La mappa di un millimetro cubo di cervello umano, per la prima volta: «Una complessità mai vista prima»

Ricercatori di Google e neuroscienziati dell’Università di Harvard hanno combinato l’imaging cerebrale con l’intelligenza artificiale, ricostruendo le cellule e le connessioni in un tessuto grande quanto mezzo chicco di riso

Un millimetro cubo di cervello mappato con dettagli spettacolari

Neuroni in un frammento di corteccia cerebrale (credit: Google Research & Lichtman Lab, Università di Harvard; rendering di D. Berger, Università di Harvard

Potrebbe sembrare un prato fiorito, un paesaggio onirico. Ma anche un’opera d’arte estremamente complessa. E in fondo l’immagine qui sopra è davvero un’opera d’arte incredibile: si tratta di un millimetro cubo di cervello umano ingrandito all’inverosimile.

Mezzo chicco di riso

Il lavoro è di un team congiunto di ricercatori di Google e neuroscienziati dell’Università di Harvard, che hanno combinato l’imaging cerebrale con l’elaborazione e l’analisi delle immagini basate sull’intelligenza artificiale, ricostruendo le cellule e le connessioni all’interno di un volume di tessuto cerebrale grande quanto mezzo chicco di riso. È una visione senza precedenti del cervello umano, che potrebbe aiutare a comprendere meglio i disturbi neurologici e a rispondere a domande fondamentali sul funzionamento della nostra «materia grigia». Le sei immagini ottenute dai ricercatori, pubblicare su Science e Nature, sono state messe a disposizione della comunità scientifica.

Oltre 50mila cellule

La mappa 3D copre un milionesimo di un cervello e contiene circa 50mila cellule e 150 milioni di sinapsi, le connessioni tra i neuroni. Il frammento è stato prelevato da una donna di 45 anni durante un intervento chirurgico per curare l’epilessia. Proviene dalla corteccia, un’area coinvolta nell’apprendimento, nella risoluzione dei problemi e nell’elaborazione dei segnali sensoriali. Il campione è stato immerso in conservanti e colorato con metalli pesanti, per rendere le cellule più visibili.

Una foresta intricata e misteriosa: ecco come si presenta un millimetro cubo di cervello umano

Un neurone (bianco) con 5.600 assoni (prolungamenti che trasmettono i segnali nervosi, in blu). In verde le sinapsi, cioè le connessioni tra i neuroni (credit: Google Research & Lichtman Lab, Università di Harvard; rendering di D. Berger, Università di Harvard)

Intelligenza artificiale

Jeff Lichtman, neuroscienziato dell’Università di Harvard (Cambridge, Massachusetts) e i suoi colleghi hanno tagliato il campione in circa 5mila fette – ognuna dello spessore di 34 nanometri – che sono state poi fotografate con microscopi elettronici. Il team di Viren Jain, neuroscienziato di Google a Mountain View (California), ha quindi messo a punto modelli di intelligenza artificiale in grado di «ricucire» le immagini al microscopio per ricostruire l’intero campione in 3D. «Ricordo il momento in cui sono entrato nella mappa e ho guardato una sinapsi del cervello di questa donna, per poi zoomare su altri milioni di pixel – ha raccontato Jain -. È stata una specie di sensazione spirituale».

Una foresta intricata e misteriosa: ecco come si presenta un millimetro cubo di cervello umano

La corteccia cerebrale ha sei strati, visibili in questa immagine (credit: Google Research & Lichtman Lab, Università di Harvard; rendering di D. Berger, Università di Harvard)

Una estrema complessità

Esaminando il modello in dettaglio, i ricercatori hanno scoperto alcuni neuroni «annodati» su sé stessi e altri in grado di creare fino a 50 connessioni tra loro. «In generale, tra due neuroni si trovano al massimo un paio di connessioni – ha spiegato Jain -. Nessuno aveva mai visto niente del genere prima d’ora. È quasi un po’ umiliante: come potremo mai fare i conti con tutta questa complessità?». Il team ha inoltre individuato coppie di neuroni che formano immagini speculari. «Abbiamo trovato due gruppi che inviavano i loro dendriti (ramificazioni dei neuroni, ndr) in direzioni diverse e a volte c’era una sorta di simmetria» ha aggiunto lo scienziato.

Una foresta intricata e misteriosa: ecco come si presenta un millimetro cubo di cervello umano

Un neurone (bianco) riceve segnali dagli assoni che possono «dirgli» di accendersi (in verde) e quelli che possono «dirgli» di non farlo, in blu (credit: Google Research & Lichtman Lab, Università di Harvard; rendering di D. Berger, Università di Harvard)

La mappa del cervello

La mappa è molto complessa e per la maggior parte deve ancora essere esaminata: potrebbe contenere errori creati dal processo di «cucitura» delle singole immagini. «Molte parti sono state “corrette”, ma ovviamente si tratta di pochi punti percentuali i punti percentuali rispetto alle 50mila cellule presenti» ha ammesso Jain. L’équipe ha in programma di produrre mappe simili su campioni di cervello di altre persone, ma è improbabile che nei prossimi decenni si riesca a ottenere una mappa dell’intero cervello umano.

 Laura Cuppini

L’apparire inganna te stessa ,prima degli altri…

 

Tu non sei i tuoi anni,
nè la taglia che indossi,
non sei il tuo peso
o il colore dei tuoi capelli.
Non sei il tuo nome,
o le fossette sulle tue guance,
sei tutti i libri che hai letto,
e tutte le parole che dici
sei la tua voce assonnata al mattino
e i sorrisi che provi a nascondere,
sei la dolcezza della tua risata
e ogni lacrima versata,
sei le canzoni urlate così forte,
quando sapevi di esser tutta sola,
sei anche i posti in cui sei stata
e il solo che davvero chiami casa,
sei tutto ciò in cui credi,
e le persone a cui vuoi bene,
sei le fotografie nella tua camera
e il futuro che dipingi.
Sei fatta di così tanta bellezza
ma forse tutto ciò ti sfugge
da quando hai deciso di esser
tutto quello che non sei.

Poesia attribuita a Ernest Hemingway

 

donna arancio

La fortuna di essere vittime…

Da qualche tempo è scoppiata una nuova epidemia: il vittimismo. Vero, presunto e presuntuoso. Dal caso Scurati al caso Canfora, ma anche prima, con Saviano, Lagioia e compagni, è una gara a figurare nel ruolo di vittime del truce regime meloniano.

Lo statuto speciale di vittime dà luogo a una serie evidente di conforti e di vantaggi, oltre che donare un’attenzione mediatica speciale su di sé e i propri prodotti, cinta di un’aureola, una fascetta di santità, che moltiplica il successo degli autori e delle loro mercanzie. bI campi più sensibili del vittimismo sono l’editoria, la cultura, il giornalismo e lo spettacolo. Essere censurati o passare per tali offre dei vantaggi inestimabili, perché oltre l’aura epica ed eroica di combattenti per la libertà con sprezzo del pericolo, fornisce una serie di benefits a cascata che si riflettono su tutte le attività esercitate. A parte i casi di sedicenti vittimismi immaginari, in realtà conviene essere vittime di provvedimenti censori o dimostrare di essere invisi ai potenti di turno per una ragione precisa: nella cultura, nell’informazione e nello spettacolo vige un canone inverso rispetto al potere politico. Qui è possibile che per via di quel fastidioso accidente che è la sovranità popolare, possa andare al governo la destra o simili in forza dei voti ricevuti. Ma una volta conquistato il potere politico, il controllo può essere esercitato nell’ambito – sempre più ristretto, in verità- delle competenze inerenti la politica e alcuni accessi derivati. Si possono lambire ambiti contigui al potere politico, come per esempio l’informazione pubblica, la Rai. Ma anche in quella sfera, la politica riesce a decidere le nomine e influenzare l’informazione che direttamente attiene alla politica, alla visibilità dei leader, ai dosaggi, alla benevolenza se non il servilismo verso chi è al governo. Ma il potere politico non incide invece sugli orientamenti di costume, sui temi civili, storici, culturali che restano invariati. Anzi, il potere politico non ci prova neanche a modificare gli orientamenti, oggi come ieri, ai tempi di Berlusconi, e magari anche prima, ai tempi della Dc, almeno dagli anni settanta in poi; in fondo va bene che il potere culturale e ideologico resti da quella parte, giacché alla politica interessa il controllo di giornata su ciò che direttamente la riguarda. Per   dirla in breve, TeleMeloni funziona – come le tv filo-governative precedenti – a pieno regime nell’ambito della politica e nella narrazione a questa direttamente connessa. Non funziona, invece, sui temi ormai presidiati dalla permanenza di una specie – ma sì diciamolo – di egemonia culturale e ideologica. Che rasenta il monopolio, riferito all’industria culturale, editoriale, cinematografica, musicale e dei grandi eventi, rassegne, premi, ecc.  Invece, nei casi di vittimismo appena citati, cosa succede? Gli autori considerati vittime di censura non ricevono alcun danno nella loro attività ma solo vantaggi: sul piano delle vendite e dell’editoria, sul piano dell’informazione e della notorietà, sul piano dei premi e delle partecipazioni a festival, eventi, cordate; per non dire dei vantaggi sul piano accademico e delle loro carriere. Un programma che li cancella, moltiplica l’effetto mediatico sugli altri programmi che poi li invitano per celebrare e propagare le parti censurate; per l’editore che manda in fretta in libreria i testi dell’autore al centro dello scandalo; per le opposizioni che ne fanno subito una bandiera e un simbolo. Un testo viene censurato? Sarà letto con ben altra enfasi nello stesso programma e ripetuto in cento altri programmi, sarà recitato dall’autore in cento manifestazioni pubbliche di piazza e di tv; lo rilancerà perfino il leader politico accusato dal testo, per attestare che è garantista e non censura i testi contro di lui; persino le foche ammaestrate finaliste dello Strega, leggeranno a pappagallo, in coro, nel Collettivo Autori Indignati, la filastrocca banale del testo censurato. Effetto moltiplicatore, altro che censura. Garanzia di successo, altro che persecuzione…

E alla fine del giro, gli stessi censori veri o presunti sono costretti a passi indietro e a reintegrare, con tante scuse e risarcimenti, la Vittima; che nel riceve la solidarietà e l’alta protezione di coloro che attacca (premier, ministro, autorità).  Cosa distingue allora le vere dalle false vittime? Gli effetti che la loro posizione produce. Se scagliarsi contro il potere politico rende così tanto a così vari piani e livelli, non si tratta di vittime ma di ciniche operazioni d’investimento, speculazioni ideologiche nella borsa degli affari culturali.  Le vere vittime, invece, sono coloro che hanno da perdere per le loro opinioni, che si vedono tagliate da ogni significativa visibilità, rimosse da ogni media importante, dimenticate nella loro opposizione clandestina, anche se in molti casi tutt’altro che solitaria ma condivisa da tanti (O impediti di parlare in pubblico). Mentre le vere vittime vengono escluse dalla società inclusiva, cancellate, ignorate nelle loro opere e opinioni, le Vittime per finta, le Vittime Apparenti del Circo Illusionisti, spesso autori modesti e palloni gonfiati, assurgono al ruolo di pseudo-matteotti virtuali o di simil-gramsci in finta pelle, celebrati nella loro lotta intrepida contro il potere, con rimborso a pie’ di lista, ampio risarcimento più lauta indennità di rischio. Insomma, con l’egemonia culturale sempre nelle mani della sinistra, le vere o immaginarie censure politiche alla cultura, funzionano a contrario, sono spot promozionali ad alto reddito.

Marcello Veneziani   

Pregi e difetti…questione di dosaggio.

 

La parte di te che gli altri definiscono “spontanea” è la stessa che chiamano “irresponsabile” quando la suoni a volume troppo alto.
La parte di te che gli altri definiscono “coraggiosa” è la stessa che chiamano “sconsiderata” quando la suoni a volume troppo alto.
La parte di te che gli altri definiscono “sicura di sé” è la stessa che chiamano “egocentrica” quando la suoni a volume troppo alto.
Tutti i tuoi cosiddetti “peggiori difetti” non sono altro che le tue migliori qualità, semplicemente regolate ad un volume troppo alto perché la musica sia piacevole.
Le cose per cui gli altri si innamorano di te sono le stesse per cui ti criticheranno se hanno la sensazione di riceverne una quantità esagerata.
Ti ameranno per la tua capacità di “prendere decisioni rapidamente” ma se lo fai troppo spesso o con troppa forza ti chiameranno “prepotente”.
Ti ameranno per il tuo “acuto senso dell’humor” ma se lo manifesti troppo spesso o con troppa forza ti accuseranno di essere “cinica” o di “non prendere nulla sul serio”.
Le parti di te che gli altri amano o criticano sono le stesse. Dipende soltanto da come è regolato il volume”.
Ognuno ha il suo volume.

pregi e difetti

Le barriere architettoniche disturbano tutti quanti.

Le barriere architettoniche non ostacolano solo chi è costretto in carrozzina, ostacolano le mamme coi passeggini, ostacolano coloro che hanno, per età, malattia, incidente, difficoltà di deambulazione anche modeste

“I disabili sono la nostra avanguardia”. Non avrei mai partorito un simile pensiero se Paola Severini Melograni non mi avesse intervistato nel suo programma televisivo (“O anche no”, RaiTre) e non mi avesse regalato il suo libro dallo stesso titolo (Castelvecchi Editore). Al contrario di lei, pasionaria della disabilità, più che all’altruismo io tendo all’egoismo. Ma avversare i disabili non è da egoisti, è da scemi. In una società che avanza verso la senilità, poi… Le barriere architettoniche non ostacolano solo chi è costretto in carrozzina, ostacolano le mamme coi passeggini, ostacolano coloro che hanno, per età, malattia, incidente, difficoltà di deambulazione anche modeste. I tavolini per spritzomani ,che occupano come metastasi marciapiedi e carreggiate dei centri storici ,ostacolano tutti, compresi gli addetti alle consegne e i guidatori delle ambulanze. E mentre ascensori e scivoli sono a volte difficili da inserire, tavolini e gazebi si potrebbero eliminare facilmente. Leggendo Paola e parlando con Paola ho capito che i disabili sono la prima linea della civiltà, la trincea dell’umanità. Se cade il rispetto per loro l’oltraggio deborda ovunque e può colpire anche i sani (che comunque non esistono, essendo l’uomo, come insegna De Maistre, “tutto una malattia”).

Camillo Langone      ____da IL FOGLIO     

     

disabili                                                                                               

Giù le mani dalla favolosa cucina italiana-

 

Alberto Grandi e Daniele Soffiati scrivono della non esistenza della gastronomia nostrana. Ma anche fosse un’invenzione recente, non sarebbe geniale?

Italiani popolo di mitopoieti. Non più di poeti, come si diceva, ma di inventori di miti. Di miti gastronomici per la precisione. Questo si evince leggendo “La cucina italiana non esiste” di Alberto Grandi e Daniele Soffiati, due” nemici”della patria che si divertono tantissimo a raccontare che il ricettario nazionale è quasi tutto allogeno e postbellico. Se prima di Grandi e Soffiati non hai letto l’Artusi potresti pure pensare che in Italia, negli anni Trenta, si mangiasse cucina tipica scandinava, o forse indiana… Meno male che io ho letto perfino Orazio e che ancora mangio come lui làgane e ceci e addirittura fave e cicoria, suppergiù la puls fabata considerata antichissima già da Plinio il Vecchio…
Ma anche se fosse, anche se i due autori (antinazionalisti e molto ovviamente antigovernativi) avessero ragione, anche se davvero gli italiani si fossero inventati di recente la loro cucina, non sarebbe fantastico? Non sarebbe geniale? L’Italia fondata sulla pizza, sulla carbonara, sul tiramisù… Se la cucina italiana è una favola è una favola bella ed è una favola buona. Giù le mani dalla favolosa cucina italiana!

 Camillo Langone__da il FOGLIO

carbonara

Non resta che privatizzare la Rai..

Al decimo programma televisivo che denuncia in coro la nascita di un regime televisivo meloniano, al decimo annuncio in video del sindacato giornalisti Rai, Usigrai, che lo sciopero ha raccolto quasi l’ottanta per cento di adesioni contro la deriva autoritaria della Rai, e al decimo militante telesovietico che denuncia la Rai di regime perché nonostante lo sciopero ha trasmesso i tg, mi chiedo: ma siamo alla demenza bilaterale, sono cretini e/o ci prendono per cretini?   Ragioniamo. Se ci fosse davvero un regime non ci sarebbero così affollati programmi, giornalisti e conduttori che ripetono all’unisono la menata del regime di destra; se fosse tale, un vero regime non lo permetterebbe. Se poi ci fosse davvero un regime non ci sarebbe l’adesione libera e massiccia, come quella che viene propagata, allo sciopero contro la Rai di regime; ci sarebbero pressioni e intimidazioni a impedirlo. E ancora: tra persone normali, di comune buon senso, lo sciopero è un diritto, non è mica un obbligo; sicché se tu hai la possibilità di astenerti dal lavoro e di far leggere un comunicato in tutti i tg in cui spieghi le tue ragioni, ci dev’essere pure da parte di chi non si riconosce nelle ragioni dello sciopero e nel sindacato storicamente di sinistra della Rai, il diritto di poter invece lavorare. Così come un’azienda, qualunque azienda, non deve impedire lo sciopero ma ha il diritto e il dovere, trattandosi di un servizio pubblico, di mandare in onda l’informazione e cercare di garantire la continuità del servizio. In base a quale legge mafiosa la dichiarazione di uno sciopero deve comportare l’allineamento forzoso e silenzioso di tutti i dipendenti, di tutti i sindacati, dell’azienda al diktat promosso dal soviet dei giornalisti Rai sulla base di una sua lettura unilaterale e partigiana?  Ma ora siamo arrivati a un punto in cui bisogna mettere insieme tutti i pezzi e arrivare a coerenti conclusioni.

Dunque, se come voi dite, la Rai sta scivolando in regime, se la Rai, come voi ripetete, sta andando male, se molti personaggi della tv lasciano la Rai e vanno nelle tv private, viste le offerte vantaggiose e l’impossibilità della Rai di essere competitiva sul piano delle contro proposte, allora la soluzione conseguente che taglia la testa al toro è una sola: privatizzate la Rai, cedetela sul mercato. Si, a questo punto è l’unica ragionevole soluzione per impedire che il potere politico la utilizzi come megafono di regime asservita al governo in carica (un tempo la Rai rispondeva al parlamento, poi mi pare con Renzi, che mi pare fosse allora il leader del Pd, passò a rispondere direttamente al governo); per evitare questa caduta costante di qualità e di ascolti che denunciate; e per mettere fine a questa agonia e fuga di celebrità che lasciano l’azienda pubblica e vanno nelle tv private, nonostante molti di loro fossero storici fautori e testimonial della Tv pubblica contro le tv commerciali. Chi scrive è stato per anni un difensore del ruolo pubblico della Rai, credeva ancora alla bella storia della principale azienda culturale italiana e riteneva che davvero fosse necessario avere un’azienda che si ponesse come missione la crescita culturale e civile del paese. Ero memore del ruolo educativo della Rai e sappiamo quanto la radiotelevisione pubblica abbia contribuito all’istruzione di massa, all’unificazione nazionale e all’uso popolare della lingua italiana. Ho sempre pensato all’utilità di un sistema misto, non solo nell’informazione, con una sfera pubblica e una privata; e ho sempre temuto la privatizzazione generale, la mercatizzazione globale dell’informazione.  Ma a questo punto, visto il pappone velenoso che si è via via stratificato nell’azienda pubblica, e vista la deriva della Rai, penso che sia meglio metterla sul mercato. Naturalmente non si potranno più garantire endemiche rendite di posizione, pletoriche redazioni, giganteschi parchi collaboratori a spese della Rai, migliaia di stipendi e così via. Sarà il mercato a decidere.  Bisogna avere il coraggio di rimetterla sul mercato, mettendo così subito a tacere chiunque dica o voglia effettivamente asservire la Rai al potere. Finalmente avremmo una Rai alla stessa stregua degli attuali gruppi editoriali, reti padronali, network transnazionali, cartelli imprenditoriali, come tutte le altre fonti d’informazione e intrattenimento che ci sono in giro. E ci libereremmo definitivamente dall’assillo sul canone televisivo. Che dite, facciamo un piccolo sforzo? Si immettono sul mercato e gli stessi soggetti che sul mercato si sono accaparrati format, autori e conduttori di provenienza Rai, potranno direttamente accaparrarsi le reti e le testate giornalistiche. Non potete dire infatti che se finisce ai privati viene stuprata e sottomessa a chissà quali oscuri progetti; se i vostri colleghi hanno preferito Cairo, Discovery, Sky, Mediaset alla Rai, perché non si potrebbe scorporare direttamente la Rai e dividerla tra gli stessi o tra altri soggetti che decideranno di partecipare allo smembramento del carrozzone più chiacchierato del nostro Paese? E se siete così bene organizzati, voi del soviet interno alla Rai, potrete concorrere all’asta e magari accaparrarvi una rete, una testata, in cui magari vi sforzerete di stipare tutto il personale eccedente della Rai, oggi spalmato su reti e testate.  In certe cose non si può essere più signori né fessi e tantomeno illusi sulla missione pubblica della Rai, che a vostro parere esiste solo se risponde al potere della sinistra o paraggi. Dite che è una Rai di regime? Eliminatela, abolitela. Un piccolo sforzo, presidente Meloni, per dimostrare la sua buona volontà e per smentire chi la vuole fondatrice di TeleMeloni: sia lei ad avviare questo processo di privatizzazione. E buona notte al secchio. Diranno che pure il passaggio al libero mercato sarà un segno di regime? Certo che lo diranno, e si copriranno di ridicolo, anche perché se si facesse un referendum sulla Rai gli italiani darebbero loro torto marcio e chiederebbero a gran voce di liberalizzarla. Non avrei mai pensato di arrivare a queste conclusioni ma se questa è la realtà, se questa è la deriva…

Marcello Veneziani                                                                                                                   

Le donne sono un’altra razza…

 

Certo che le donne sono un’altra razza.
Con la bandana o gli sguardi catarifrangenti da Barbie, con le grandi pance davanti o con l’uomo sbagliato addosso, innamorate di un gatto o tradite dall’ombra della felicità, abbandonate all’angolo di una piazza o tagliate da un improvviso dolore, si fermano un istante per piangere, poi sollevano il capo e riprendono la strada.
Sono maestre di dignità le donne.
Non bisogna lasciarsi distrarre dall’ondeggiare dei fianchi se vogliamo capire qualcosa di loro, dobbiamo soltanto guardarle negli occhi perché i loro occhi dicono quello che le bocche sanno tacere.
Sì, le donne sono un’altra razza.
Spesso ci camminano a fianco così leggere che neanche ce ne accorgiamo.
Quasi sempre, però, ci precedono e basterebbe solo seguirle per capirne di più.
Seguirle con poco orgoglio e molto rispetto.
Per essere più uomini.
Un po’ più uomini, almeno…
Antonello De Sanctis

 

donna

Stonehenge, il lunistizio maggiore è un’occasione unica per svelarne il mistero

Ogni 18,6 anni la Luna sorge nel punto più meridionale sull’orizzonte orientale. La prossima volta capiterà a gennaio 2025 e potremo scoprire se il circolo di pietre è allineato con i movimenti del satellite.

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La luna su StonehengeHeritage Images/Getty Images

Stonehenge rimane uno dei luoghi più affascinanti e misteriosi del nostro pianeta. Gli archeologi ritengono che la struttura rappresentasse al contempo un tempio, un luogo sacro, e anche una sorta di osservatorio astronomico, dove celebrare, osservare e predire eventi celesti come solstizi, equinozi, e via dicendo. Nel giorno del solstizio d’estate, ad esempio, il sole sorge esattamente alle spalle della pietra del tallone, un monolite posizionato all’ingresso del circolo di pietre centrale, per poi illuminare la pietra dell’altare posta nel cuore di Stonehenge. La complessità della costruzione fa pensare che sia stata progettata per molte altre funzioni, ma per ora di certezze ce ne sono ancora poche. Un nuovo progetto guidato da English Heritage, organismo responsabile della gestione del sito, vuole cercare di fare chiarezza una volta per tutte, sfruttando un raro fenomeno noto come lunistizio maggiore, che si ripeterà a gennaio del 2025 dopo più di 18 anni di attesa, per capire se il circolo di pietre è allineato non solo con i movimenti del Sole nel cielo, ma anche con quelli della Luna.

L’allineamento con il Sole

Per quanto misteriosi rimangano Stonehenge e la cultura che lo ha eretto circa 4.500 anni fa, alcune delle sue funzioni sono ormai piuttosto chiare. Tutta la struttura infatti è allineata con i movimenti annuali del Sole, che sorge appena a sinistra della cosiddetta pietra tallone nel solstizio d’estate (si ritiene che una pietra gemella sorgesse accanto a quella rimanente, e che quindi l’effetto fosse quello di incorniciare l’alba), e tramonta sullo stesso asse, all’estremità opposta del circolo di pietre, durante il solstizio d’inverno, in un punto in cui nel lontano passato sarebbe stato incorniciato, ancora una volta, all’interno di un trilite (ormai crollato), mandando i suoi ultimi raggi a illuminare l’altare centrale.

L’importanza dei cicli solari per i costruttori di Stonehenge è quindi evidente, e piuttosto ovvia se si pensa che trattandosi di cultura di coltivatori e pastori, il susseguirsi delle stagioni influenzava tutti gli aspetti della loro vita. In questo senso, il solstizio d’estate può facilmente essere immaginato come un momento in cui celebrare i raccolti e la bella stagione, e quello d’inverno l’occasione per propiziare la fine della stagione fredda, visto che il Sole dal giorno seguente torna a muoversi verso le posizioni in cui sorge e tramonta in estate. Meno ovvio, invece, è se la costruzione di Stonehenge rifletta anche l’interesse per marcare i movimenti periodici della Luna nel cielo notturno.

Come il Sole, anche la posizione della Luna segue un ciclo, anche se molto più rapido e quindi difficile da decifrare per gli archeologi che indagano le rovine di Stonehenge. Per questo, gli scienziati che hanno aderito al nuovo programma di ricerca di English Heritage sperano di utilizzare il prossimo lunistizio maggiore, un fenomeno che segue un ciclo ben più lungo di 18 anni e 223 giorni circa, per verificare se la posizione della Luna in questa occasione venga tracciata in qualche modo dalle pietre di Stonehenge.

Cos’è il lunistizio

Per capire cosa sperano di scoprire, è importante avere chiaro cosa sia un lunistizio. Come il Sole, anche la Luna sorge ad est e tramonta ad ovest, seguendo la rotazione quotidiana del nostro pianeta. E come per il Sole, il punto in cui spunta non è sempre lo stesso: il fatto che il nostro asse di rotazione è inclinato, e che anche l’orbita della Luna lo è rispetto all’eclittica, fa sì che questa si muova sull’orizzonte orientale, sorgendo sempre più a nord, per poi tornare indietro e raggiungere un estremo a sud. Il punto più a nord e quello più a sud in cui sorge la Luna nell’arco di un mese sono chiamati lunistizi, mentre gli estremi assoluti di questo ciclo (il punto più a nord e più a sud in cui può sorgere la Luna) sono definiti lunistizi maggiori, e vengono raggiunti una volta ogni 18,6 anni, circa. Essendo dei punti di riferimento fissi, è pensabile che i creatori di Stonehenge possano averli incorporati nella loro struttura megalitica, utilizzandoli magari all’interno di un gigantesco calendario lunare, o come date rivestite di un valore spirituale, simile a quello dei solstizi.

L’indagine

Attualmente, un indizio importante del possibile allineamento di Stonehenge con la Luna arriva dalla posizione delle cosiddette pietre della stazione: quattro grossi massi eretti a formare un rettangolo all’interno del sito, sono posti più o meno in corrispondenza con i punti più estremi raggiunti dall’alba lunare. “Quello su cui i ricercatori dibattono da sempre” spiega Clive Ruggles, Archeoastronomo della Univesity of Leichester in un comunicato “è se si tratti di una scelta deliberata, e in caso di risposta affermativa, come siano riusciti a farlo, e quale fosse il loro scopo”.

Osservando in prima persona i movimenti della Luna nelle settimane che precederanno il lunistizio maggiore, i ricercatori sperano di riuscire ad ottenere indizi preziosi per chiarire questi dubbi, e svelare, una volta per tutti, il rapporto tra Stonehenge e la Luna. “A differenza di quanto accade col Sole, tracciare gli estremi della Luna non è un impresa semplice, e richiede tempistiche e condizioni meteo specifiche”, sottolinea Amanda Chadburn, dell’università di Oxford. “Vogliamo comprendere come fosse sperimentare queste albe e questi tramonti lunari estremi e quali effetti visivi avessero sulle pietre (ad esempio, quali zone rimangono in ombra e quali sono illuminate)”.

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I ricercatori, ovviamente, avranno un punto di vista privilegiato per osservare i lunistizi. Ma anche i visitatori potranno partecipare all’evento, con visite notturne, ma anche mostre e convegni. Per chi non avrà modo di recarsi nel Regno Unito, inoltre, English Heritage ha previsto un livestream da Stonehenge nella notte del lunistizio maggiore, quando la Luna raggiungerà il punto più a Sud sull’orizzonte. Per gli interessati, è possibile trovare tutte le informazioni a riguardo sul sito dell’organizzazione.

da WIRED      Credit English Heritage

La filosofia educa alla vita…

Ma poi a che serve la filosofia? Domanda di sempre, risposta di mai, sottile rimprovero di esistere nonostante la sua certificata inutilità. E magari sottintesa accusa d’impostura. Eppure la filosofia non riguarda solo i filosofi, o peggio i professori, cioè i cultori di quella scienza, come dicono le menti piccine, “con la quale e senza della quale tutto rimane tale e quale”. E invece no. E non solo perché ci sono cose inutili che pure sono necessarie per vivere e per capire il mondo. Ma la filosofia è un bene pubblico, universale, tocca ciascuno di noi, sin da bambini, quando l’attitudine poetico-filosofica è più acuta e smagliante, come tutte le cose appena inaugurate, fresche di vita. Ciascuno a suo modo, secondo la sua mente, il suo rango di pensiero e di cultura, il suo livello di comprensione e di lettura; ma tutti siamo in varia misura filosofi e ci nutriamo senza saperlo di filosofia. Lo sapevano le popolazioni del sud del mondo, non solo del nostro meridione, ma dell’infinito oriente, dove la filosofia è una pianta naturale che pure genera frutti invisibili a occhio nudo; la chiamano in modo diverso, ma la visione della vita e del mondo è essenziale per stare al mondo.
Ma oltre i motivi universali che affronta la filosofia c’è un tema specifico, diretto, pratico, che è sempre stato importante e che oggi sembra non esserlo più mentre è ancora più importante di prima: è la filosofia come educazione a vivere, esercizio pratico di vita. Traggo questa definizione, semplice e completa al tempo stesso, da un grande studioso, Pierre Hadot, scomparso nel 2010. Ho seguito Hadot lungo tante sue opere dedicate a Plotino, a Marc’Aurelio, a Seneca, al pensiero antico e a quelli che lui chiama “esercizi spirituali”. Prete mancato, ma non deluso dalla religione, solo “emancipato”, come lui dice, Hadot ha visto la filosofia non come puro sapere, ma come un mezzo per trasformare l’uomo, farlo vivere meglio, a occhi aperti, ed elevarlo.
Ora è uscita un’importante raccolta di suoi saggi, tradotta da Giorgio Leonardi, dedicata a La filosofia come educazione degli adulti (Marietti1820). E’ un’opera che esorta a vivere la filosofia e non solo a leggerla, a farla diventare esercizio quotidiano, pratica di vita, allenamento a vivere e a morire, e – se mi è permesso estendere lo sguardo – a saper invecchiare.
Il tutto è condensato in uno sguardo che il più saggio imperatore di tutti i tempi, Marc’Aurelio, sintetizzava in modo mirabile: “vivere ogni momento come se fosse il primo e l’ultimo”: lo sguardo del filosofo comprende lo stupore di essere al mondo e la lucida coscienza di lasciarlo. Nella saggezza antica Hadot fa convergere la vigilanza stoica, la gioia epicurea e l’ispirazione mistica in Plotino. Filosofare è destarsi, vivere a occhi aperti. Platone e Aristotele riconoscevano che lo stupore è alla base del filosofare, ma anche la capacità di apprendere a morire. Lo stupore di nascere e il dolore di svanire sono i confini del suo pensare la vita; la meraviglia di essere al mondo e la lucida consapevolezza di doverlo lasciare. Imparare a morire fu la lezione che Hadot trasse da adolescente da Montaigne; quella lezione traduceva la capacità di addestrarsi a morire e insieme di addomesticare la morte che già gli antichi ponevano alla base della saggezza. Da questa visione, Hadot trae un comportamento, auspica la nascita di scuole o comunità che sappiano insegnare, apprendere e mettere a frutto quei pensieri, vivendoli nella quotidianità. Proposito ancora più urgente nel tempo in cui scompaiono non solo quelle riflessioni, quella cogitatio vitae et mortis, ritenute importune, da rimuovere; ma spariscono anche i maestri e gli allievi, non ci sono più discepoli, mancano gli eredi, e tutto finisce nel nulla. Eppure la vita è connessione, trasmissione, trasferimento di conoscenze ed esperienze, ricordo e promessa, vivere è annodare ponti, stabilire continuità. Perfino Nietzsche il solitario ha sognato di vivere in comune con un gruppo di filosofi, dice Hadot, “per elevarsi a una vita superiore nel segno del dialogo e dell’amicizia”. La filosofia sorge in solitudine ma genera comunità.
Il livello più profondo di quella connessione è individuato da Hadot nella mistica, e nell’insegnamento segreto, simbolico, tramite allegoria che conduce “all’unione intima e diretta dello spirito umano al principio fondamentale dell’essere” inteso sia come vita pratica che come conoscenza. Il fine è liberarsi dall’Ego e da Narciso – dice Plotino – e ritornare al Tutto, ricongiungersi all’Uno. Oltre un certo livello, la coscienza non basta più, anzi “senza coscienza – osserva Plotino – gli atti sono più puri, intensi e vivi al più alto grado”. Giunge l’estasi, breve e folgorante, la fusione amorosa, la gioia mistica. La precede il sentimento del sacro che per Hadot suscita angoscia e serenità insieme.
Il filosofo per Hadot resta fondamentalmente un educatore, ben sapendo che come diceva Kierkegaard (ma lo diceva anche Gentile) “essere maestro è essere discepolo”. L’educazione, spiega Hadot, si assume il compito di “raddrizzare” il fanciullo, portando alla luce il bambino che è dentro di noi. La filosofia è arte di vivere: educa a essere al mondo, a comprenderlo, ad amarlo e a lasciarlo.
Compito della filosofia, aggiunge Hadot stavolta seguendo il Kant “illuminista” di “Sapere Aude!” (Osa sapere) è educare a pensare con la propria testa. Proposito mirabile se non si traduce nella pretesa autonomia della ragione da ogni testo e contesto e da tutto ciò che non nasce nella nostra testa: ci sono pensieri, tradizioni, riti, simboli e liturgie che ci precedono e ci sovrastano e la nostra intelligenza è anche la duttile capacità di mettere a frutto esperienze, patrimoni, consuetudini, idee ereditate.
Il presupposto è l’amore della verità che accompagna il filosofo. Ma come si dimostra la verità? Hadot ricorre al filosofo spiritualista Louis Lavelle: “La verità è un atto vivo…si dimostra attraverso la sua efficacia, attraverso la comunicazione che stabilisce tra noi e l’universo, tra noi e tutti gli altri esseri”. Ossia la verità non è pura enunciazione, teoria, ma prova pratica, la si scopre solo vivendola. Tesi bella e ardua.
Gli esercizi spirituali per Hadot ci permettono di superare il punto di vista individuale e parziale; ci concentrano sul presente, fanno guardare le cose dall’alto e curano l’anima. E tuttavia Hadot riconosce che spesso “noi filosofi viviamo in una bolla”, gli esercizi spirituali si riducono a esercizi intellettuali; così fallisce la missione del filosofo. Hadot ricorda quando da giovane si era chiuso per molti giorni in casa a studiare i neoplatonici; poi quando finì la sua ricerca, andò dal fornaio a comprare il pane. E lì comprese di aver vissuto lontano dal mondo, dal laborioso rumore della vita, lontano dal pane fresco, sfornato ogni giorno a scandire il ripetersi e il rinnovarsi della vita quotidiana. La fragranza di una baguette, appena sfornata, lo restituì alla semplice bellezza della vita.

Marcello Veneziani