di Alberto Bullado.
Il paragone regge appena, ma quanto basta ben instillare alcune suggestioni. Franz Kafka scrive Il Processo, un romanzo nel quale il protagonista viene perseguito per motivazioni ignote. L’opera è entrata nella storia per le sue atmosfere angosciose, surreali, paradossali, tanto più che si tratta di un romanzo incompleto[1]. Eppure, di questo processo per l’assurdo (o dell’assurdo), si possiede, malgrado le lacune, sia l’inizio che la fine. Di qui il parallelo con Berlusconi, ovvero con la sua vicenda giudiziaria che rispetto a quella narrata da Kafka è di gran lunga meno criptica ma non meno, per certi versi, onirica.
Parliamoci chiaro: noi tutti sappiamo perché Berlusconi non solo non si merita di essere alla guida di questo paese, ma di essere ancora a piede libero. Detto questo c’è anche dell’altro e cioè che qualsiasi processo mosso a suo carico è inutile. Inutile perché un normale procedimento giuridico presuppone un’istruttoria ed infine una sentenza che può essere opinabile: innocente-colpevole. Non è questo il caso di Berlusconi, perché grazie all’antiberlusconismo militante ed alle crociate pseudo moraliste-legalitariste che hanno totalizzato il nostro palinsesto, nell’animo di buona parte degli italiani viene contemplato una ed una sola possibile sentenza. Non ci vuole molta immaginazione per comprendere quale.
Il punto è che l’antiberlusconismo, con il suo oltranzismo tanto pedissequo quanto politicamente miope, ha reso Berlusconi un corpo del reato a prescindere. L’essere se stesso, l’esistere così com’è, presuppone già di per sé un delitto, un crimine, un misfatto da debellare, una vergogna da estinguere, poiché non può esistere alcun ordine logico e razionale in grado di giustificare simili condotte e malcostumi. Per questo motivo Berlusconi, che è sottoposto alle indagini della magistratura, non può che non essere colpevole. Colpevole di se stesso. Di ciò che è, che fa e che rappresenta. Siamo giunti proprio a questo, il che, si capisce, dal punto di vista della logica non è proprio il massimo.
Di qui un parossismo vagamente kafkiano. Tutti sanno perché Berlusconi merita la galera ma in galera non c’è, anzi, è alla guida del nostro paese per l’ennesimo mandato. È sotto processo, ma in realtà il procedimento non si pone nemmeno, perché per buona parte degli italiani non c’è nemmeno bisogno che i giudici deliberino. E quindi questo cosa ci porta a concludere? Che in realtà l’antiberlusconismo si serve di un giustizialismo di facciata. Esige che il Cavaliere si presenti al cospetto dei giudici ma in realtà nessuno non si aspetta una vera sentenza, poiché gli antiberlusconiani non sarebbero in grado di contemplarne alcuna di diversa dalla loro, cioè quella espressa da un orizzonte di attesa, fervido, magmatico, giacobino, sempre più vasto e condiviso. Insomma: il verdetto è già stato emesso, irrevocabile, a discapito del tribunale. Berlusconi è colpevole. Punto. Non può che essere così.
Ma se invece Berlusconi fosse innocente, estraneo alle accuse mosse contro di lui? So che questa supposizione farebbe sorridere più di qualche d’uno, ma poniamo per un momento che il Cavaliere esca integro da ogni inchiesta. Stiamo quindi parlando del verdetto di un’istituzione a cui si rifanno gli stessi antiberlusconiani, cioè il tribunale, la magistratura, la giustizia. Ebbene, se accadesse proprio questo? Probabilmente le piazze si riempirebbero, le strade si affollerebbero di una certa rabbia forcaiola, i giornali, le televisioni, internet non ne parliamo, eccetera eccetera. Nel giro di poche ore si mormorerebbe di complotti, di sospetti di corruzione, di inquinamento delle prove, di manipolazioni delle indagini. Voci, indiscrezioni, in un crescendo sempre più chiassoso, e poi vere e proprie teorie anticospiratorie in grado di poter degenerare in chissà cosa. E tutto questo perché? Perché l’antiberlusconismo non possiede un vero senso e rispetto della giustizia.
Potendoci immaginare scenari più che verosimili, si può tranquillamente dire che l’antiberlusconismo ha perso da tempo non solo un certo equilibrio ma anche il raziocinio di una propria ontologia (che pure si basava su principi corretti). I processi e la magistratura vengono concepiti non già come strumenti di giustizia ma veicoli di condanna, poiché Berlusconi non lo si vuole esattamente processare ma condannare irrevocabilmente. Vedere nella giustizia l’unico veicolo democraticamente accettabile per fare fuori Berlusconi è stato un errore piuttosto grave che dimostra tutta la miopia politica e storica di un vasto fronte d’opinione. Ecco che quindi, nella verità ontologica delle cose, l’antiberlusconismo non esige la giustizia in sé, che come ho detto può anche riservarsi, per assurdo, il diritto di assolvere Berlusconi qualora lo credesse opportuno (dopotutto è una delle due possibilità), ma una ed una sola giustizia: la propria. Ecco che si verifica l’estremo paradosso dell’antiberlusconismo: essere riuscito a dare ragione a Berlusconi malgrado egli abbia torto, poiché, se le cose stanno così come sembrano, è vero come dice lo stesso Berlusconi ed i suoi scherani pappagalli che la giustizia è tale, o viene recepita come tale, solamente se lo condanna, quindi se antiberlusconiana e se prende la giusta colorazione politica, dando adito alla retorica del complotto della magistratura che noi tutti conosciamo. Un vittimismo stomachevole, noioso, odioso che però, lo si voglia o meno, ha un fondamento di verità. E cioè che la giustizia si è dovuta arrecare un compito non suo: quello di mandare a casa il Presidente del Consiglio.
Il logaritmo antiberlusconiano in questo modo manifesta sul piano della logica, prima ancora che su quello della bontà politica (sulla quale stenderei un velo pietoso), tutta la sua paradossale incoerenza. Si anela un processo ma si aspetta dai giudici una sola sentenza, la condanna, al tempo stesso atto catartico di un’utopia ed il realizzarsi di un esorcismo civile. In poche parole: l’estasi, l’orgasmo, il Nirvana. E se ciò non avvenisse? La damnatio memoriae, già in atto in corpore vili. Poiché Berlusconi se non è un mafioso è un corruttore, se non è un corruttore è un pedofilo e se non è un pedofilo è un puttaniere. E se non è nemmeno quello, vada come vada, rimarrà nella memoria di tutti come un autocrate o tutt’al più uno stronzo. Questo quello che chiunque può intuire facilmente dalla forma mentis dell’antiberlusconismo.
E allora diciamo le cose come stanno: l’antiberlusconismo assolve il compito di demolire Berlusconi al di fuori delle istituzioni politiche e giudiziarie. Un processo, al contrario di quello appunto giudiziario, eterno e kafkiano, del quale, malgrado i parossismi, si possiede l’inizio, cioè la premessa che si fonda su un inamovibile presupposto (Berlusconi è colpevole, va eliminato), e la fine, ovvero la condanna. Kaputt. Quindi, al di fuori delle retoriche legalitariste di facciata di cui sopra, va chiarito lo scopo di cotanta mobilitazione senza la quale si ha a che fare con della mera propaganda. Ma l’Italia, ha bisogno d’altro.
[1] Il Processo (titolo originale Der Prozess), che venne scritto tra il ’14 e il ’17, esce postumo nel ’25, contrariamente alla volontà dello scrittore che avrebbe voluto bruciare il manoscritto originale.
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