Le relazioni umane, necessarie per vivere,ci fanno anche soffrire,ma ci riempiono di quello che siamo…

 

Noi esseri umani siamo per natura animali sociali. Abbiamo bisogno della relazione per vivere, dei legami che instauriamo, giorno dopo giorno, con chi ci circonda. Amore, amicizia, parentela… se non avessimo i nostri cari intorno, nulla sarebbe uguale. A volte, però, i rapporti si perdono, si rompono, vanno sfaldandosi nelle pieghe del tempo. La poesia di Gabriel García Márquez, intitolataPerderai molte persone, parla proprio di questo.

Perderai molte persone
nel tuo cammino.
Certe lentamente, senza accorgertene.
Una telefonata in meno, un messaggio dimenticato.
Altre per scelta, tua o non tua.
Alcune però ti rimarranno addosso.
Basterà una foto dimenticata
tra un libro,
una canzone alla radio ed ecco che te ne ricorderai.
Sorriderai.
Magari ti chiederai come stanno
affrontando le loro battaglie.
Se sono felici. E … forse
ti commuoverai pensando
a come le avete affrontate voi
insieme le battaglie.
Poserai la foto, spegnerai la radio
e di nuovo continuerai la tua giornata cercando di scrollarti
di dosso quella sensazione di aver perso … insieme a loro almeno un po’ di te.

La vita, rappresentata attraverso la metafora del cammino, presenta per sua natura cambiamenti e deviazioni.Le persone che incontriamo spesso non rimangono accanto a noi per l’intera durata del nostro percorso.. Per questo non vuol dire che queste siano meno rilevanti di altre: coloro i quali incontriamo lungo il percorso, spesso, ci plasmano, infondendo dentro di noi pezzi di loro. Attraverso il rapporto con l’altro cresciamo, cambiamo,e si crea un legame quasi indissolubile,anche se ci sono periodi di assoluta dimenticanza . Così accade, senza che ce ne accorgiamo, che il ricordo salti fuori per caso o fatalità, e con esso la malinconia, la dolcezza, o anche la rabbia, di ciò che è stato e non ritornerà.Ci chiederemo come stiano, cosa staranno facendo in quest’istante, se magari qualche volta pensino a noi… Poi la vita continuerà come se nulla fosse accaduto. O quasi, perché come loro hanno lasciato un pezzo di sé in noi, noi abbiamo infuso un pezzo di noi in loro. Abbiamo guadagnato e perso, tutti.

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Fonte_Libreriamo                                                                                                          

La rabbia___Poesia di Pier Paolo Pasolini-

 

Esiste l’odio ,esiste la rabbia; sono emozioni , sentire violenti che entrano in noi e ci trasportano quasi in un altro luogo dove ,a volte,si possono vivere impulsi e brutalità, non sempre accompagnati  dal nostro raziocinio. Quando agiamo,scatenati dall’ira , spesso poi ci pentiamo.Nei lontani tempi passati, credo che gli uomini fossero meno presi da questi scatti di ira. La quotidianità sempre uguale li rendeva assuefatti alle loro condizioni di vita, meno esposti a risentimenti, invidie. Ognuno accettava la sua condizione fin dalla nascita, pochissime le persone che vivevano molto bene, e questo era nella logica dei fatti. Oggi, esposti come siamo alla continua comunicazione, che ci arriva da ogni parte, sono poche le persone che vivono ancora nel più completo isolamento dell’analfabetismo, per cui siamo tutti esposti quotidianamente alle ingiustizie del mondo evidenziate dalla politica,dalla cronaca che ogni giorno si intrufolano nelle nostre vite. Pensiamo al recente attentato a Donald Trump, a quanto la violenza sia ormai normalizzata nel nostro mondo. Pensiamo al gossip, che ci mostra ogni giorno la dolce vita di chi nuota nella ricchezza, incurante delle miserie altrui. Non mi ha stupito imbattermi oggi in una poesia sulla rabbia, scritta da uno dei più considerati intellettuali , scrittori, poeti e uomini di cinema del secolo scorso, Pier Paolo Pasolini.

L’autore, che unisce il piano ideologico a una dimensione più intima e autobiografica, cerca in se stesso le emozioni ,mettendone in luce le contraddizioni, che sono anche le nostre, e descrive l’emozione della rabbia, avvertita come un piccolo demone che avvelena l’anima.
Quando si è arrabbiati non si riesce a focalizzare altro: una delle emozioni più fisiche e potenti, che si irradia dalle viscere e ci fa diventare altro da noi, se non siamo in grado di governarla. Trasformiamo allora la rabbia in una fisicità prorompente: l’accecamento, l’incendio, la pancia… In una parola, un impulso ingovernabile,che ha bisogno di trasformarsi in azione, di scatenarsi al di fuori di noi per liberarci. Può una tale emozione diventare poesia? Si, ed anche  una poesia bella, intrigante, vera.. Infatti in questi versi Pasolini la fa vivere nel giardino “speciale” di sua madre, come un demonio che lo distrugge.

La rabbia –
Vado sulla porta del giardino, un piccolo
infossato cunicolo di pietra al piano
terra, contro il suburbano
orto, rimasto li dai giorni di Mameli,
coi suoi pini, le sue rose, i suoi radicchi.

Intorno, dietro questo paradiso di paesana
tranquillità, compaiono,
le facciate gialle dei grattacieli
fascisti, degli ultimi cantieri:
e sotto, oltre spessi lastroni di vetro,
c’è una rimessa, sepolcrale. Sonnecchia,
al bel sole, un po’ freddo, il grande orto
con la casetta in mezzo ottocentesca,
candida, dove Mameli è morto,
e un merlo cantando, trama la sua tresca.

Questo mio povero giardino, tutto
di pietra… Ma ho comprato un oleandro
nuovo orgoglio di mia madre
e vasi di ogni specie di fiori,
e anche un fraticello di legno, un putto
obbediente e roseo, un po’ malandro,
trovato a Porta Portese, andando
a cercare mobili per la nuova casa. Colori,
pochi, la stagione è così acerba: ori
leggeri di luce, e verdi, tutti i verdi…

Solo un po’ di rosso, torvo e splendido,
seminascosto, amaro, senza gioia:
una rosa. Pende umile
sul ramo adolescente, come a una feritoia,
timido avanzo d’un paradiso in frantumi…
Da vicino, è ancora più dimessa, pare
una povera cosa indifesa e nuda,
una pura attitudine
della natura, che si trova all’aria, al sole,
viva, ma di una vita che la illude,
e la umilia, che la fa quasi vergognare
d’essere così rude
nella sua estrema tenerezza di fiore.
Mi avvicino più ancora, mi sento l’odore…

Ah, gridare è poco, ed è poco tacere:
niente può esprimere una esistenza intera!
Rinuncio a ogni atto… So soltanto
che in questa rosa resto a respirare,
in un solo misero istante,
l’odore della mia vita: l’odore di mia madre…
Perché non reagisco, perché non tremo
di gioia, o godo di qualche pura angoscia?
Perché non so riconoscere
questo antico nodo della mia esistenza?
Lo so: perché in me è ormai chiuso il demone
della rabbia. Un piccolo, sordo, fosco;
sentimento che m’intossica
esaurimento, dicono, febbrile impazienza
dei nervi: ma non ne è libera più la coscienza.

Il dolore che da me a poco a poco mi aliena,
se io mi arrabbio appena,
si stacca da me, vortica per conto suo,
mi pulsa disordinato alle tempie,
mi riempie il cuore di pus,
non sono più padrone del mio tempo…
Niente avrebbe potuto, una volta, vincermi.
Ero chiuso nella mia vita come nel ventre
materno, in quest’ ardente
odore di umile rosa bagnata.

Ma lottavo per uscirne, là nella provincia
campestre, ventenne poeta, sempre, sempre
a soffrire disperatamente,
disperatamente a gioire… La lotta è terminata
con la vittoria. La mia esistenza privata
non è più racchiusa tra i petali d’una rosa,
una casa, una madre, una passione affannosa.
È pubblica. Ma anche il mondo che m’era ignoto
mi si è accostato, familiare,
si è fatto conoscere, e, a poco a poco,
mi si è imposto, necessario, brutale.
Non posso ora fingere di non saperlo:
o di non sapere come esso mi vuole.

Che specie di amore
conti in questo rapporto, che intese infami.
Non brucia una fiamma in questo inferno
di aridità, e questo arido furore
che impedisce al mio cuore
di reagire a un profumo, è un rottame
della passione… A quasi quarant’anni,
io mi trovo alla rabbia, come un giovane
che di sé non sa altro che è nuovo,
e si accanisce contro il vecchio mondo.
E, come un giovane, senza pietà
o pudore, io non nascondo
questo mio stato: non avrò pace, mai.

Pier Paolo Pasolini

 

la rabbia

Una notte d’estate e la poesia di Antonio Machado.

Notte d’estate (Noche de Verano) di Antonio Machado è una poesia che mette in scena la solitudine e il vuoto del poeta proiettati sul paesaggio di un vecchio villaggio durante una notte estiva.

Notte d’estate
È una bella notte d’estate
Tengono le alte case
aperti i balconi
del vecchio paese sulla vasta piazza
Nell’ampio rettangolo deserto,
panchine di pietra, evonimi ed acacie
simmetrici disegnano
le nere ombre sulla bianca arena.
Allo zenit la luna, e sulla torre
la sfera dell’orologio illuminata.
Io in questo vecchio paese a passeggiare
solo come un fantasma.

Noche de verano, (testo originale)

Es una hermosa noche de verano.
Tienen las altas casas
abiertos los balcones
del viejo pueblo a la anchurosa plaza.
En el amplio rectángulo desierto,
bancos de piedra, evónimos y acacias
simétricos dibujan
sus negras sombras en la arena blanca.
En el cenit, la luna, y en la torre,
la esfera del reloj iluminada.
Yo en este viejo pueblo paseando
solo, como un fantasma.

Antonio Machado

Il caldo di una notte d’estate, i climatizzatori che non facevano ancora sentire il loro rumore notturno, i balconi delle case ai piani alti, per far entrare la frescura della notte.
Tutto questo creava comunità, appartenenza, identità collettiva .Questo paesaggio risveglia il senso di solitudine di chi lo vive , come Antonio Machado,espressione di un malessere esistenziale per una perdita recente , oppure ,chi lo ricorda può ritrovarvi luoghi antichi, sommessi momenti di piacevole solitudine in periodi giovanili, quando le notti semplici e silenziose facevano da sfondo a sogni e desideri. Chi non ha avuto momenti come questi, che ripensati ad anni di distanza non ci vedano ,come il fantasma di Machado, aggirarsi tra tutto quello che non c’è più ed è stato , per noi, tantissimo? E l’orologio della torre ci  fa scorrere ,proprio  davanti agli occhi, il film della vita che scorre e di quello che è stata la nostra esistenza.

borgo estivo

I talenti non vanno dimenticati, speriamo che qualcuno ricordi “un poeta”.

A luglio ricorre il centenario della nascita di Tito Balestra, artista e poeta delicato di versi mai troppo noti, nonostante sia stato un personaggio di spicco nel mondo letterario della prima metà del novecento , amico e frequentatore di molte celebrità della cultura, dell’ arte, del cinema di quel periodo. Molto amico di Tonino Guerra,  col quale trascorse la giovinezza, il quale fu il primo ,forse ,a riconoscere il valore letterario di Tito. Vi racconto questo episodio :

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A Longiano vive un poeta che si chiama Tito Balestra che è amico di un altro poeta che si chiama Tonino Guerra, che è di Santarcangelo. Vanno al mare in bicicletta, mangiano il cocomero, scrivono poesie. Poi arriva la guerra, Tonino si nasconde ma viene scoperto e deportato in Germania. Tito resta in Romagna, partecipa alla Resistenza aiutando partigiani e Alleati. Poi torna la pace, si trasferisce a Roma e conosce Anna. Per lei scrive una poesia che finirà in una raccolta da un titolo bellissimo: ‘Se hai una montagna di neve tienila all’ombra’. È la poesia d’amore migliore di tutto il ‘900, dice Tonino quando la legge per la prima volta. E ha ragione.

Anna ho comperato un pezzo di terra
ho un cavallo, una frusta e sollevo la polvere
e chiamo il vicino e gli tocco la spalla
oppure un altro, un sogno piu piccolo,
io e te insieme abbiamo una stanza
e abbiamo vetri contro il vento e la pioggia
e un cuscino un po’ grande che basta per due
guardami in faccia ho gli occhi castani.

21 Marzo, inizio di Primavera, giornata dedicata alla poesia.

 

In questa poesia la donna di Neruda è un’anonima donna amata,  ed egli elogia  l’effetto positivo , la cui sola presenza nella sua vita esprime il sentimento di amore sconvolgente che ha suscitato in lui. Già nei primi versi la descrive coi segni naturali della  primavera, e parla di lei come la bella stagione.
Un apprezzamento verso l’amata che è anche una celebrazione del valore di rinascita e di vita intrinseco nella primavera stessa, con un invito diretto a “farsi primavera”, quasi un auspicio a dedicarsi all’amore, senza più paure e incertezze.
Celebri i versi finali con cui si conclude questa dolce poesia scritta dal poeta cileno Pablo Neruda: “Voglio fare con te / ciò che la primavera fa con i ciliegi“. Una dichiarazione d’amore tenera ed esplicita, che esprime la volontà di dedicare la propria vita all’amata, a “fiorire” insieme come in Primavera.

Questa poesia è la mia scelta per l’inizio della Primavera e per la giornata dei versi poetici, che si celebra oggi.

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“Giochi ogni giorno”

Giochi ogni giorno con la luce dell’universo.
Sottile visitatrice, giungi nel fiore e nell’acqua.
Sei più di questa bianca testolina che stringo
come un grappolo tra le mie mani ogni giorno.

A nessuno rassomigli da che ti amo.
Lasciami stenderti tra le ghirlande gialle.
chi scrive il tuo nome a lettere di fumo tra le stelle del sud?
Ah lascia che ricordi come eri allora, quando ancora non esistevi.

Improvvisamente il vento ulula e sbatte la mia finestra chiusa.
Il cielo è una rete colma di pesci cupi.
Qui vengono a finire i venti, tutti.
La pioggia si denuda.

Passano fuggendo gli uccelli.
Il vento. Il vento.
Io posso lottare solamente contro la forza degli uomini.
Il temporale solleva in turbine foglie oscure
e scioglie tutte le barche che iersera s’ancorarono al cielo.

Tu sei qui. Ah tu non fuggi.
Tu mi risponderai fino all’ultimo grido.
Raggomitolati al mio fianco come se avessi paura.
Tuttavia qualche volta corse un’ombra strana nei tuoi occhi.

Ora, anche ora, piccola mi rechi caprifogli,
ed hai persino i seni profumati.
Mentre il vento triste galoppa uccidendo farfalle
io ti amo, e la mia gioia morde la tua bocca di susina.

Quanto ti sarà costato abituarti a me,
alla mia anima sola e selvaggia, al mio nome che tutti allontanano.
Abbiamo visto ardere tante volte l’astro baciandoci gli occhi
e sulle nostre teste ergersi i crepuscoli in ventagli giranti.

Le mie parole piovvero su di te accarezzandoti.
Ho amato da tempo il tuo corpo di madreperla soleggiata.
Ti credo persino padrona dell’universo.
Ti porterò dalle montagne fiori allegri, copihues,
nocciole oscure, e ceste silvestri di baci.
Voglio fare con te
ciò che la primavera fa con i ciliegi.

Pablo Neruda

 

Tenerezza. Una poesia stupenda di Vinicius de Moraes

 

Io ti chiedo perdono di amarti all’improvviso
Benché il mio amore sia una vecchia canzone alle tue orecchie,
Delle ore passate all’ombra dei tuoi gesti
Bevendo nella tua bocca il profumo dei sorrisi
Delle notti che vissi ninnato
Dalla grazia ineffabile dei tuoi passi eternamente in fuga
Porto la dolcezza di coloro che accettano malinconicamente.
E posso dirti che il grande affetto che ti lascio
Non porta l’esasperazione delle lacrime ne il fascino delle promesse
Ne le misteriose parole dei veli dell’anima…
È una calma, una dolcezza, un traboccare di carezze
E richiede solo che tu riposi quieta, molto quieta
E lasci che le mani ardenti della notte incontrino senza fatalità lo
sguardo estatico dell’aurora.

fiori rosa

 

Che sarà mai la nostra anima? Wislawa Szymborska prova a raccontarcela…

Ma la nostra anima com’è? Così ce la descrive Wisława Szymborska

Una delle domande su cui spesso non abbiamo tempo di fermarci a riflettere – e in realtà, anche avendo tempo, non abbiamo modo di procurarci grandi risposte – è proprio questa: come sarà mai la nostra anima?
Wislawa Szymborska ha provato a raccontarcela in questa bellissima poesia, scritta con un linguaggio semplice e diretto , ricca, tuttavia di spunti su cui riflettere su cosa sia l’anima.E tutto questo è tipico di questa poetessa polacca, Premio Nobel per la letteratura, che sa sempre toccare temi semplici o meno abbordabili con un linguaggio quotidiano,facile, ilare e ironico, o serio ,di comprensione immediata. La quotidianità di fatti, ed emozioni sono la sua poesia.

Qualche parola sull’anima
L’anima la si ha ogni tanto.
Nessuno la ha di continuo
e per sempre.

Giorno dopo giorno,
anno dopo anno
possono passare senza di lei.

A volte
nidifica un po’ più a lungo
solo in estasi e paure dell’infanzia.
A volte solo nello stupore
dell’essere vecchi.

Di rado ci dà una mano
in occupazioni faticose,
come spostare mobili,
portare valigie
o percorrere le strade con scarpe strette.

Quando si compilano moduli
e si trita la carne
di regola ha il suo giorno libero.

Su mille nostre conversazioni
partecipa a una,
e anche questo non necessariamente,
poiché preferisce il silenzio.

Quando il corpo comincia a dolerci e dolerci,
smonta di turno alla chetichella.

È schifiltosa:
non le piace vederci nella folla,
il nostro lottare per un vantaggio qualunque
e lo strepito degli affari la disgustano.

Gioia e tristezza
non sono per lei due sentimenti diversi.
E’ presente accanto a noi
solo quando essi sono uniti.

Possiamo contare su di lei
quando non siamo sicuri di niente
e curiosi di tutto.

Tra gli oggetti materiali
le piacciono gli orologi a pendolo
e gli specchi, che lavorano con zelo
anche quando nessun

Non dice da dove viene
e quando sparirà di nuovo,
ma aspetta chiaramente simili domande.

Si direbbe che
così come lei a noi,
anche noi
siamo necessari a lei per qualcosa.

Sentir parlare di poesie sull’anima può far pensare a qualcosa di tremendo, a metà tra lo sdolcinato e l’esoterico, invece io credo che qui ci sia tutt’altro: una lucidissima raffigurazione di quello che possiamo capire, con gli strumenti che abbiamo, di quella parte di noi che ci portiamo dietro a volte senza accorgercene.

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Pace non trovo…

Poeta, intellettuale, viaggiatore: in Francesco Petrarca troviamo l’animo europeo ante litteram. Il suo Canzoniere è uno scrigno di versi preziosi, ma questo sonetto riesce a trasmetterci subito il brivido della passione amorosa, quando questa ci travolge ed è più forte di ogni nostro sforzo e uccide la volontà di dire no.
Pace non trovo et non ò da far guerra è l’incipit del sonetto CXXXIV del Canzoniere . Esso rappresenta una riflessione relativa al dissidio interiore del poeta causato da Amore . Il poeta ce la racconta attraverso una serie di affermazioni paradossali e contraddittorie dove già il primo verso esprime questa condizione di incertezza: il poeta non trova la propria pace interiore, ma non ha mezzi per fare alcuna guerra.
Petrarca esprime direttamente alla donna amata, Laura, le ambiguità alle quali la passione l’ha costretto e per le quali non trova rimedio. E’ un meraviglioso canto d’amore, il perdersi consapevole nell’altro.

Pace non trovo, et non ò da far guerra,
e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio;
et volo sopra ‘l cielo, et giaccio in terra;
et nulla stringo, et tutto ‘l mondo abbraccio.
Tal m’à in pregion, che non m’apre né serra,
né per suo mi riten né scioglie il laccio;
et non m’ancide Amore, et non mi sferra;
né mi vuol vivo, né mi trae d’impaccio.
Veggio senza occhi, et non ò lingua et grido;
et bramo di perir, et cheggio aita;
et ò in odio me stesso, et amo altrui.
Pascomi di dolor, piangendo rido;
egualmente mi spiace morte et vita:
in questo stato son, donna, per voi.

 

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