Patrioti per un giorno…

E’ bello sentire Mario Draghi dire: i governi passano l’Italia resta. Come è stato bello sentire Sergio Mattarella replicare al ministro francese donna (non so più come chiamarle) che l’Italia sa badare a se stessa, non ha bisogno di badanti.
E’ bello vedere riaffiorare una traccia di amor patrio in due massime figure istituzionali che fino a ieri hanno rappresentato più i vincoli dell’Italia con l’Europa, la Nato, gli Stati Uniti, l’Economia globale che la dignità nazionale e la sovranità. Non dubito sulla loro buona fede e noto con un piccolo senso di soddisfazione che il voto popolare a favore della destra nazionale, della “patriota” Giorgia Meloni, a qualcosa intanto è servito. A far riparlare d’Italia in un paese che di solito tende a dimenticarsene o a oltraggiarla.
Poi, però ci viene qualche malizioso dubbio. Draghi quando diceva che i governi passano ma l’Italia resta, intendeva davvero riferirsi al suo governo al capolinea, oppure era un messaggio per il prossimo governo, e ai poteri che contano? Ovvero anche la Meloni passerà, mentre il Sistema-Paese che voi conoscete, resterà. Intendiamoci, l’affermazione non solo è comunque nobile e anche giusta, perché nessun governo conta più della nazione.
Si può però notare che Draghi non ha precisato “come” resta l’Italia: ovvero è l’Italia di sempre che resta, al palo, vincolata e subalterna all’Unione europea, alla Nato, all’Occidente e alla Finanza. Come dire: anche questa fiammata di patriottismo, questa febbre di novità, è destinata a passare, e poi si torna a casa, alla casa coloniale di sempre.
Così pure la nobile avvertenza di Mattarella sull’autonomia dell’Italia. Quando ha detto al Ministro francese Laurence Boone che si voleva intromettere nei fatti nostri e vigilare sulla nostra tenuta democratica cioè abortista, che l’Italia sa badare a se stessa, d’impulso avremmo voluto abbracciarlo, rispettosamente, senza effusioni. Finalmente ha difeso la dignità e la sovranità nazionale. Poi, ripensandoci a freddo, vengono alcuni dubbi, alcune obiezioni: ma è poi vero che l’Italia sa badare a se stessa? A giudicare dal presente ma anche dai secoli passati, i dubbi poi ti vengono. E sono dubbi che provengono non da un denigratore dell’Italia ma da un innamorato antico e ferito della propria patria. Sono stati molti più i secoli di asservimento dell’Italia che gli anni d’autonomia sovrana. Parentesi di indipendenza in un mare di invasioni, colonizzazioni, svendite allo straniero, sottomissioni, teocrazie papali.
Se il riferimento di Mattarella è al presente e alla storia recente della repubblica, le cose non cambiano, semmai peggiorano. Dal dopoguerra in poi l’Italia è stata una colonia, un satellite, una terra invasa e inginocchiata: ricordate in un corso accelerato la servitù verso gli Stati Uniti e la Nato, unita alla servitù ideologica e reale della maggiore opposizione interna alla Russia comunista. La nostra storia pesantemente condizionata da quelle presenze, quelle basi militari, quei servizi di spionaggio e controspionaggio, quei traffici, quelle ambasciate che fungevano da badanti. Ricorderete la battaglia persa sul piano economico con la progressiva colonizzazione dell’economia, la svendita del nostro patrimonio pubblico dal ’92 in poi. E prima, l’abdicazione del nostro ruolo di potenza tra computer, autonomia petrolifera ed energetica, scoperte e installazioni (do you remember Adriano Olivetti, Enrico Mattei, Felice Ippolito, e tanti altri pionieri dell’ingegno italiano?), via via cedute, boicottate, plagiate, fino a perdere la nostra primazia.
E la nostra politica estera, poi, con la cessione della Zona B a Tito l’infoibatore degli italiani, onorato come nostro amico; il silenzio davanti alla cacciata e all’esproprio degli italiani in Libia, e quanti altri silenzi, inerzie, vocine spezzate… E in giro quanti anti-italiani nostrani, quante fecce tricolori…
E oggi? Un’Italia a rimorchio che ha ceduto pezzi di sovranità toccando l’intoccabile Costituzione, la più bella del mondo ma anche la più cedevole; che accetta direttive e ordini superiori, al più ricorrendo ai sotterfugi, alle piccole furberie di sopravvivenza. I nostri governanti più dignitosi, a partire da Bettino Craxi, massacrati e costretti all’esilio; la politica almeno ambigua di Moro e Andreotti ripudiata da quando siamo diventati falchi. In questi anni abbiamo cercato protettori e badanti, abbiamo barattato mille volte la nostra dignità e la nostra sovranità per quattro soldi o per il comodo personale di chi ci vendeva. E’ giusto ora svegliarsi e sbattere sul muso di un ministro francese questa ritrovata fierezza: ma perché non la sfoderiamo mai con l’Unione europea, le sue direttive e i suoi poteri, con la Nato e l’Alleato atlantico, con i grandi poteri economici e finanziari? E’ solo a causa del debito, o c’è altro? Inevitabile poi si affaccia il dubbio che Mattarella sia insorto contro chi vuol fare da badante all’Italia immelonita perché gli ruba il posto e il mestiere. Ci sono già io a far da badante, basto io, non vi fidate di me? Spunta il legittimo dubbio che Mattarella non stesse difendendo le scelte recenti dell’Italia e il futuro governo a guida Meloni, ma se stesso e il suo ruolo di garante presso i poteri esterni e sovrastanti. Garantisco io, sorveglio io, non c’è bisogno di altri tutori senza titolo per farlo.
Espresso questo grappolo di obiezioni e questo sciame di dubbi, torniamo però a dirci soddisfatti per le affermazioni di Draghi e Mattarella: ricordatevene al momento giusto e mettete a frutto la loro dichiarazione di fierezza italiana. Intanto ci congratuliamo con loro e ci godiamo un momento eccezionale di felice allineamento di tutti i pianeti. Ci illudiamo che Mattarella e Draghi siano stati davvero, almeno per un momento, presidenti di tutti gli italiani e premurosi delle sorti del nostro paese. Luna di miele in patria. Poi torna la realtà.

   MV

La bellezza comunque…

 

Era bella lo stesso,
anche con tutte
le sue malinconie.
Era bella lo stesso
quando si vestiva di queste.
Era bella lo stesso
con il suo viso rivolto al sole,
questo glielo illuminava,
evidenziava la notte trascorsa.
Era bella anche quando
si portava addosso
il suo carico di mancanze
e le lasciava volare.
Le lasciava al vento,
avrebbero trovato il modo
di ritornare.
Era bella perché
il suo sorriso c’era
benché fosse velato
di tristezza.
Benché i suoi occhi
chiedessero una carezza,
non riuscivano a essere vuoti,
erano pieni,
lì dentro si fermava ogni età.
E parlava,
ma poco,
desiderava essere ascoltata,
preferiva raccontare storie
solo con gli occhi,
solo come gli sguardi
sanno raccontare,
in maniera così limpida,
viva, amabile.
Portava addosso
speranze fittizie
e vane illusioni,
ma era lo stesso bella,
con tutte le sue manie,
rimproveri, e svelati desideri.
La sua fragilità
era celata nella sua forza,
quella che aveva nel camminare,
nell’interrogarsi, nel raccogliersi,
nel ricominciare.
Lei era lo stesso bella,
anche quando aveva paura.
Anche quando, giunta la notte,
trovava il coraggio
di addormentarsi,
portandosi dietro
nei sogni incertezze e timori.
Bella perché manifestava
sensibilità in ogni gesto
e viveva attraverso gli occhi,
immaginava altre vite,
immaginava nuove mancanze,
nuovi ricordi, nuovi colori
e aquiloni nel cielo.
Ed era bella perché così vinceva,
così riusciva a donare
colore al buio.

Tiziana Curcio

bella lo stesso

Foglie d’autunno…

 

 

Le foglie che cadono danzano nel vento, colorate di rosso e oro come erano le tue labbra in estate quando mi baciavi ,stringendomi con le tue braccia bruciate dal sole e quelle mani che amavo tenere per abitudine. Da quando te ne ne sei andato le giornate si sono fatte lunghe, presto tornerò a sentire cantare il vecchio inverno .Ma sei tu ciò che mi manca più di tutto Quando in autunno le foglie iniziano a cadere, anche se quest’anno paiono voler viver più a lungo, succhiare la linfa che la siccità ha fatto mancare loro, durante questa lunga calda estate, la peggiore da quando non ci sei. E ancora vorrei rivivere con te, amore mio, anche una sola estate, e in autunno, addormentarmi tra le tue braccia per risvegliarmi ancora con te, ovunque tu sia, comunque tu sia, non importa. Ti amerò per sempre e non sarà ancora abbastanza!

Lo scienziato che scoprì la coscienza e la natura spirituale dell’universo

 

 Irriducibile è un saggio che Federico Faggin  pubblica da Mondadori e che  qui ci viene raccontato da Marcello Veneziani, dopo l’attenta analisi, che solo un bravo scrittore come lui sa fare. L’indagine dell’autore sulla spiritualità dell’universo è uno studio metafisico oltre le realtà alle quali è abituato un’inventore di innovazioni, che ci hanno cambiato la vita ,e che tuttavia tende a mostrarci qualcosa di  forse troppo semplice,che tuttavia  superava  ogni immaginazione fino a quando la scienza ha detto la sua.
  
 Questa è la storia del principale inventore italiano vivente, padre del microprocessore, del touch screen, dei telefoni precursori dello smartphone e della tecnologia digitale, che a un certo punto ebbe una crisi spirituale, ripudiò il materialismo e lo scientismo e scoprì che l’uomo è irriducibile a una macchina o un computer, irriproducibile e insostituibile da un robot, un algoritmo o dall’intelligenza artificiale. E la coscienza esiste davvero, come il libero arbitrio e la nostra identità spirituale, mentre il materialismo ci conduce in un vicolo cieco. Sto parlando di Federico Faggin, vicentino, 81enne, che vive in America dal 1968. Suo padre Giuseppe era un grande studioso di filosofia e di Plotino, di cui curò le Enneadi; Federico invece preferì studiare da perito tecnico, con grande delusione del padre. Appena diplomato entrò nella Olivetti, si laureò in fisica, partì per gli Usa e da lì iniziò la sua attività d’inventore e imprenditore. Grandi scoperte, grandi successi, a partire dal primo microprocessore al mondo; ma era inquieto e scontento, in crisi. Fino a che nel Natale del 1990 al lago di Tahoe, Faggin in una notte avvertì, lui dice, “una fortissima energia irradiarsi dal suo petto” e da allora intraprese un cammino spirituale di conoscenza e di autoconoscenza, intrecciandolo con la ricerca scientifica. Il suo sogno era dimostrare che il mondo non è frutto del caos, del caso, degli atomi e di un “orologiaio cieco” ma di “enti coscienti che esistono da sempre”. Il risultato che ne derivò dopo lunghi anni di studi fu la scoperta della coscienza e del suo regno, tra creatività, libero arbitrio, emozione e consapevolezza di sé. A questo suo itinerario di scienza e di pensiero, Faggin ha dedicato ora un libro, Irriducibile (edito da Mondadori). Da studioso di pensiero e cercatore spirituale ho trovato questo libro entusiasmante; riconcilia con la vita, con la morte, col mondo e con la scienza. Provo a dire in sintesi e da profano i risultati della sua ricerca.

Faggin mostra “la natura spirituale dell’universo”; la materia è fatta di energia vibratoria, una cellula è ben più di un miscuglio di atomi e molecole. Il materialismo riteneva che tutto ciò che esiste sia prodotto dall’interazione di atomi e molecole, vecchia concezione della fisica superata ormai dalla fisica quantistica. Per il biologo secentesco Francesco Redi “Omne vivum ex vivo” e come un vivo nasce solo da un vivo (non può nascere da una macchina) così la coscienza non può sorgere da organismi che ne sono privi. Evoluzionismo impossibile.

Faggin smonta il riduzionismo, il determinismo e il meccanicismo. Non è la matematica a creare il mondo; dentro di noi, oltre i modelli computazionali e meccanici ci sono le emozioni, il pensiero creativo, il coraggio, l’empatia, la libertà e l’esperienza. Il computer non ha comprensione delle situazioni, come la scelta etica non può derivare dall’algoritmo; il pc è una creazione umana, le sue idee sono quelle di chi lo ha programmato, è solo un amplificatore delle nostre capacità mentali ma soltanto di quelle meccaniche. Nessun Pc partorirà un Pc.

Chi induce a negare la natura spirituale, il libero arbitrio e le identità compie “un crimine contro l’umanità” che “porta all’eliminazione dei valori umani”. Vivere è conoscere, dice Faggin: la coscienza, attraverso l’esperienza fatta di qualia, che sono poi le sensazioni e i sentimenti, comprende il mondo. La nostra intelligenza non calcola ed elabora dati ma è “intuizione, immaginazione, creatività, ingegno e inventiva; e lungimiranza, visione, saggezza. Empatia, compassione etica e amore”. La miglior definizione del tutto è che siamo “cuori intelligenti” (Alain Fienkelkraut). Noi non siamo solo il nostro corpo mortale: quando si separa da noi la nostra essenza, o seity, torna all’Uno; il giorno della morte diventa, come diceva Seneca, il giorno della nascita all’eternità (dies natalis).

Facciamo parte di un’unica sostanza universale, dice Faggin con Giordano Bruno, e col poeta iraniano Rumi: “Non sei una goccia nell’oceano, sei l’intero oceano in una goccia”. Dentro di noi e in ogni cellula c’è l’universo intero. Una visione antica confermata dalla ricerca recente. Nella nostra esistenza, sostiene il neurofisiologo John C. Eccles, c’è un mistero inspiegabile in termini materialistici, il nostro senso di libertà non è illusorio, il cosmo non gira senza senso ma fa supporre un grande disegno. Occorrono, dice il matematico Roger Penrose, “idee nuove e potenti, che ci conducano in direzioni significativamente diverse da quelle attualmente seguite”. Una vera rivoluzione dell’intelligenza in rapporto al mondo.

C’è un filo sommerso, biografico e filosofico, nelle pagine di Faggin: un filo che parte da quando il fisico voltò le spalle a suo padre e alla filosofia, facendosi perito tecnico. Poi le scoperte, i successi, la crisi e l’illuminazione. Tutta la ricerca che ne seguirà è, chissà se consapevolmente, sulle tracce del pensiero metafisico di Plotino, passione paterna. Compresa l’illuminazione di quella notte e il suo “fuoco interiore” che somiglia alle estasi plotiniane. Ho trovato Plotino e Platone in tante sue tesi, dal ritorno di tutto all’Uno, da cui “in realtà non si è mai mosso” alle idee generali che precedono ogni creazione, dalla visione olistica dell’universo in cui tutto è collegato a tutto, anche a distanza, all’idea che siamo esseri spirituali imprigionati temporaneamente in un corpo. Alla fine Faggin cita Plotino: ”Ricondurre il divino che è in noi al divino che è nell’universo”. Mi sono commosso pensando al sorriso postumo di suo padre, studioso di Plotino. In suo figlio tornano le intuizioni di quel pensiero visionario che ora la scienza va confermando, con la relatività generale e la meccanica quantistica. E il Fisico tornò al padre, il Metafisico.

Un estratto dalla nuova raccolta di saggi dello scrittore francese Michel Houellebecq Un ragionamento sul tempo sospeso, dal Sessantotto alla tecnologia-

 Nel maggio 1968, avevo dieci anni. Giocavo alle biglie, leggevo Pif le Chien; la bella vita. Degli “avvenimenti del ’68” serbo un unico ricordo, anche se abbastanza vivo. Mio cugino Jean-Pierre frequentava all’epoca la prima liceo a Le Raincy. Il liceo mi dava l’idea, allora (l’esperienza che ne ebbi in seguito confermò peraltro quella mia prima intuizione, con l’aggiunta, ahimè, di una dolorosa dimensione sessuale), di un posto vasto e terribile dove ragazzi più avanti di me in età studiavano con accanimento materie difficili, onde assicurarsi un futuro professionale. Un venerdì pomeriggio, non so perché, mi recai con la zia ad aspettare mio cugino all’uscita di scuola. Sennonché, proprio quel giorno, nel liceo di Le Raincy era stato dichiarato lo sciopero, uno sciopero a tempo indeterminato. Il cortile, che mi aspettavo di vedere affollato di centinaia di studenti affaccendati, era deserto. Alcuni professori si aggiravano senza meta tra una porta e l’altra del campo riservato alla pallamano. Ricordo di aver camminato per lunghi minuti in quel cortile, mentre mia zia cercava di raccogliere qualche scampolo d’informazione. Un cortile dove regnava una pace totale, un silenzio assoluto. È stato un momento meraviglioso.

***
Dicembre 1986. Mi trovavo alla stazione di Avignone, ed era una bella giornata. A seguito di complicazioni sentimentali che sarebbe qui fastidioso raccontare, dovevo improrogabilmente – almeno così pensavo – prendere il TGV per Parigi. Ignoravo però che l’intera rete ferroviaria era interessata da un’ondata di scioperi. Così, in un colpo solo, la sequenza operativa scambio sessuale-avventura-stato di abbattimento giunse al suo punto di rottura. Per due ore rimasi seduto su una panchina di fronte allo scalo ferroviario deserto. Diverse vetture TGV stazionavano immobili su altrettanti binari morti. Tanto da far pensare che stessero lì da anni, che non si fossero mai mosse lungo dei binari. Semplicemente perché se ne stavano lì, immobili. Mentre, sottovoce, i viaggiatori si scambiavano informazioni in un’atmosfera di rassegnazione, d’incertezza. Quasi incombesse una guerra, o la fine del mondo occidentale.
***
Alcuni testimoni più diretti degli “avvenimenti del ’68” mi hanno poi raccontato che si era trattato di un periodo meraviglioso, in cui le persone si parlavano liberamente per le strade, in cui tutto sembrava possibile; tutte cose che sono pronto a condividere. Altre fonti mi fanno più modestamente osservare che i treni non andavano o che la benzina era introvabile; cose che ammetto senza difficoltà. Sono infatti tutte testimonianze in cui spicca, a mio modo di vedere, un tratto comune: magicamente, per la durata di alcuni giorni, una macchina gigantesca e opprimente aveva smesso di funzionare. Nel paese si diffuse un senso di smarrimento, d’incertezza; si produsse una sospensione; dilagò uno stato di calma. Dopo, naturalmente, la macchina sociale ricominciò a funzionare, e a un ritmo ancora più rapido, ancor più impietoso (il Maggio ’68 servì esclusivamente a infrangere alcune regole morali che ostacolavano il vorace funzionamento della società). Ciò non toglie che vi sia stato davvero un momento di arresto, di indugio; un momento d’incertezza metafisica.

Lo scrittore francese Michel Houellebecq    Lo scrittore francese Michel Houellebecq 

 

Come è altrettanto certo, per le medesime ragioni, che una volta superato il primo moto di contrarietà, la reazione del comune cittadino al blocco subito dalle reti di trasmissione dell’informazione si rivelò tutt’altro che negativa. Del resto il fenomeno è osservabile ogni volta che un sistema di controllo informatico va in panne (fatto abbastanza frequente): una volta ammesso l’inconveniente, specie quando gli operatori si decidono a usare il telefono, negli utenti si manifesta qualcosa come una gioia segreta: come se il destino concedesse loro l’occasione di un’ironica rivincita sulla tecnologia. Allo stesso modo, per realizzare ciò che il comune cittadino pensa, in fondo, del modulo architettonico entro il quale lo si costringe a vivere, basta osservare le sue reazioni quando si decide di far saltare uno di quei blocchi abitativi costruiti in periferia negli anni sessanta: è un momento di gioia purissima e violentissima, analoga all’ebbrezza di una liberazione insperata. Lo spirito che abita quei luoghi è uno spirito malvagio, disumano, ostile; è quello di un ingranaggio sfibrante, crudele, costantemente accelerato; chiunque lo avverte dentro di sé, e ne desidera la distruzione.
***
La letteratura si adegua a tutto, si abitua a tutto, fruga dentro la spazzatura, lecca le piaghe della sofferenza. Sicché, dentro gli ipermercati e i palazzi uso ufficio è potuta nascere una poesia paradossale, una poesia dell’angoscia e dell’oppressione. Non è una poesia allegra – non può esserlo. La poesia moderna non ambisce a costruire un’ipotetica “casa dell’Essere”, così come l’architettura moderna non ambisce a costruire luoghi abitabili; compito peraltro ben diverso da quello di moltiplicare le infrastrutture relative al traffico e al trattamento dell’informazione. Prodotto residuale dell’impermanenza, l’informazione si oppone al significato come il plasma al cristallo; una società che abbia raggiunto il massimo del surriscaldamento non deve per forza implodere, ma si rivela incapace di produrre un significato, essendo l’intera sua energia monopolizzata dalla descrizione informativa delle sue imprevedibili variazioni.Ciononostante, ciascun individuo è in grado di produrre in se stesso una sorta di rivoluzione fredda, ponendosi per un istante al di fuori del flusso informativo-pubblicitario. È una cosa semplicissima da fare; non è mai stato tanto facile come oggi porsi, in rapporto al mondo, in una posizione estetica: basta fare un passo di lato. Un passo sostanzialmente inutile. Basta segnare un tempo di arresto; spegnere la radio, staccare la spina del televisore; non acquistare più nulla, smettere di desiderare di acquistare. Basta non partecipare più, smettere di sapere; sospendere momentaneamente ogni attività mentale. Basta, alla lettera, rimanere immobili per alcuni secondi.
Da  Interventi    Traduzione Sergio Arecco © 2022 La nave di Teseo editore, Milano

Nelle mani il destino…

C’è chi nasce coi pugni serrati, chi con le mani spalancate e chi col pollice in bocca, qualcuno persino con le mani giunte o protese in avanti, come per difendersi. Il carattere già si profila dalle mani, perché il neonato non ha ancora a fuoco la vista; la luce originaria e il buio del passaggio, lo hanno reso provvisoriamente cieco. Sicché le mani parlano al suo posto. C’è chi rimane cieco per tutta la vita, anche se vede.
L’infanzia è una mano che si apre, e stringe altre mani, per gioco o per farsi guidare, conosce il mondo maneggiando le cose; la gioventù spalanca le mani, afferra con vigore il mondo, abbraccia la vita. La vita adulta si abituerà poi a prendere e lasciare la presa, ad afferrare pesi, armi, valigie; a maneggiare, manipolare, condurre per mano, tendere la mano per soccorrere o essere soccorsi. La vecchiaia è una mano che si chiude, si rinserra nel pugno, si appoggia a un bastone, stringe quel che resta, temendo di perderlo, fino a che non gli resta più nulla e stringe un pugno d’aria. Il mondo del vecchio si restringe, si fa sempre più piccolo, introverso, a volte si rinchiude dentro il suo corpo, il suo intestino, i suoi organi che funzionano male. Le sue mani sono impotenti, il mondo è sempre meno a portata delle sue mani, che cominciano a tremare e cercano sostegni.
Le mani sono la gloria dell’uomo rispetto agli animali; sono l’intelligenza del corpo, pensiero tattile, prensile, toccante. Sono la mappa dove è segnata la sua fatica passata ed è scritto il suo cammino futuro”.

da La leggenda di Fiore

Il primo grande flop della Ferragni …

 

 

Elezioni, Chiara Ferragni scende in campo e invita i follower al voto - Il  Mattino.it

I giovani non son andati a votare in gran numero, dai 18 ai 35 anni hanno preferito dedicarsi ad altro, a loro più gradito e confacente. Per la prima volta, coloro che pendono dalle labbra sensuali della Chiara, e  per la prima volta, non l’hanno ascoltata per niente: era riuscita a trascinarli persino nei musei, a farsi comprare per 10 euro una bottiglietta d’acqua griffata da lei, li aveva convinti a seguire costumi scostumati, a fare tutto quello che lei faceva, ma a votare no. Si può spiegare col fatto che non si fidino più di lei, perchè fa un altro mestiere, perchè anche per lei comincia a valere il detto” a ciascuno il suo” perchè il voto o è sentito, oppure no, non è una chiamata alle armi, come qualcuno ha inteso. Tuttavia è chiaro che i giovani non sono poi soltanto esseri manipolati da algoritmi e influencer, ma non ascoltano nessuna influencer,  neanche la loro madrina, per un fatto di coscienza , la loro; e in questo caso non solo non hanno votato per.., ma proprio non l’hanno fatto . Sarà meglio che la Chiara lasci sponsorizzare la politica a qualcun altro, ammesso che si trovi, di questi tempi.

Considerazioni personali sulla vittoria di Giorgia Meloni…

 

Che cosa è accaduto all’ Italia, perchè non ha ascoltatole paure e le minacce della Sinistra?Il nostro paese non vuole morire di accanimento terapeutico, e si è ribellato e liberato  da tutti gli obblighi a cui era stata costretto dal regime di sorveglianza. Forse la Meloni non ce la farà a salvare l’Italia dai poteri che le tengono la corda al collo, è un’impresa titanica, ma negli italiani è prevalso il desiderio di vivere di nuovo quella libertà, calpestata dalle oligarchie interne ed internazionali, dai loro media, insomma da un regime a senso unico. Hanno voluto cambiare, affidare il potere ad una che il potere non l’ha mai esercitato, nessun precedente da far dimenticare, coerenza nella sua opposizione di sempre, l’irruzione del nuovo e l’abolizione del conformismo. Che poi riesca a soddisfare le aspettative, a vincere la sfida sotto le pressioni, le minacce e le lusinghe dell’establishment, è cosa tutta da vedere- Questa l’intenzione di voto di chi ha votato la Meloni ,puerile, velleitaria finchè volete, ma sincera, positiva e più nobile di chi votava a sinistra, per rancore, paura e odio per la destra, o di chi , specie al sud ha fatto del voto uso personale e clientelare, nel passato peggiore .Al potere una ragazza coi suoi occhioni un pochino spaventati, hanno perso i tutors dell’Italia,le cupole, le curie, le consorterie. Ora in vigile attesa faranno il girotondo intorno alla Meloni, gioco e controllo;se la vedranno debole la massacreranno, se forte, faranno riemergere la loro grande falsità per fingersi amici. Intanto, anche se il governo non c’è ancora è ricominciata la guerra alle intenzioni da parte dei giornali e di quei potenti, che temono di essere sostituiti nei prossimi rinnovi di cariche. Insomma la sinistra dimostra sempre di più di essersi innamorata di quel profumo di soldi, che tanto aborriva quando era PC, che preferisce morire ricca piuttosto che tornare ad occuparsi dei poveracci, e ce ne sono in Italia, un numero che un tempo nessuno immaginava ,strozzati dalle speculazioni economiche, che la sinistra non vuole toccare.Se vuole tornare ad essere credibile la sinistra deve scegliere tra il popolo e la finanza, non con le parole, che tante ha detto, ma coi fatti, che nessuno ha visto.