Sulla Scala piovono bombe di idiozia…

Ma è possibile che nel dicembre del 2023, in un mondo così radicalmente cambiato, stravolto e smemorato, che non ricorda nemmeno quel che è successo pochi giorni fa, totalmente immerso in temi, problemi e scenari che non hanno precedenti, la piccola, spocchiosa setta degli intellettuali engagé non abbia nulla di meglio da fare che riproporre la questione del fascismo e dell’antifascismo? Prendete un caso esemplare, di uno che campa ormai da alcuni anni all’ombra del Ducione, Antonio Scurati – d’ora in avanti denominato S. – che si è buttato a corpo morto e mente delirante sulla carcassa del fascismo. Ha scritto l’altro giorno per la Repubblica un articolo sul fatto del giorno, ambientandolo in piena seconda guerra mondiale. Soffrendo di allucinazioni anche auditive, il suddetto si è chiesto se l’altra sera alla Scala di Milano, il presidente del Senato Ignazio La Russa (mai citato per nome e cognome, per non sporcarsi) “ha sentito il fragore delle bombe” lanciate dagli inglesi la notte del 15 agosto del ’43 e arrivate sul teatro, secondo lo S., addirittura la sera del 7 dicembre del 2023. Non ci è parso di vedere l’Innominato in agitazione per il bombardamento in corso, come d’altronde il pubblico restante e i suoi compagni di palco. Magari annoiati, pensierosi, ma non atterriti. Visto che ci siamo, noi invece abbiamo sentito udire dal loggione: “A morte Francesco Giuseppe!” Delirio per delirio…

S. si rifaceva all’inverosimile, surrettizia polemica sollevata dal grottesco sindaco di Milano, che chiameremo Scala senza c, per mantenere lo stile anonimo di S., sul palco reale e sulla presenza del presidente Innominato nel palco reale insieme con Liliana Segre (che citiamo per intero per non incorrere in accuse di antisemitismo). Come di fatto poi è avvenuto, senza carnefici o vittime, né risse o insulti. Anche perché la Segre e La Russa si conoscono e s’incontrano da tanto tempo, siedono nello stesso Palazzo. Gazzarre inverosimili, da teatrino dell’antifascismo più che da teatro della Scala, che possono infiammare solo la mente bacata di qualche maniaco depressivo. Gazzarre fuori luogo, fuori tempo, fuor di senno.  Peraltro in quel palco sono entrati senza obiezione alcuna, personaggi che hanno esaltato l’Unione Sovietica e i carri armati su Budapest e su Praga, per dirne solo uno, più recente. Per non dire di gente che si è sporcata le mani di sangue. E noi stiamo ancora facendo una questione del genere sull’innominabile presidente del senato, incuranti del voto democratico del popolo sovrano, della sua presenza trentennale nel parlamento italiano, dei ruoli già coperti di ministro della difesa, presidente di gruppo e ora di seconda carica dello stato, dopo regolari elezioni. Ma non solo: la questione antifascista viene sollevata proprio nel momento in cui tutti, dico tutti, se hanno un’obiezione da muovere a Giorgia Meloni e al suo governo è quella opposta di essere “camaleonte” e di aver frettolosamente messo a tacere ogni richiamo pur vago, non solo al nostalgismo e, per sposare toto corde l’atlantismo e l’europeismo, la linea Draghi e Zelenski, e abbracciare, come facevano in verità già ai tempi del Msi e di An, la causa d’Israele.  Di che cosa parliamo, tirando ancora fuori la vecchia storia del fascismo? Che attinenza ha con la vita, la realtà, il pensiero di oggi? Perché volete forzare l’ultranovantenne Segre a schierarsi contro un personaggio che ha il torto di provenire dalle fila di un partito in cui militava pure suo marito, candidandosi per giunta insieme all’Innominato? Ma soprattutto perché pensate che quel tema abbia qualche incidenza sul presente? Ma in che razza di mondo vivete, di cosa vi nutrite, cosa vi bevete e vi fumate, prima di sentire il rumore degli aerei su Milano a fine 2023, e magari l’odore di sangue di Piazzale Loreto ancora addosso? Ma avete una percezione vaga della realtà in cui viviamo, vi rendete conto che quella nefasta archeologia del demonio ha portato alla disfatta gli antagonisti della destra perché totalmente fuori contesto, suscitando ormai fastidio e sarcasmo nella gente comune? Se volete porvi problemi di ordine storico fatevi piuttosto la domanda opposta: come mai la gente non ha più memoria storica, come è possibile vivere cancellando la storia da cui proveniamo, non solo e non tanto quella di 80 anni fa, di cui i media parlano ogni santo giorno, ma quella più antica e quella più recente, quella plurisecolare e quella che ha formato il nostro essere italiani, europei, cristiani, cattolici, la nostra lingua, il nostro patrimonio d’arte e di opere, le nostre città e i nostri luoghi vitali?  Interrogatevi sulla scomparsa di ogni riferimento storico al presente, sempre più spaesato e disancorato, una cancellazione dovuta a svariate ragioni, inclusa anche una che vi ostinate a non capire: finché per voi la memoria storica è solo la memoria catastrofica del fascismo e dell’antifascismo, finché la storia è solo il sibilo di aerei che bombardano la Scala, la gente vorrà cancellarla, rimuoverla, dimenticarla. Anche perché è nauseata dall’overdose di somministrazione coatta che a partire dalla Rai, inclusa la Rai dell’era Meloni, viene inculcata alla gente notte e giorno.  Capisco che S. lo faccia per ragioni personali e commerciali, perché vuole passare per il biografo di M. (anche lui impronunciabile): un tempo avevamo come biografo uno storico come Renzo De Felice, ora dobbiamo sorbirci un esorcista allucinato come lui. Che conclude il suo pistolotto cacciando eroicamente i fascisti dalla Scala: “mai saranno di casa in questo tempio laico della cultura”. Eroico! S. svegliati, ti sei addormentato durante lo spettacolo nel ‘43, e hai dormito per ottant’anni. Ti sei perso il mondo, la vita, i tanti criminali e malfattori che sono entrati nella Scala, insieme a tanta brava gente. Ma del suo caso personale alla fine poco importa. Quel che sconforta è che il cosiddetto Partito della Cultura non riesce ancora ad andare oltre l’indignata invettiva contro un cadavere di cui non ci sono più neanche le ossa, tanto tempo è passato. Per restare in teatro, diremo come Ferrucci a Maramaldo: Vile, tu uccidi un uomo morto.

     Marcello Veneziani