La nave dei filosofi nel buio della notte russa…

Avete mai sentito parlare della Nave dei filosofi? Se associ il filosofo alla navigazione ti sovviene l’immagine famosa di Platone che naviga tra Atene e Siracusa per dare inutili consigli al Tiranno, che gli costeranno cari. O quella di Seneca verso l’esilio in Corsica perché accusato di adulterio  O più recenti immagini di Martin Heidegger che in età matura torna all’origine del pensiero e va per la prima volta in Grecia, in crociera; o Ernst Junger che va a riscoprire la natura in Sardegna e poi scrive dei suoi soggiorni. Ce ne furono altre di navigazioni dei filosofi, ma si trattava solitamente di viaggi solitari, a volte con moglie al seguito, di solito volontari o per prevenire repressioni di regime. Ma cent’anni fa, il 1922, avvenne la prima deportazione in massa degli intellettuali, pensatori, scienziati sociali e scrittori. Avvenne in Unione Sovietica quando c’era ancora Lenin, a dimostrazione che il Terrore, il gulag, la deportazione e la persecuzione dei dissidenti comincia col fondatore del comunismo e non con Stalin. Per la prima volta nella storia decine di intellettuali e loro congiunti ritenuti dissidenti rispetto al regime sovietico vengono imbarcati e deportati. Lasciano le loro città, le loro terre, vengono privati dei loro libri e spediti nell’altrove. A dare il via è lo stesso Lenin che scrive un articolo Sull’importanza del materialismo militante e punta il dito contro “i servi ideologici della borghesia”. “L’espulsione degli elementi controrivoluzionari e dell’intellighentsia  borghese è il primo avvertimento del potere sovietico a questi elementi sociali”, scriveva la Pravda agli esordi della repressione. È il primo evento contro l’élite intellettuale nel Novecento, il precedente storico è il Terrore giacobino dopo la Rivoluzione francese che aveva mandato al patibolo poeti come André Chenier e scienziati, filosofi e chimici come Antoine-Laurent de Lavoisier. Ci furono gli emigrati dissidenti che si rifugiarono a Coblenza, poi bombardata dai rivoluzionari francesi, prima di passare alla Prussia; ma non si trattò di deportazione di gruppo, come accadde invece nella Russia comunista di Lenin. La storia dell’obbligo ritiene che gli intellettuali siano perseguitati dai regimi reazionari, conservatori e autoritari, per non dire dei regimi fascisti; ma la deportazione, persecuzione ed uccisione di intellettuali non allineati attiene in realtà all’assolutismo rivoluzionario, che degli assolutismi fu il più efferato, anche rispetto alle monarchie assolute del passato; e poi al totalitarismo comunista in cui la persecuzione raggiunse l’apice. Se nel nazismo il dissenso intellettuale assunse più le forme di emigrazione, inclusa quella interna e interiore, come del resto era già avvenuto nella Russia sovietica (la stessa definizione di migrazione interiore è di Lev Trotskij e si riferisce al 1924), solo nei regimi comunisti la persecuzione del dissenso fu capillare, radicale, a volte arrivando allo sterminio. Il regime intellettuale per antonomasia, ispirato da filosofi come Marx ed Engels e fondato da intellettuali come Lenin e Trotskij, fu il più spietato con gli intellettuali, considerando i “peccati teorici o ideologici” più gravi di quelli pratici. L’ideocrazia del comunismo fu, da questo punto di vista, l’epilogo materialista e secolare dell’Inquisizione e della persecuzione religiosa per eresia. Ma cos’era e chi trasportava la Nave dei filosofi? Si trattava del mercantile tedesco Oberburgmeister Haken e di un’altra nave tedesca, la Prussen; la prima in particolare fu ribattezzata da Glavaskij “nave dei filosofi”, allontanati per sempre dai luoghi in cui vivevano e lavoravano. Organizzò il loro viaggio il capo della polizia sovietica, Dzerzinskij autore dei dossier contro di loro – erano russi e ucraini – li fece arrestare dalla GPU e offrì la scelta obbligata tra l’esecuzione e la deportazione, previo espulsione, pagandosi il viaggio, senza la possibilità di portarsi con sé nulla, inclusi i loro libri di studio. Le due navi partirono da san Pietroburgo e approdarono a Stettino. Tra di loro c’era tutta l’intelligentsija russa composta da professori, storici, artisti, scrittori e filosofi, contrari al bolscevismo e legati alla tradizione spirituale e religiosa russa. Tra di loro spiccavano tre figure, note ormai alla cultura occidentale. Uno è Sergeij N. Bulgakov che nella sua opera La luce senza tramonto, sosteneva che la rivelazione divina si palesa attraverso il miracolo e la libertà, senza transitare da un sapere. Un altro è Nicolaj A. Berdjaev, che cercava un ponte tra filosofia e religione attraverso la libertà e critica l’elevazione dello Stato a divinità in terra. Interlocutore di entrambi fu Padre Pavel Florenskij che invece sosteneva l’esigenza di un sapere spirituale fondato metafisicamente e figurava uno Stato teocratico in un libero assoggettamento dell’individuo allo Stato; era un po’ quel che sosteneva in un altro contesto non teocratico, il nostro filosofo Giovanni Gentile quando figurava il coincidere del volere individuale col volere universale dello Stato, fino a identificare libertà e autorità. Fu espulso e imbarcato anche il sociologo cristiano Pitirim A. Sorokin, che scrisse poi memorabili saggi di filosofia della società; ma il suo viaggio verso l’Occidente dove morì nel 1968, proseguì in treno. In quella deportazione fu risparmiato Florenskij, perché oltre che filosofo e teologo era anche scienziato e chimico e dunque serviva al regime e in fondo non aveva invocato apertamente la libertà dallo Stato ma un diverso indirizzo d’ispirazione alla guida dello Stato. Alla fine però a lui andò peggio: fini prima alcuni anni nel gulag pur continuando a lavorare per la scienza e la sperimentazione del regime sovietico, e infine fu fucilato nel giorno dell’Immacolata del 1937. I deportati della Nave dei filosofi non fecero più ritorno, si dispersero nell’altrove e nel buio del comunismo.

MV

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