Rifugiarsi nei sogni.

 

 

Ma poi che ti resta di un sogno? A volte ti resta, al risveglio, la stanchezza per un’impresa mai compiuta, lo sguardo provato di chi ha conosciuto una storia e forse una verità, che non ricorda ma di cui porta i segni; a volte la leggerezza per uno stato di grazia mai raggiunto nella vita reale, la raggiante esperienza di un mito. Più spesso il torpore di un passaggio tra due mondi così vicini e così lontani e il sapore di una vita ulteriore, che ci dona il ricordo o il presagio di una sopravvivenza. Perché il sogno è il nostro primitivo aldilà che abita dentro di noi, fino a che non ci accorgiamo che siamo noi ad abitare dentro il suo alone. Ci sono vite che sono più giustificate e nobilitate da ciò che hanno sognato piuttosto che da ciò che hanno realmente vissuto. Osservate con rispetto chi sta sognando: un’ombra di sacro si riflette su di lui, si avverte intorno al suo corpo l’aura di un altrove, il dialogo con un dio. Anche chi coltiva un sogno da svegli emana la stessa aura, che chiamiamo carisma: è la presenza in lui di un altrove, di una trascendenza, di un colloquio con un dio.

Di sogni è nutrita la vita e perfino la storia, più di quanto possiamo immaginare.

Il Novecento ci ha lasciato in eredità soprattutto il desiderio di sognare da svegli, vivendo la vita come la continuazione o la realizzazione di un sogno. Non fu un caso che quel secolo si aprì con un titolo destinato a grande fortuna: L’Interpretazione dei sogni di Sigmund Freud che vide la luce proprio nel 1900. La storia del Novecento è stata in fondo il tentativo di interpretare i sogni nella storia e di inverarli nella vita, sia nel versante ideologico e rivoluzionario, sia nel versante tecnologico, ludico e fisico. I regimi totalitari del Novecento e le utopie del mondo nuovo che lo hanno cosparso, ma anche i sogni della tecnica e i miraggi del benessere che lo hanno segnato nella vita quotidiana, hanno lastricato il novecento di sogni collettivi e privati. Portare il sogno nella realtà fu l’utopia del sessantotto ma è anche la promessa suprema delle agenzie di viaggio, delle fabbriche del benessere e del desiderio, della cosmesi e della felicità, della fiction e di internet. Sognare da svegli, proseguire il sogno nella realtà, rendere pubblico e condiviso quel che è segreto e singolare. Alcuni hanno la franchezza di chiamarlo sogno, come l’american dream; altri viceversa lo paludano nei panni curiali della storia. Di sogni si nutrì il novecento, di sogni si dissanguò. A volte, si sa, i sogni volgono in incubi. Michel Foucault considerava il sogno come lo spazio originario dell’uomo, in cui sorge la sua libertà. Perché il sogno non è il giardino interiore della fantasia ma rivela il destino concreto dell’esistenza.

Il poeta è agli ordini della sua notte, scriveva Jean Cocteau; ma in un’epoca di creatività diffusa benché presunta, la notte ha invaso la vita del giorno e detta ritmi e movenze. E’ l’epoca del sogno di massa, sostituto gaudente del mito e della religione. I sognatori romantici consideravano il sogno una visione interiore non mediata dai sensi, come scriveva Baader: la visione dei sogni si è fatta ora esteriore e si trasmette anche mediante i sensi. I sogni più sani e profetici, dice la tradizione raccolta da Giamblico e giunta fino a Schelling, sono quelli del mattino anche perché più lontani dalla digestione e dagli umori del giorno.

Il sogno è l’unico paradiso in terra, visibile anche se non afferrabile; la forma più intima e più lieve di trascendere la realtà. Il sogno è metafisica da notte. Superare le lontananze nel tempo e nello spazio, ma anche le lontananze nella logica e nei sensi, è il più grande dono dei sogni: curvare le distanze, rivedere i morti e gli assenti, ridare luce e prossimità alle cose perdute, rianimare le cose inerti, è l’ars regia dei sogni. Un’arte che non si apprende ma che discende come una scienza infusa dai misteri della mente che scompongono l’esperienza e ne rimescolano i pezzi. Il sogno è il motore principale dei mutamenti, il propulsore vitale dei giovani. L’eroe, il rivoluzionario, l’artista e il mistico, ma anche il giocatore, il bevitore, il fumatore, l’amatore e il criminale inseguono tutti il sogno nella realtà, tendono a modificare il mondo, o perlomeno a modificare la loro percezione del mondo, fino a trasfigurarlo o sottrarvisi. I loro atti sono tentativi di introdurre il sogno nella realtà, o di eludere questa per far combaciare la vita col sogno. Nel mondo antico il sogno precede gli eventi, sia in veste di profezia che di ammonimento, di incitazione e di presagio; il mondo moderno ha rinunciato al valore simbolico del sogno optando per la sua secolarizzazione: ovvero ha preferito riversare il sogno nella realtà, piuttosto che animarla con il suo soffio venuto da un mondo sacro e remoto, contiguo e distante.

Restano i sogni a ingemmare la quotidianità: a volte la giornata ha come unico senso quello di intervallare due sogni notturni. C’è chi aspetta i sogni come un risarcimento dalla realtà, li invoca come una compensazione policroma, sfavillante, del grigiore spento della quotidianità. Il sogno non come alienazione dalla realtà ma come rifugio dalla realtà alienante; estrema mitologia ad uso personale in un mondo disincantato. C’è chi cade irretito nel sogno, come se si trattasse di un inganno ordito dai demoni notturni, una specie di occupazione fraudolenta della mente, approfittando della stanchezza. C’è chi non avverte il confine tra il sogno e la veglia e vive l’uno come la continuazione dell’altra, o viceversa se è un idealista; non si accorge di aver oltrepassato la soglia e anche da sveglio non sa distinguere tra ciò che ha vissuto e ciò che ha sognato. C’è chi preme sulle vaghe pareti del sogno cercando di fuoruscire, vivendolo così come un incubo o una caduta, e cerca disperatamente di trovare la fessura, la breccia, per evadere dal suo carcere, dimenandosi fino a che qualcuno o qualcosa li riporti alla superficie. E c’è invece chi si lascia andare al lento sfaldarsi della realtà, lasciando la mente slegare i nessi, sciogliersi le sequenze, fino allo sgranarsi dei gesti, delle parole, dei volti e delle figurazioni. Rivedo mio padre e mia madre dormire insieme: lui, mendicante di sogni, li cerca coprendosi il volto, inabissandosi nel letto con il corpo rannicchiato; lei, prigioniera dei sogni, con i pugni serrati, quasi seduta sul letto e semi-scoperta, caduta nella notte che tenta di evadere.

Il sogno, si dice, è una realtà debole e fuggente come la realtà è un sogno potente e costante; ma a volte si ha l’impressione che il sogno sia una realtà potenziata, perché nel sogno si ingigantisce sia il significato che l’insignificanza, che nella vita reale sono più flebili. Simbolo e gratuità sono i confini estremi del sogno. Tutto acquista senso e tutto al contempo lo perde, in un rincorrersi di labilità e allusività che costituisce la trama gentile dei sogni. E’ bello sognare perché la mente danza a corpo libero. Troppe rovine hanno compiuto i sogni che pretendono di farsi storia; meglio restituirli al loro habitat mentale di poesia involontaria a misura di singolo. Meglio i sogni verticali che quelli orizzontali; i primi annunciano la libertà, i secondi propiziano la tirannide. Assumiamo perciò la posizione abituale, fetale o arresa, accovacciata o distesa, per propiziare l’avvento dei sogni. Ecco che vengono…

(Da Il segreto del viandante, Mondadori, 2003) M . Veneziani

Galimberti, il sogno è una cosa bellissima se nel suo segreto racchiude un progetto che si può realizzare e farci appassionare alla vita

A promuovere la vita c’erano diversi valori: i valori della nobiltà, della bellezza, della convivenza, della parola data, della cultura, dell’arte. Oggi tutti perduti.
La società nella quale viviamo sembra esser stata plasmata esclusivamente per il raggiungimento di finalità materiali, effimere, fugaci, così tralasciando, invece, altri valori sicuramente più nobili e di primaria importanza.

Sulla base di tali premesse una ragazza di trentun anni si rivolge al filosofo, saggista e psicoanalista Umberto Galimberti per poter trovare una risposta ai diversi interrogativi che attanagliano la sua esistenza.
La giovane donna è stanca, arrabbiata, preoccupata e non comprende il perché le nuove generazioni si ritrovino a dover scegliere tra un lavoro full-time, al quale magari non sono appassionate in alcun modo, ed una collaborazione occasionale che potrebbe interessare ma che al contempo non garantisce un’adeguata remunerazione.
La nostra società in tale maniera diviene espressione di ingiustizie, lasciando spazio solo a chi ha le “spalle coperte , a chi è già avviato, a chi ha una casa di proprietà, così costringendo i giovani a chiedere aiuto alle proprie famiglie per poter sostenere alcune spese. Il futuro diviene incerto ed imprevedibile e neppure le passioni ed i sogni riescono ad avere una giusta collocazione in tal modo.

A tal proposito Umberto Galimberti, nella sua risposta alla giovane donna, riflette sul come si stia trasformando la società odierna, connotandosi per alcuni aspetti negativi: i diplomi, che prima abilitavano subito al lavoro, sono stati sostituiti dalle lauree, che richiedono più tempo per poter entrare nel mondo lavorativo e così nel frattempo i giovani sono stati costretti a vivere con i loro genitori, erodendo le loro ricchezze e perdendo la loro autostima.
Il secondo fattore negativo della vostra epoca è che un tempo, a promuovere la vita, c’erano diversi valori: i valori della nobiltà, della bellezza, della convivenza, della parola data, della cultura, dell’arte. Oggi tutti questi valori sono stati cancellati da quell’unico valore che è il denaro, per cui l’arte è tale se entra nel mercato, la cultura è apprezzata se vende, la parola data può essere rinnegata se non è più conveniente, anche il mondo delle relazioni è coltivato solo se garantisce un qualche vantaggio economico o di prestigio, persino quando entriamo in un negozio la gentilezza che ci accoglie non è riservata a noi, ma a quanto possiamo spendere”, così sottolinea Umberto Galimberti in risposta alle domande rivoltegli dalla ragazza. Ecco allora una considerazione importantissima del filosofo: “il sogno è una cosa bellissima se nel suo segreto racchiude un progetto che si può realizzare, altrimenti è un gioco di illusioni che, se non riconosciute, preparano alla delusione”.
L’unico modo per poter controbilanciare la razionalità del mercato e della tecnica, la quale, così come dichiarato da Max Weber, ci costringere a vivere in una “gabbia d’acciaio”, è l’amore e l’irrazionalità che lo governa: solo così potremo riassaporare valori quali la sincerità, l’autenticità, la spontaneità e l’intimità, ritornando a sognare e ad appassionarci alla vita.

fonte :scuolaoggi blog

“Sognare è il primo dovere che un uomo e una donna gentili dovrebbero imparare a difendere”, così evidenzi…

 

Crepet, genitori ed insegnanti devono rieducare alla creatività, alla gioia, alla felicità: “Alla fine, non credo sia ancora tempo di arrendersi, soprattutto se si è giovani. Bisogna avere coraggio…
“Sognare è il primo dovere che un uomo e una donna gentili dovrebbero imparare a difendere”, così evidenzi…

In un mondo in cui tutto sembra avere un prezzo e dove occorre sempre ostentare per poter vivere serenamente, in un mondo in cui è più importante l’apparire che l’essere, diventa sempre più difficile soffermarsi e riflettere su delle tematiche rilevanti, pertinenti alla nostra persona, al nostro animo, ma soprattutto alla nostra felicità.A tal fine Paolo Crepet, nel suo libro “Mordere il cielo”, pone l’accento proprio su tale aspetto. Lo psichiatra coglie l’occasione per rammentarci quando negli anni Settanta sul mercato farmaceutico fu inserito il Prozac, la cd “pillola della felicità”.Il principio farmacologico su cui si basava il Prozac era la fluoxetina: una molecola utile per combattere la depressione, l’ansia, attacchi di panico ma anche bulimia o condotte suicidarie. Si arrivò così ad una “commercializzazione del benessere”: l’idea di non aver più bisogno di un percorso con uno psicoterapeuta, lungo e costoso, e di poter vivere serenamente, raggiungere un proprio equilibrio psicofisico senza alcuno sforzo e senza alcuna perdita di tempo, cominciò a diventare predominante. Ciò che lascia basiti è come in poco tempo si diffuse la convinzione che bastasse una pillola per risolvere qualsiasi tipo di problema, era sufficiente solo un piccolo sforzo per preservare la salute e combattere le patologie che attanagliavano l’animo. Con il passare del tempo però questa “illusione” cominciò a svanire: gli effetti collaterali verificatisi ed un uso sconsiderato da parte dei giovanissimi creò un grande disorientamento.  L’aspetto più drammatico che iniziò a delinearsi fu proprio quello dell’utilizzo del farmaco, un antidepressivo, per poter curare disturbi alimentari, come la bulimia, nella convinzione, sviluppatasi fra migliaia di adolescenti, che ci si potesse “curare” solo con una pillola, senza sforzo, fatica e soprattutto senza alcuna responsabilità.

“L’aspetto è identità”, come sottolinea Crepet e ben presto ebbe ancora più successo e venne maggiormente utilizzato un farmaco nato originariamente per curare il diabete di tipo 2, l’Ozempic. Tale farmaco veniva utilizzato non solo per contrastare l’obesità ma anche un leggero sovrappeso, così da poter dimagrire velocemente. Si diffuse, infatti, la necessità di curare il proprio corpo, l’aspetto esteriore di una persona, si giunse ad una sorta di “terapia cosmetica”: la cura di se stessi non doveva determinare alcun aggravio, pena o preoccupazione. Attraverso la “pillola della felicità” ci si poteva deresponsabilizzare e pensare che una mera cura farmacologica potesse risolvere qualsiasi problema dell’animo: occorre essere perfetti esteticamente, il nostro corpo deve essere perfetto a tutti i costi, mentre si trascura l’aspetto interiore, quello psicologico. “La ricerca della felicità riposa nello stereotipo di un corpo che esige perfezione”, così sottolinea lo psichiatra Crepet.

Le nuove generazioni sembrano non fidarsi più del futuro, sembrano aver perso qualsiasi tipo di ambizione, aspirazione, desiderio ed allora ecco il ruolo fondamentale dei genitori e degli insegnanti: occorre rieducare alla creatività, alla gioia, alla felicità, occorre qualcuno che ci insegni a guardare il mondo dalla giusta prospettiva, con occhi disincantati, stupendoci, giorno dopo giorno, delle cose più semplici che però ci riempiono di felicità e di amore. La vita è davvero bellissima ed ognuno di noi ha diritto di viverla a colori, con le sue sfumature, godendosi quell’arcobaleno che contraddistingue la propria esistenza: ci saranno sicuramente giornate in cui potremmo anche intravedere alcune sfumature di grigio ma ce ne saranno altrettante in cui la felicità riuscirà a colorare la nostra vita e a renderla unica e speciale. “Alla fine, non credo sia ancora tempo di arrendersi, soprattutto se si è giovani. Bisogna rovesciare l’evidenza, sciogliere gli spasmi delle visioni più egoistiche, preparare le valigie per il viaggio verso le idee più impronunciabili. Non c’è differenza e non c’è giudizio”, queste le parole significative e pieno di pathos di Crepet. Ciò che occorre comprendere è che “il bello è riuscire a essere imprevedibili anche nella prevedibilità”.

Bisogna avere il coraggio di scombinare le cose del mondo.“Sognare è il primo dovere che un uomo e una donna gentili dovrebbero imparare a declinare, e a difendere”, così evidenzia il sociologo Paolo Crepet. Le nuove generazioni devono ricominciare a sognare, devono appassionarsi alla vita, vivendo ogni attimo intensamente, senza pause, interruzioni, soste: bisogna custodire gelosamente le proprie ambizioni ed i propri sogni perché solo vivendo appassionatamente, senza mai fermarsi, si potranno perseguire le proprie mete e raggiungere i risultati sperati. Non c’è tempo per omologarsi, per vivere anestetizzando le proprie emozioni, non c’è tempo per la noia e per l’ovvietà: bisogna vivere intensamente, assumendosi la responsabilità delle proprie azioni, portando avanti le proprie idee e convinzioni, senza ricercare mai il consenso di qualcun altro.

da__ A Scuola Oggi

 

Crepet11

Progetto un mondo___una poesia bellissima di Wislawa Szymborska.

Progetto un mondo, nuova edizione,
nuova edizione, riveduta,
per gli idioti, ché ridano,
per i malinconici, ché piangano,
per i calvi, ché si pettinino,
per i sordi, ché gli parlino.

Ecco un capitolo:
La lingua di Animali e Piante,
dove per ogni specie
c’è il vocabolario adatto.
Anche un semplice buongiorno
scambiato con un pesce,
àncora alla vita
te, il pesce, chiunque.

Quell’improvvisazione di foresta,
da tanto presentita, d’un tratto
nelle parole manifesta!
Quell’epica di gufi!
Quegli aforismi di riccio,
composti quando
siamo convinti
che stia solo dormendo!

Il Tempo (capitolo secondo)
ha il diritto di intromettersi
in tutto, bene o male che sia.
Tuttavia – lui che sgretola montagne,
sposta oceani
ed è presente al moto delle stelle,
non avrà il minimo potere
sugli amanti, perché troppo nudi,
troppo avvinti, col cuore in gola
arruffato come un passero.

La vecchiaia è solo la morale
a fronte d’una vita criminosa.
Ah, dunque sono giovani tutti!
La Sofferenza (capitolo terzo)
non insulta il corpo.
La morte
ti coglie nel tuo letto.

E sognerai
che non occorre affatto respirare,
che il silenzio senza respiro
è una musica passabile,
sei piccolo come una scintilla
e ti spegni al ritmo di quella.

Una morte solo così. Hai sentito
più dolore tenendo in mano una rosa
e provato maggiore sgomento
per un petalo sul pavimento.

Un mondo solo così. Solo così
vivere. E morire solo quel tanto.
E tutto il resto eccolo qui –
è come Bach suonato sul bicchiere
per un istante.

il sogno P pablo picassp

                 Il sogno__Pablo Picasso