Papa Francesco II

 

 

Habemus papam Francesco II. È subentrato al suo omonimo predecessore e spiazza un po’ tutti, in particolare coloro che amavano e coloro che detestavano il papa di prima. E’ decisamente contro l’aborto, che definisce senza mezzi termini un omicidio, è fortemente impegnato nella difesa della famiglia e della natività, condanna l’eutanasia, gli uteri in affitto e non si trattiene dal denunciare che “c’è troppa frociaggine” nella Chiesa, usando un linguaggio che per taluni è “papale papale” per altri è scurrile, non adatto a un Papa. E’ vero che poi si è scusato, sollecitato a gran voce dai bigotti del politically correct che amano correggere le dissonanze con l’ipocrisia; ma le scuse possono riguardare quel che ha detto, ma non sopprimono, non revocano quel che ha pensato; sono una rettifica dell’espressione usata, ma non possono essere una ritrattazione delle sue convinzioni.  Da anni il Papa denuncia la presenza di una lobby gay all’interno della Chiesa, e vede insinuarsi il pericolo di un reclutamento omosex nei seminari. Ciò non toglie che il Papa ribadisca il rispetto, l’apertura e l’affetto verso tutti, gay inclusi, indipendentemente dalle inclinazioni sessuali. Il Papa non equipara le coppie omosessuali alle famiglie, anche perché sarebbe incoerente col magistero della Chiesa, ma non vuole giudicare né occuparsi delle loro scelte intime, private. Però da tempo mostra disagio per la presenza di conventicole gay, gruppi di pressione, lobbies appunto, all’interno della Chiesa; quello che altrove viene chiamato “amichettismo”. Certo, dicendo che in Chiesa “c’è troppa frociaggine”, il Papa ha dimenticato la storia recente della Chiesa. Due o tre predecessori recenti di Papa Bergoglio, erano “in odore di frocità”, per restare nel suo gergo da caserma più che da parrocchia. E di alti prelati gay si intuisce la presenza anche tra i cardinali odierni.  In tema di accoglienza dei gay in Chiesa, la condizione, ribadita anche di recente, è che non pratichino la loro attività sessuale. C’è chi si indigna che il Papa e la Chiesa non riconoscano “quell’elemento fondamentale della loro personalità che è la sfera erotica”, come scrive su la Repubblica Luigi Manconi, in un articolo peraltro non banale. Ma se è per questo, anche ai sacerdoti eterosessuali la chiesa interdice la sfera sessuale. Non si può giudicare la Chiesa come se fosse un’associazione qualunque, non si possono ignorare i principi morali e religiosi su cui è fondata, tra cui la castità e l’astinenza. Chi fa quella scelta sa già in anticipo a cosa va incontro, quali sono le rinunce a cui si impegna; nessuno lo costringe a farla, ma se la fai poi ti devi attenere alle regole. E’ come se qualcuno scegliesse la carriera militare e poi dicesse che aborre l’uso delle armi. Per semplificare la linea della Chiesa bergogliana in tema di omosessualità potremmo dire in sintesi: gli omosessuali hanno pari dignità di ogni altro essere umano e credente; le porte della Chiesa sono aperte per lui. Sul piano dei comportamenti, nessuna interferenza sulla condotta delle coppie omosessuali che possono essere riconosciute a tutti gli effetti unioni civili ma non equiparate ai matrimoni e alle famiglie. Così porte aperte della Chiesa agli omosessuali ma se prendono i voti devono avere un comportamento conseguente, non possono praticare la loro omosessualità. E’ la distinzione tra l’essere e il fare: la Chiesa rispetta la persona ma se entra in seminario o in parrocchia, non può comportarsi come se fosse fuori. E non parliamo poi della pedofilia.   Torniamo al Papa Francesco II. A dir la verità, non è un rovesciamento di posizione rispetto al passato, semmai un assestamento, un riequilibrio, forse un po’ gesuitico, comunque un’integrazione: la linea del Papa si è meglio chiarita e articolata negli ultimi tempi, con l’ultimo documento papale e alcune sue dichiarazioni recenti. Bergoglio è nella linea della tradizione cattolica sui temi che riguardano la vita, la nascita, la morte, i matrimoni, la famiglia, il sesso; mentre sul piano storico, sociale e civile è decisamente dalla parte dei poveri del mondo, contro il capitalismo, lo sfruttamento e il consumismo, per l’accoglienza dei migranti, per la giustizia sociale e per la pace. Potremmo definirlo un conservatore rivoluzionario, socialista e reazionario; per forzarlo nelle categorie politiche, ha una posizione di destra morale e di sinistra sociale, con qualche impronta giovanile di peronismo.  Il vero problema che resta per il pontificato di Papa Francesco non è la sbandata a destra o a sinistra, come gli viene rimproverato a turno, secondo i versanti. Il vero problema irrisolto è la crisi della Chiesa, la scristianizzazione del mondo, il declino della fede, soprattutto in Occidente; le chiese deserte, la subalternità psicologica all’invasione islamica, l’incapacità di risvegliare la spiritualità, l’assenza di modelli positivi, di esempi, di santi. Si tratta di un processo che travalica i secoli e i papi. Bergoglio qui è perdente come i suoi predecessori, ma senza la loro autorevolezza, appare più inadeguato, non ha il carisma di Giovanni Paolo II né la dottrina di Benedetto XVI. E per avvicinare i lontani, ha allontanato molti vicini, credenti nostrani.  Insomma, a parte qualche caduta di stile, Francesco II ha riequilibrato la barca di Pietro, troppo sbilanciata sul versante opposto dall’altro Francesco. È stato infine divertente vedere l’imbarazzo del Partito Progressista Bergogliano, che vedeva in lui il leader del campo largo – come ha detto il giullare di quel mondo, Roberto Benigni – e invece si è trovato spiazzato dalle sue parole frociate.

Ci salveranno i nascenti…

 

La cicogna, in versione Dhl, mi ha portato lo scorso pomeriggio un vagone di neonati. Era di maggio, ero in mezzo a un tripudio di fiori nel nostro giardino, e ho ricevuto questo dono inatteso. Non aspettavamo nessuno, tantomeno neonati, l’età gravida è ormai lontana, passata per sempre. Eppure è arrivato un carico di creature, fresche di nascita, accompagnate da un corteo di madri col pancione. Non è un sogno e nemmeno un delirio, ma una sorpresa che ti riconcilia con la vita, col suo sorgivo stupore, con l’infanzia che arriva da un misterioso aldilà e ti guarda con quegli occhi nuovi e una vita intera davanti. Pensate, per un momento pensate, al nostro presente, così avaro di bambini e di natalità, che giudica oscena la fertilità e offensiva, bestiale, retrograda la maternità. È il tempo in cui l’aborto diventa un dogma costituzionale, la devozione lgbtq+ si fa legge europea. È il tempo dei figli di Nessuno, degli uteri in affitto, della compravendita di feti. È il tempo in cui gli esperti dicono che la statua di una mamma che allatta è divisiva e va tolta dagli spazi pubblici. È il tempo che ha separato il sesso dalla procreazione, le voglie dal destino; che reputa offensivo ogni accostamento tra donna e maternità. È il tempo del declino e della decadenza. Poi ti arriva a casa un librone pubblicato da Taschen di una fotografa australiana, nota nel mondo per le sue foto sulla nascita e sulla maternità. Il libro si chiama Small World, ma quel Piccolo Mondo è la promessa che il Mondo grande non finirà. Arrivano i rinforzi, c’è il ricambio.
Il libro, con brevi testi in più lingue, parla con le immagini, come accade ai miti e alle fiabe. Lei, l’autrice delle fotografie, sia benedetta, si chiama Anne Geddes, è stata madre tempo fa, ma semel mater sempre mater, una volta che si è madri lo si è per sempre. “Attorno ai bambini appena nati – dice Anne – c’è solo il bene ed è questo che mi affascina”. L’inerme, assoluta purezza del bene e del bello in natura. La gioia di vedere neonati, dice, non invecchia mai.
La sua, a scherzarci su, è l’Opera Maternità e Infanzia. È una sfilata di madri di ogni continente, con le pance piene di figli, e tanti neonati.
L’amore materno è il primo amore che non si scorda mai più della passione fiammeggiante che si accese nella nostra mente, nel nostro cuore e nel nostro corpo la prima volta che ci innamorammo. E’ tua madre, che hai conosciuto prima di venire al mondo, e ti ha nutrito, amato e accudito già prima di nascere. E’ quello l’amore più carnale e più spirituale, anima e corpo, amore necessario come l’aria che respiri, che ti accompagna per tutta la vita, dalla nascita alla morte.
Quelle immagini valgono più più di una predica pur benedetta del Papa sulla natività, più di un discorso del ministro della famiglia, interrotto dai democratici abortisti; più di una legge, un saggio, una benemerita manifestazione in favore della vita. Quell’album di foto racconta la vita nascente, lo stupore di venire al mondo, la meraviglia di esistere; e l’amore naturale a prima vista suscitato da quelle primizie viventi. Prima di ogni pensiero c’è la visione, che sprigiona vita, promessa e bellezza.
Il libro della vita nascente ci è pervenuto in dono da una amica carissima, Marilena; è già troppo che dica il suo nome, conosco la sua riservatezza, l’ho già oltraggiata con questa indiscreta delazione. Quelle immagini ci riconciliano col mondo, con la realtà, fanno bene alla vita. L’amore tornante per la vita che nasce, che apre gli occhi, scopre il mondo e si rallegra di essere vivo. Hai voglia a ragionare, alla fine l’unica risposta al morire e all’invecchiare è il nascere, la vita che sboccia, lo spettacolo di un neonato all’Inizio. Certo, non sei tu a nascere, a te tocca il declino; ma è bello sapere che il mondo non finisce con noi, che la vita continua oltre la morte. L’importante è spostare il baricentro dalla tua vita singola alla vita del mondo, che si avvicenda e torna a fiorire. Tutte le culture di morte che negano l’essere, desiderano il non essere, il nulla, il vuoto, la liberazione da tutto, tacciono davanti a un campo fiorito e al profumo di maggio, al bambino che nasce, al bambino che cresce, alla madre col pancione. Sono mamme e bambini di ogni parte del mondo, di ogni razza e colore, perché la vita è universale e si estende al regno animale e al regno vegetale. Non escludo che anche i minerali abbiano i loro battesimi. Poi, certo, la vita non è un pranzo di gala; è difficile, per chi nasce e per chi si prende cura, ci sono mille problemi, a volte si soffre. Scomodo, costoso, faticoso. Ma val la pena vivere e ben disporsi verso chi nasce.
Non riesco a descrivervi con le parole le immagini che sto in questo momento sfogliando. Ogni figura è una sorpresa, una tempesta di vita e di colori, sguardi piovuti dal cielo, finestre di luce, una diversa dall’altra, con la promessa del giorno che viene. Venuti alla luce, o dalla luce, dopo l’anticamera buia nel grembo materno. Tutto albeggia in queste figure, è la festa dell’uomo che nasce; eppure l’uomo è una bestia cattiva, a volte brutale, vive tra rabbia e dolore, è mortale, e sfoga la sua mortalità infliggendola agli altri. Pensa di scaricare il male sugli altri. E così lo moltiplica.
Queste immagini nascenti per un momento sospendono sconforti e tristezze di un’epoca senza eredi, di un nonno senza nipoti, di una società che mal sopporta le creature; e di città che si svuotano di figli e di bambini, si riempiono di vecchi, con famiglie destinate a estinguersi nel giro di pochi anni o quantomeno di veder emigrare gli ultimi epigoni in imprecisati altrove, spesso non luoghi. Ma ogni angoscia sembra svanire o sopirsi nel battito d’ali che senti sfogliando quelle pagine, gremite di neonati, tra facce e destini che ti guardano e tendono la mano per ricevere protezione e darti speranza. La vita che nasce è la più bella risposta a ogni perdita; passata, presente e futura.

Marcello Veneziani