Ambizioni più o meno buone…

 

Di solito gli uomini non sanno vivere, non hanno nessuna vera familiarità con la vita, non si sentono mai del tutto a proprio agio, perciò perseguono progetti diversi, più o meno ambiziosi, più o meno grandiosi, dipende, e ovviamente di solito falliscono e arrivano alla conclusione che avrebbero fatto meglio, molto semplicemente, a vivere, ma di solito, anche lì, è troppo tardi.

Michel Houellebecq, da “Serotonina”

 

serotonina

Il mondo come un’illusione o un fantasma…

 

Se il mondo può essere considerato un’illusione e un fantasma, tutto quello che ci succede possiamo considerarlo un sogno,qualcosa che ha finto di essere mentre stavamo dormendo. E allora nasce in noi un’indifferenza sottile e profonda verso tutte le disgrazie e le sciagure della vita. Chi è morto ha girato l’angolo, per questo non lo vediamo più; chi soffre passa davanti a noi, come un incubo, se siamo sensibili, oppure come un brutto sogno, se siamo razionali.E anche la nostra indifferenza non sarà niente più. In questo modo dormiamo coricati sul fianco sinistro e sentiamo nei sogni l’esistenza oppressa del cuore.
Nient’altro…Un po’ di sole, un po’ di brezza, degli alberi a incorniciare l’orizzonte, il desiderio di felicità, l’angoscia dei giorni che passano, la scienza sempre incerta e la verità sempre da scoprire… Nient’altro, nient’altro… Sì, nient’altro…

Fernando Pessoa, da “Il libro dell’inquietudine”

 

mistero, sogno

 

…e intanto il tempo se ne va attimo dopo attimo.

 

Ci dimentichiamo che il mondo va almeno qualche volta contemplato, guardato nel suo scorrere ,senza cercare causa ed effetto, guardato così com’è nel suo apparire ai nostri occhi, osservato senza pensiero, senza domande, senza perché e senza ma, solo perchè in quel momento siamo vivi-

vita nel mondo

Come passiamo rapidamente su questa terra! Il primo quarto della vita è trascorso prima che se ne sia conosciuto l’uso; l’ultimo quarto scorre ancora dopo che si è cessato di goderne. Dapprima noi non sappiamo vivere, ben presto non lo possiamo più; e, nell’intervallo che separa queste due estremità inutili, i tre quarti del tempo che ci resta sono consumati nel sonno, nel lavoro, nel dolore, nelle difficoltà, nelle pene di ogni specie. La vita è breve, non tanto per il poco tempo che dura, quanto per il fatto che, di questo poco tempo, noi non ne abbiamo quasi punto per gustarne. Per quanto l’istante della morte sia lontano da quello della nascita, la vita è sempre troppo breve, quando questo spazio è male impiegato.

Jean-Jacques Rousseau, da “Emilio o dell’educazione”, 1762

Essere o essere un po’ meno..

 

Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci guardi. A seconda del tipo di sguardo sotto il quale vogliamo vivere, potremmo essere suddivisi in quattro categorie. La prima categoria desidera lo sguardo di un numero infinito di occhi anonimi: in altri termini, desidera lo sguardo di un pubblico. […] La seconda categoria è composta da quelli che per vivere hanno bisogno dello sguardo di molti occhi a loro conosciuti […] C’è poi la terza categoria, la categoria di quelli che hanno bisogno di essere davanti agli occhi della persona amata […] E c’è infine una quarta categoria, la più rara, quella di coloro che vivono sotto lo sguardo immaginario di persone assenti. Sono i sognatori”.

Milan Kundera, “L’insostenibile leggerezza dell’essere”

sognatore

La fabrique du crétin_di Jean Paul Brighelli. Un saggio , un vademecum di salvezza per tutti coloro che non vogliono l’omologazione di stato.

 

la fabrique du cretin

 

Jean Paul Brighelli, in questo saggio ci parla del cretino, non nel senso dispregiativo ,usato per secoli ad indicare lo scemo del villaggio, colui al quale mancavano due rotelle, ignorante, portatore di quella allegria incosciente, che divertiva coloro i quali ,avendo magari anche solo due o tre anni di scuola elementare si sentivano totalmente superiori al poveretto. Ci parla della volontà politica di impoverire la scuola di tutto quello che ,fino ad un trentennio addietro, era la base della cultura di una persona, che venisse poi più o meno approfondita. Oggi lo scopo della scuola è quello di dare agli studenti una formazione professionale approfondita nell’uso , nello sviluppo e nell’applicazione delle moderne tecnologie, creare quei professionisti di cui l’età moderna abbisogna, tralasciando tutto quel contorno che faceva l’uomo di cultura. Il civis  novus  non ne ha bisogno, ci pensa e ci penserà la politica a riempire il cervello del cittadino di discorsi e dialoghi politicamente corretti e in linea sempre col potere dominante. E’ un saggio di grande ed unico interesse, uno dei tanti, che , in ogni paese stanno proliferando colla speranza di arrivare in tempo a fermare tutto questo disastro.

 

Bambini e topi domineranno il mondo . Racconto di Italo Calvino.

 

A un secolo dalla nascita del grande scrittore  Italo Calvino Repubblica ci regala ogni mese un suo testo raro. Questo è il primo della serie. Dove l’autore immagina una società condizionata dalle nevrosi degli adulti e in cui i figli si muovono in branchi, un po’ come i roditori. Tra ironia, distopia e qualche giusta previsione.

Fra vent’anni, se vivrò, sarò un vecchio: se penso alla vita tra vent’anni è naturale che mi domandi quale sarà la sorte dei vecchi. La vecchiaia oggi e più sicura e comoda di una volta, – dico in un senso pratico, materiale – e lo sarà sempre di più; ma i vecchi contano sempre meno, “significano” sempre meno. Nella commedia della vita umana, il vecchio era un personaggio immancabile: personaggio positivo o negativo, mitico – magico o ridicolo – brontolone, bisognava comunque fare i conti con lui. Ma già oggi questo personaggio è uscito di scena; nella famiglia non ha più un posto; la società tende a espellerlo. Già oggi in larga parte dell’America e dell’Europa occidentale e orientale ai vecchi sono assegnati territori separati geograficamente e socialmente dal resto dell’umanità, “riserve” più o meno dorate, zone temperate e tranquille, abitate quasi esclusivamente da pensionati e da medici.

È probabile che in futuro il solco che divide la città produttiva dalla sempre più estesa anticittà del riposo senile si approfondisca; che nessuno osi più mettere piede nel mondo dei vecchi se non quando giunge per lui l’ora d’entrarvi per non tornare più indietro; e che l’immagine di questa sorta di al-di-là terrestre, continuamente affiorante e continuamente scacciato dalle coscienze, si carichi d’attributi straordinari, di poteri benefici o malefici. Forse allora ci sarebbero dei giovani che, nella loro ribellione al mondo dei padri, verrebbero a rifugiarsi nelle lande tabù del paese dei nonni, e vi farebbero perdere le loro tracce. Riapparirebbero in rapide incursioni che getterebbero la città nello sgomento, considerati da alcuni orde di predoni, da altri annunciatori d’una nuova legge che i vegliardi avrebbero elaborato nella loro contemplativa solitudine e trasmesso ai giovani fuggiaschi mediante misteriose iniziazioni.

Ecco che il riflettere sul futuro dei vecchi porta necessariamente a interrogarci sul futuro dei giovani; anzi, dei fanciulli e dei bambini, perché decisive saranno le esperienze di vita collettiva dell’infanzia: i riti d’iniziazione che marcano l’ingresso nella società saranno anticipati ai primi anni di vita.

Durante i prossimi vent’anni la vita della prima infanzia attraverserà i momenti più difficili nella storia del genere umano. Cancellata ormai da tempo l’immagine del padre, sbiadita l’immagine della madre (che torna a casa dal lavoro solo la sera), l’infanzia si libererà di molte occasioni di nevrosi e ne acquisterà di nuove. Ci si può consolare pensando che, qualsiasi infanzia gli tocchi, chi vive in quest’epoca non si salverà dalla nevrosi, e dato che i genitori sono certamente due nevrotici, il bambino ha tutto da guadagnare a vederli il meno possibile. È prevedibile che la nevrosi sul lavoro andrà crescendo tra gli uomini mentre tra le donne – appena riusciranno a non pensare più alle faccende domestiche – tenderà a diminuire; per cui le mansioni tecniche e amministrative saranno affidate sempre più alle donne; e questo generalizzerà il distacco precoce dei bambini dalle madri.

Dove staranno i bambini durante la giornata? Nidi e asili infantili – anche se costruiti in gran numero – saranno irraggiungibili per l’ingorgo permanente del traffico. La rete di giardini d’infanzia più modernamente attrezzata resterà quasi deserta, perché i bambini non potranno esservi accompagnati né dai genitori, già assillati ed esausti dal problema quotidiano di raggiungere i luoghi di lavoro e di tornare a casa, né da mezzi di trasporto collettivi, che non riuscirebbero a stazionare davanti alle case.

Il sistema di “lasciare i bambini a una vicina”, praticato oggi da un gran numero di donne lavoratrici, s’estenderà al punto che in ogni caseggiato popolare ci saranno delle comari che per un compenso modico custodiranno bambini a centinaia, e non disponendo di spazi capaci di contenerli, li lasceranno dilagare in grandi branchi sul suolo pubblico, provocando blocchi stradali e devastazioni di supermercati. Come pastori che seguono un armento al pascolo, le comari interverranno solo in casi di estrema necessità per cercar d’arginare gli spostamenti del branco, che peraltro si muoverà secondo una sua imprevedibile autonomia e ostinazione. Sarà presto chiaro che se il bambino non abbandona il branco, è il branco stesso a proteggerlo meglio di qualsiasi tutore adulto.

Il flusso dei veicoli (molto lento comunque e soggetto a continue soste) sarà obbligato a fermarsi ogni volta che la carreggiata sarà invasa da una falange di infanti che stanno imparando a camminare; si vedranno camion e autobus annaspare con le ruote e retrocedere spinti da una carica di lattanti.

Forza della natura inarrestabile, queste moltitudini di pargoli si abbatteranno come sciami di locuste sulle mercanzie incustodite (i centri di vendita a self-service avranno completamente sostituito i piccoli negozi). Solo la musica potrà influire sul branco, attraendo in una direzione o allontanandolo con suoni sgradevoli; gli strumenti più usati saranno cimbali, sistri, raganelle, buccine, maracas. Ma alla sera, con la stanchezza e il sonno, basterà alle comari un flauto o uno zufolo per riprendere il sopravvento e trascinarsi dietro il codazzo sbadigliante.

Tutto un nuovo sistema d’apprendimento, un nuovo universo di credenze e d’immagini nascerà in queste quotidiane transumanze urbane, una nuova lingua (vi s’attuerà una prima fusione tra le ondate migratorie che da tutti i continenti convergono sulle metropoli), un nuovo modo di vedere il mondo, con la collettività dei coetanei come realtà prima, con lo stock sempre rinnovato delle merci come foresta e pascolo e perpetua primavera, con gli automezzi come bestie feroci.

Un solo animale dell’antica zoologia continuerà a imporre la propria immagine: il topo. I sistemi di derattizzazione sempre più micidiali avranno portato alla selezione d’una razza di topi resistenti a ogni mezzo di sterminio, forse immortali, che si riprodurranno incessantemente contendendo all’uomo il possesso della metropoli. La lotta per la sopravvivenza potrebbe sviluppare in quei roditori facoltà mentali superiori, tali da permettere loro d’allevare nel sottosuolo altri animali e impiegarli nella lotta contro l’uomo: serpenti, coccodrilli, piovre.

Come un tempo l’ululato dei lupi, gli uomini chiusi nelle case ascolteranno ogni notte tremando lo squittio di milioni di topi che si leverà più alto del rombo dei boeing e dei razzi, a promettere che il regno animale sconfitto risorgerà da sottoterra

 by the estate of Italo Calvino da La Repubblica

 

bambini e topi

Il destino è nelle mani…

 

“C’è chi nasce coi pugni serrati, chi con le mani spalancate e chi col pollice in bocca, qualcuno persino con le mani giunte o protese in avanti, come per difendersi. Il carattere già si profila dalle mani, perché il neonato non ha ancora a fuoco la vista; la luce originaria e il buio del passaggio, lo hanno reso provvisoriamente cieco. Sicché le mani parlano al suo posto. C’è chi rimane cieco per tutta la vita, anche se vede.
L’infanzia è una mano che si apre, e stringe altre mani, per gioco o per farsi guidare, conosce il mondo maneggiando le cose; la gioventù spalanca le mani, afferra con vigore il mondo, abbraccia la vita. La vita adulta si abituerà poi a prendere e lasciare la presa, ad afferrare pesi, armi, valigie; a maneggiare, manipolare, condurre per mano, tendere la mano per soccorrere o essere soccorsi. La vecchiaia è una mano che si chiude, si rinserra nel pugno, si appoggia a un bastone, stringe quel che resta, temendo di perderlo, fino a che non gli resta più nulla e stringe un pugno d’aria. Il mondo del vecchio si restringe, si fa sempre più piccolo, introverso, a volte si rinchiude dentro il suo corpo, il suo intestino, i suoi organi che funzionano male. Le sue mani sono impotenti, il mondo è sempre meno a portata delle sue mani, che cominciano a tremare e cercano sostegni.
Le mani sono la gloria dell’uomo rispetto agli animali; sono l’intelligenza del corpo, pensiero tattile, prensile, toccante. Sono la mappa dove è segnata la sua fatica passata ed è scritto il suo cammino futuro”.

da La leggenda di Fiore

I’m feeling..

 

Quello che c’è in me è soprattutto stanchezza
non di questo o di quello
e neppure di tutto o di niente:
stanchezza semplicemente, in sé,
stanchezza.
La sottigliezza delle sensazioni inutili,
le violente passioni per nulla,
gli amori intensi per ciò che si suppone in qualcuno,
tutte queste cose –
queste e cio’ che manca in esse eternamente –
tutto ciò produce stanchezza,
questa stanchezza,
stanchezza.
C’è senza dubbio chi ama l’infinito,
c’è senza dubbio chi desidera l’impossibile,
c’è senza dubbio chi non vuole niente –
tre tipi di idealisti, e io nessuno di questi:
perchè io amo infinitamente il finito,
perchè io desidero impossibilmente il possibile,
perchè voglio tutto, o ancora di più, se può essere,
o anche se non può essere…
E il risultato?
Per loro la vita vissuta o sognata,
per loro il sogno sognato o vissuto,
per loro la media fra tutto e niente, cioè la vita…
Per me solo una grande, una profonda,
e, ah, con quale felicità, infeconda stanchezza,
una supremissima stanchezza,
issima, issima, issima,
stanchezza…
(Alvaro de Campos)

 

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