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Post N° 562

Post n°562 pubblicato il 07 Marzo 2008 da MARIONeDAMIEL
 
Foto di MARIONeDAMIEL

Una donna che ammiro molto mi ha fatto dono di questo racconto di Verga; ne copio l'introduzione e un piccolo brano, ha per protagonista una donna. Donna d'altri tempi forse, ma da cui si odono tracimare sentimenti e sensazioni che molte donne hanno provato in tutti i tempi.....

Un tempo questa giornata serviva a ricordare alle donne le loro conquiste, le loro lotte; ora è scaduto un po' il significato e viene strumentalizzato da più parti.

Il mio augurio per tutte le donne è che possano essere libere di provare sentimenti ed emozioni, libere di realizzarsi, libere dal  dover abdicare al proprio cuore, libere di essere donne. E di non dover più lottare per essere ciò che scelgono di essere.  

Storia di una capinera.
Avevo visto una capinera chiusa in gabbia: era triste, malaticcia, timida, ci guardava con occhio spaventato; si rifugiava in un angolo della sua gabbia e allorchè udiva il canto allegro degli altri uccelletti che cinguettavano sul verde del prato o nell'azzurro del cielo, li seguiva con uno sguardo che avrebbe potuto dirsi pieno di lacrime. Ma non osava ribellarsi, non osava tentare di rompere il filo di ferro che la teneva carcerata, prigioniera. Eppure i suoi custodi le volevano bene, cari bambini che si trastullavano col suo dolore e le pagavano la sua malinconia con miche di pane e con parole gentili. La povera capinera cercava di rassegnarsi, la meschinella; non era cattiva; non voleva rimproverarli neanche col suo dolore, poichè tentava di beccare tristamente quel miglio e quelle miche di pane; ma non poteva inghiottirle.

Dopo due giorni chinò la testa sotto l'ala e l'indomani fu trovata stecchita nella sua prigione.

Era morta, povera capinera! Eppure il suo scodellino era pieno, era morta perchè in quel corpicino c'era qualche cosa che non si nutriva soltanto di miglio, e che soffriva qualche cosa oltre la fame e la sete.

Allorchè la madre dei due bimbi, innocenti e spietati carnefici del povero uccelletto, mi narrò la storia di un'infelice  di cui le mura del chiostro avevano imprigionato il corpo, e la superstizione e l'amore avevano torturato lo spirito: una di quelle intime storie che passano inosservate tutti i giorni, storia di un cuore tenero, timido, che aveva amato e pianto e pregato senza osare far scorgere le sue lacrime o far sentire la sua preghiera, che infine si era chiuso nel suo dolore ed era morto; io pensai alla povera capinera, che non cantava, che beccava tristemente il suo miglio, che aveva piegato la testolina sotto l'ala ed era morta.

Ecco perchè l'ho intitolata: Storia di una capinera.

"Se sapessi Marianna, se sapessi! Il mio peccataccio che ho fatto! Mio Dio! come avrò il coraggio di dirtelo? Non mi sgridare! ...a te, a te sola lo confesserò.. ma all'orecchio veh! e sommessamente.. Non mi guardate in viso! ...Abbracciami e ascolta... Ho ballato!... intendi? Ho ballato!........"

 

 

 
 
 
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SIBILLA ALERAMO

"Mi pareva strano, inconcepibile, che le persone colte dessero così poca importanza al problema sociale dell'amore. Non già che gli uomini non fossero preoccupati della donna; al contrario, questa pareva la preoccupazione principale o quasi. Poeti e romanzieri continuavano a rifare il duetto e il terzetto eterni, con complicazioni sentimentali e pervensioni sensuali. Nessuno però aveva saputo creare una grande figura di donna."

 

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