Ci sono luoghi…

 

 Ci sono luoghi che catturano non solo gli occhi, catturano la mente e la riportano lontano, laggiù nel tempo andato, ma mai perduto, che il cuore ha conservato tra le cose più preziose, malinconiche nostalgie di momenti magici, di desideri che si avveravano, di sogni che brillavano su lontani orizzonti. Era il tempo in cui cielo e mare si fondevano nella profondità di sentimenti, che la passione travolgeva sconquassando le nostre notti in laghi  di baci salati. Calava il sole e si accendeva quella musica ,che nemmeno l’ultimo istante della mia vita riuscirà a cancellare …e  sarà ancora estate,  noi saremo là, in quelle quiete onde di risacca, ad accarezzare lo stretto fondovalle  tra le magiche rocce.

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Quando i pride erano dedicati ai santi .

Una volta gli italiani si vestivano a festa, scendevano in piazza, andavano in corteo, chiamato processione, o festeggiavano in casa il Dei Pride. Letteralmente vuol dire Orgoglio di Dio, in anglo-latino, ed è il nome consono al tempo nostro per indicare la festa del santo, fiero e devoto servo del Signore, e all’orgoglio del campanile. Sant’Antonio il 13 giugno, San Giovanni il 24 giugno, Santa Maria in più date; e tanti santi patroni, alcuni famosi, altri solo locali, taluni perfino rurali o marinari. Tutti miracolosi. La Regina di quella feste, oggi diremmo la Star, non era una Queer ma la Madonna, nelle sue svariate vesti e versioni. Solo a Napoli se ne contavano 250.
Ma il Dei pride non era solo una mobilitazione popolare di piazza né si celebrava solo nella Casa del santo, la chiesa a lui dedicata o dove c’era una sua statua, una sua reliquia, una tela o una pala d’altare a lui/lei dedicata. C’era il pellegrinaggio nelle case degli Antonio, Giovanni, Peppino, Maria per il loro onomastico, che valeva più del compleanno; un via vai di amici e parenti, visite e garzoni, cremolate e spumoni, per non dire di altri dolciumi che da noi si chiamavano “complimenti”.
Come avrete capito, vi sto parlando in particolare del sud, che esibiva più vistosamente quel che in tutta la cristianità cattolica era d’uso. Era la linea di distinzione tra il nord protestante e il sud cattolico; tra l’austero, lugubre e solitario luteranesimo e il chiassoso, corale paganesimo in chiave cattolica. Variopinto e festoso, anch’esso, ma senza essere circense o carnevalesco.
Perché vi parlo dei santi all’indomani del solito gay pride? Non solo per paragonare due mondi paralleli e opposti, tra sorprendenti analogie e radicali capovolgimenti. Ma per ricordarvi il ruolo dei santi da noi, l’importanza dei nomi ereditati, spesso dedicati a quei santi, e ripensare la religiosità nel tempo della sua scomparsa o meglio della sua sostituzione con i gay pride e affini.
Per farlo, non cito le innumerevoli fonti sulle vite dei santi, i loro culti e le loro feste “a divozione”. Ma il libretto simpatico, intitolato L’altra scommessa (Marsilio) di un autore televisivo e divulgatore scientifico, Antonio Pascale, che si definisce “ateo ma meridionale”. In che senso? Un po’ come l’ateo devoto, ma con un sapore etnico tutto particolare. A sud, anche gli atei non possono fare a meno di essere devoti ai santi, o perlomeno di rispettarli. Pascale venera in particolare i due Sant’Antonio, abate, “chillo cu puorc” e il santo portoghese da Padova. In loro anche chi è ateo può rispettare un modo di vivere, un sentire comunitario, una tradizione di popolo, il ricordo delle loro madri, del passato e dell’infanzia, il bisogno di sacro, di simboli e riti, l’affabilità domestica del divino, altrimenti troppo lontano, irraggiungibile.
I santi sono la prima rappresentazione della mediazione, di cui abbonda il sud, e il mondo cattolico, a ogni livello. C’è sempre qualcuno che si mette di mezzo; e quando si rompono gli argini e si passa a un’azione violenta, la parola d’ordine è “levateve a’ miezze”, toglietevi di mezzo (minaccia oggi superflua, perché nessuno si mette più in mezzo). Il clientelismo ha un antefatto celeste nella protezione dei santi: avere santi in paradiso è un modo di dire ancora corrente per la raccomandazione. I santi patroni, i santi più amati, i santi pop più recenti, su cui primeggia Padre Pio, erano le app più diffuse per accedere a favori e benefici altrimenti inaccessibili. Ai santi si chiede la grazia, l’intercessione, i numeri al lotto, il zito o la zita, tutto.
Sono i rappresentanti del sacro a portata di mano; un tempo uomini come noi, dunque ci capiscono, ci vengono incontro.
I santi sono la rappresentazione più alta dell’ascensore sociale: anche un umile mortale, un poveraccio, può diventare santo, salire in cielo. Non l’umanizzazione del divino della teologia della secolarizzazione, ma la santificazione dell’umano per avvicinarsi a Dio. Buon esempio, bella lezione. I santi erano gli influencer dell’antichità, i top model della vita buona.
Un mondo agli antipodi del nostro, anche se per la verità, nel sud dei santi e delle madonne, c’erano pure i femminielli, che erano l’archeologia degli lgbtqiazxgnboh+ (aumentano sempre le lettere, non saprei spiegarle). Ma il loro gay pride era devoto, andavano nel giorno della Candelora, il 2 febbraio, al Santuario della Madonna di Montevergine per chiedere benedizione e protezione. Era la juta dei femminielli; c’era pure lo “spusalizio mascolino” e la “figliata dei femminielli”.
Me le ricordo cos’erano le feste dei santi dalle nostre parti; lo sono ancora ma sono echi del passato; mi ricordo soprattutto come era bello per noi bambini assistere al via vai delle “visite” a casa, che facevano il giro dei Giovanni o degli Antonio di casa in casa. Era il tempo dei santi, dei dolci ma anche della frutta, dei magnifici fioroni, dei cibi del paradiso, dei gelsi e delle cerase. La natura concorreva alla festa con le sue primizie.
Di quella civiltà, e perfino delle sue esagerazioni e superstizioni, ho nostalgia e comunque ricordo con affetto quel mondo in confidenza coi santi, caloroso e verace, pieno di umanità e di fervore, religioso e gioioso, pur tra sacrifici, afflizioni e penitenze.
E ricordo tra i tanti, un lascito prezioso che stiamo perdendo. Un tempo, quando nascevano molti bambini, il nome dato loro non doveva essere “figo”, spiritoso o alla moda; i nomi non dovevano essere originali, online, ma dovevano significare qualcosa e ricordare qualcuno. E infatti erano i nomi dei loro nonni, dei loro zii, o i nomi dei santi a cui erano devoti, in particolare i patroni. Perché la vita era una sanguigna poesia a rime alternate, in cui i nipoti portavano il nome dei nonni, o dei santi venerati nella loro comunità. Ora senti in giro tra i rari neonati, nomi-fiction, alieni, nomi astratti, hi-tech, in silice, vegani o vegetali, global, netflix… Sono come i tatuaggi, che magari ti piacciono appena fatti ma poi devi tenerteli per una vita, quando perderanno il colore del tempo e della moda. Allora ripensi ai Dei pride e dici: ma siamo davvero meglio noi rispetto a quelli che portavano i nomi dei santi e andavano in processione?

MV     

Ecco perchè sei sempre nella mia testa…un farfuglio, tuttavia bellissimo.

 

Credimi, non ci sono grandi dolori, grandi pentimenti, grandi ricordi. Si dimentica tutto, anche i grandi amori. È questo il triste e l’esaltante della vita. C’è solo un certo modo di vedere le cose e di tanto in tanto viene fuori. È per questo che è bello in ogni caso aver avuto un grande amore, una passione sfortunata nella propria vita. Sarà almeno un alibi per le disperazioni senza motivo che ci affliggono.

Albert Camus

 

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Fiori…

‏Fiori

Certi uomini non ci pensano mai.
Tu sì. Ti presentavi alla porta
dicendo che mi avevi quasi portato dei fiori
ma qualcosa era andata storta.

Il fiorista era chiuso. O un dubbio ti assaliva
di quelli che sorgono all’infinito
a tipi come noi. Forse, pensavi,
io i tuoi fiori non avrei gradito.

Sorridendo allora ti avevo abbracciato.
Solo il sorriso mi resta ora.
Ma guarda, i fiori che avevi quasi portato
durano tuttora.

Wendy Cope

 

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Frederick Judd Waugh, Rum raw, 1922

Buon Compleanno, amore mio…

 

Tanti auguri amore mio. Anche se sei in quel mondo dopo da otto anni, il pensiero di te ,che non mi abbandona ogni momento della mia vita, la tua costante presenza spirituale reale in ogni mia azione, rendono sopportabile questa vita mia, inutile, triste, rallegrata soltanto dai ricordi di quella vita meravigliosa vissuta con te. Tu sei in ognuno dei tuoi luoghi, in ogni momento della giornata, sei con me colle immagini più belle della nostra lunga vita insieme, sento la tua voce e mi piace chiudere gli occhi in un tuo abbraccio… sento le tue mani morbide sulla mia pelle, mi perdo nel tuo sorriso e nel tuo profondo sguardo azzurro col quale scrivevi le più belle parole d’amore. Buon compleanno (102),amore per sempre!

violette

Foglie d’autunno…

 

 

Le foglie che cadono danzano nel vento, colorate di rosso e oro come erano le tue labbra in estate quando mi baciavi ,stringendomi con le tue braccia bruciate dal sole e quelle mani che amavo tenere per abitudine. Da quando te ne ne sei andato le giornate si sono fatte lunghe, presto tornerò a sentire cantare il vecchio inverno .Ma sei tu ciò che mi manca più di tutto Quando in autunno le foglie iniziano a cadere, anche se quest’anno paiono voler viver più a lungo, succhiare la linfa che la siccità ha fatto mancare loro, durante questa lunga calda estate, la peggiore da quando non ci sei. E ancora vorrei rivivere con te, amore mio, anche una sola estate, e in autunno, addormentarmi tra le tue braccia per risvegliarmi ancora con te, ovunque tu sia, comunque tu sia, non importa. Ti amerò per sempre e non sarà ancora abbastanza!

Camminare dopo tanto tempo mi ha riportato i miei vent’anni…

 Non so come mai un’estate come questa, caldissima, afosa di giorno e di notte  mi abbia così spesso riportato indietro negli anni e in particolare ai miei vent’anni, quando l’estate  era gioia, spensieratezza, e un grande amore da vivere solo colla pazzia di quegli anni. Felice , innamorata non solo di un amore, che pensavo sarebbe stato impossibile, ma di tutto ciò  che facevamo insieme. Le notti a guardare non solo le stelle, i sipari di nebbia sul Tanaro, le ore passate a leggere Garcia Lorca abbracciati sotto la luna  a lume di candela, ora  me le rivivo tutte Sarà che  cammino nuovamente dopo oltre due anni di sofferenze indescrivibili, ritorno a guardare le stelle sdraiata sull’erba, tu non ci si più, ma per me sei presenza in ogni angolo di questa natura , che mi circonda, che sa tutto di noi, mi accompagna la mia cagnolona e quel vecchio libro di Lorca in spagnolo che abbiamo letto non so quante volte. Ieri notte ho riletto la Sposa infedele, ho riso e ho pianto, e oggi voglio appuntare qui queste emozioni, che sono ancora le stesse dei miei vent’anni ormai lontani…ma sappiamo tutti che tempo e spazio non sono immobili e soprattutto un ‘opinione.

sposa-infedele

 

La sposa infedele
E io me la portai al fiume
credendo che fosse ragazza,
invece aveva marito.
Fu la notte di S. Giacomo
e quasi per obbligo
Si spensero i lampioni
E si accesero i grilli.
Dopo l’ultima curva
toccai i suoi seni addormentati
e mi si aprirono subito
come rami di giacinti.
L’amido della sua sottana
mi suonava nell’orecchio,
come una pezza di seta
lacerata da dieci coltelli.
Senza luce d’argento sulle cime
sono cresciuti gli alberi,
e un orizzonte di cani
abbaia lontano dal fiume.
Passati i rovi,
i giunchi e gli spini,
sotto la chioma dei suoi capelli
feci una buca nella sabbia.
Io mi levai la cravatta.
Lei si levò il vestito.
Io il cinturone con la pistola.
Lei i suoi quattro corpetti.
Né tuberose né chiocciole
hanno la pelle tanto fine,
né cristalli sotto la luna
risplendono con questa luce.
Le sue cosce mi sfuggivano
come pesci sorpresi,
metà piene di fuoco,
metà piene di freddo.
Quella notte percorsi
il migliore dei cammini,
sopra una puledra di madreperla
senza briglie e senza staffe.
Non voglio dire, da uomo,
le cose che lei mi disse.
La luce della ragione
mi fa essere molto discreto.
Sporca di baci e sabbia,
la portai via dal fiume.
Con la brezza si battevano
le spade dei gigli.
Mi comportai da quello che sono.
Come un gitano autentico.
Le regalai un grande cestino
di raso paglierino,
e non volli innamorarmi
perchè avendo marito
mi disse che era ragazza
quando la portai al fiume
Federico Garcia Lorca

E ora ascoltate La sposa infedele, capolavoro di sensualità, colori, profumi, immagini, nella interpretazione vocale di Arnoldo Foà…non perdetevela!

Come le notti bianche…

Ecco cosa sono i sogni, a volte desideri, ma quasi sempre momenti vissuti, che tuttavia non ci tornano come ricordi dell’attimo reale, ma delle emozioni vissute in quell’attimo, che abbiamo voglia di rivivere a modo nostro.

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“Il sogno è il teatro dove il sognatore è allo stesso tempo sia la scena, l’attore, il suggeritore, il direttore di scena, il manager, l’autore, il pubblico e il critico.”

CARL GUSTAV JUNG

“Invano il sognatore rovista nei suoi vecchi sogni, come fra la cenere, cercandovi una piccola scintilla per soffiarci sopra e riscaldare con il fuoco rinnovato il proprio cuore freddo, e far risorgere ciò che prima gli era così caro, che commuoveva la sua anima, che gli faceva ribollire il sangue, da strappargli le lacrime dagli occhi, così ingannandolo meravigliosamente.”

FËDOR MICHAJLOVIČ DOSTOEVSKIJ

 

Un giubileo che mi è parso quasi un funerale…

 

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 Condivido questo articolo di  Marcello Veneziani sul Giubileo reale di Elisabetta II d’Inghilterra perchè faccio mia ogni sua parola, ogni suo pensiero , tranne  un punto ;sono molto più avanti negli anni dell’autore e io l’ho vista diventare regina, dopo essere stata una principessa  nell’esercito britannico, durante la seconda guerra mondiale. Era in viaggio col marito in Kenia, giovane sposa spensierata. Quella sera, in cui , inaspettatamente cambiò improvvisamente la sua vita,  Elisabetta era salita in quella suite reale costruita sul gigantesco albero per trascorrervi la notte col principe Filippo, suo marito da poco.  Salita principessa ne scese Regina, quando la mattina trovò ad attenderla Wiston Churchill ai piedi della scaletta, volato nella notte da Londra per portarle la triste notizia che suo padre, Re Giorgio VI, era morto improvvisamente. Da allora LEI è lì anche per me, uno dei pochi punti fermi della mia vita.

Eccola l’inossidabile, intramontabile Regina Elisabetta settant’anni dopo l’incoronazione. Più regina di sempre, all’altezza della sua regalità. Merita ammirazione, incarna la Tradizione, rappresenta l’affidabile sicurezza della Monarchia, il filo d’oro della continuità, nei secoli fedele alla Dinastia. Dal Commonwealth alla società globale, senza scomporsi la corona e nemmeno la permanente. Lei sa bene sin dal giorno dell’incoronazione che bisogna saperla portare la corona, bisogna sapersi sacrificare, rinunciare alle proprie individuali pretese, caricarsi di responsabilità, coltivare l’impersonalità, capire l’importanza del Rito, del Simbolo, della Tradizione.

La Regina Elisabetta è l’unico punto fermo della mia vita. Perse madri, mogli, fidanzate, è lei l’unica donna della mia vita che dura ancora da sempre ed è l’unica che era sul trono già prima che nascessi. E non sono un bambino. Quando nacqui lei era già saldamente Regina da qualche anno; quando cominciai a studiare inglese si componevano le prime frasi intorno a lei, alla sua corona e all’inno regale God save the Queen. Ora ho passato da un pezzo l’età grave, tutto il mondo è cambiato e crollato, mi sono visto passare sette papi, nove presidenti, una trentina di premier e una dozzina di presidenti americani, ho visto cadere l’Urss, la Dc e perfino Andreotti, sono passato dalla lettera 22 all’i-pad, insomma è cambiato tutto. Tutto, tranne l’inquilina di Buckingam Palace. La Regina Elisabetta sta sempre lì, imbalsamata, che sfida i millenni. Mai stata bella, mai stata brutta, sempre stata regina, neutrale e regale, al di là del brutto e del bello, del buono e del cattivo, più diritta del Big Ben. La vedi e la scambi per un francobollo, non per un essere vivente. Sarà monotona, ma è lei la Regina Assoluta del Posto Fisso e non intende mollare neanche ora che viaggia oltre i 96 anni. Raggiungerà quota 100 e non andrà in pensione. Non accenna a nessuna Brexit dal mondo dei vivi.

E dire che da bambino lei mi pareva il trapassato e i Beatles il futuro: ora i Beatles, deceduti o rintronati, sono archeologia e vintage, lei è ancora in carica, for ever. E così Churchill, la Thatcher defunta o il giovane Tony Blair, ormai vecchio reperto. Loro passato remoto, lei presente perenne. Trasparente come un vetro lucidato, regalmente scialba, solo regina. Con quelle perle al collo, installate fisse come la dentiera, gli orecchini di Sua Maestà per incorniciare il suo volto. Lo sguardo in posa da sterlina. Quei vestiti color pastello, immutabili; non segue alcuna moda, piuttosto indossa l’Eterno.

Non si è scomposta nemmeno quando ha perduto Filippo, marito di spalla, adorabile babbione, una vita da mediano, un passo dietro di lei per una lunga vita. E loro figlio Carlo, orecchiante della corona, rimasto principino anche oltre l’età della pensione. Con Lady D Elisabetta rischiò il tracollo della Corona. Faceva simpatia l’umanità di Lady D., la sua voglia di vivere, le sue trasgressioni, i suoi amori, il suo sguardo dolce e inquieto da cerbiatto, il suo populismo mediatico con le sue performance progressiste. Ma la dignità di una storia, di una dinastia, di una tradizione furono salvaguardate dalla severa coerenza di una regina che regna sovrana ancora oggi. Dio salvò la Regina, non la turbolenta principessa.

L’unica Regina che la batte, non solo per via del Figlio, è la Madonna. Salve o Regina, e complimenti al Dio British, è stato di parola a salvare la Regina, insieme alla sterlina. A dir la verità questo giubileo, con lei così avanti negli anni, sembra quasi un funerale dal vivo, col morto ancora presente a ringraziare di persone per le esequie travestite da complimenti. E non sai però se alla fine il morto in pectore è la Regina, o la Monarchia britannica.