L’uomo , di fronte all’amore materno degli animali, si incanta e si commuove…

 

Difficile rimanere indifferenti di fronte a questa scena di immensa tenerezza di questa mamma orsa, che dimostra tutto l’amore per il suo cucciolo.
Guardare al mondo animale per trarne tutto ciò che può essere paragonato al nostro modo di vivere è molto interessante soprattutto se si osservano aspetti come l’amore materno, concetto indubbiamente universale che riguarda ogni essere che vive su questa terra.

scimmia

Possiamo scoprire, ad esempio, che, mentre lo svezzamento dei bambini non rispetta tempi e modi standard, ma ogni bimbo ha il suo svezzamento, diverso nei tempi e nei modi da quello di un altro, e questo è entrato a far parte della nostra cultura, molte scimmie che diventano mamme decidono invece di prolungare l’allattamento per lunghissimo tempo in modo da donare tutte se stesse al piccolo appena nato per tutto il tempo di cui avrà bisogno prima di procreare ancora una volta e dedicarsi a quel punto al nuovo nato. È forse un modo per proteggere la salute psico-fisica del cucciolo senza il rischio che questo possa sentirsi trascurato a causa di un eccessivo numero di figli. E come ogni mamma parla e canta al bimbo appena arrivato, anche le mamme non umane offrono immediatamente il suono della loro voce ai piccoli; ed ecco che le galline cantano ai pulcini mentre sono ancora dentro l’uovo, e nasce così il legame indissolubile perché quel suono sarà per il nuovo nato tutto ciò che lo terrà in vita e darà voce ad ogni suo bisogno.

mamma topa

La mamma e il figlio sono infatti tutt’uno fino al momento in cui il piccolo sarà pronto al distacco, motivo per il quale la femmina del topo, dopo aver partorito, considera i topini appena nati come prolungamento di se stessa facendone suo anche l’odore. Noi riconosciamo i nostri bambini, non possiamo perderli; per gli animali, invece, è proprio l’odore a fare la differenza, questo viene infatti memorizzato dalla madre che saprà così tornare dal proprio piccolo per nutrirlo.
Succede soprattutto in mare dove è facile perdersi o allontanarsi un po’ troppo dai figli ,che richiamano le madri quando sono affamati; quando queste tornano li odorano bene per essere sicure che i piccoli siano proprio i loro. Compito di ogni madre nelle prime fasi dello sviluppo del bambino è insegnargli a conoscersi partendo proprio dal corpo; ed ecco le mamme ad accarezzare i piccoli corpi dei neonati, toccarne i punti più nascosti mentre piano piano il bambino riconosce se stesso.
È identico il comportamento istintivo delle mamme del mondo animale che osservano i cuccioli e li accarezzano affinchè questi possano sentirsi e riconoscersi, diventare consapevoli di ciò che sono e sfruttare al meglio ciò che il loro corpo offre.

gatta-e-cuccioli

La dolce fase durante la quale il bambino sta per nascere e la cameretta è già pronta è identica alla preparazione di quel nido caldo al quale lavorano più famiglie di uccelli in attesa che le uova si schiudano.
Mentre gli uccellini escono dal guscio autonomamente, specie fin troppo diverse come maiali ed elefanti vengono assistiti durante la complicata nascita mentre i compagni aspettano poco lontano per accogliere insieme i nuovi arrivati tanto attesi.

 

 

 

 

Fiori…

‏Fiori

Certi uomini non ci pensano mai.
Tu sì. Ti presentavi alla porta
dicendo che mi avevi quasi portato dei fiori
ma qualcosa era andata storta.

Il fiorista era chiuso. O un dubbio ti assaliva
di quelli che sorgono all’infinito
a tipi come noi. Forse, pensavi,
io i tuoi fiori non avrei gradito.

Sorridendo allora ti avevo abbracciato.
Solo il sorriso mi resta ora.
Ma guarda, i fiori che avevi quasi portato
durano tuttora.

Wendy Cope

 

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Frederick Judd Waugh, Rum raw, 1922

Così si curava l’uomo delle caverne: quelle piante preistoriche che ancora oggi servono a guarire..

La storia antichissima che lega mondo naturale, intuizione umana e magia raccontata nella mostra «Le piante e l’uomo» al Museo delle Civiltà di Roma.

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Fin dalla Preistoria, l’uomo ha avuto la necessità di trovare rimedi per curare ferite e malattie. In questo è stato guidato dalla sua facoltà istintiva a scoprire le proprietà utili, curative e alimentari delle piante, un po’ come gli animali.

La storia antichissima che lega mondo naturale, intuizione umana e magia è oggi raccontata dalla mostra «Le piante e l’uomo» curata da Paolo Maria Guarrera e allestita presso il Museo delle Civiltà (arti e tradizioni popolari) di Roma (dal 21 dicembre 2018, al 21 aprile 2019).

Uno dei problemi più importanti per l’uomo preistorico era individuare quali piante potessero essere commestibili e quali velenose. Per questo si osservavano gli animali e talvolta si somministrava loro le piante di cui si voleva vedere l’effetto.

«In quest’opera di “ricerca” delle proprietà vegetali» spiega il direttore del Museo, Filippo Maria Gambari – «le donne ricoprivano un ruolo di primo piano. Mentre infatti l’uomo si occupava della caccia, esse erano dedite alla raccolta di frutti ed erbe spontanei. Furono anche le prime a coltivare i semi dando poi avvio all’agricoltura. Questa loro attività faceva sì che nelle comunità nascesse e si affermasse la figura della “donna di medicina” che, di solito anziana, sopravvissuta a molti parti, ricopriva il ruolo di sciamana”.

Il fatto che per due milioni e mezzo di anni il mondo sia andato avanti con questa divisione dei compiti, è anche all’origine delle differenti abilità e propensioni tra il cervello maschile e quello femminile. Ancor oggi le donne possiedono dei recettori nueronali che consentono loro di distinguere meglio i colori e di individuare con più attenzione dettagli che all’uomo solitamente sfuggono.

Tra l’altro, quasi sempre l’attività di raccolta dei vegetali doveva essere condotta insieme ad altre incombenze, riguardanti la cura dei bambini e dell’abitazione, ecco perché si parla della famosa capacità “multitasking” della donna. Viceversa, il maschio grazie alla caccia, ha sviluppato una particolare capacità di concentrazione che gli consente di focalizzare tutta la propria attenzione su un solo obiettivo, escludendo tutto il resto, come poteva essere richiesto all’epoca, dalla ricerca di un odore, di una traccia della fuga di un animale.

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Consolida Maggiore

Grazie alle acute capacità di osservazione, le donne di medicina avevano quindi compreso come alcune erbe avessero il potere, ad esempio, di favorire la cicatrizzazione delle ferite. Tra queste, la Consolida Maggiore, come venne poi chiamata da Plinio il Vecchio. Questa pianta, ancora oggi, in certe zone viene usata dalla medicina popolare per le sue proprietà vulnerarie (guarisce le ferite); pare inoltre che stimoli la formazione del callo osseo in caso di fratture. Sembra che il sollievo e la guarigione siano dati da una sostanza chiamata allantoina, usata, in sintesi chimica, anche dall’industria farmaceutica per gli stessi scopi.

Si ricordi poi il Luppolo che ha delle proprietà antidolorifiche tanto che si dice che chi soffre di artrosi, tragga qualche giovamento dal bere birra.

Le proprietà vermifughe dell’aglio erano, poi, ben note. La parassitosi intestinale che oggi risulta appena un lieve e frequente inconveniente «scolastico», costituiva nei tempi arcaici una delle più diffuse cause di deperimento e morte dei bambini che, sempre a contatto con il terreno facilmente ingerivano uova di ossiuri e altri vermi.

Un altro rimedio usato nelle comunità preistoriche era il papavero, i cui semi venivano impiegati per facilitare il sonno. Dopotutto, da questa pianta si estrae l’oppio e se ne distilla la morfina.

Vi era poi tutta una serie di foglie e muschi applicati come bendaggi, spesso in associazione con delle muffe particolari dall’azione antibiotica. Per quanto solo alla fine dell’800 il medico molisano Vincenzo Tiberio avesse studiato e dimostrato il potere antibiotico delle muffe – anticipando di 35 anni le scoperte di Fleming sulla penicillina – nella medicina popolare è sopravvissuto quest’uso per centinaia di migliaia di anni. Non a caso, un proverbio piemontese recita: «La ragazza che mangia il pan muffì, la vien più bella dì per dì (la ragazza che mangia il pane ammuffito diventa più bella di giorno in giorno)». Si era notato che mangiare il pane di segale muffito potesse portare, ad esempio, dei benefici a livello dermatologico. Anche nelle mummie egiziane sono state trovate tracce di questi antibiotici primordiali. Naturalmente, erano da preferirsi le muffe createsi su cereali o vegetali, non certo quelle che si formavano sulla carne, che, in quanto contenenti cadaverina, sono velenose.

Uno dei proto-farmaci più straordinari fu la corteccia del salice: essa è ricca di salicina, sostanza che svolge attività analgesiche, antinfiammatorie e antipiretiche tramite l’inibizione di un enzima responsabile dell’insorgenza di infiammazione, febbre e dolore. I nostri progenitori, specie quelli dell’Europa centro-settentrionale, erano soliti mettere a macerare nell’aceto di mele la grigia scorza di questo albero ottenendo una sorta di aspirina ante litteram, che è per l’appunto acido acetil-salicilico.

Per comprendere la messa a punto di questi rimedi, bisogna immaginare l’esperienza stratificata di decine di migliaia di generazioni che ha prodotto una forma «darwiniana» di sperimentazione che l’uomo moderno non può concepire.

Nella più completa ignoranza della chimica, l’uomo preistorico attribuiva tali proprietà alla magia, come è comprensibile.

Non a caso, le arpe dei Celti erano di legno di salice, che si riteneva fosse un materiale magico utile per collegarsi alle divinità apollinee del loro pantheon.

«A tal proposito, – spiega il direttore Gambari – sono significativi i tatuaggi che sono stati ritrovati sulla pelle dell’Uomo del Similaun, mummia risalente a 5000 anni fa, ritrovata sul ghiacciaio omonimo al confine tra Italia e Austria. L’analisi osteologica su Oetzy ha dimostrato che l’uomo soffriva di osteoartrosi. Proprio nei punti che dovevano essere dolenti per il soggetto, sono ancora visibili tatuaggi realizzati con magnetite, un materiale che per le sue proprietà poteva realmente dargli sollievo. Basti pensare a quanto oggi avviene con i cerotti magnetici studiati appositamente per lenire i sintomi di questa patologia. Tuttavia è probabile che l’Uomo del Similaun attribuisse la sua guarigione più ai simboli magici che non al materiale con cui era stata dipinta la sua pelle».

Di queste eredità magiche sopravvivono ancor oggi alcuni lacerti. Ad esempio, l’usanza di baciarsi sotto al vischio a Capodanno, deriva dalla credenza antichissima per cui questa pianta, crescendo sugli alberi morti, fosse capace di rigenerare e donare nuova vita.

Anche le fiabe in cui la principessa bacia il rospo e lo fa diventare principe derivano dai reali effetti allucinogeni che l’essudato della pelle del rospo produce. Da sempre ritenuto animale magico, non è infrequente trovarlo nelle tombe antiche e, immancabilmente, nei ricettari stregoneschi.

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La palma della curiosità spetta però alla leggenda secondo cui Babbo natale viaggia su una slitta volante trainata da renne. Questo si spiega con il fatto che, ancora in area celtica, gli sciamani fossero soliti assumere, durante la festività di Yule, coincidente col solstizio d’inverno, delle sostanze psicotrope che facilitassero i loro contatti col divino. Tra queste, vi era l’urina di renna: il cervide, cibandosi del fungo Amanita muscaria – velenoso per l’uomo – ne filtrava e concentrava con l’urina il solo alcaloide allucinogeno (il muscimolo) eliminando la tossicità del fungo.

Fra le allucinazioni più frequenti durante questo rito vi era quella appunto in cui le renne cominciavano a volare tutt’ intorno, anche perché gli stessi quadrupedi, sotto l’effetto dell’Amanita, sono soliti darsi a galoppate e corse pazze senza scopo apparente.

Andrea Cionci-da La STAMPA