Addio Alain Delon..

Macron: ‘Delon più che una star, un monumento francese’. Claudia Cardinale: ‘Il ballo è finito’
“Mister Klein o Rocco, nel Gattopardo o il Samurai, Alain Delon ha interpretato ruoli leggendari e ha fatto sognare il mondo – ha scritto su X il presidente francese Emmanuel Macron ricordando Alain Delon -. Prestando il suo volto indimenticabile per stravolgere le nostre vite. Malinconico, popolare, segreto, era più che una star: era un monumento francese”.

“Il ballo è finito. Tancredi è salito a ballare con le stelle…per sempre tua, Angelica”: rivivendo un’ultima volta le storiche scene che li videro indimenticabili protagonisti de “Il Gattopardo”, Claudia Cardinale affida all’ANSA le sue ultime parole per Alain Delon. “Mi chiedono parole – dice – ma la tristezza è troppo intensa. Mi unisco al dolore dei suoi figli, dei suoi cari, dei suoi fan… Il ballo è finito. Tancredi è salito a ballare con le stelle… Per sempre tua, Angelica”.

Alain Delon,nato  l’8 novembre 1935 a Sceaux nell’Alta Senna, se n’è andato per sempre a 89 anni ; con lui se ne va la grandeur frances .
Anche se solo adesso ha deposto la corona Alain Delon, indimenticabile re del cinema francese, se l’era già sfilata nel 2017 con l’annunciato ritiro dalle scene: “Ho l’età che ho – diceva-. Ho fatto la carriera che ho fatto. Ora, voglio chiudere il cerchio. Organizzando incontri di boxe, ho visto uomini che si sono pentiti di aver fatto un combattimento di troppo. Per me, non ce ne sarà uno di troppo”. Ben più del peso degli anni e dell’orrore nel vedere allo specchio la sua leggendaria bellezza sfiorita, a minare la sua voglia di vivere c’era stato un ictus (destino condiviso col suo eterno amico-rivale Jean-Paul Belmondo) e poi la diagnosi di un linfoma lentamente insinuato nei polmoni. Da combattente irriducibile il vecchio leone aveva ancora salito la scalinata di Cannes nel 2019 per una Palma d’onore che risarciva l’unico Prix César ottenuto in carriera. Poi si è piegato definitivamente alla solitudine, una segreta compagna che in più momenti della vita l’aveva accompagnato nel tunnel della depressione. (di Giorgio Gosetti)
Non c’è cosa più triste di una bellezza sfiorita né cosa più amara di una giovinezza appassita. La vecchiaia che per tutti è un declino, agli occhi dei belli è una catastrofe; quelli che più hanno avuto dalla vita, dalla giovinezza e dall’amore, sprofondano ancora di più nell’abisso degli anni.(M. Veneziani)
Alain Delon aveva avuto dalla vita una bellezza sfolgorante, aveva avuto le donne che voleva, ne ha amate alcune, come Romy Schneider , un amore travolgente ,tragico, che lasciò un segno profondo nella sua vita, che trovò poca pace in senso amoroso. Credo sia stato l’uomo più amato di tutto il mondo, almeno per le donne della mia generazione . Lo porterò nel cuore, continuando a vedere i suoi occhi azzurri, il suo sorriso bastardo e la sua tristezza, che il suo cuore non riusciva a nascondere  ,mai . Addio Alain Riposa in Pace !

Alain Delon

Carnera, il gigante buono e la memoria cattiva…

La cittadina di Sequals, poco più di duemila abitanti nella provincia di Pordenone, è conosciuta in Italia e non solo perché ha dato i natali al mitico pugile e gigante Primo Carnera. E ora che avevano pensato di dedicargli lo stadio, il paese natale si divide in favorevoli e contrari, perché lui, il Gigante buono di Sequals, è stato un mito fascista.

Carnera era un povero friulano e diventò il simbolo dell’Italia fascista e la rappresentazione fisica della sua mania di grandezza. In Carnera l’Italia trovò un triplice riscatto: dei poveri emigrati italiani nel mondo, essendo anch’egli emigrato in Francia e poi famoso negli Stati Uniti; il riscatto del piccolo italiano, visto come rachitico, debole, vigliacco e di bassa statura, secondo uno stereotipo del tempo, rispetto ai giganti americani e agli atleti negri; e infine il riscatto della provincia profonda e contadina rispetto alle metropoli e alle città industriali. Ma Carnera incarnò soprattutto il mito del gigante buono, dell’uomo più forte del mondo ma anche tenero e generoso; l’eroe che porta in alto nel mondo il tricolore e l’orgoglio di essere italiani. Carnera era diventato da poco campione del mondo di pesi massimi, nel 1933, e i suoi detrattori al sud lo paragonavano in negativo a Garibaldi. “Sono tutti trucchi. Carnera ha vinto perché era d’accordo prima. E’ proprio una specie di Garibaldi. La storia non cambia. Sui vostri libri di storia vi insegnano un mucchio di frottole, la verità è un’altra”. E’ un passo di “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi e la dice lunga sul mito di Carnera e le sue ombre, i suoi fan e u suoi detrattori, una specie di eroe dei due mondi in ambito sportivo. Un eroe che debordò dallo sport nel cinema, diventando attore in tredici film, ma anche nei fumetti e nella pubblicità. E un campione di virilità che celebrava il gallismo fascista. Carnera fu usato anche ironicamente, per contrasto: memorabile fu la sua accoppiata con il piccoletto Renato Rascel. Carnera era un modello fatto su misura per un regime che esaltava la virtù terapeutica e catartica dello sport e dei cazzotti, celebrati dal futurismo, come nel memorabile pugno di Boccioni realizzato da Balla, nel cui movimento si esprimeva plasticamente la Esse della storia in marcia. Del resto anche la propaganda per demolire il fascismo usò poi il penoso declino di Carnera per dimostrare, come il titolo di un famoso film degli anni 50 con Humphrey Bogart, che Carnera fosse “Un gigante d’argilla”, come l’Italia fascista. Il fascismo usò Carnera e poi lo accantonò quando diventò uno sconfitto; il duce lo esibì dal balcone di piazza Venezia ma non apparve al suo fianco, per non sembrare al suo cospetto un nano.  L’Italia fascista fu attraversata da miti sportivi largamente popolari e valorizzati dal regime: da Girardengo, che inaugurò l’epoca degli eroi a pedali, dalle trasvolate atlantiche di Balbo alle imprese automobilistiche di Tazio Nuvolari dalla Nazionale di Pozzo, Piola e Meazza alle dinastie calcistiche dei Ferraris e dei Caligaris, da Ondina Valla fino a Carnera.

La consacrazione di questi miti era negli Stati Uniti. Là, nel mondo nuovo, tra gli emigrati italiani, sotto i grattacieli, ogni successo di Balbo, Nuvolari o Carnera diventava non solo la celebrazione del primato italiano nel mondo; ma anche motivo di orgoglio per gli italiani emigrati, che finalmente non erano più visti come subalterni, affamati e camerieri, né come mafiosi, mariuoli e imbroglioni. Vedere il tricolore issato sui palchi americani e sui podi internazionali e l’inno nazionale suonato all’estero in segno di vittoria, erano un risarcimento morale e sentimentale con ricaduta sulla vita pratica degli italiani e sulla loro considerazione all’estero. Dovremmo ricordarlo in questi giorni olimpionici quando risuona l’inno di Mameli a ogni successo sportivo italiano. Diventare un Carnera divenne un modo di dire per indicare l’alta statura, la corporatura muscolosa, la forza fisica e la mascolinità. Fu anche un po’ fenomeno da baraccone, Carnera, come la donna cannone; ma vi era qualcosa di bonario nel gigante di Sequals, come ha mostrato poi la sua vita; un campione d’animo gentile, se si considera la sua filantropia e la sua passione per la lirica e per Dante. Perfino la sua bruttezza lo faceva apparire un Frankenstein del bene, un Eroe, un Gigante, un Superdotato dall’animo buono.  Le sue foto tra gentiluomini americani ben vestiti che gli arrivavano all’ombelico, e le sue grandi mani sulle loro spalle in un gesto di protezione indicava anche quanto fosse sovrastante la sua persona. Così diventò il simbolo della megalomania nazionale. Carnera in contrapposizione ai colletti bianchi e agli impiegati, rappresentava il culto del corpo, la forza esuberante e il tratto antiborghese che il fascismo accentuò negli anni trenta. Perfino il mito dell’ impero è la proiezione gigantesca del nazionalismo. Ma nella mania di grandezza l’Italia era accomunata nel mito moderno degli States, dove tutto è gigantesco, dai grattacieli alle vie, dalle auto ai marciapiedi, dalle vetrine agli spazi sconfinati. Il fascismo fu un regime con velleità macroscopica. Di quel sogno Carnera fu il testimonial vivente, in muscoli e statura.

I regimi passano, il mito di Carnera invece resta, con il riscatto degli italiani nel mondo e il suo primato sportivo. Che facciamo, cancelliamo le strade dedicate a Marconi, Pirandello, Mascagni e cento altri grandi perché furono fascisti? La solita, stupida storia. Carnera il gigante tra i pigmei astiosi del presente.

 Marcello Veneziani  

Quando ci si sente vuoti…

 

“Mamma Norma, cosa faccio se sento un grande vuoto nel mio cuore?”

“Figlio mio, il vuoto non è un momento perso. Sentirsi vuoti è persino incoraggiante”

“È il segnale che all’improvviso ti dice quanto avevi bisogno di uno spazio per te stesso. È il momento in cui rispondi alla chiamata per mettere in ordine le tue cose e il tempo per cambiare”

“Sentire un vuoto nel cuore è come toccare il fondo, ma è solo una parte di un processo di autoguarigione. È per questo che non è un momento in cui si perde tempo, tutt’altro”

“In ogni caso, come parte di ogni altro processo della vita, il fatto di “sentirsi vuoti” si presenta fino a un certo periodo di tempo, cioè alla fine è solo un’esperienza temporanea”

“Questa è l’altra faccia della medaglia. Sentirsi male, sopraffatti, in conflitto con i propri sentimenti, con ciò che abbiamo e con ciò che sta arrivando. Non ti fa venire voglia di fare niente e perdi un po’ il gusto per certe cose semplici della vita. Questa sensazione angustia l’anima, la rimpicciolisce, la affligge e questo si sente anche nel petto e nella pancia. Tutto questo è ascoltare il corpo e stare con se stessi nel silenzio. Questo messaggio ci dice quanto abbiamo bisogno di tornare a noi stessi, quanto dobbiamo riconoscere le nostre forze e anche scaricare gli eccessi. In fondo, è una chiamata alla nostra stessa anima”

“Figlio mio, niente aiuta meglio che uscire all’aria aperta, meglio se sei solo. Prova a camminare su un sentiero che porta a un bosco, o un sentiero che costeggia una montagna o un lago. Noterai che la mente si schiarisce man mano che ti assimili gli odori e il calore solare tipici della terra di montagna. Madre Terra è una grande alleata e sembra addirittura ascoltare senza giudicare tutti i tuoi pensieri”

“Cammina quanto ti serve, riposati quando il tuo corpo te lo chiede. Respira l’aria umida della terra o la brezza di una cascata. Siediti e rifletti finché non senti di aver identificato come sei arrivato a questo momento. Quindi medita e cerca di svuotare la mente fino quasi al punto di assoluto relax”

“Sentire il vuoto nel cuore è grave quando la circostanza non viene affrontata in tempo. È una crepa che deve essere sanata con parole dolci, con il tempo di attesa, con pazienza, con il contatto con le altre forze alleate. Il vuoto è più intenso quando risucchia energia sana come se fosse un buco nero che digerisce tutto senza riciclare nulla”

“Figlio mio, approfitta del vuoto che senti per svuotare ancora di più la tua stessa vita, cioè per purificarti, disintossicarti dal mondo, dalle relazioni, dagli eccessi e dai rumori interiori. È tempo di ascoltarti. Per arrendersi al proprio spazio sacro, è tempo di riconoscere quanto dipendiamo dall’apprezzamento e dall’approvazione degli altri, è tempo di liberarsi e affermare quanto meritiamo di essere autonomi”

“Poi, torna alla civiltà e al comfort solo dopo aver compreso il messaggio. Quando torni, benedici e sii grato per ogni esperienza vissuta. Potresti sentirti ancora vuoto nel tuo cuore, ma la prospettiva della soluzione ora sarà diversa e ancora più ampia”

“È giunto il momento di riempire gli spazi vuoti di dolce energia, di acqua cristallina, di profumo di fiori, di canto degli uccelli, di fruscio di foglie cadute, di profumo di terra umida. Ma soprattutto di pensieri ottimisti, con nuovi impegni, con animi carichi del proprio respiro, la cui propria anima è ascoltata e curata”

Arnaldo Quispe –

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La vita gratis…

 

I ricordi dormono accanto a noi. A volte è bello svegliarli e svegliarsi con loro. Si apre un mondo che credevi di non conoscere, invece ci vivevi dentro, e allora ti appariva naturale, come l’acqua che scorre e l’aria che respiri. La nostalgia non è una malattia ma un dono, la sua malinconia è un guscio che protegge un frutto gioioso.
Ci vorrebbe davvero una clinica dei ricordi, come scrive Georgi Gosdopinov nel suo romanzo Cronorifugio, dove la gente va a riprendersi i ricordi smarriti nel tempo o nella testa delle persone. Se dovessi scegliere il decennio preferito in cui rivivere, come succede ai popoli nel romanzo di Gosdopinov, sceglierei senza esitazioni il primo che vissi. Perché il più antico, il più lontano vissuto, il più diverso da oggi, avvolto nel mitico alone dell’infanzia quando non sai dove finisce la realtà e dove comincia la favola, tramite la fantasia. Risale a un’epoca primitiva, ancora senza tv ed elettrodomestici, usati da poco e da pochi pionieri. La chiave per aprire quel cassetto favoloso, oltre l’incanto della vita vista con gli occhi magici dell’infanzia – la scoperta primigenia delle cose, il fascino della prima volta di tutto, il piacere di scoprirsi al mondo e di conquistare ogni giorno un pezzo di vita e di conoscenza – è l’apriti sesamo di quel tempo magico, quel luogo, quel mondo che non c’è più: la vita gratis.
È la vita a portata di mano, all’aperto, senza prezzo e senza pretese, semplice e generosa, gratuita, dove tutto è accessibile a tutti: il ristoro delle fontane, il riposo delle panchine, il giardino pubblico, i frutti appesi agli alberi, i carrubi offerti dai rami ai viandanti, il ruscello in cui ti lavi e lavi i tuoi panni, i giochi fatti con ciò che hai a disposizione, senza arnesi, più la fantasia di un regola o di un oggetto che facilmente costruisci con le tue mani; e poi il mare libero, come i boschi e la campagna. Hai sete? Non vai al bar ma bevi alla fontana, e anche a casa non compri l’acqua minerale ma attingi dalle pompe e dai ruscelli. Le fontane d’estate erano ritrovi affollati, gente che beve, che riempie brocche, che si lava i piedi, dove ai bambini si dà fretta nei loro trastulli d’acqua per far bere gli adulti. Hai fame per uno spuntino? Stacchi un frutto dall’albero e lo mangi; finché è un frutto puoi anche staccarlo da un albero che appartiene a qualcuno, non lo stai saccheggiando, non è un peccato. Anzi, lo sarebbe il contrario, non dare da bere agli assetati e da mangiare agli affamati, come ci insegnavano. Vuoi riposarti? Non c’è bisogno di ordinare qualcosa a un tavolo, ti siedi alla panchina, come ancora fanno, soprattutto i vecchi al paese e aspetti, aspetti che passi il tempo, il caldo, la stanchezza. Da vecchi, il tempo è lungo e la vita è breve; il contrario dei giovani, a cui le ore corrono in fretta ma gli anni davanti sono tanti.
Vuoi farti un bagno? Niente stabilimento balneare, con lettini e ombrelloni, niente cabine, pedalò o gommoni, ma spiaggia libera con bagno libero, a volte senza costume o con le mutande di casa; e se hai caldo ti rituffi o trovi l’ombra di una grotta, la cavità di uno scoglio, o un albero vicino a riva. Tutto appare più semplice. E al mare corpi magri, non obesi né sottoposti a dieta, non rifatti, ritoccati, siliconati, palestrati, senza tatuaggi, creme, lampade, telefonini. Poi si passa la sera con lo struscio, il piacere è l’incontro, lo scambio di parole, la battuta. Basta poco per vivere. Gratis.
I bambini che giocano con niente tra strade e spiazzi, il massimo è rimediare un pallone. Il resto solo giochi di fantasia: la campana, i quattro angoli, nascondino, mago o libero, la piramide, il ciuccio, fiori e frutti, più mimica e indovinelli; giochi d’inventiva e abilità che non prevedono attrezzi.
Questa era la vita gratis, in uso soprattutto nella provincia, in particolare a sud, ma in fondo tutto il mondo è paese. E non era un secolo fa. Si poteva vivere senza soldi e senza limiti d’accesso, con poche pretese. Si campava d’aria, di terra, d’acqua, d’amicizia, espedienti e fantasia. Poi, è vero, c’erano i benestanti e i bisognosi, le proprietà private, i muri di recinzione, i privilegi, l’abbondanza e la penuria, le criature scalze; i mendicanti erano del posto.
La vita gratis era un mondo che sembrava fresco di creazione, appena sfornato da Madre Natura o dal Padreterno; ancora giovane, un po’ bambino, ingenuo nei suoi piccoli desideri, facili d’appagare.
Era bella la vita gratis, e lo dici con un sospiro, ma chissà se lo pensi davvero. Era una vita povera, ancora cruda, difficile nella sua facilità, aspra nella sua dolcezza; una vita che non riusciremmo più a vivere, perché abbiamo bisogno di troppe cose che prima non avevamo e perciò erano allora superflue; ma ora non sappiamo farne a meno. La nostalgia è dolceamara perché sai che quel mondo non può tornare e non ha senso affannarsi a restaurarlo. Tutta la sua poesia, la sua bellezza, è in quella irrimediabile lontananza; l’incanto di una perdita che non si recupera. Non si torna bambini, tuttavia è bello ritrovare lo spirito e lo stupore delle origini, pur sapendo che il tempo è passato ed è impossibile retrocedere. Ma il tempo, lo dice pure Gosdopinov, sembra rettilineo invece è circolare; alle curve rallenta, ci sono i tornanti. E la vita perfetta sa ricongiungere la fine all’inizio. In fondo, gratis vuol dire per grazia, e il proverbio antico aggiungeva et amore dei. La vita gratis, la grazia di essere al mondo…

 Marcello Veneziani

 Grazie a  Marcello Veneziani,scrittore, giornalista, filosofo, che seguo da tantissimi anni. Leggerla per me è , fin dalla prima volta, pane quotidiano, che nutre il mio spirito, la mia mente. I suoi scritti mi fanno una meravigliosa compagnia, grazie infinite per ogni sua parola, in cui spessissimo mi ritrovo,e sono felice che molte persone visitino questo mio blog, dove da tempo ho preso abitudine di condividere quanto di suo  mi piace avere a portata di rilettura.. Ancora grazie di cuore e tutta la mia stima. GSB

Elisewin e Adams…io e te.

Elisewin e Adams…io e te.

Leggo e rileggo. Ci sono autori verso i quali provo un ‘attrazione, una specie di innamoramento, che mi riporta a periodi sulle loro pagine. Alessandro Baricco è uno di questi, leggerlo è perdersi sempre in storie speciali i cui personaggi sono sempre persone particolari, magari eccentriche,ma mai banali , che la vita fa muovere su palcoscenici reali nel loro surreale, perchè il mondo è fatto di persone di ogni genere, tutte diverse tra loro eppure spesso accomunate da un caso che le porta a scoprirsi in incontri inimmaginati e inimmaginabili, ma quasi sempre salvifici.Ieri ho riletto per l’ennesima volta “Oceano mare” e mi sono persa ancora una volta in questo brano,dove la storia di Elisewin e Adam mi racconta la favola di una ragazzina e di un uomo più grande, che il destino ha legato per sessant’anni e che non riesco a dimenticare…

 

https://youtu.be/a-mLBHN7vFw CLICCA L’IMMAGINE

Nelle terre di Carewall, non smetterebbero mai di raccontare questa storia. Se solo la conoscessero. Non smetterebbero mai. Ognuno a modo suo, ma tutti continuerebbero a raccontare di quei due e di un’intera notte passata a restituirsi la vita, l’un l’altra, con le labbra e con le mani, una ragazzina che non ha visto nulla e un uomo che ha visto troppo, uno dentro l’altra – ogni palmo di pelle è un viaggio, di scoperta, di ritorno – nella bocca di Adams a sentire il sapore del mondo, sul seno di Elisewin a dimenticarlo – nel grembo di quella notte stravolta, nera burrasca, lapilli di schiuma nel buio, onde come cataste franate, rumore, sonore folate, furiose di suono e velocità, lanciate sul pelo del mare, nei nervi del mondo, oceano mare, colosso che gronda, stravolto – sospiri, sospiri nella gola di Elisewin – velluto che vola – sospiri ad ogni passo nuovo in quel mondo che valica monti mai visti e laghi di forme impensabili – sul ventre di Adams il peso bianco di quella ragazzina che dondola musiche mute – chi l’avrebbe mai detto che baciando gli occhi di un uomo si possa vedere così lontano – accarezzando le gambe di una ragazzina si possa correre così veloci e fuggire – fuggire da tutto – vedere lontano – venivano dai due più lontani estremi della vita, questo è stupefacente, da pensare che mai si sarebbero sfiorati, se non attraversando da capo a piedi l’universo, e invece nemmeno si erano dovuti cercare, questo è incredibile, e tutto il difficile era stato solo riconoscersi, riconoscersi, una cosa di un attimo, il primo sguardo e già lo sapevano, questo è il meraviglioso – questo continuerebbero a raccontare, per sempre, nelle terre di Carewall, perché nessuno possa dimenticare che non si è mai lontani abbastanza per trovarsi, mai – lontani abbastanza – per trovarsi – lo erano quei due, lontani, più di chiunque altro e adesso – grida la voce di Elisewin, per i fiumi di storie che forzano la sua anima, e piange Adams, sentendole scivolare via, quelle storie, alla fine, finalmente, finite – forse il mondo è una ferita e qualcuno la sta ricucendo in quei due corpi che si mescolano – e nemmeno è amore, questo è stupefacente, ma è mani, e pelle, labbra, stupore, sesso, sapore – tristezza, forse – perfino tristezza – desiderio – quando lo racconteranno non diranno la parola amore – mille parole diranno, taceranno amore – tace tutto, intorno, quando d’improvviso Elisewin sente la schiena spezzarsi e la mente sbiancare, stringe quell’uomo dentro, gli afferra le mani e pensa: morirò. Sente la schiena spezzarsi e la mente sbiancare, stringe quell’uomo dentro, gli afferra le mani e, vedi, non morirà.

Alessandro Baricco, (da) “Oceano Mare”, 1993.

Non so trovare un titolo. Ma so che per me è importante.

 

Se ancora riesci a respirare.Se i tuoi polmoni si riempiono di aria.
Se il cuore batte.E pompa sangue.E di quel sangue senti il flusso caldo,nelle vene.
Se le gambe reggono il peso del tuo corpo.E ancora ti ricordi come si fa a mettere un piede dietro l’altro.
Se le braccia fanno scudo ad un cucciolo di uomo.E le mani sanno stringere altre mani.
Se gli occhi sanno piangere.E le labbra piegarsi in un sorriso.
Se riesci a ripensare al Passato senza compromettere il Futuro.
Se ancora hai un Presente.Qualche sogno nelle tasche.E la possibilità di crescere e invecchiare.
Se ancora ti resta una Vita intera davanti …

Ecco.Se hai tutte quante queste cose … sappi che sei fortunato.Non hai bisogno di nient’altro per essere felice.

Allora prendi la tua Vita.E non limitarti a guardarla da lontano,come fosse il film di qualcun’altro.Diventane protagonista.Scrivi la tua storia.Vivi come vorresti vivere.E non come ti dicono di farlo.Balla ad un ritmo che sia soltanto il tuo.Scegli chi vuoi essere,e diventalo.Anche se fa paura.E ne fa tanta.Scegli chi non vorresti essere.E stai lontano dalle strade che rischierebbero di trasformarti proprio in quello.
E’ tutto un gioco.Un battito di ciglia.Il Tempo di un respiro.Una porta che si chiude.Una finestra che sbatte.Un temporale in arrivo.Una giornata di sole.L’arcobaleno.Le nuvole,e lo zucchero filato.E’ una partita.Una follia.Una mano vincente.Una scommessa sbagliata.Una sfida.Una corsa.Una caduta.Una ripresa.Ripartenza.

Allora prendi la tua Vita.E vivila.Tutta quanta.Fino in fondo.E’ tuo dovere.Hai un obbligo preciso verso tutti coloro che vorrebbero,ma non possono.Tu non li conosci.Ma loro esistono.E non sono stati fortunati come te.

E se è vero che le parole sono pietre,prendi queste mie e trasformale in mattoni.Costruisci un parco giochi nel giardino del tuo cuore,e corri lì a divertirti.Come quando eri bambino,e ancora sapevi come fare.
Se è vero che le parole sono pietre,prendi queste mie e scagliale lontano.Oltre l’orrizonte.Poi,corri a riprenderle.Ma non preoccuparti davvero di arrivare alla meta.Ciò che conta è il viaggio,e come,e quanto,esso sa cambiarti.E come,e quanto,ti lascerai cambiare.
Se è vero che le parole sono pietre,prendi queste mie e non dimenticarle.Fallo per me.Ti prego.Ho bisogno che tu te ne ricordi.

Antonia Storace

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Speciale empatia…

Riservo a pochi il diritto di avere accesso al mio cuore e per me raccontarsi è una forma di intimità. Ho un’idea d’amore e amicizia oramai rara, perchè ogni legame per me richiede profondità. Il bene che ti darò sarà un prolungamento del bene che mi voglio.

La mia felicità diventerà la tua ed il tuo dolore sarà anche il mio. Questo è l’unico modo di amare che conosco. Un modo che mi lega tanto a chi amo, ma anche un modo che mi dimostra quanto sia doloroso confondere gli altri con te stesso.

Charles Bukowski

 

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Quando si incomincia a intravedere il traguardo della vita…

 

Cinque sono le cose che un uomo rimpiange quando sta per morire. Non saranno i viaggi confinati nelle vetrine delle agenzie che rimpiangeremo, e neanche una macchina nuova, una donna o un uomo da sogno o uno stipendio migliore.

La prima sarà non aver vissuto secondo le nostre inclinazioni ma prigionieri delle aspettative degli altri. Cadrà la maschera di pelle con la quale ci siamo resi amabili, o abbiamo creduto di farlo. Ed era la maschera creata dalla moda. La maschera di chi si accontenta di essere amabile. Non amato.

Il secondo rimpianto sarà aver lavorato troppo duramente, lasciandoci prendere dalla competizione, dai risultati, dalla rincorsa di qualcosa che non è mai arrivato perché non esisteva se non nella nostra testa, trascurando legami e relazioni.

Per terzo rimpiangeremo di non aver trovato il coraggio di dire la verità. Rimpiangeremo di non aver detto abbastanza ”ti amo” a chi avevamo accanto, ”sono fiero di te” ai figli, ”scusa” quando avevamo torto, o anche quando avevamo ragione. Abbiamo preferito alla verità rancori incancreniti e lunghissimi silenzi.

Poi rimpiangeremo di non aver trascorso tempo con chi amavamo. Non abbiamo badato a chi avevamo sempre lì, proprio perché era sempre lì. E come abbiamo fatto a sopportare quella solitudine in vita? L’abbiamo tollerata perché era centellinata, come un veleno che abitua a sopportare dosi letali. E abbiamo soffocato il dolore con piccolissimi e dolcissimi surrogati, incapaci di fare anche solo una telefonata e chiedere come stai.

Per ultimo rimpiangeremo di non essere stati più felici. Eppure sarebbe bastato far fiorire ciò che avevamo dentro e attorno, ma ci siamo lasciati schiacciare dall’abitudine, dall’accidia, dall’egoismo, invece di amare come i poeti, invece di conoscere come gli scienziati. Invece di scoprire nel mondo quello che il bambino vede nelle mappe della sua infanzia: tesori.

Alessandro D’Avenia

 

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Ma perché nelle camere d’albergo dev’essere tutto così complicato?

 

“Dalle serrature agli interruttori, dal climatizzatore alle docce: c’è sempre almeno una cosa di cui non capisco il funzionamento”, scrive Marisa Fumagalli in “Te lo do io il design. Storie di evitabile follia“. Scoprire che il male è comune è un mezzo gaudio

Camillo Langone__da__IL FOGLIO

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Cos’è l’erotismo?

Cos’è l’erotismo?

È il corpo che desidera
in maniera imprevedibile.
Il desiderio precede per salti,
avanza, si ferma, torna,
si allontana.
L’erotismo è darsi, è negarsi,
Prendere senza dare o dare senza prendere, non è mai la cosa giusta, la cosa sana,
l’erotismo è una volta sola,
non è legato alla bellezza,
non è stima, ammirazione,
non è conoscenza,
l’erotismo non lo conosci un’ora prima e non lo ritrovi un’ora dopo.
È un’idea dell’amore a pugni chiusi: in una mano c’è la vita, nell’altra c’è la morte.
L’erotismo è rischio,
non è rispetto,
buona educazione,
l’erotismo va dove vuole,
ma non è mai violenza
anche quando è urgente,
precipitoso,
ha sempre una sua estetica
rigorosa, non fa parlare
il corpo, non lo usa,
l’erotismo è il corpo,
è il suo canto muto,
è la vicinanza di chi è lontano,
non è soccorso, aiuto,
non è cordiale,
non arriva quasi mai alla fine,
l’erotismo non è farsi del bene,
non è capire,
non è quello dell’altra volta
e non ti assicura niente
per il futuro.
L’erotismo muore appena
lo organizzi, appena
gli dai una strada.
L’erotismo non vuole e non dà,
ha un’altra, misteriosa nobiltà.

 
Franco Arminio