Di seguito un estratto dal mio ultimo romanzo SIGNATURE RERUM-IL SUSSURRO DELLA SIBILLA
Entrai in libreria. Oltre alla commessa seduta dietro il bancone impegnata a risolvere un cruciverba, nel locale non c’era nessun altro. Salutai con un cenno del capo e mi avvicinai alle colonne di libri che si innalzavano dal pavimento. L’aspetto miserevole di molti volumi confermava la loro lunga gestazione in magazzino, non sminuendone però il valore trattandosi di testi autorevoli.
Ero accosciato davanti a una pila di volumi per leggerne i titoli sbiaditi sui frontespizi, quando una voce familiare mi salutò:
<<Buongiorno>>
Mi voltai a fissare l’atleta che quella mattina mi aveva svegliato facendo ginnastica in giardino.
<<Buongiorno>> feci rialzandomi prontamente.
<<Le chiedo ancora scusa per questa mattina.>>
<<Non crucciarti, sono mattiniero.>>
<<Anche a lei piace leggere?>>
<<Appena il lavoro me lo consente.>>
<<Che genere preferisce?>>
<<Romanzi.>>
<<Anch’io! Ha trovato qualcosa d’interessante?>>
<<Sono appena entrato…>>
<<Venga>> disse guidandomi verso una catasta di libri addossati a uno scaffale vicino al retrobottega. <<Qui sicuramente troverà qualcosa d’interessante.>>
Mi inginocchiai per visionare i volumi.
<<Le piacciono gli scrittori sudamericani?>>
<<Ho letto qualcosa di Marquez, Borges, Coelho. Ultimamente Jorge Amado.>>
<<Se non lo avesse già letto, legga questo, sicuramente le piacerà.>> Con cautela sfilò dalla colonna di libri un volume e me lo porse.
<<L’amore al tempo del colera>> lessi.
<<Tra i romanzi di Marquez, lo ritengo in assoluto il migliore!>>
<<Ho letto Cronaca di una morte annunciata e Cent’anni di solitudine, non mi hanno entusiasmato granché.>>
<<Lo legga>> insistette.
Lessi la trama sul retro di copertina.
Prediligendo i thriller sapevo che difficilmente mi sarebbe piaciuto. Tuttavia, notando l’ansia con cui la ragazza mi guardava, decisi di acquistarlo per non deluderla.
Mentre pagavo, il volto le s’illuminò di gioia. Per un attimo la sua freschezza cacciò via le angustie dal mio animo.
Usciti dal negozio, dirigendoci in piazza, facemmo le presentazioni.
<<Io sono Laura>> fece porgendomi la mano.
<<Io Riccardo, e dammi del tu>> sorrisi, ricambiando la stretta.
<<Che ci fai qui?>> chiese, reclinando il capo. Lo sguardo intelligente luccicò di vita. Le orbite si restringevano ai lati conferendole un vago aspetto orientale. La parabola del naso curvava a punta sulla bocca piccola e sensuale, separata dal mento poco accentuato da una ruga sottile. La giacca a vento le nascondeva il corpo.
<<Vivi qui?>> chiesi.
<<Sono ospite della sorella di mio padre, mi sto allenando per La Quattro Laghi>>
<<Cos’è?>>
<<Una mezza maratona che attraversa passa per i quattro laghi flegrei. Malgrado siano solo 21 chilometri, è massacrante a causa dei continui saliscendi. Alla scorsa edizione mi sono classificata sesta assoluta tra le donne.>>
<<Un buon piazzamento>> osservai.
<<Sì, considerando la tendinite che mi obbligò a stare ferma per quasi sei mesi. Alla prossima, però, punto al podio!>>
La voce decisa ne palesava il carattere determinato.
<<Studi?>>
<<Sono iscritta a giurisprudenza. Vorrei fare l’avvocato. Tu di cosa ti occupi?>>
<<Lavoro in banca. Faccio il consulente finanziario>>
<<Ossia?>>
<<Suggerisco alle persone come far fruttare i propri risparmi.>>
<<Un giorno verrò a trovarti!>>
<<Possiedi dei risparmi?>>
<<Non ho un euro>> disse scoppiando a ridere. La sua ilarità mi contagiò, risi anch’io.
Giungemmo nella piazza assordata dai veicoli provenienti dal lungomare. Al bivio una parte delle vetture deviava verso il centro mentre l’altra proseguiva in direzione Pozzuoli. Il traffico era regolato da un’affascinante vigilessa dai capelli biondi coadiuvata da una coppia di pensionati che, muniti di palette, bloccavano i veicoli per consentire l’attraversamento ai pedoni.
<<Io sono arrivata>> disse Laura, fermandosi davanti la palazzina dai muri scrostati. Fui tentato di dirle che ero stato bene in sua compagnia, che mi sarebbe piaciuto rivederla. Tacqui per non apparire ridicolo.
<<Grazie per il consiglio>> feci, mostrandole la busta contenete il libro di Marquez.
<<Spero ti piacerà!>> sorrise.
Ci lasciammo con una calorosa stretta di mano.
Pranzai in cucina. Avvolgendo gli spaghetti alla forchetta, ripensavo a Laura, alla sua vitalità, al suo entusiasmo. Conoscevo uomini molto più grandi di me che non avevano alcuna difficoltà ad intessere una relazione con una ragazza più giovane di loro. In alcuni casi, addirittura più giovani delle loro stesse figlie.
Quando ne parlavano, tutti ammettevano che avere accanto una donna giovane come per magia annullava il peso degli anni, dissolvendo il tedio del matrimonio. Alcuni non lesinavano ad arricchire i propri racconti con particolari intimi affinché si sapesse che erano ancora nel pieno del vigore fisico. Mentre ascoltavo le loro avventure boccaccesche, mi chiedevo cosa avrei fatto se anch’io avessi incontrato una ragazza disposta ad intrecciare una relazione con me. Istintivamente il pensiero ritornò a Laura.
Poiché per carattere tendo a razionalizzare qualunque evento turbi il mio equilibrio interiore, mi imposi di considerare le inquietudini suscitate in me da Laura come logica conseguenza del difficile momento sentimentale che stavo attraversando. Ritrovarmi da solo, dopo tanti anni vissuti con Monica, era un trauma difficile da superare. Sospettai che il mio inconscio si fosse messo alla ricerca della terapia con cui riempire quell’imprevisto vuoto esistenziale. Pertanto non potevo escludere considerasse Laura la medicina per risanare le fratture del mio animo. Ripudiando ogni forma di medicinale convinto che, alla lunga, può nuocere più dello stesso male da curare, convenni che era meglio la dimenticassi; che l’unica medicina efficace per fronteggiare il difficile il momento che stavo attraversando era il trascorrere del tempo.
Ricacciai Laura dalla mente.
L’incessante suono del campanello alla porta mi ridestò.
Mi ero addormentato sulla poltrona davanti al televisore acceso. Filtrando dai vetri del balcone, il tramonto stemperava nel salotto smorti bagliori di luce. Chiedendomi chi fosse, andai ad aprire.
<<Ciao!>>
Il sorriso di Laura rischiarò la sera.
<<Disturbo?>> domandò.
<<Nient’affatto>> feci sorpreso e felice nello stesso tempo.
<<Posso entrare?>>
<<Certo.>> Mi spostai di lato per farla passare.
<<Carino qui>> commentò guardandosi intorno. <<E’ casa tua?>>
<<Di mia sorella.>>
Sfilandosi il giubbotto di pelle, si avvicinò alla libreria, dando uno sguardo ai libri allineati sulle mensole.
<<Dammi la giacca>> dissi.
Mentre appoggiavo il giubbotto sullo schienale della poltrona, ammirai l’asciutta compattezza del suo fisico: il seno sodo gonfiava il maglione; le gambe lunghe e i glutei muscolosi riempivano di sensualità i jeans.
<<Sorpreso?>> mi sorrise sedendosi sulla poltrona, accavallando le gambe.
<<Abbastanza>> ammisi restando in piedi, cercando di non mostrarmi imbarazzato.
<<Sono stata da un’amica che abita da queste parti. Passando ho visto la luce accesa e ho pensato di passare a salutarti.>>
<<Hai fatto bene. Gradisci qualcosa da bere?>>
<<Cosa hai?>>
<<Coca, sprite, aranciata, birra, caffè…>> elencai come un cameriere.
<<Basta>> mi stoppò divertita. <<Una coca va benissimo!>>
Seduti in poltrona, l’uno di fronte all’altra, sorseggiando la lattina di Coca Cola, Laura mi parlò della sua passione per la corsa.
<<Praticamente corro da quando ero bambina. In qualunque stagione e con qualsiasi tempo. Per me correre è vita. Non riesco a immaginarmi la mia esistenza senza la corsa. Correre mi ha insegnato a limare le spigolature del mio carattere. Per natura sono impulsiva, esuberante, aggressiva. Correndo ho imparato a frenare questi aspetti del mio essere. Quando si corre per tanti chilometri bisogna avere il buonsenso di non bruciare subito le energie altrimenti si rischia di fermarsi per strada, di non raggiungere la meta. Nella vita accade, più o meno, la stessa cosa: per realizzare un obiettivo devi partire piano per non disperdere le energie e l’entusiasmo. Senza energie ed entusiasmo non si va da nessuna parte!>>
<<Tu ne hai da vendere, di entusiasmo!>> osservai.
<<L’entusiasmo in me è fisiologico. Fa parte del mio DNA. Qualunque cosa faccia, anche la più sciocca, è sostenuta sempre dall’entusiasmo. Sai perché tante persone sono infelici?>>
<<Perché?>>
<<Perché mancano di entusiasmo. Puoi essere ricco sfondato, avere tante amanti più di Casanova, successo nel lavoro, avere la possibilità di poter viaggiare in ogni angolo del mondo, ma se manchi d’entusiasmo sei una macchina senza benzina che ha bisogno d’essere spinta dagli altri per continuare a procedere. Io non ho un soldo, non ho niente a parte l’entusiasmo, eppure sono felice. Solo il pensiero che un giorno potrei avere bisogno del sostegno degli altri per vivere mi fa stare male.>>
Abbozzai un sorriso.
<<Sono qui per ritrovare l’entusiasmo>> confessai.
<<Lo so, l’ho capito quando in libreria ti ho visto inginocchiato davanti a quella catasta di libri. Solo chi è alla disperata ricerca di qualcosa avrebbe scorso i volumi con la tua stessa frenesia. Quel che tutti cercano nella vita, senza sapere esattamente cosa, è l’entusiasmo!>>
<<Dovresti fare la psicologa invece dell’avvocato.>>
<<Valutare giuridicamente è un’analisi psicologica! Il carattere delle persone, il loro modo d’essere lo determini dal comportamento, non certo da ciò che pensano. Se ci limitassimo a giudicare le persone solo da ciò pensano rischieremmo di fare i processi alle intenzioni, rovinando la gente onesta. E sai perché?>>
<<No!>>
<<Il pensiero è come un fiume, mentre scorre trasporta con sé di tutto, sia il buono che il marcio. Sta a noi decidere cosa salvare dall’acqua e cosa invece lasciare che la corrente porti via con sé. Questa scelta rivela chi davvero siamo, essendo l’origine delle nostre azioni-. Tutto il resto pensieri e parole al vento. Non possiamo giudicare una persona né per il suo modo di pensare né perché ha detto una frase fuori luogo in un momento di rabbia o di disperazione. Siamo esseri umani, non dei: nostro dovere è limitarci a valutare i fatti!>>
Tanta saggezza in quel fiore in germoglio mi disarmò.
Mi alzai e andai al balcone. I bagliori delle case illuminate sulla dorsale del promontorio di Capo Miseno sembravano candeline accese su una torta in una stanza buia. Da dietro l’insenatura apparve il transitante bagliore delle luci di un traghetto diretto alle isole. All’orizzonte, adagiata sul mare, Capri dormiva tranquilla vegliata dal proprio faro che a intervalli regolari squarciava il buio segnalandone la presenza ai naviganti perché ne rispettassero il sonno.
Fissai Laura.
<<Credi che riuscirò a trovare l’entusiasmo?>> chiesi.
<<Si trova sempre ciò che ci appartiene … Adesso devo proprio andare, oggi ho studiato poco e voglio recuperare.>>
Si alzò porgendomi la lattina vuota.
<<Sei certo che non ti infastidisco se continuo ad allenarmi nel tuo giardino?>> domandò mentre l’aiutavo ad infilare il giubbotto.
<<Mi offendo se non la fai!>>
<<Pratichi qualche sport?>>
<<Vado in palestra tre volte a settimana. Niente d’impegnativo. Giusto un po’ di ginnastica e di pesi per tenermi in forma.>>
<<Ti piacerebbe correre con me?>>
<<Non ho l’occorrente!>>
<<Ti piacerebbe?>> insistette.
<<Certo che sì!>>
<<Vedi, soffochi l’entusiasmo per un motivo futile. Ho un amico che vende articoli sportivi. Se vuoi, domani ti porto da lui.>>
<<Va bene.>>
L’accompagnai alla porta.
Laura balzò in sella al motorino parcheggiato davanti casa e l’avviò.
<<A domani>> fece infilandosi il casco.
<<A domani>> le feci eco salutandola con la mano.
Mentre ero in cucina a preparare la cena, all’improvviso mi sovvenne come un flash l’immagine di mio cognato che giocava a tennis.
Come un forsennato iniziai a rovistare la casa da cima a fondo. Sembravo un investigatore che percepisce a pochi passi da sé la prova schiacciante per inchiodare il colpevole ma non riesce a trovarla. Dove potevano essere? Fissai la scalinata che saliva in soffitta. Un lampo mi attraversò la mente. Salii di corsa la rampa di scale. Aprii la porta del solaio e accesi la luce, rischiarando l’interno. La fioca lampadina illuminò la cassetta degli arnesi, le biciclette dei bambini e le scope appoggiate al muro dirimpetto, il pacco di giornali ingialliti poggiato su una sedia sgangherata, due barattoli di pittura sistemati in un angolo l’uno sull’altro, dei pennelli induriti. L’armadietto a sinistra attirò la mia attenzione. Mi avvicinai e lo aprii senza indugio. Una fila di scatole di scarpe era allineata sul ripiano centrale. Scelsi quella di una nota marca di articoli sportivi. La scoperchiai: esultai alla vista delle scarpe da tennis. Io e mio cognato calzavamo lo stesso numero. Guardai nuovamente nell’armadietto: sulla scansia in alto era appoggiata una fila di buste di cellophane contenenti indumenti sportivi. Le svuotai una ad una sul pavimento fino a quando non trovai la tuta da ginnastica di Francesco.
L’umidità del mattino mi penetrava nelle ossa.
In prossimità del cancello della villa, saltellavo sulla sabbia con le braccia penzoloni per riscaldarmi, scrutando sulla battigia alla ricerca di Laura.
<<Volere è potere!>> risuonò di spalle la sua voce. Mi voltai.
<<Buongiorno>> la salutai.
<<Sei qui da molto?>>
Guardai l’orologio al polso.
<<Una ventina di minuti.>>
<<Se avessi saputo che m’aspettavi, avrei aumentato l’andatura.>>
<<Non preoccuparti.>>
Mi fissò i piedi.
<<Quelle non vanno bene>> fece fissando le scarpette da tennis che calzavo. <<Sono dure e hanno la pianta stretta. Per correre servono scarpe come queste>> Alzò il piede mostrandomi le sue. <<Leggere, con la pianta larga in modo che il peso del corpo sia ammortizzato interamente dal piede senza sforzo.>>
<<Allora non si corre?>>
<<Certo che corriamo, ma, appena puoi, compra delle scarpe adatte altrimenti ti infortunerai, garantito!>>
Iniziammo a riscaldarci. Afferrando una mano alla ringhiera, stringevamo l’altra mano al collo del piede, piegando la gamba all’interno in modo da toccare col tallone la natica. Restavamo in quella posizione per diversi secondi per poi fare lo stesso con l’altra gamba. Terminati gli esercizi, Laura si piantò al mio cospetto.
<<Unisci le gambe; flettiti sul busto senza piegare le ginocchia e cerca di toccarti con le mani le punta dei piedi come faccio io>>. Così dicendo s’inarcò sulle gambe tese, poggiando sul terreno i palmi delle mani. Restò in quella posizione per un tempo interminabile.
<<Adesso provaci tu>> fece rialzandosi.
Inarcai il busto, flettendo leggermente le ginocchia.
<<Se pieghi le ginocchia sbagli l’esercizio.>>
<<Non ci riesco>> gemetti. Il sangue mi andava alla testa.
<<Sei legato>> disse tastandomi le cosce: il tocco delle sue mani mi eccitò. Mi premette la mano sulla schiena perché mi flettessi meglio sul busto. Provai un dolore lancinante.
Corremmo una buona mezz’ora sul lungomare, parlando di noi.
Di tanto in tanto Laura interrompeva la conversazione, preoccupata delle mie condizioni fisiche.
<<Tutto bene?>> mi chiedeva premurosa.
<<Tutto ok!>> rispondevo strizzando l’occhio.
Al rientro, in giardino, dopo aver fatto gli esercizi di scarico, mi fece sdraiare con la schiena sulla panca, controllando che eseguissi correttamente gli addominali.
Feci la mia bella figura in quanto in palestra mi sottoponevo a massacranti serie di addominali per bruciare i grassi, reggendo un peso sull’addome.
<<Bravo>> si complimentò.
Toccò a lei.
Sollevandosi sul busto la tesa muscolatura delle cosce si delineò sotto la calzamaglia. Involontariamente posai lo sguardo al tessuto aderente sotto cui si delineava il pube. Il respiro le gonfiò il seno.
<<Stanca?>> feci cercando di nascondere il turbamento suscitatomi dalla sua femminilità.
<<Per niente>> disse alzandosi. <<Ci vendiamo domani alle sette?>> domandò sistemandosi ai fianchi l’elastico della tuta.
<<Perfetto!>> risposi.
Inaspettatamente, prima di andare via, mi baciò sulla guancia.
Uscito dalla doccia, indossai l’accappatoio di spugna e rientrai in camera da letto. Aprii l’armadio per prendere i pantaloni. Lo specchio all’interno dell’anta rifletté la mia immagine. Accostai la faccia al vetro: qualche timida ruga solcava le estremità degli occhi. Slacciai la cinta dell’accappatoio, riflettendo il corpo nudo nello specchio. Indietreggiai di qualche passo per analizzarmi a figura intera nel vetro. Tutto sommato potevo ritenermi soddisfatto, non avevo il benché minimo accenno di pancia. Le gambe erano toniche. I pettorali definiti in modo giusto. I bicipiti manifestavano forza. Forse qualche eccesso di grasso ai fianchi …
<<Ma che sto facendo?>> pensai ad un tratto ad alta voce, provando vergogna di me stesso.
Con un colpo secco richiusi l’armadio. Mi stavo comportando alla stregua di quegli uomini che ogni giorno, mattina e sera, si mirano nello specchio terrorizzati dal pensiero di scorgere sul proprio corpo i segni del tempo. Era la prima volta che mi comportavo in quel modo ridicolo. Proprio io che non perdevo occasione di replicare a chi si lamentava del passare degli anni: <<Le uniche certezze della vita sono il passato e la morte. Tutto il resto è solo speranza e mistero!>>
La mia passione per i miti virgiliani risaliva all’epoca del liceo. Tra i tanti episodi delle gesta di Enea prediligevo l’incontro tra l’eroe latino e la sibilla cumana. Cuma distava pochi chilometri da Bacoli. La giornata tersa, riscaldata da un tiepido sole, mi invogliò a visitare l’Acropoli.
Risalivo il viale che conduceva agli scavi, attorniato da una calca di ragazzini festosi in gita scolastica. In prossimità dell’ampia sala d’ingresso scavata nel tufo della collina su cui gli antichi avevano edificato il sacro sito, levai lo sguardo alla cima del monte. La fitta vegetazione ammantava le pendici, nascondendo agli sguardi i resti del tempio di Giove eretto sull’apice. Entrando nell’ampia sala di tufo che come un limbo separava la biglietteria dal sito archeologico, osservai i piccoli loculi scavati nelle pareti dove anticamente alloggiavano le lucerne. Non appena fui nel parco, mi accostai alla ringhiera alla mia destra e mi affacciai nel canalone sottostante da dove proveniva l’eco dei colombi annidati nelle spaccature della rupe. Sotto di me si apriva uno slargo dove un ingresso scavato nella pietra conduceva nella città sotterranea. Ammirando quel suggestivo scenario, la fantasia cominciò a galoppare: mi domandai se il complesso archeologico non fosse opera dei Cimmeri, il misterioso popolo delle tenebre, per dar vita ai loro rituali sacri. E solo dopo l’avvento dei colonizzatori greci e successivamente dei romani aveva assunto i connotati attuali con i resti dei templi di Apollo e di Giove. Dubbioso mi incamminai verso il viale alberato che rasentava il margine della collina delimitato da una lunga staccionata in ferro. Al di sotto della terrazza la fitta vegetazione della foresta di Cuma si estendeva fino ai margini della spiaggia del Fusaro. All’orizzonte, ammantata da una sottile foschia, Ischia appariva come una misteriosa signora col velo calato sul viso per nascondersi agli sguardi degli uomini.
Contemplai il suggestivo panorama quasi fossi rapito in mistica ebbrezza: non c’era da stupirsi se gli antichi avessero scelto quel luogo per onorare gli dei e se Virgilio vi avesse fatto sbarcare Enea, gettando i semi della civiltà romana. Pochi siti al mondo suscitavano malie tanto intense nella fantasia degli uomini come quel luogo la cui eterna instabilità del sottosuolo, battezzata bradisismo, caratterizzata dal periodico innalzamento e abbassamento del suolo, lo accomunava simbolicamente alla vita con i suoi alti e bassi. I periodici sommovimenti della terra, unitamente alle esalazioni dei gas che dal suolo si libravano nell’aria alterando i sensi, agli sguardi degli antichi dovettero apparire come manifestazione di una volontà suprema che aveva prescelto quel luogo per manifestarsi e comunicare con gli uomini. Da qui la scelta di edificare il sito in onore del Nume.
Fissai le pigre onde del mare svolgersi sulla spiaggia. Respirai profondamente. Senza indugio mi diressi all’antro della sibilla imboccando l’oscuro corridoio che trafiggeva la collina alle mie spalle.
Man mano che avanzavo nelle tenebre accompagnato dall’eco dei miei passi, osservando la forma del corridoio che ricordava vagamente una vagina, ebbi la sensazione di inoltrarmi nell’intimità della terra. Avanzando in quel grembo tufaceo, più volte fui colto dalla sensazione che occhi invisibili mi spiassero. Attraverso gli enormi squarci laterali intagliati sul fianco dell’antro, fasci di luce provenienti dall’esterno laceravano il buio, proiettando la mia ombra sulla parete opposta. Timoroso avanzai incontro all’ignoto fino a quando non giunsi nella sala della sibilla. Il moncone di pilastro templare posto dinanzi al tabernacolo dove la pitonessa vaticinava, accresceva di mistero l’atmosfera.
Dai meandri della memoria mi sovvenne alla mente la storia della sibilla cumana: la sibilla era una splendida fanciulla. Affascinato dalla sua bellezza Apollo, pur di averla come sacerdotessa, la tentò in ogni modo, offrendosi di esaudirne qualunque desiderio. La donna raccolse una manciata di sabbia e chiese di vivere tanti anni quanti fossero i granelli di sabbia racchiusi nel pugno. Ma dimenticò di chiedere anche il dono dell’eterna giovinezza. Il dio l’accontentò. Con lo scorrere del tempo, la sibilla scoprì d’essere caduta vittima della propria vanità e del cinismo del nume: il suo aspetto si ridusse sempre di più a quello di una larva fino a scomparire, restando percepibile solo la voce. A quel punto il dio le promise di farla restare eternamente giovane a patto che lei avesse giaciuto con lui. Pur di non perdere la propria purezza, la sibilla rifiutò. Ecco il motivo per cui, ancora oggi, c’è chi sostiene che è possibile ascoltarne la voce.
In quell’attimo una voce di donna sorse dal nulla, sussurrandomi: <<L’entusiasmo è il motore della vita. Chi soffoca l’entusiasmo uccide se stesso. Ogni uomo è un dio in embrione che solo vivendo ha modo di manifestare la propria grandezza!>>
Istintivamente mi guardai intorno alla ricerca di Laura. Intorno a me solo silenzio e oscurità. La sibilla aveva vaticinato. Era compito mio penetrare il senso delle sue parole. […]
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