Una riflessione particolare…da Federico Fellini.

Non ho molto da dire.

Credo di aver imparato molto poco in tutti questi anni: ho imparato che ci sono molte cose sconsiderate che puoi fare. E tra quei milioni una che è ancora più sconsiderata delle altre. E di solito fai quella.

Ho imparato che il blu e il nero insieme sono un cazzotto in un occhio.

Ho imparato che certi odori si fissano nella memoria, e quando li risenti è come se tutti quegli anni non fossero mai passati.

Ho imparato che il sabato è meglio della domenica.

Ho capito che chiunque ha qualcosa da raccontare, ma ho capito anche che l’odio per certe persone ti aiuta a vivere meglio.

Ho imparato che certe mattine saresti disposto a dare via un braccio pur di dormire alti cinque minuti.

Ho constatato che alcune città sono capaci di farti scordare anche come ti chiami.

Ho imparato che ci sono persone così esteticamente stupefacenti che emanano addirittura luce propria. Sembrano, non so… fosforescenti!

Ho capito che non c’è da preoccuparsi se a 40 anni non sai che fare della tua vita, se hai ancora una gran voglia di giocare. Forse sei l’unico che ha capito qualcosa.

Ho imparato che se ripeti una parola tante volte, all’improvviso perde di significato.

Ho imparato che a volte avresti talmente tanta voglia di fare l’amore con una determinata persona che glielo chiederesti in ginocchio.

Ho imparato che una sigaretta, specie se sei a terra, può addirittura salvarti la vita.

Ho scoperto che esistono persone talmente scassapalle da rappresentare un vero e proprio ornamento ai testicoli.

Ho imparato che non c’è cosa più inebriante che impuntarti sulla tua scelta. E poi sbagliare.

Ho imparato che il conforto degli amici a volte può esserecrudele.

Ho imparato che la voce di Frank Sinatra è uno dei motivi per stare al mondo. E la Heineken è l’altro.

Ho imparato che il sale si mette prima che l’acqua cominci a bollire.

Ho capito che certe regole sono fatte per andarci contro.

Mi sono accorto che non c’è cosa più divertente che dare ragione a un idiota. E dentro ridere.

Ho scoperto che con gli anni i tuoi errori e i tuoi rimpianti impari ad amarli come figli.

Ho imparato che la nostalgia ha lo stesso sapore della cioccolata bollente.

Ho imparato che i film di Ingmar Bergman non sono solo capolavori: sono lezioni di vita.

Ho capito che niente è più bello che alzarsi la notte mentre tutti gli altri dormono e girovagare in solitudine come un cane tra i rifiuti, alla ricerca di una qualsiasi sensazione appagante.

Ho imparato che se ti chiedono di fare cinque cose e all’ultimo momento ne aggiungono due, tu inevitabilmente dimentichi le prime tre.

Ho imparato che certa gente ha la testa solo per separare le orecchie.

Ho imparato che la tua camicia preferita attira il sugo in modo micidiale.

Ho imparato che non c’è cosa più bella che svegliarsi una mattina senza sapere che ore sono, senza riconoscere la stanza e soprattutto senza ricordare come ci sei arrivato.

Ma soprattutto ho imparato che i giorni veramente importanti nella vita di una persona sono cinque o sei in tutto.

Tutti gli altri fanno solo volume.

Così fra sessant’anni non ti ricorderai il giorno della tua laurea, o quello in cui hai vinto un Oscar.

Ti ricorderai quella sera in cui tu e i tuoi amici, quelli veri, avete fumato 10 sigarette a testa e ubriachi persi avete cantato per strada a squarciagola fradici di pioggia.

Quelli sono i momenti in cui la vita davvero batte più forte.

Federico Fellini

fellini_miloftg

C’era una volta Marcello, il latin lover…

 

Marcello, ah Marcello. A cent’anni dalla sua nascita, a ventotto dalla sua morte, Marcello Mastroianni resta nell’immaginario collettivo, e nei suoi luoghi comuni, la rappresentazione verace dell’italiano: belloccio, serioso, loquace, latin lover e sex symbol, dalla voce un po’ nasale, inconfondibile ma senza tratti particolari. Tutti i grandi attori della commedia all’italiana erano in fondo comici, “ridicoli”, avevano perlomeno un lato caricaturale e grottesco che li rendeva beniamini del pubblico: Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Monica Vitti, Ugo Tognazzi, Walter Chiari, fino a Giancarlo Giannini e Paolo Villaggio, per non dire della generazione precedente, quella di Totò, Vittorio de Sica, Peppino de Filippo e Aldo Fabrizi.  Mastroianni, invece, era l’unico tra i più famosi che non voleva far ridere, attor brillante ma non comico, la sua figura non straripava mai dal ruolo assegnato nel film. Mastroianni restava dentro il racconto e la sua parte. Il tono della sua voce era duttile, si adattava all’allegro andante della commedia ma sapeva inoltrarsi anche nella voce trasognata e misteriosa di alcuni film felliniani, onirici e malinconici; e nei ruoli tragici di alcuni film, come Todo Modo o Fantasma d’amore. La sua versione femminile a cui era solitamente accoppiato nella saga cinematografica era Sophia Loren. Erano la Coppia primordiale del cinema italiano, l’Adamo ed Eva della nostra identità. Coppia brillante ma non sempre usata in ruoli brillanti; si pensi a Una giornata particolare di Ettore Scola. Però, a differenza della Loren, che quest’anno compie novant’anni, Mastroianni non ebbe mai l’Oscar, anche se ci andò più volte vicino. Mastroianni era l’attore italiano per antonomasia; attor simbolo, o come oggi si dice, “iconico”; per questa sua trattenuta vocazione alla commedia brillante e arciitaliana fu poi utilizzato anche in film più seri e meno caserecci come Sostiene Pereira, Oci Ciornie o il pirandelliano Le due vite di Mattia Pascal. E recitò molto anche all’estero. Anche nella commedia italiana Mastroianni fu attore nazionale, nel senso che non fu solo romanesco o laziale; fu pure siculo, napoletano o genericamente provinciale. Anche per questo Mastroianni appariva come l’idealtipo dell’attore, senza particolari virtù e virtuosismi, come invece il prodigioso Sordi o il mattatore Gassman. Fu l’attore felliniano per eccellenza, ma non si identificò nel cinema felliniano, fu anche altro. E non si identificò nemmeno nel ruolo dell’amatore e del seduttore, perché interpretò pure il suo contrario, come nel Bell’Antonio di Vitaliano Brancati, che diventò in quegli anni il paradigma dell’impotente. O come l’omosessuale di Una giornata particolare. Da ragazzo fui perseguitato da quel “Marcello come here” che Anita Ekberg nell’iconico bagno nella fontana di Trevi rivolgeva a Marcello Mastroianni ne La dolce vita, invitandolo a entrare nella mitica vasca berniniana. Quel grido fu per me un’iniziazione alla vita adulta, dopo che negli anni dell’infanzia ero stato Marcellino pane e vino, il protagonista di un’altra famosa saga cattolica e puerile. Poi diventò un tormentone un po’ molesto. Mastroianni rappresentò l’autobiografia della nazione soprattutto perché ne La dolce vita, sbarcava da provinciale in cerca di fortuna nella Roma godereccia e un poco malinconica del boom economico. E in quella storia di provinciale sbarcato a Roma si riconosceva l’autore che aveva scritto il film, il pescarese Ennio Flaiano; il regista che lo aveva realizzato, il riminese Federico Fellini; e pure il protagonista omonimo, il ciociaro Marcello Mastroianni. Tre provinciali alla conquista della Capitale. Ma in quel viaggio dalla provincia alla metropoli si riconosceva una fetta numerosa di italiani, soprattutto centro-meridionali, sbarcati nella Roma impiegatizia dei ministeri o in quella sognatrice di Cinecittà. A differenza degli altri grandi attori italiani, Mastroianni ha avuto la possibilità di realizzare alla fine della sua vita, un film-congedo, curato dalla sua ultima compagna, Annamaria Tatò, Mi ricordo, si io mi ricordo.   Mastroianni non rappresentò mai il cinema impegnato e ideologicamente schierato, ma non si sottrasse ad alcuni ruoli obbligati dallo spirito politico del tempo. Fa impressione vederlo schierato, con tutti i grandi registi e attori del cinema italiano nel picchetto d’onore alla morte di Enrico Berlinguer nel 1984. C’era quasi tutto il plotone del cinema italiano, dei grandi registi mancava solo Luchino Visconti, morto qualche anno prima ma comunista aristocratico e decadentista; non mancava nemmeno Federico Fellini che pure non era mai stato vicino al Pci e alla sinistra militante; e questo la dice lunga sull’egemonia culturale nel cinema italiano e sul potere di intimidazione o di pressione che esercitava, con relativo invito a conformarsi. Non si poteva mancare, e Mastroianni naturalmente non mancò . Mastroianni aveva compiuto studi modesti e nessuna accademia, in guerra si era arrangiato e l’aveva scampata, si tenne fuori dalla vita pubblica e dall’impegno civile. Ebbe famosi amori e una notorietà internazionale maggiore rispetto agli altri protagonisti della commedia all’italiana, magari più adorati in patria, ma meno esportabili all’estero. Nonostante la fama di essere pigro e in fondo riluttante, Mastroianni fu attore prolifico, duttile e non andò mai controcorrente. Morì a Parigi dove ormai viveva da anni ma la sua faccia restò il volto più famoso di quell’Italia della nostra infanzia, della nostra giovinezza, e comunque quella da cui proveniamo.

Marcello Veneziani