Le mitiche riviste del nostro Novecento sfilano in rassegna nella loro città d’origine, Firenze, in mostra alla Galleria degli Uffizi fino a settembre: Leonardo, Lacerba, La Voce e poi tutte le altre, futuriste e no. I nomi dei protagonisti sono Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini, Ardengo Soffici, Tommaso Marinetti; ma anche Piero Gobetti, Antonio Gramsci, Leo Longanesi, Curzio Malaparte, Massimo Bontempelli, fino a Benedetto Croce e altri. Stavolta, il ministro dei beni culturali che inaugurava la mostra non era un occasionale passante: Gennaro Sangiuliano è autore di un’ampia biografia di Prezzolini, ora ristampata da Mondadori. Per capire quando e come furono concepite quelle riviste, bisogna risalire a un giorno di primavera dell’inizio secolo, il ‘900, a Firenze.
Il 12 aprile del 1900 quattro ragazzi pazzi decisero in una cantina di cambiare l’uomo, l’Italia e il mondo. Neanche vent’anni ciascuno ma con l’ambizione folle di rinnovare l’arte, la filosofia e l’umanità, dopo aver seppellito in fretta la religione. Li ho immaginati quei quattro ragazzi che celebravano da iconoclasti l’avvento del nuovo secolo, passeggiando nel fango, tra brume leggere, lungo le rive dell’Arno. Li ho visti nel diario di Giovanni Papini dedicato al 1900 e nel diario parallelo di Prezzolini. I quattro amici erano Alfredo Mori, un giovane talento filosofico proveniente da una famiglia di pazzi e suicidi; Ercole Luigi Morselli, che invece studiava psichiatria, ma anche lui pazziava tra poesia e filosofia; poi Giuseppe Prezzolini, soprannominato Tormento, più freddo e distaccato di Papini, più cinico e realista, che professava di non credere in nulla, a cominciare da se stesso, “amore infrenato di libertà e d’indipendenza”, “assenza completa di sentimentalità”, secondo Papini; infine lo stesso Papini, con “i capelli ricciuti come un’aureola”, “gli occhi miopi e bulbosi” che pesca dai cassetti ritagli di giornali “con mani rapaci e poi li sbandiera e gli occhi gli splendono”, feroce stroncatore del prossimo, “dioneguardi se guardasser lui gli altri come lui guarda gli altri”(Prezzolini dixit). Quella confraternita avida di libri e di saperi, fiorisce nel primo anno del Novecento all’ombra di un filosofo che riassume la pazzia iconoclasta e la filosofia col martello che li pervade, un filosofo morto giusto nel 1900, lasciando ai posteri la vertigine di quel lutto: Friedrich Nietzsche, il dionisiaco. In quei quattro ragazzi d’inizio secolo c’è il riassunto eroico del Novecento: la voglia di cambiare radicalmente le cose, la velleità di fondare l’uomo nuovo e nuovi saperi, di liquidare il passato e rovesciare il mondo come un calzino. A cominciare dall’Italia che a Papini sembrava “un paese senza vita, senza unità ideale, senza scopo comune. Tutto smorto, tutto assonnato. Ognun per sé e qualche camorra per molti”.
Fu così che agli albori del ‘900 i quattro amici, dopo una gran bevuta di marsala nel sotterraneo della casa di Prezzolini, scrissero il “Proclama degli spiriti liberi” che riassumeva il progetto faustiano del secolo: abolire i legami, i dogmi e i principi, mettere tutto in comune, aborrire il matrimonio, creare, leggere, dipingere, suonare. Ma soprattutto far dell’Io il nuovo Dio. Questo era il programma di Papini, che aveva dato a quel Proclama un’ubicazione cosmica: risultava infatti scritto sì nella cantina di via Cherubini 3 ma in “Firenze (Italia Europa Terra Sistema Solare Universo)”. Tutta la rivoluzione sarebbe nata o meglio sarebbe sfociata in una rivista letteraria, nella convinzione che scrivere le idee volesse dire davvero cambiare il mondo.
L’uomo dio è l’aspirazione di Papini e forse la sintesi più ardita del sogno del Novecento e delle sue ideologie quanto delle sue sfide prometeiche attraverso la scienza e la tecnologia. Da qui l’incontro con le rivoluzioni del Novecento, dal pragmatismo in filosofia al futurismo nell’arte, dal nazionalismo in politica al modernismo in religione. La morale eroica dell’inutile opposta all’utilitarismo borghese e socialista dell’epoca, un’istigazione continua alla follia (“osate esser pazzi”) e un’accattivante passione trasgressiva, una specie di nichilismo estetico e vitalistico. E poi un furioso anti-intellettualismo di matrice intellettuale, erudita. Questo fu soprattutto Papini d’inizio secolo, con un feroce desiderio di immortalità: basta leggere l’abbozzo di prefazione al Rapporto sugli uomini, intitolato Dedica all’uomo, per avere una più chiara idea della sua ambizione di superare Dante e ogni altro. Ma la stessa cosa potrebbe dirsi di altre riviste d’avanguardia, che sperimentavano rivoluzioni politiche o artistiche, a partire dal futurismo, per arrivare al comunismo, alla rivoluzione liberale, al nazional-fascismo.
Il sogno d’onnipotenza passa attraverso quel mezzo curioso: il giornale, la rivista. Agli inizi del ‘900, lui e Prezzolini sono convinti che il rinnovamento del mondo passi attraverso la fondazione di un giornale: “E’ il giornale, il famoso giornale che sta in cima al pensiero di chi vuol irrompere tra la calca dei mille e dei milioni per svegliarli e illuminarli; il lungamente sognato e promesso giornale di chi vuol prendere il mondo d’assalto e aggredire gli assopiti contemporanei all’usanza masnadiera” ad opera dei “freschi giovani di vent’anni”. Così all’esordio del secolo quei freschi giovani cominciano a pensare la Vampa, poi il Divenire, indi l’Iconoclasta per partorire infine nel 1903 il Leonardo (da cui poi sgorgheranno La Voce e Lacerba). Poi vennero tutte le altre, e furono non solo gli incubatori della cultura di un secolo ricco e tormentato; ma anche la serra calda del fascismo e dell’antifascismo, dell’italocomunismo e del cattolicesimo politico, reazionario, poi democratico o perfino rivoluzionario. Era Firenze la loro capitale, poi si spostò a Milano, Torino, nella provincia del nord, e si propagò nel mondo col futurismo, a partire da Parigi, Mosca e New York. Ma il cuore di quell’inizio è nell’ardire culturale e civile di quei ragazzi, nel loro egocentrismo cosmico, nella mitomania che sognava in grande e pensava ancora possibile orientare la storia coi giornali e le idee. Osate esser pazzi, e loro osarono.
M V
La crema della crema, il meglio della nostra cultura del novecento. Nomi eccellenti e rappresentativi. Ho letto anche il nome di Prezzolini, del quale adoro un aforisma che calza bene in ogni momento per il nostro paese: “In Italia nulla è stabile quanto il provvisorio”.
Buona serata carissima Giovanna.
Carissima e sempre Grande Giovanna Buongiorno.
Ed ora anche una pensiero per una vacanza al mare?
🙂