innanzitutto che per l’organizzazione di un evento così importante si fosse adoperata la filosofia del buon padre di famiglia, ponderando tutti i punti di vista, partendo dai commercianti ai cittadini agli atleti e a quanti si muoveranno attorno ai giochi, tenendo ben presente tutte le situazioni di sicurezza. Quando hanno rifatto il manto stradale del corridoio per il trasporto degli atleti lo hanno rifatto non solo riempiendo tutte le buche e cancellando i rattoppi, ma hanno cassato anche la segnaletica orizzontale. Attualmente il manto stradale è una lunga strisciata di nero priva di strisce pedonali anche in prossimità dei semafori. Poiché il piano originale prevedeva delle anomalie rispetto a quello attualmente in corso, in molte zone c’è una segnaletica che non corrisponde più al reale senso di marcia. Ad esempio Viale Gramsci: il percorso originale lo prevedeva a doppio senso e sull’asfalto c’è la segnaletica relativa. Con il piano attuale, sotto esame da domani, Viale Gramsci torna a essere a senso unico, malgrado la segnaletica orizzontale indichi il contrario. Ma pare che già starebbero provvedendo a modificarla proprio in questo momento…

In conclusione cosa si sente di dire?

Se si fosse adottato il buonsenso, personalmente non avrei varato un piano dall’alto, bensì lo avrei studiato e sperimentato molte settimane prima dei giochi. Domani, quando mancheranno solo  tre giorni all’inizio delle Universiadi, si testerà la validità del nuovo piano viabilità. Se dovesse fallire, dovrà funzionare per forza, con buona pace dei cittadini! Mi lasci aggiungere un’ultima cosa: pare che l’attuale piano preveda per un tratto di strada la commistione tra il corridoio per il trasporto degli atleti con il traffico privato. Se davvero fosse, mi chiedo se, così facendo, non si minerebbero le elementari regole per la sicurezza degli atleti e degli stessi cittadini?…

INTERVISTA A CLAUDIO CORREALE, L’ANIMA DI LUX IN FABULA

Di seguito la versione integrale dell’intervista pubblicata su comunicaresenzafrontiere.it

Sabato 22 giugno con Conversazioni Socialmente Utili si è chiusa la prima edizione della rassegna culturale QUATTRO CHIACCHIERE CON L’AUTORE curata e realizzata dall’associazione culturale flegrea Lux In Fabula presso la propria sede a Pozzuoli.

Per l’occasione abbiamo intervistato il Presidente Claudio Correale per fare il punto sulla rassegna appena conclusasi e conoscere i prossimi progetti dell’associazione.

Claudio perché QUATTRO CHIACCHIERE CON L’AUTORE?

Per dare la possibilità ai tanti intellettuali e artisti sparsi sul territorio flegreo, ma che non riescono a trovare gli opportuni spazi in cui esibirsi, di farsi conoscere e apprezzare. Alla rassegna hanno partecipato diciannove artisti, di cui la maggior parte romanzieri e saggisti. Nonché un informatico che ha ideato un sito internet dove è possibile passeggiare virtualmente nel tempo, sia nei campi flegrei che altrove, muniti della strumentazione relativa; un tecnico elettronico con la passione della fotografia che ha spiegato l’utilizzo dei droni in ambito fotografico; un gruppo di professionisti impegnati nella salvaguardia dei diritti dei consumatori che ha illustrato i mezzi e le dinamiche di cui può usufruire il cittadino per difendersi dagli abusi di cui spesso è vittima da parte degli enti pubblici e privati. E ovviamente studiosi del territorio che ne hanno parlato in senso lato, non limitandosi a Pozzuoli e all’area archeologica che lo riguarda, ma estendendosi fino alla conca di Agnano che ha molto da dire e da dare in ambito archeologico e storico, contrariamente a quanto si possa immaginare. Ovviamente non è questa la prima volta che organizziamo una manifestazione del genere. Già in passato, seppure sotto altre vesti, abbiamo organizzato eventi simili, cercando sempre di dare spazio a chi non ne aveva, non perché non fosse capace ma perché non riusciva a trovare i canali giusti che gli consentissero di farsi conoscere.

La manifestazione ha avuto un tale successo che già avete pronto il calendario completo per la prossima edizione…

Sì, è vero, gli obiettivi sono stati perfettamente centrati e in autunno prenderà il via la seconda edizione, quasi in contemporanea con il nuovo appuntamento dei “Giovedì Letterari” presso il Museo del Mare di Napoli a Bagnoli con “Pozzuoli è Memoria!” (il 31 Ottobre 2019) che tanto consenso ha ricevuto per i contenuti espressi dai numerosi relatori il 4 aprile scorso quando per la prima volta come associazione fummo invitati a parteciparvi. Ritornando alla seconda edizione di Quattro Chiacchiere Con L’Autore, è già possibile visionare online sul sito di Lux in Fabula, cliccando sulla sezione “Eventi”, il calendario provvisorio degli incontri: si partirà il 26 ottobre 2019 con la presentazione del tuo libro Le Mie Ragazze Rom dove narri la tua esperienza di laboratorio di scrittura creativa presso la sezione femminile del carcere minorile di Nisida nel 2006, e si proseguirà con un fitto programma, arricchito anche da interventi musicali e artistici.

Ci racconti come nasce Lux In Fabula?

Più di trent’anni fa insieme al fotografo Ciro Ammendola e al pittore Antoine, così si faceva chiamare, affittammo un appartamento a Pozzuoli, al parco Bognar nei pressi della metropolitana, e iniziammo a fare attività artistiche. Tra le prime attività sociali che intraprendemmo ci fu quella di commentare alcune favole utilizzando delle diapositive fatte a mano con la tecnica della diapositiva creativa. Le immagini che proiettavamo erano quasi tutte astratte in maniera da sollecitare quanto più potevamo la fantasia dei bambini. Ci tengo a precisare che noi nasciamo con l’intento di insegnare ai bambini a difendersi dagli abusi dei mass media e le nostre attività si svolgono soprattutto nei plessi scolastici elementari. Dotando i ragazzi degli strumenti adeguati per non lasciarsi sedurre dai messaggi pubblicitari audio e audiovisivi, siamo convinti che ciò possa risolversi nel primo e fondamentale passo per avere un domani una società di uomini liberi e non di “schiavi” del messaggio. In sintesi il nostro scopo è quello di sviluppare nei bambini una capacità critica verso le immagini. In particolare a difendersi dalla televisione che a livello mediatico è il mezzo invasivo per eccellenza. A riguardo ho tenuto fino pochi anni fa corsi P.O.N. agli insegnanti, sia nell’area flegrea che altrove, perché imparassero le tecniche necessarie per poi educare i bambini a come fare per difendersi dagli abusi della società dell’immagine!

Luci e ombre di questa prima rassegna di Quattro Chiacchiere Con L’autore…

Di ombre non mi sembra ce ne siano state, a parte qualche defaillance di partecipazione all’ultimo momento cui abbiamo saputo rimediare senza difficoltà visto che tanti erano quelli che ci tenevano a partecipare alla rassegna. Di luci, per quanto mi riguarda, ce ne sono state tantissime. A partire dalla folta presenza di pubblico che ha accompagnato ogni incontro. Considerando le misure ridotte della nostra sala, circa venticinque metri quadrati, abbiamo avuto mediamente la presenza di 15/20 persone con punte anche di 30/40. Per cui già questo ti gratifica e ti motiva a proseguire nell’opera.

Come mai un’associazione come la vostra così attiva da tanti anni sul territorio non è dotata di una sede idonea? Non ne avete mai fatto la richiesta alle autorità competenti?

Sì, la richiesta l’abbiamo fatta. Finora in risposta abbiamo ricevuto solo impegni informali e promesse che spero non tarderanno a tramutarsi in realtà. Sia chiaro, mi rendo conto che le nostre esigenze sono secondarie rispetto a tante altre cui l’autorità deve far fronte. Tuttavia confido che il nostro impegno per il territorio venga riconosciuto anche in sede ufficiale e premiato con la messa a disposizione di uno spazio adeguato che ci consenta di moltiplicare per enne le nostre attività. E soprattutto di realizzare un progetto che mi sta particolarmente a cuore…

Quale?

Il museo del bradisismo. Dotare Pozzuoli di un luogo dove chiunque possa recarsi per erudirsi sul bradisismo, questo particolare fenomeno che caratterizza da sempre i campi flegrei,Pozzuoli in particolare, e acquisire la consapevolezza di quanto esso abbia influito, influisca e influirà in ambito sociale! Unitamente al museo sul bradisismo, un’altra nostra proposta è il museo interattivo della cinematografia. Abbiamo collezionato sessanta strumenti che vanno dalla seconda metà dell’ottocento a oggi: cinque lanterne magiche di cui due funzionanti; tantissimi giochi ottici che abbiamo ricostruito. Nonché proiettori che vanno dagli anni 40 a oggi. Abbiamo inoltre una collezione straordinaria di macchine Polaroid e altre macchine fotografiche di un certo valore.

Per quest’estate avete in programma qualcosa?

Siamo stati invitati a partecipare alla quattordicesima edizione di Malazé nella figura di Rosario Mattera che è il padre/fondatore della manifestazione: il 22 settembre nella sede della nostra associazione terremo quattro spettacoli con lanterne magiche dell’800.

Cosa vuol fare Claudio Correale da grande?

Il mio sogno è realizzare il museo del bradisismo e quello della cinematografia a Pozzuoli. Se però non fosse possibile, sono già in contatto con altre realtà di Napoli e provincia che sono interessate ai progetti e disponibili a offrirci gli spazi necessari per dargli vita. Ma spero di riuscire a realizzare il museo del bradisismo a Pozzuoli. Farlo altrove lo troverei umiliante e offensivo per la città e per i cittadini. Il bradisismo è l’anima di Pozzuoli, sia nel bene sia nel male!