“Tornate in chiesa, anche senza andare a messa. “Come ha ragione Marcello Veneziani con questo suo articolo su chi non frequenta più la Chiesa, per i motivi più diversi.

Da quanto tempo non entrate in una chiesa? Da tanto tempo, risponderà gran parte della gente. Lo chiedo in una domenica di fine luglio, una di quelle domeniche d’estate prese da tutt’altre mete e da tutt’altri intenti. Ad andare in chiesa sono ormai in pochi, a partecipare alle messe, anche solo festive, solo una sparuta minoranza. Inutile ripetere il rosario delle motivazioni: ateismo pratico, secolarizzazione galoppante, indifferenza, apatia religiosa, dubbi e poi fretta, distrazione, mondanità e apparenza. Si potrebbe continuare, ripetendo cose risapute, sfondando porte aperte e sbarrando portoni ormai serrati.
Invece, per una volta, proviamo a pensare in altro modo, a immaginare diversamente, e tradurla sul piano pratico, in modo inatteso. E se ci affacciassimo ugualmente in chiesa, pur con tutti i dubbi, la lontananza e l’estraneità, la diffidenza e l’antipatia per i preti? Dico non a messa la domenica, non dal prete, non chiedo tanto; e nemmeno per curiosità turistica ed estetica, come visitatori che vogliono vedere un’opera d’arte, un mosaico o un altare. Ma se tornassimo a uno a uno, a ripopolare le chiese desolate, per brevi ma non sporadiche pause di riflessione? Quante pause ci prendiamo durante il giorno, per il caffè al bar, per il fumo, per i social, per le telefonate; perché non prevedere una pausa senza oggetto, in un luogo che fa pensare? Non è una proposta oscena, non vuol profanare e nemmeno pretende di convertire; vuole aprire la mente, ritrovare un’atmosfera, depurare le passioni e rianimare le chiese, così desolate.
Consideriamo per una volta la chiesa non solo come la Casa del Signore, o il luogo santo e materno di cui dicono il Papa, i sacerdoti, la catechesi. Come sarebbe sacrosanto. Ma come luogo di raccoglimento, al riparo dai rumori e dai consumi, calmo e silente, in cui mettere a tacere anche lo smartphone, senza schermi, senza consumi né pubblicità. Un luogo di ristoro della mente e dell’anima, di interruzione del flusso temporale, di separazione dal profano scorrere del mondo e della gente (del resto, il sacro, come il tempio, vuol dire ciò che è separato). Un luogo per concentrarsi, per farsi domande e darsi risposte, evitando lo psicanalista o i farmaci. E per sentirsi immersi in un’atmosfera insolita, venata di mistero e di lontananza. Un luogo che ha una lunga storia, in cui smaltire i rancori, in cui ripetersi che l’odio fa male, innanzitutto a chi odia. E forzarsi alla serenità.
E’ follia immaginare che nel corso della giornata, in pieno centro, in mezzo ai negotia mundi, ci ritagliamo una breve fetta di solitudine pensante, di visione calma, di salto nel tempo, non dirò nell’eterno ma in un altro tempo, o meglio in un’altra scansione del tempo, un’altra direzione? Pensate che non faccia bene una pausa del genere? Pensate che non rischiari la mente e non aiuti a controllare le passioni, la rabbia, l’odio, l’ansia? Forse non sarà contento il parroco, e nemmeno il Papa, che si possa fare un “uso” laico, non confessionale, non devoto della Casa del Signore, senza passare dalla loro mediazione. Si, quella è la via giusta, ma a un popolo svogliato e refrattario, che gira al largo dalle chiese e guarda dalla parte opposta, sarebbe già una gran cosa suscitare un’insolita attenzione per un modo diverso di vedere, di sentire, di essere al mondo. Ma è poi molto diverso rispetto agli usi profani della Chiesa, ridotta nella migliore delle ipotesi a rifugio, mensa e accampamento per i senzatetto e nella peggiore a sala convegni, manifestazioni musicali, ostello o addirittura ristorante, una volta sconsacrata, perché ormai deserta e disertata? Se è diverso, lo è in meglio. Pensate che non sia quello un uso propriamente religioso della chiesa, aiutare gli uomini a ritrovare la propria interiorità, il rapporto profondo col mondo circostante, col prossimo, il rispetto del silenzio, della calma, della meditazione, dell’attenzione e della preghiera? Non è fede né rito, eucaristia o liturgia; semmai, agli occhi di un devoto o di un sacerdote, può essere ciò che li precede, ne predispone il terreno favorevole. Comunque meglio che il nulla. Sarebbe bello vedere le chiese rianimarsi, aprirsi ai viandanti indaffarati che cercano e magari ritrovano senso, mistero e rispetto della vita. Per ridimensionare ciò che fuori costa tanto ma vale poco, per depurarsi dai rancori e dai furori.
Certo, il credente dirà che in chiesa si va per incontrare Dio, per adorare Lui e venerare i santi, per pregare, partecipare alla messa, confessarsi e farsi la comunione, o per battezzarsi, cresimarsi, sposarsi e benedire i defunti. Ma non sarebbe improprio né banale concepire la chiesa come luogo per respirare con la mente e il cuore, per disintossicarsi dalla vita profana, per essere più veri, più aperti al senso della vita. Come luogo in cui sentire dopo tanto tempo quella carezza che un tempo chiamavamo spirituale. Siamo analfabeti spirituali, occorre una prima, elementare iniziazione…
Poi, chissà, in loco potrà sorgere il “gusto” di pregare, di accodarsi a un rito, di prendere a frequentare una parrocchia, di parlare col prete o coi devoti. Ma non sto pensando che quello debba essere l’esito inevitabile. Fa bene già solo così. Fa bene a chi entra, fa bene a chi vede entrare, fa bene a chi sta dentro, alla Chiesa stessa che torna vivente, non imbalsamata, presente e non passata, dove non si finge culto e devozione ma si è più disarmati e veri. Magari solo per passare un quarto d’ora di verità, al posto del famoso e penoso quarto d’ora di celebrità.

MV   

Che sarà mai la nostra anima? Wislawa Szymborska prova a raccontarcela…

Ma la nostra anima com’è? Così ce la descrive Wisława Szymborska

Una delle domande su cui spesso non abbiamo tempo di fermarci a riflettere – e in realtà, anche avendo tempo, non abbiamo modo di procurarci grandi risposte – è proprio questa: come sarà mai la nostra anima?
Wislawa Szymborska ha provato a raccontarcela in questa bellissima poesia, scritta con un linguaggio semplice e diretto , ricca, tuttavia di spunti su cui riflettere su cosa sia l’anima.E tutto questo è tipico di questa poetessa polacca, Premio Nobel per la letteratura, che sa sempre toccare temi semplici o meno abbordabili con un linguaggio quotidiano,facile, ilare e ironico, o serio ,di comprensione immediata. La quotidianità di fatti, ed emozioni sono la sua poesia.

Qualche parola sull’anima
L’anima la si ha ogni tanto.
Nessuno la ha di continuo
e per sempre.

Giorno dopo giorno,
anno dopo anno
possono passare senza di lei.

A volte
nidifica un po’ più a lungo
solo in estasi e paure dell’infanzia.
A volte solo nello stupore
dell’essere vecchi.

Di rado ci dà una mano
in occupazioni faticose,
come spostare mobili,
portare valigie
o percorrere le strade con scarpe strette.

Quando si compilano moduli
e si trita la carne
di regola ha il suo giorno libero.

Su mille nostre conversazioni
partecipa a una,
e anche questo non necessariamente,
poiché preferisce il silenzio.

Quando il corpo comincia a dolerci e dolerci,
smonta di turno alla chetichella.

È schifiltosa:
non le piace vederci nella folla,
il nostro lottare per un vantaggio qualunque
e lo strepito degli affari la disgustano.

Gioia e tristezza
non sono per lei due sentimenti diversi.
E’ presente accanto a noi
solo quando essi sono uniti.

Possiamo contare su di lei
quando non siamo sicuri di niente
e curiosi di tutto.

Tra gli oggetti materiali
le piacciono gli orologi a pendolo
e gli specchi, che lavorano con zelo
anche quando nessun

Non dice da dove viene
e quando sparirà di nuovo,
ma aspetta chiaramente simili domande.

Si direbbe che
così come lei a noi,
anche noi
siamo necessari a lei per qualcosa.

Sentir parlare di poesie sull’anima può far pensare a qualcosa di tremendo, a metà tra lo sdolcinato e l’esoterico, invece io credo che qui ci sia tutt’altro: una lucidissima raffigurazione di quello che possiamo capire, con gli strumenti che abbiamo, di quella parte di noi che ci portiamo dietro a volte senza accorgercene.

Rene-Magritte-The-victory

La quasi perfezione…

Quando il buio dona lucentezza ai difetti
Quando la pelle è percorsa da un brivido ghiacciato
Quando le lingue degli amanti leccano le anime impaurite
E l’adrenalina della notte sveglia i sensi
Quei sensi nascosti che implorano attenzione.. Evasione.
Quando un batter di ciglia riesce a toccare il cuore
Quando il sudore inebria i corpi di passione
E la mente riesce a mutare le paure
Padroneggiano le timide sensazioni
Le emozioni fioriscono
Leggiadramente
Si sfiora la perfezione.

(Emanuele Zarba)

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I pensieri che sfuggono…

 

 I miei pensieri senza controllo.

 

 A volta si guardava dentro e, con un pizzico di orgoglio riconosceva  come continuasse ad essere capace a superare i tanti sconforti per continuare a mantenere la sua dignità di donna, la sua voglia di essere speciale.  Le difficoltà non riuscivano a colpire la sua anima. Lei aveva chiuso in un angolo del suo cuore tutte le sue rabbie, i suoi rancori, le macerie delle false amicizie finite, le bugie che non aveva mai accettato .Senza nutrimento sperava che  si sarebbe atrofizzata quella sua parte  di cui non era orgogliosa, mentre lei dedicava tutta se stessa a coltivare la bontà e l’amore che avevano sempre riempito la sua vita. E nonostante tutto c’erano giorni in cui  le mancanze si facevano vive, forse stati d’animo particolari, forse perchè a  certe assenze non ci si abitua mai. E le tornavano in menti, volti, voci lontane a cui guardava, a i quali non sarebbe stata più capace di stringere la mano, ma allo stesso tempo non riusciva a mandarli via dai suoi pensieri. Capiva allora che anche quella parte anomala del suo cuore avrebbe continuato a vivere con lei.Era una donna forte, ma non fatta per le convenienze e le circostanze ,di fronte alle quali diventava fragile, tuttavia senza paura di mostrarsi vera nella sua libertà di scegliere. Era una lotta dura da vivere, giorno dopo giorno in lei, in quel cuore che allo stesso tempo amava , odiava e non riusciva a perdonare.