Sangiuliano martire o marpione?

 

 

Sono amico di Gennaro Sangiuliano, attuale ministro della cultura, e perciò non mi sembra elegante difenderlo o attaccarlo per la vicenda che riguarda Maria Rosaria Boccia. Se fossero in ballo questioni importanti o risvolti penali il criterio sarebbe diverso; ma fino a prova contraria, si tratta di una questione di (in)opportunità e di (mal)costume. Non entrerò dunque nel merito della vicenda. Su quel che ha scritto l’altro giorno su La Verità Mario Giordano si può essere d’accordo o in disaccordo ma si deve oggettivamente riconoscere la libertà di giudizio di Giordano e de la Verità: niente sconti, indulgenze e compiacenze nel valutare l’operato di un ministro del governo Meloni. Io vorrei invece fare alcune notazioni di ordine generale.

L’osservazione preliminare è che il potere è da sempre assediato e insidiato da arrampicatrici e arrampicatori. Sarebbe facile poi ricordare casi gravi ma sottaciuti di familismi o di favoritismi da parte di ministri e politici del centro-sinistra; carriere nel segno e nel nome della parentela e dei legami affettivi, oltre che dell’affiliazione e dell’appartenenza ideologica e politica. Non è una novità, anzi: la novità semmai è il rilievo dato a questa vicenda e la morbosa attenzione.  Ma quando gli accusatori di Sangiuliano sollecitano l’intervento e le indagini di magistrati e Corte dei conti, oltre le interrogazioni parlamentari in merito, a me sovviene un capitolo ministeriale passato indenne e inosservato perché investiva direttamente governi, ministri ed esponenti del centro-sinistra. Riguarda il cinema, visto che ci troviamo nei giorni del Festival del Cinema di Venezia.  Prima che arrivasse il governo Meloni correvano lauti finanziamenti pubblici e sostanziose agevolazioni fiscali a film, autori, registi e produttori di nessun valore culturale e di vistoso fallimento commerciale. Finanziamenti a pioggia, milionari, su film flop, e agevolazioni disinvolte in virtù della cosiddetta tax credit. Solo nel 2022 sono stati erogati circa 850 milioni di euro, e sulla stessa lunghezza d’onda stavano procedendo nel 2023, fino a che c’è stato il cambio di governo. Tra i vari casi ne vorrei ricordare uno, particolarmente assurdo e particolarmente dimenticato dalla grande stampa e dai media. Mi riferisco ai film Te l’avevo detto e Magari di Ginevra Elkann, sorella di John (e di Lapo) e figlia di Margherita Agnelli. Quando era ministro della cultura Dario Franceschini lo Stato ha buttato via quasi tre milioni di euro per finanziare due opere che furono un assoluto flop e che non avevano alcun particolare pregio culturale. La regista della famiglia Agnelli-Elkann, ex Fiat, ricevette per la precisione 2.828, 044, 32 euro tra crediti d’imposta e contributi a fondo perduto. Un film incassò appena 117 mila euro nelle sale. L’altro, precedente, era andato ancora peggio: aveva beneficiato di oltre un milione di euro ma aveva incassato in sala appena 12 mila euro, con l’attenuante in quel caso che era uscito al tempo del covid. Non vi parlo della preistoria ma di ieri, risalgono agli ultimi tempi della lunga gestione Franceschini del Ministero della Cultura. Lo stesso ministero che non aveva ritenuto di sostenere il film di Paola Cortellesi, C’è ancora domani, poi esploso nelle sale e nei media.   Ma in questo caso, oltre l’ispirazione “progressista” del film e dell’autrice, c’è da sottolineare che i soldi pubblici sono andati a sostenere l’opera di una persona proveniente dalla dinastia degli Agnelli-Elkann e dell’impero Fiat, azienda già nota per aver scaricato sul pubblico le perdite private e aver beneficiato di incentivi e ammortizzatori statali; mentre si statalizzavano le perdite si continuavano a privatizzare i profitti; fino al paradosso di un’azienda-simbolo dell’Italia che batte bandiera straniera, anche sul piano fiscale, salvo usare ancora il marchio italiano.

Ma torniamo al cinema. Quanti autori magari di qualità ma senza mezzi economici adeguati, sono stati dimenticati per destinare invece il sostegno pubblico a chi potrebbe farne a meno? I soldi vanno ai ricchi, ai figli o amici dei potenti, anche se i loro film sono dei clamorosi flop non solo in sala: una logica che ben si sposa con l’universo radical chic e col mondo editoriale controllato dalla famiglia suddetta. E quando i media nostrani o della Casa sono costretti a occuparsi del capitolo scabroso e imbarazzante dei finanziamenti pubblici sbagliati, riescono a fare l’esempio di Saverio Costanzo, figlio di Maurizio Costanzo, che pure ha fatto qualche film di qualità, ma non “osano” nemmeno citare il caso Elkann.

Allora io dico: ma come, stiamo cercando di vedere se da qualche parte, magari in un pernottamento o in un viaggio siano stati spesi soldi pubblici per una vera o presunta consigliera del ministro Sangiuliano, senza titoli adeguati per coprire questo incarico, mentre si tace di vistosi, enormi sperperi e di veri favoritismi e familismi. S’invocano magistrati e corte dei conti su eventuali “spiccioli” pubblici spesi in modo improprio e passano inosservati milioni di euro sperperati, per giunta neanche per sostenere il cinema povero e alternativo; ma aiutando la rampolla di una dinastia potente che ha imperato per decenni nel nostro Paese. A Sangiuliano non si perdona, tra l’altro, di aver fermato questo sperpero, aver imposto un tetto ai finanziamenti statali e aver agganciato i sostegni pubblici ai risultati effettivi di mercato, limitando ai film di elevata qualità artistica la corsia preferenziale degli aiuti governativi. Una scelta di buon senso che deve aver ulteriormente acuito l’odio nei suoi confronti. Naturalmente ogni storia va giudicata in sé e per sé, una vicenda non lava l’altra, e va riportata alle sue reali proporzioni; e non interferisce con un giudizio complessivo sull’operato e l’esposizione mediatica di Sangiuliano e sul profilo culturale. Ma la disparità vistosa e disgustosa nei giudizi e nel rilievo dato ai fatti e alla loro gravità dimostra ancora una volta il retrobottega del potere culturale in Italia, l’intolleranza faziosa e l’omertà mafiosa quando si tratta di robe di “cosa nostra”. Malignità finale sul malcelato bigottismo che aleggia su questa vicenda: ma se Sangiuliano avesse avuto come suo consigliere e accompagnatore un transgender, un gay o un migrante, i bigotti indignati avrebbero chiuso almeno un occhio?

Marcello Veneziani