Tornare là dove stiamo bene, che , quasi tutti chiamano casa…

 

Non si torna mai per caso, perché per tornare devi conoscere la strada. Chi se ne va, spesso, non sa dove vuole arrivare, mentre chi torna lo sa, sa dove sta andando e perché. Si torna solo dove si sta bene, si torna da ciò che manca, si torna da chi non si riesce a dimenticare. Si torna se non si è potuti rimanere ,ma  anche se  non si può rinunciare  a ritrovarsi: come le onde, che troppo lontane dalla riva non ci sanno stare. E’ facile dire “chi ama resta”. Ma io dubito che sia sempre così, perché restare è un fermo immagine, è immobilità. Mentre la vita vera scorre, è quell’onda che scorre: a volte si deve andare. E allora a me piace chi torna. Perché tornare non solo è consapevolezza, è anche movimento: ha più vita dentro. E in fondo che importa. Che importa dove vai, se comunque poi torni qui? Che importa quanto aspetto se, ogni volta che torni, mi fai dimenticare che eri andato via? Io non voglio costringere nessuno a restare. Non voglio essere una  rete, non voglio trattenere… Preferisco essere riva, il luogo dove vale sempre la pena tornare. Perché non si può imbottigliare il mare, lo si può solo amare..

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Elogio del gabbiano solitario e antico…

 

L’altro giorno ero sulla riva del Tevere, ai bordi dell’isola tiberina, in quel punto in cui c’è un dislivello del fiume e si crea una cascata che trasmette energia impetuosa di vita. C’era vicino a me un gabbiano candido e snello, non come quei bestioni volanti e urlanti che vivono in città e s’ingrassano nutrendosi d’immondizia e di sontuosi rifiuti alimentari. Era sul bordo del fiume e ogni tanto pescava col suo agile becco pesci e larve che gli capitavano a tiro. Non strillava, come i suoi isterici congiunti, non faceva lo “sborone” come i tanti sguaiati e obesi colleghi coi loro gridi e sbattimenti d’ali minacciosi e spavaldi. Beccava con sobrietà e poi trangugiava allungando il collo e il becco. E dopo un breve volo digestivo tornava al punto di prima, contemplava in silenzio il fiume e ho immaginato che coltivasse una silenziosa nostalgia del mare, il suo habitat naturale, prima che lo stormo di famiglia traslocasse nella capitale.

Ho fantasticato che quel gabbiano in disparte fosse un cuore solitario e un’anima sensibile, legata al bel tempo andato, quando i gabbiani volavano sui mari, con giocosa innocenza, lontani dallo stress urbano, dal traffico e dalla presenza minacciosa, soprattutto di sera, di umani, automobili, cinghiali e topi, che si contendono il bendidio dei cassonetti e soprattutto di quelle  infelici buste di plastica coi rifiuti che ondeggiano al vento e sono facile preda della loro fame rapace. Dovete sapere che dopo Virginia Raggi, regina dello zoo romano, gli animali non hanno lasciato la città col nuovo sindaco piddino; ma l’abitano come prima più di prima, anche perché la lordura della città non è affatto cessata col cambio al Campidoglio e i rifiuti ammiccano a ogni angolo di strada invitandoli a uno street food sontuoso e permanente. Si temono i lupi nelle periferie romane e si aspetta solo l’invasione degli orsi a Roma, come nella fiaba di Dino Buzzati, e poi il bestiario è completo. Anzi sarebbe da programmare un loro trasferimento nella Capitale, soprattutto nelle ore notturne, per ristabilire la catena alimentale e per spaventare i molesti nottambuli della movida; dico gli umani che tra le bestie sanno essere i peggiori, a notte inoltrata.

A Roma, un clan di gabbiani rumorosi abita sul tetto di casa mia. E’ un continuo gridare e calpestare le tegole con zampe che sembrano scarponi anfibi. E uno sbattere continuo di prede carpite quando scendono a mensa per strada. Sono intrattabili, strillano in continuazione, si beccano, si fanno scenate. Soprattutto il pischello è venuto su nevrastenico. Vivere in città li ha stressati. I gabbiani che vivono sul mare sono sereni e leggiadri, si godono la vita, a sud si fanno pure la controra dopo pranzo. Roma corrompe anche loro. Erano il simbolo della libertà, invece stanno sempre qui, ai domiciliari, a litigare. In città sono contro natura. Sarebbe giusto sfrattarli, ma se lo dici ti accusano di essere zoofobo, di volere la sostituzione etnica con i più innocui piccioni. Gli animalisti vorrebbero riconoscere loro, lo ius soli, o ius tetti. Ma io preferisco quel gabbiano magro, composto, che mangia secondo natura e non si è fatto corrompere dal consumismo e dai cibi sofisticati in buste di plastica; quel gabbiano contemplativo e poetico, che ha nostalgia del mare, ti riconcilia con l’animale che amavi. Simbolo di libertà e di candore, di cieli limpidi e soleggiati, di voli felici e lontani, che poi la sera si perdevano in un misterioso altrove, per ritornare al mattino sui mari o inseguendo i pescherecci. Rivedi in lui il gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach, che incoraggia a spiccare il volo e a librarsi nel cielo, verso nuovi orizzonti. O la gabbianella di Luis Sepulveda a cui un gatto le insegnò a volare. Ripensi agli anni sessanta dove c’erano gruppi musicali a loro dedicati, come Nico e i Gabbiani. Alla fine degli anni ottanta, dirigendo una rivista che si chiamava Pagine Libere, lanciai una campagna promozionale della rivista figurando quelle pagine libere come gabbiani dispiegati nel cielo, in segno di libertà, non conformismo, agilità e amore della luce e del mare. I gabbiani ricordano il mare dell’infanzia e della giovinezza, le traversate, i primi giri in barca con gli amici, in loro festosa compagnia.

Ora che vedevo a due passi da me quel gabbiano antico e solitario, che ama la vita di un tempo, mi sentivo come lui, antico e solitario, nostalgico fratello di quel tempo, di quelle acque, di quel mare vissuto in libertà, meglio se fuori stagione. Mi identificavo nel suo disagio rispetto al “branco” dei gabbiani inurbati e imborghesiti, ingrassati dal consumismo e avidi di porcherie in plastica. Un po’ come gli umani. E immedesimandomi in lui, nella sua solitudine e nel suo distacco dal rumore del mondo, mi pareva di vivere una versione meno tragica del passero solitario in cui si identificava Giacomo Leopardi. Come lui avvertivo “Primavera d’intorno brilla nell’aria”, “sí ch’a mirarla intenerisce il core”. E poi Leopardi proseguiva e mi pare di vedere il gabbiano: “tu pensoso in disparte il tutto miri; non compagni, non voli, non ti cal d’allegria, schivi gli spassi”. E poi il paragone: “Oimè, quanto somiglia al tuo costume il mio! german di giovinezza”. Viva gli uomini e i gabbiani fuori dal coro

Da Panorama__MV 

Perché oggi abbiamo così paura ad amare? Ci risponde il grande sociologo polacco con il libro “Amore liquido: sulla fragilità dei legami affettivi”.

 

Molti intellettuali si rifiutano oggi di parlare di amore, considerandolo un tema poco impegnativo, anche se in fondo interessa tutti pur nei modi più svariati, nonostante ognuno di noi non possa negare il bisogno di affetto profondo. Di recente sui Rai 3 Zigmund Bauman, in un documentario” La Teoria svedese dell’amore”, il teorico della società fluida, ha detto: “Non è vero che la felicità significhi una vita senza problemi. La vita felice viene dal superamento dei problemi, dal risolvere le difficoltà. Bisogna affrontare le sfide, fare del proprio meglio. Si raggiunge la felicità quando ci si rende conto di riuscire a controllare le sfide poste dal fato, ci si sente persi se aumentano le comodità” Perciò è necessaria la nostra capacità di combattere, di fare scelte, lottare per essere più vicini alla felicità, ma questa lotta non si può combattere da soli. Di qui il bisogno di accettare sempre l’amore perchè il segreto sta nel condividere la vita , nel rispetto della libertà completa dell’altro- libertà che è cosa ben diversa dalla indipendenza, la quale annulla la capacità di condivisione e ” porta a una vita vuota, priva di senso, e a una completa assoluta inimmaginabile noia”.

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L’arrogante invadenza di certa stampa….

 

Tra le tante parole che ho ascoltato ieri dalla voce di Giorgia Meloni mi ha colpito molto quando, riferendosi ai giovani, ha ricordato due diritti fondamentali la libertà e il libero arbitrio. Persino Dio ha dato all’uomo il libero arbitrio, la libertà di fare le proprie scelte di vita e culturali. Dio ,che ha creato l’uomo, a sua immagine e somiglianza, ha voluto persino permettere che una simile sua creatura potesse ribellarsi. Ora, con quale diritto certi uomini si permettono di imporre il proprio credo politico, o religioso proponendolo come unica verità possibile accettabile in modo tanto subdolo, cattivo, appigliandosi ad argomenti, che per renderli credibili, hanno bisogno di un trattamento che va addirittura a snaturare il pensiero altrui . La stampa ,i media in generale di oggi meriterebbero lo stesso insulto che il premier ha indirizzato sottovoce a Conte. Mi chiedo dove vogliano arrivare. Forse a salvaguardare il buongusto, il senso dell’educazione in quella gioventù che queste cose disconosce per principio e che non sono sicuramente i pensieri di sinistra o di destra a poterglieli insegnare, ma una famiglia e una scuola basate sul senso comune dei diritti e dei doveri dell’uomo in una società che sappia apprezzare le persone, ognuna nel proprio immenso valore di unicità. Per cui, chi ama la propria libertà di pensiero, incominci vedere e giudicare le cose per quello che sono e non per quello che ci dicono i giornali, dei quali possiamo fare anche a meno benissimo.

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Coloro che si amano davvero sono le persone più libere al mondo…

Gli amanti sono le persone più libere che ci siano al mondo
Per secoli ti è sempre stato insegnato
che gli innamorati si arrendono l’uno all’altra.
Questo è una totale assurdità.
Deve essere stato detto da gente
che non sapeva cosa fosse l’amore.
Gli amanti non si arrendono
mai l’uno all’altra,
ma semplicemente si arrendono all’amore.
È vero che perdono l’ego,
ma non per darlo all’altro.
Gli ego semplicemente evaporano.
Gli amanti non diventano dipendenti l’uno dall’altro,
non diventano l’uno lo schiavo dell’altro.
Al contrario,
l’amore dà libertà.
Gli amanti sono le persone più libere che ci siano al mondo.
E si aiutano reciprocamente a diventare sempre più liberi,
perché la libertà porta la gioia,
e l’incontro con la libertà ha una bellezza immensa.
Quando due amanti s’incontrano non attraverso un legame,
ma attraverso la libertà,
è una benedizione.

Osho

amanti

In un momento in cui il Covid è molto utile a chiunque abbia in mente la parola “dittatura”, confrontiamo alcuni pensieri illustri sull’argomento.

In Italia a fare la dittatura non è tanto il dittatore, quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere un padrone da servire. Lo diceva Mussolini: “Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?”.
INDRO MONTANELLI

“L’ignoranza è un’erba cattiva, che i dittatori possono coltivare tra i loro simili, ma che nessuna democrazia può permettere tra i propri cittadini.”
WILLIAM HENRY BEVERIDGE.

La dittatura, qualsiasi nome abbia, si fonda sulla dottrina che il singolo non conta nulla; che lo Stato è l’unico che conta; e che gli uomini e le donne e i bambini sono venuti sulla terra al solo scopo di servire lo Stato.
HARRY S.TRUMAN

In realtà, la vera essenza di una dittatura non sta nella regolarità, ma nell’imprevedibilità e nel capriccio; coloro che vivono sotto il suo tallone non debbono mai potersi rilassare, non debbono mai essere del tutto sicuri di aver rispettato correttamente, o meno, le regole (l’unica regola pratica è: tutto ciò che non è obbligatorio è proibito). Dunque i sudditi possono sempre essere scoperti in torto.
CHRISTOPHER  HITCHENS

Non c’è tirannia peggiore di quella esercitata all’ombra della legge e sotto il calore della giustizia.
MONTESQUIEU

Non appena qualcuno si rende conto che obbedire a leggi ingiuste è contrario alla dignità dell’uomo, nessuna tirannia può dominarlo.
MAHATMA GANDHI

L’accumulazione di tutti i poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario, nelle stesse mani, di uno solo o di tanti soggetti, ereditari, autonominati o elettivi, si può considerare effettivamente la definizione stessa di tirannia. JAMES MADISON

Lo Stato totalitario fa di tutto per controllare i pensieri e le emozioni dei propri sudditi in modo persino più completo di come ne controlla le  azioni .GEORGE ORWELL

Una multinazionale è più vicina al totalitarismo di qualunque altra istituzione umana.
NOAM COMSKY

Ci sarà in una delle prossime generazioni un metodo farmacologico per far amare alle persone la loro condizione di servi e quindi produrre dittature, come dire, senza lacrime; una sorta di campo di concentramento indolore per intere società in cui le persone saranno private di fatto delle loro libertà, ma ne saranno piuttosto felici.
ALDUS LEONARD  HUXLEY

 

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