Il bambino sull’albero di Natale presso Gesù di F.Dostoevskij. (seconda parte)

 

Il bimbo fugge via e corre, corre senza sapere dove va. Avrebbe voglia di piangere, ma ha paura e continua a correre, soffiandosi sulle manine. E l’angoscia lo assale poiché all’improvviso si è sentito così solo, così pieno di paura. E poi, di colpo, oh Signore, ma che c’è ancora di
nuovo? Una folla di persone osserva rapita: dietro il vetro, sulla finestra, vi sono tre piccoli automi, vestiti di rosso e di verde, e sembrano quasi vivi!
Uno è un vecchietto seduto che pare intento a suonare un grosso violino, mentre gli  altri stanno in piedi e suonano dei piccoli violini, dondolando a tempo la testa e  guardandosi l’un l’altro, e muovono le labbra proprio come se parlassero, solo che  dal vetro non si ode nulla. E il bimbo da principio ha creduto che fossero veri, ma  poi ad un tratto ha capito che si trattava di automi ed è scoppiato a ridere. Non aveva mai veduto bambole simili e non pensava neppure che potessero esistere!
Avrebbe voluto piangere, ma era così buffo guardarli! All’improvviso gli sembrò  che qualcuno lo afferrasse per la camicina: un ragazzaccio cattivo lo colpì alla testa  e gli strappò il berretto, facendogli lo sgambetto. Il bimbo ruzzolò a terra, intorno si  udirono delle grida, lui rimase inebetito, e poi balzò in piedi e corse via; senza  rendersene conto, entrò di corsa dentro un portone, in un cortile sconosciuto, e si sistemò su un mucchio di legna. «Qui non mi troveranno, e poi è buio.»
Sedeva tutto rattrappito, senza riuscire a riprendere fato dalla paura, ma tutt’ad un
tratto si sentì così bene le manine e i piedini non gli facevano più male e avvertiva  un tale senso di tepore, come se si fosse trovato sopra una stufa; ma poi prese a  tremare tutto. Ah, già, si era quasi addormentato. Come era bello addormentarsi lì!
«Rimarrò per un po’ e poi andrò di nuovo a guardare gli automi», pensò il bimbo e  sorrise, rammentandosene: «parevano proprio vivi!…» E all’improvviso udì sopra  di lui la voce della sua mamma che gli cantava una canzoncina: «Mamma, sto dormendo. Ah, come è dormire qui!».
«Vieni da me a vedere l’albero di Natale, piccino» bisbigliò ad un tratto una voce sommessa sopra di lui.  Dapprima pensò che fosse stata la mamma a parlare, ma no, non era stata lei; non  riusciva a vedere chi l’avesse chiamato, ma qualcuno si era chinato su di lui e lo aveva abbracciato nel buio e lui gli aveva teso la mano… e poi d’improvviso, che luce! Che albero di Natale! Ma no, non era neppure un albero di Natale, non aveva mai veduto prima di allora alberi simili! Dove si trovava? Era tutto un brillio di luci e vi erano bambole ovunque, anzi no, si trattava di bimbi e di bimbe, ma erano così luminosi, gli vorticavano intorno, volando, e lo baciavano, lo afferravano e lo trascinavano con loro, anche lui volava. E vedeva la sua mamma che lo osservava e rideva gioiosa.
«Mamma! Mamma! Oh, com’è bello qui, mamma!» gridava il bimbo,mentre
scambiava dei baci con gli altri bambini, e avrebbe voluto subito raccontare degli automi che aveva scorto dietro il vetro. «Chi siete, bimbi? Bimbe, chi siete?» chiedeva ridendo, pieno d’amore per loro. «È l’“albero di Natale di Gesù”» fu la loro risposta. Gesù in questo giorno ha sempre un albero di Natale per i piccoli che non ne hanno uno…» E scoprì che tutti i bambini erano proprio come lui, ma che alcuni di loro erano morti assiderati sulle scale davanti alla porta di qualche impiegato di Pietroburgo dentro le ceste in cui erano stati abbandonati, e che altri, affidati dall’orfanotrofio, erano stati soffocati dalle balie, o ancora che erano morti al seno inaridito delle loro madri o nel fetore di carrozze di terza classe, ma ora tutti erano lì, come angeli, da Gesù ed egli era fra di loro, tendeva loro le braccia e benedice loro e le loro madri colpevoli… E anche le madri si trovavano lì in disparte e piangevano, riconoscendo ciascuna il proprio bimbo o la propria bimba che andavano verso di loro e le  baciavano, asciugavano le loro lacrime con le manine, scongiurandole di non  piangere, poiché si stava tanto bene lì…
Mentre laggiù verso il mattino i portieri ritrovarono il cadaverino di un bimbo capitato lì per caso e morto assiderato dietro un mucchio di legna; rintracciarono anche la sua mamma… Era morta ancor prima di lui: si erano ritrovati in Cielo dal Signore Iddio.
Perché mai avrò scritto una storia come questa, così poco adatta ad un normale ragionevole diario, e ancor meno a quello di uno scrittore? E dire che avevo promesso dei racconti su fatti realmente avvenuti! Eppure, ecco, ho come l’impressione che tutto ciò sia potuto accadere davvero; mi riferisco a quel che è avvenuto in cantina e dietro il mucchio di legna, quanto all’albero di Natale da Gesù non saprei dirvi se sia andata proprio così! Ma non per nulla sono un romanziere e qualcosa devo pur inventare!

dal Diario di uno scrittore, gennaio 1876

feste natalizie

Il bambino sull’albero di Natale presso Gesù, di F.Dostoevskij.

 

Il bambino sull’albero di Natale presso Gesù

Ma io sono un romanziere e mi immagino sempre che tutto sia avvenuto in un certo luogo in un certo momento, e che sia accaduto proprio alla vigilia di Natale, in qualche enorme città, con un gelo terribile.
Mi sembra di rivedere in una cantina un bimbo, ancora piccino, di forse sei anni e anche meno. Il bimbo si è svegliato un mattino nella cantina umida e fredda. Ha addosso una specie di camicina e trema. Il suo fato si trasforma in bianco vapore e lui, seduto sul baule, in un angolo, per la noia, fa fluire questo vapore dalle labbra  si diverte a guardare come vola via.
Tuttavia ha una gran voglia di mangiare. Fin dal mattino, si è avvicinato più volte al tavolaccio dove, su un pagliericcio sottile sottile, con il capo appoggiato ad una sorta di fagotto che le fa da guanciale, giace la madre malata. Come sarà  finita lì?
Probabilmente era giunta da un’altra città con il suo bambino e si era
improvvisamente ammalata. La padrona di quegli “angolini” era stata arrestata dalla polizia due giorni prima; gli inquilini si erano dispersi chissà dove per le feste  ed era rimasto solo un perdigiorno che non aveva atteso le feste per bere, e ormai da ventiquattro ore giaceva ubriaco, come morto. In un altro angolo della stanza gemeva per i reumatismi una vecchietta ottantenne che un tempo era stata bambinaia e che ora moriva in solitudine, sospirando, lamentandosi e brontolando contro il bimbo, tanto che lui temeva di avvicinarsi troppo al suo angolo. Da qualche parte nell’andito era riuscito a trovare qualcosa da bere, ma di croste di pane non ne aveva scovate e almeno una decina di volte si era accostato alla madre
per svegliarla. Infine gli era venuto il terrore del buio: da un pezzo ormai era scesa la sera, ma i lumi erano ancora spenti. Tastando il viso della mamma si stupì che lei non facesse il minimo movimento e che fosse diventata fredda come il muro. «F proprio freddo qui» pensò il bimbo, e restò per un po’ immobile, dimenticando senza volerlo la mano sulla spalla della defunta, poi soffiò sui suoi ditini pe riscaldarli, si mise a frugare sul tavolaccio alla ricerca del suo berrettino e si avviò a tentoni verso l’uscita della cantina. Si sarebbe allontanato anche prima, ma aveva sempre temuto il grosso cane che stava tutto il giorno di sopra, sulla scala, davanti
alla porta dei vicini. Però il cane non c’era e lui si ritrovò di colpo in strada.
Dio, che città! Non aveva mai veduto nulla di simile. Da laggiù, da dove veniva, il buio era così fitto e un solo fanale illuminava tutta la via. Le casupole di legno avevano le imposte chiuse; non appena imbruniva la via diventava deserta e tutti si rinchiudevano in casa, e solo branchi di cani abbaiavano ed ululavano per tutta la notte. Ma almeno lì stava al caldo e veniva nutrito, mentre qui, mio Dio, magari avesse trovato qualcosa da mangiare! E lo strepito, il fracasso, la gente, le luci, e tutti quei cavalli e quelle carrozze, e che gelo, che gelo! Un vapore gelido fluiva dai
cavalli stremati, dal respiro rovente dei loro musi; nella neve soffice i loro ferri tintinnavano contro i sassi, e tutti si spintonavano, e, Signore, sarebbe stato così bello poter mangiare, e i ditini ad un tratto sembravano fare tanto male. Una guardia passò davanti al bimbo, ma voltò il capo dall’altra parte per non vederlo. Ma ecco un’altra via: com’era ampia! Lì l’avrebbero di certo schiacciato. E come vociavano tutti, come si affrettavano, come correvano sulle loro carrozze, e quante luci, quante luci! Ma questa che cos’è? Oh, che vetro grande, e dietro il vetro una stanza dove la legna arriva fino al soffitto; c’è un abete, e quante luci sull’abete, e stelle e decorazioni d’oro, e quante file di pupazzetti e di cavallini lo avvolgono tutt’intorno; nella stanza si rincorrono dei bimbi lindi e vestiti a festa, e ridono, giocano, mangiano, bevono. Ed ecco, una bambina si è messa a danzare con un bimbo, com’è carina! E ora si può sentire anche della musica attraverso il vetro. Il bimbo guarda pieno di meraviglia e già ride, ma ormai anche i ditini dei piedi gli dolgono, e quelli delle mani, sono tutti arrossati, non si piegano e muoverli fa tanto male. E tutt’ad un tratto, resosi conto del dolore, scoppia in lacrime e fugge via, ma poi scorge di nuovo attraverso un altro vetro un’altra stanza, con gli stessi alberi e una tavola con torte rosse e gialle e di mandorla, e vi siedono quattro ricche signore che te ne danno un po’ non appena ci si avvicina, ogni istante si spalanca la porta e
fumane di signori entrano e si dirigono verso di loro. Il bimbo si intrufola e di colpo la porta si è aperta e lui è entrato. Oh, come lo sgridano, come agitano le braccia! Una signora lo raggiunge in gran fretta e gli ficca in mano una copeca, poi gli apre lei stessa la porta e lo sospinge fuori. Come è spaventato il piccino! La copechina gli è subito scivolata di mano tintinnando sugli scalini: non è riuscito a piegare le sue dita arrossate per ottenerla.  (continua)

dal Diario di uno scrittore, gennaio 1876   

feste natalizie