Silenzioso swing…

Silenzioso swing

Nel silenzio soltanto gli alberi cantano,
lieve la loro intonazione nel nulla
terso oltre le nebbie del mattino;

e l’erba che mi cresce in bocca
riflette un sogno di un sonno antico.

Forse l’estate è nei gerani, nella brezza,
vivo una storia senza personaggi,
il tempo è un vuoto azzurro,
dove diradano i pensieri ,si fanno lievi le voci,
flebile il respiro… e la pioggia un incanto ,
la fine di un’attesa che appaga i sensi.

GB

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Da bambina…

Da bambina guardavo il mare a lungo, mi piaceva lasciar scivolare lo sguardo verso l’orizzonte, era come disegnarlo per la maestra, finiva sempre con una linea retta, interrotta da una nave ;c’era sempre una ciminiera col fumo su quella nave. Verso la spiaggia almeno due pesci colorati e poi la bottiglia che approdava. E in quella bottiglia c’era sempre un messaggio. Da bambina leggevo Salgari, Robinson Crusoe; oltre il mare vedevo i paesaggi della Malesia, oppure l’isola di Robinson. Robinson non solo viveva come meglio poteva, ma ogni giorno metteva un messaggio in bottiglia,chissà dove le trovava, ma ogni giorno una bottiglia arrivava, doveva arrivare in quel mare che guardavo con gioia ed apprensione. Il messaggio in bottiglianon poteva essere altro che una richiesta d’aiuto… ed io ero là ad aspettare nel mio inconscio quella bottiglia. Aiuto, volevo dare aiuto; da bambina ero sempre fuori del mondo, volevo essere coraggiosa , ma che fatica per farmi nuotare, volevo essere forte, eppure piangevo se cadevo dalla bicletta e mi sbucciavo il ginocchio; volevo fare da sola ,eppure mi vestivano sempre la mamma o la tata. Da bambina volevo giocare con i bambini in cortile, ma dovevo stare dalle suore tutto il giorno. Dopo le lezioni dovevo ricamare, imparare musica,le buon maniere, ero una bambina e mi chiamavano signorina. Ero una bambina, ma non ero quella bambina che sentivo dentro che voleva andare da sola, giocare coi bambini felici, quelli che giocavano a facciamo finta che ero; avevo tanto ,ma ero un uccellino in gabbia, che sognava di volare libera nel cielo.

E’ stato allora che mi sono innamorata del mare , del cielo, di tutto quello che è là, oltre me, e mi chiama.

 

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Mi piace…

Mi piacciono i capelli appena lavati, ancora umidi, lisci come seta,mi piace il pane caldo, che sa ancora di forno, che porta il ricordo della legna di un tempo, le case silenziose ,la mattina: per questo mi piace alzarmi presto, spalancare le finestre sull’alba. Mi piace aspettare qualcuno che arriva col treno, l’occhio che si perde dove i binari diventano un puntino. Mi piace il profumo del bucato, quello di casa mia, che ha il profumo di noi, delle nostre intimità. Mi piace camminare sola, su strade che conosco perchè seguo solo il mio pensiero. Mi piace chiudere un libro e buttarmi a capofitto dentro un fumetto. Mi piacciono le giornate di sole in primavera, quelle brillanti come l’oro dell’autunno ,passeggiare in giardino, godermi tutto il bello intorno. Mi piace conoscere senza giudicare, guidare quando piove, nella notte .Mi piace quando riesco a fare le cose, gestire gli imprevisti senza andare in tilt e poi dirmi brava da sola, mi piace respirare come se dovessi prendermi il massimo dell’aria, in quel respiro un concentrato di vita…

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Il culto della sincerità non ci libera dall’errore…

 

C’è una virtù che oggi sarebbe trionfante. Dico la sincerità. Il culto della sincerità non ci libera dall’errore. Da quando furono abbattute le barriere architettoniche che la ostacolavano – vale a dire il timore reverenziale, il rispetto, l’autorità, il decoro, il galateo, la paura della punizione – la sincerità si presenta nuda, sfacciata, a briglia sciolta, nei mille rivoli dei media. Via i tabù, vai con l’outing.

Viviamo dunque nell’età della sincerità?

Per cominciare, la sincerità è una virtù socialmente pericolosa e difficilmente compatibile con l’amicizia, l’affetto e la simpatia, anche se poco sinceramente si sostiene il contrario. La sincerità è una signorina stimata ma poco amata. Nubile, non sopporta mariti e conviventi. A volte è irritabile, più spesso è irritante. Nell’immaginario sociale, la sincerità è una virtù puerile come lo è la bugia, il cui metro vistoso è il naso di Pinocchio che s’allunga. La sincerità più della bugìa ha le gambe corte, perché non va lontano, tronca molte relazioni. La sincerità è un modo di dire ma non implica un conseguente modo di agire. Il sincero può persistere in tutti i suoi errori, vizi, bassezze; si limita a dichiararli. Chi è sincero può non essere onesto, e chi è onesto può non essere sincero. Se confesso di aver rubato sono sincero ma non smetto di essere ladro. Viceversa posso dire una bugia a fin di bene, dunque onesta. Ma soprattutto non c’è nessun automatismo tra la sincerità e la verità. Il sincero non dice la verità ma dice quel che pensa o, peggio, quel che sente. Il sincero dice tutto ma non sempre pensa quel che dice. La sincerità è soggettiva mentre la verità implica lo sforzo a uscire dalla propria soggettività per avvicinarsi alla realtà obiettiva. La sincerità può autoingannarsi: costruisce castelli d’illusioni e va ad abitarci. Il mio cuore messo a nudo di Baudelaire indica un sincero aprirsi, esponendo le passioni, i tormenti, le speranze; ma la verità è un’altra cosa. Senza dire del sofisma cretese: se dico «sto mentendo» sono sincero o no? Quesito insolubile perché si autosmentisce in ambo i casi.

La sincerità è spesso confusa con la spontaneità: niente freni, niente veli, dico tutto quel che mi passa per la testa. La spontaneità è immediata, non tollera la mediazione riflessiva; è diretta, selvatica, primitiva. La spontaneità non è una virtù, è solo la liberazione di un impulso, è uno sfogo, quasi un’incontinenza. La brutale franchezza spesso produce nel nome di un piccolo bene, la sincerità, gravi danni al prossimo e ai rapporti umani. Ferisce l’altrui sensibilità, non si cura dei suoi effetti, danneggia i legami sociali. Dal ’68 in poi si è identificata la sincerità con la spontaneità. Come la verità è rivoluzionaria sul piano politico, così sul piano interpersonale la sincerità è stata considerata libertaria, liberatrice e dissacrante. In fondo, franco sta sia per sincero che per libero. Da questa pseudo-sincerità sono nati due frutti, uno per affinità, l’altro per contrasto. Da una parte è sorto il coming out, detto in breve outing. Tutto ciò che era coperto dall’inibizione diventa oggetto di esibizione. Il pudore per l’intimità cede al narcisismo, con sfacciata sincerità. Dall’altra parte, il risultato paradossale della guerra all’ipocrisia «borghese» è la nascita d’un nuovo codice dell’ipocrisia, il politically correct: l’uomo di colore, il rom, il non vedente, il diversamente abile, il personale ausiliario, l’operatore ecologico; il frasario dell’ipocrisia. La sincerità delle origini si è capovolta in uno stucchevole rococò della falsità. Torna in altre vesti la massima: la parola è data all’uomo per nascondere il pensiero (e la realtà). Una parodia delle ipocrisie rivoluzionarie la fece già Niccolò Tommaseo nel Vocabolario filosofico-democratico del 1799.

La civiltà è il contrario della sincerità intesa come spontaneità. Ciò vale sia nell’ambito del costume e dei comportamenti che sul piano del pensiero e della fede. Nel primo caso, l’etica si accorda all’estetica e la sincerità non deve ferire lo stile e il buon gusto; nasce il galateo, la civiltà delle buone maniere, che velano la sincerità; le tende di pizzo del pudore. Ma anche in ambito teologico e filosofico la verità si è servita della menzogna quanto e più della sincerità. La pia fraus cristiana e le sante omissioni, le salutari menzogne di Platone, la doppia verità di Averroè, il bello mentire di Campanella, la dissimulazione onesta di Torquato Accetto, praticata anche da rigorosi moralisti come Seneca, le menzogne necessarie di Nietzsche (il velo d’Apollo che veste di bello l’orrore della verità e copre la tragedia del divenire). E in letteratura la menzogna troneggia. Gli uomini, diceva Tristan Bernard, sono sempre sinceri ma cambiano spesso sincerità. La realtà ha molte facce e noi possiamo essere sinceri rispetto a una e insinceri rispetto a un’altra. Possiamo dire la verità, ma non tutta la verità. Qui si tocca una questione cruciale che va oltre la sincerità e investe la verità, che ama nascondersi, si confonde col mistero e può essere colta per allusioni, bagliori e frammenti. È la poligonia del vero, di cui parlava Gioberti nella Teoria del sovrannaturale; la verità ha vari lati, non uno solo. Nessuno ha la verità in tasca, semmai noi siamo dentro la verità, ne cogliamo uno spicchio; ma ciò non impedisce che ci siano altri spicchi di verità che non vediamo, non vogliamo o non sappiamo vedere. Non è relativismo, che sottende la riduzione della verità ai punti di vista, alle interpretazioni soggettive; ma la verità ha più lati, ossia la verità è più grande di noi, ci trascende, noi possiamo aspirare a essere nella verità, ma non ad avere la verità in pugno. Questo salva la verità dal monopolio dispotico e dalla negazione nichilista.

Insomma la sincerità è una virtù interiore ma non sempre è una virtù pubblica. Spesso ferisce, nuoce, spezza i legami; non implica coerenza tra il dire e il fare. Non s’identifica con la spontaneità ma assume valore se è consapevole e riflessiva. La sincerità è poi soggettiva e dunque non coincide con la verità. È solo un lato del vero. Resta un pregio, una virtù vera, se indica l’aprirsi agli altri senza secondi fini subdoli. E se sa fermarsi davanti alla soglia del rispetto altrui, della carità, della prudenza e della pazienza. Come ogni virtù, la sincerità si fa tiranna se è unica e assoluta, sciolta da ogni vincolo e da ogni altra virtù. La sincerità non è la virtù regina, ha valore se non violenta altre virtù. Al poligono della verità corrisponde il politeismo delle virtù: le virtù si temperano a vicenda. Senza freni la sincerità è una virtù che sconfina nella malvagità.

MV . da Antologia.

 

Pinocchio

La legge di Murphy con un po’ d’ironia…

Credo che non ci sia persona che non conosca , magari inconsciamente questa legge pseudo scientifica, poichè nessuno, nella sua vita, a meno di una eccessiva sfacciata fortuna, è riuscito a evitare di assistere ad uno dei suoi corollari.

Legge di Murphy: i corollari.
Secondo la legge di Murphy se qualcosa può andare male lo farà e l’assioma ha in tutto nove corollari, i seguenti:

1-Niente è facile come sembra;
2-Tutto richiede più tempo di quanto si pensi;
3-Se c’è una possibilità che varie cose vadano male, quella che causa il danno maggiore sarà la prima a farlo;
4-Se si prevedono quattro possibili modi  in cui qualcosa può andare male, e si    prevengono, immediatamente se ne  rivelerà un quinto;
5-Lasciate a se stesse, le cose tendono ad andare di male in peggio.
6-Non ci si può mettere a far qualcosa senza che qualcos’altro non vada fatto prima.
7-Ogni soluzione genera nuovi  problemi;
8-I cretini sono sempre più ingegnosi delle precauzioni che si prendono per impedir loro di nuocere;
9-Per quanto nascosta sia una pecca, la natura riuscirà sempre a scovarla.

E’vero o no che,  leggendo queste frasi, sorge un sorriso? C’è qualcuno che può provare il contrario, tra chi forse vede oltre il bicchiere mezzo pieno ? Intanto ,per diletto ed esorcizzare  tutto questo ,divertitivi a leggere ” La  legge di Murphy” di Arthur  Bloch ,da cui vi propongo alcuni stralci.

Leggi e postulati.
Se nella chimica “seria” esiste il Postulato di Hammond, nella “murphologia “esiste il postulato di Boling: “Se sei di buon umore, non preoccuparti: ti passerà”. Molto importanti sono anche le leggi di Scott. La prima: “Qualsiasi cosa vada male, avrà probabilmente l’aria di andare benissimo”. La seconda: “Quando si trova e si corregge un errore, si vedrà che andava meglio prima”. E il corollario: “Quando si capisce che la correzione era sbagliata, sarà troppo tardi per tornare indietro”. Imprescindibile è anche la legge di Murphy sull’amore: “Se ti può andare buca lo farà”.

Così come le varie declinazioni della legge di Murphy sul lavoro, tra cui spiccano la legge di Lampner – “Quando lasci il lavoro tardi, nessuno ti nota. Quando te ne vai presto, incontri il capo nel parcheggio” – e il corollario alla legge di Edward: “Se non ci fosse l’ultimo momento, non si riuscirebbe a far niente”.

Sarebbe impossibile riportare qui tutte le frasi divertenti sulla legge di Murphy, ma le più belle comprendono ancora: “Se un congegno meccanico si rompe, lo farà nel peggior momento possibile”. “Niente va così male che non possa andare peggio”. “Si troverà sempre una cosa nell’ultimo posto dove la si cerca”. E poi: “Chi russa si addormenta per primo”. “Se lo spirito è forte ma la carne è debole, perché vince sempre la carne?”. E infine: “Se le regali dei cioccolatini, è a dieta. Se le regali dei fiori, è allergica”.

Che importa quanti anni ho?

José Saramago

Ho l’età in cui le cose si osservano con più calma,
ma con l’intento di continuare a crescere.
Ho gli anni in cui si cominciano ad accarezzare i sogni con le dita
e le illusioni diventano speranza.
Ho gli anni in cui l’amore, a volte, è una folle vampata,
ansiosa di consumarsi nel fuoco di una passione attesa.
E altre volte, è un angolo di pace, come un tramonto sulla spiaggia.
Quanti anni ho, io? Non ho bisogno di segnarli con un numero,
perché i miei desideri avverati,
le lacrime versate lungo il cammino al vedere le mie illusioni infrante valgono molto più di questo.
Che importa se compio venti, quaranta o sessant’anni!
Quel che importa è l’età che sento.
Ho gli anni che mi servono per vivere libero e senza paure.
Per continuare senza timore il mio cammino, perché porto con me l’esperienza acquisita e la forza dei miei sogni.
Quanti anni ho, io? A chi importa!
Ho gli anni che servono per abbandonare la paura e fare ciò che voglio e sento.

José Saramago

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