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Messaggi del 13/02/2011

Se non ora quando. Io aderisco

Post n°966 pubblicato il 13 Febbraio 2011 da MARIONeDAMIEL
 
Foto di MARIONeDAMIEL

Perchè questa faccenda ha il merito , ancora una volta , di farci capire cosa siamo , cosa vogliamo essere , e cosa non vogliamo essere.

Perchè gli uomini , e le donne , smettano di difendere ciò che lui rappresenta...

né puttane né madonne, siamo solo donne

da: UNA NUOVA ALLEANZA TRA UOMINI E DONNE di Elisabetta Ambrosi
 
«Non ti è lecito! Non ti è lecito offendere e umiliare la bellezza della donna; non ti è lecito trasformare le relazioni in merce di scambio, guidate da interessi e denaro; e soprattutto oggi non ti è lecito soffocare il cammino dei giovani nei loro desideri di autenticità, di bellezza, di trasparenza, di onestà. Tutto questo è il tradimento del Vangelo, della vita e della speranza!».

La lettera pubblica di suor Rita Giaretta, orsolina impegnata nel difficile territorio del casertano contro la tratta delle prostitute, contiene parole che forse meglio di altre si prestano a rappresentare uno slogan potente del movimento di indignazione della società civile seguito alle sconcertanti vicende sul giro di escort e ricatti in cui è coinvolto Silvio Berlusconi. Un movimento che si ritroverà domenica prossima nelle piazze d’Italia.

Nella lettera, suor Rita Giaretta si dice inquieta di fronte allo spettacolo «di fiumi di denaro e di promesse che intrecciano corpi trasformati in oggetti di godimento». E aggiunge: «Di fronte a tale e tanto spettacolo l’indignazione è grande!». Il suo appello, però, non è rivolto solo al presidente del Consiglio ma a tutti gli uomini di potere che in maniera più o meno palese mettono in atto comportamenti simili. E insieme a loro al mondo maschile – «poche sono le loro voci, anche dei credenti, che si alzano chiare e forti» – dove «le relazioni e i rapporti sono spesso esercitati nel senso del potere». E dove c’è, conclude, «grande bisogno di liberazione».

È soprattutto questo mondo che dovrebbe essere protagonista il 13 febbraio, oltre alle donne che sembrano finalmente aver riacquistato voce e forza contro una degradazione sempre manifesta, ma che oggi ha certamente toccato il suo apice. Nonostante molte voci maschili si siano indignate pubblicamente, chiedendo le dimissioni del premier, gli uomini non sembrano egualmente protagonisti in questa protesta, come in quelle che l’hanno preceduta.

Una mancanza di simmetria che ha molte ragioni. Complicità, omertà, persino invidia, avanza suor Rita Giarretta. Ma ci sono forse anche colpe femminili. Ad esempio non ha aiutato e non aiuta un certo femminismo separazionista, quello che rivendica la differenza femminile quasi ponendola al di là di un muro invalicabile. E al tempo stesso, talvolta persino esplicitamente, teorizza la superiorità del femminile, la sua peculiarità speciale. Che mentre da un lato sembra esaltare le donne, dall’altro finisce per assegnare loro un posto separato nella società: quanto, d’altro canto, fanno quelli che sminuiscono le competenze e il valore femminili.

Non è un caso – ci si riflette forse troppo poco – che «maschilismo» corrisponda alla stessa dicitura di «femminismo», ma declinata al maschile. Mentre il primo viene visto negativamente, però, il secondo viene considerato un valore. Così, in Italia abbiamo avuto pochi drappelli di femministe e un paese davvero retrogrado, dove tuttora la donna occupa posizioni così misere e sottopagate da renderci ultimi in Europa. Dove il maschilismo impera trasversalmente, duole dirlo anche a sinistra.

È un maschilismo nascosto, quasi impercettibile. Eppure si nota quando i panel dei convegni ma anche delle trasmissioni TV di informazione – penso, solo per fare due esempi, ad Ominibus di La Sette ma anche ad un Fabio Fazio che fino a poco tempo fa ospitava praticamente solo uomini – vengono pensati quasi interamente al maschile. O quando si vede un parlamento di deputati in giacca e cravatta, attorniati da segretarie, sempre e solo donne, magari laureate, mentre i loro capi non lo sono.

Certo, “là fuori”, nella società reale è peggio. Solo di pochi giorni fa l’ennesima notizia di cronaca di una donna uccisa, insieme al figlioletto di due anni, dall’ex disperato per la separazione, un copione ripetutosi in questi ultimi mesi decine e decine di volte; una terribile strage. Ma altrettanto inaccettabile è la desolazione di milioni di donne, magari giovani, che hanno smesso di cercare lavoro, e che stanno a casa, con o senza figli. Oppure hanno un lavoro “cattivo” e ripetitivo, mentre i coetanei maschi, a parità di studi, se la passano, se non bene, un po’ meglio. Le escort del caso Berlusconi sono compagne di queste donne, pure nella triste immagine di sé che hanno dato. Certamente una società meritocratica, in cui le strade per raggiungere felicemente una professione fossero tanto semplici quanto manifeste, scoraggerebbe questi comportamenti.

Ciò di cui abbiamo bisogno allora, e che speriamo venga invocato nelle imminenti manifestazioni, non è un nuovo femminismo, ma di una vera parità. Quella che è divenuta realtà da decenni in altri paesi europei, dove ci sono donne in tutti i luoghi di potere, spesso a capo di team di uomini. Dove il welfare per la famiglia è concreto e tangibile. Dove puoi incontrare donne brutte e non più giovani con uomini belli, una cosa impensabile nel nostro paese, nel quale in una coppia la donna deve essere forzatamente più giovane e più carina.

In molti di questi paesi, le quote rosa sono state applicate certo con un margine di artificio, ma alla fine con successo. Mentre nel nostro dibattito tutti si affannano ad accusarle, a destra come a sinistra, di essere uno strumento dannoso e illiberale. Persino il ministro per le pari opportunità Mara Carfagna, che sembra non vedere quanto illiberale sia una situazione di minorità e degrado femminili che non ha quasi eguali in Europa.

Uomini e donne, uniti in una nuova alleanza – nata dal basso, dalla società civile, non dalle fragili opposizioni politiche – che forse gli eventi di questi giorni hanno creato. E che ora è quanto mai  importante rinsaldare.

 

RENDERE VISIBILE L'INVISIBILE di Maria Serena Sapegno

 La mobilitazione del 13 febbraio che chiama nelle piazze di almeno sessanta città di tutta Italia le donne di ogni età e provenienza, di diverse convinzioni politiche e collocazione sociale, e invita anche gli uomini che ne capiscano il senso e la complessità, è organizzata da un gruppo di donne anch’esse molto diverse tra loro. Non ha “mandanti” o burattinai, come alcune/i temono, e soprattutto ha come scopo fondamentale quello di imporre il rispetto per le donne. PER TUTTE LE DONNE.

Si tratta di una manifestazione profondamente politica, quindi, che non cerca la mediazione di partiti o gruppi politici, ma si rivolge direttamente a tutte le donne, dal momento che gli uomini non sembrano avere la lucidità politica di sentirsi chiamati direttamente in causa dall’immagine sgangherata e violenta di un potere fallocratico tanto più fragile quanto più arrogante. Un potere fondato su un dominio antico, quello di un sesso sull’altro, rinnovato ora solo superficialmente.

Ciò che abbiamo letto nelle settimane passate non è solo il rivelarsi di una scena privata dalle tinte patetiche e grottesche, come è stato rilevato da più parti. È prima di tutto l’emergere con lampante chiarezza di un sistema di corruzione premoderno, secondo il quale per chi può accedere alla corte del generoso feudatario e fornirgli ciò che il capriccio del momento detterà, sono in serbo non solo doni ingenti e imprecisati, dai gioielli, a rilevanti somme di danaro, a proprietà immobiliari, a carriere fulminanti in televisione, ma perfino la possibilità di accesso a cariche pubbliche ed istituzionali. È inoltre rilevante che a tale corte siano invitate quasi esclusivamente donne giovani (perfino minorenni) e molto belle, in gruppi numerosi, rappresentazioni viventi delle proiezioni del desiderio maschile che hanno la funzione di confermare, rassicurandolo. Esattamente in diretta continuità con quello che accade da parecchi anni sugli schermi della nostra televisione dove non c’è donna che non sia immagine di quel desiderio compulsivo che va blandito, nella rassicurazione che tali bellissime donne mute non desiderano che provocarlo e poi compiacerlo, non vivono che per questo.

C’è un rapporto diretto tra tale ripetitiva rappresentazione e le scandalose cifre sulla assenza delle donne dai ruoli decisionali, pubblici e privati, sulla disoccupazione femminile, sulla denatalità, sulla mancanza di servizi all’infanzia e agli anziani, che collocano l’Italia ai posti più bassi delle classifiche internazionali. Eppure le donne italiane hanno fatto un lungo cammino, sono molto più forti e consapevoli, sono diffuse in tutta la società con i loro talenti.

Il fatto è che lo sguardo e la voce delle donne su di sé e sul mondo, conquista epocale del femminismo, non conosce quasi spazio pubblico, quello spazio occupato pressoché integralmente dallo scandaloso monologo e dal solo sguardo degli uomini. Per questo è uno spettacolo umiliante e lo è in modo particolare per gli sguardi di giovani e giovanissimi e che non hanno mai visto altro e lo considerano perciò naturale. Ma al di là del suo essere umiliante, stiamo parlando di una rappresentazione del rapporto tra i sessi e di modelli di genere che hanno una forte valenza politica: parlano di dominio e sottomissione, di cancellazione della differenza, di misoginia e omofobia, di violenza e disprezzo.

È necessario certo denunciare la tacita complicità degli uomini, il loro liquidare tali questioni come poco importanti, materia da barzellette, a meno che non ci sia un reato, l’assoluta incapacità di vederne la rilevanza politica, anzi l’insofferenza e il fastidio per chi lo faccia, che manifestano in realtà le implicazioni profonde. Ma anche notare quante siano le donne stesse che ostentano indifferenza e la convinzione che altri siano i veri problemi.

Per questo abbiamo deciso che si era ormai toccato il fondo e non si poteva più rimandare: Se non ora quando? Era necessario compiere un gesto forte che avesse la capacità di produrre estraniamento, di rendere cioè di nuovo “visibile” quello che non vediamo più perché siamo assuefatti a considerare normale, qualcosa che non ci riguarda e tocca solo gli altri. Perché invece ci riguarda tutte e tutti e incide molto profondamente, perfino al di là della nostra consapevolezza, sulla nostra convivenza civile.

C’era bisogno di questo? E a cosa può servire?

Siamo convinte che il gesto simbolico di invitare le donne a scendere in piazza insieme, al di là di ogni schieramento e comprendendo le tante differenze che ci caratterizzano, abbia innanzitutto il senso ancora una volta di un reciproco riconoscimento, e possa rappresentare la grande forza delle donne come dato politico da imporre all’opinione pubblica e come capitale di cui l’Italia ha grande bisogno.

Certo non basta. Perché non è la prima volta, e perché le manifestazioni sono solo un momento che deve pesare in un processo ben più ampio. Non basterà per noi e non può e non deve bastare per i tanti uomini della politica che in questi giorni accettano il nostro invito pubblicamente: va bene sentirsi civili ed evoluti per un pomeriggio, anche se con grave ritardo, ma saranno chiamati a dare prova concreta della loro “amicizia” in politica, salvo perdere il voto delle donne. E non entro qui nel vero tema di fondo dell’identità sessuale maschile, della disponibilità o indisponibilità a prendere atto della sua crisi profonda senza pericolose nostalgie, ciò di cui argomenta da anni e anche in questi giorni, apparentemente inascoltato, il gruppo Maschileplurale: è problema degli uomini e della loro credibilità. Parlo invece di rapporti di forza, di spazio alle donne, e in particolare alle giovani donne, in tutte le sedi, parlo di leggi, di cambiamento dell’organizzazione del lavoro e della società, per permettere concretamente alle donne la pratica di una piena cittadinanza.

Quanto a noi donne che, come è stato ricordato, non siamo mai state zitte, si tratta di trovare collettivamente modi nuovi e più efficaci di far sentire la nostra voce anche nello spazio pubblico. L’associazione DiNuovo, che ha dato il via iniziale alla mobilitazione, che poi sta crescendo anche da sola per l’incrociarsi e il sovrapporsi di tanti motivi, ma soprattutto per il grande desiderio di tante donne di esprimere la propria rabbia e la voglia di cambiamento, desiderio della cui vastità nessuno si era reso conto, nasce proprio su questo tema. Far pesare la forza delle donne nello spazio pubblico. Esprimere tale forza trasversale e autonoma collegando le tante realtà di donne attive e coscienti di questo paese, aprire a tutte le donne che siano interessate, coinvolgere le giovani donne che avevano creduto alla promessa di parità e pagano più di altri la caduta delle illusioni.

Vedremo chi vorrà impegnarsi, cercheremo insieme le forme più idonee e rispettose delle grandi diversità e proveremo a mettere insieme il patrimonio di esperienze e di capacità, la straordinaria ricchezza che caratterizza la variegata realtà delle donne, al fine di accrescerne il peso e l’impatto, perché è in questa direzione, piuttosto che nello sforzo infinito a sorreggere il gioco degli altri, che deve andare il vero contributo delle donne alla crescita di questo paese.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 

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SIBILLA ALERAMO

"Mi pareva strano, inconcepibile, che le persone colte dessero così poca importanza al problema sociale dell'amore. Non già che gli uomini non fossero preoccupati della donna; al contrario, questa pareva la preoccupazione principale o quasi. Poeti e romanzieri continuavano a rifare il duetto e il terzetto eterni, con complicazioni sentimentali e pervensioni sensuali. Nessuno però aveva saputo creare una grande figura di donna."

 

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