New York Times: la caduta di Draghi? Un trionfo della democrazia.

Dal New York Times arriva una lezione di democrazia alle élite culturali italiane rimaste orfane dopo la caduta del governo Draghi, essendo la sua caduta un vulnus insanabile e i responsabili della sua caduta degli irresponsabili, se non addirittura criminali (tale l’implicito nell’accusa di “draghicidio”).

Questo il titolo dell’articolo di Christopher Caldwell: “La caduta di Mario Draghi è un trionfo della democrazia, non una minaccia per essa”.

Nella nota, Caldwell richiama appunto come la dismissione di Draghi sia stata definita una “catastrofe”, con la JP Morgan che è arrivata addirittura  a parlare di “un colpo di stato populista” (sic) e ricorda come i suoi oppositori siano bollati come “filo-putiniani”. Secondo Caldwell è arduo identificare il Governatore d’Italia come “simbolo della democrazia”, in quanto non è stato eletto, ma scelto dal presidente Mattarella per presiedere un governo tecnico. E, “per quanto onorabile e capace possa essere Draghi, le sue dimissioni sono un trionfo della democrazia, almeno per come è stata tradizionalmente intesa la parola democrazia”.

“Il problema dell’Italia – continua Caldwell – è che i suoi governi ormai servono due padroni: l’elettorato e i mercati finanziari globali. Forse questo è vero per tutti i paesi dell’economia globale. Ma non è così che dovrebbe funzionare la democrazia, e l’Italia è in una situazione particolare” che aggrava tale dipendenza a motivo dall’elevato debito pubblico e di altre criticità.“Più volte negli ultimi decenni la politica ordinaria in Italia è stata sospesa e governi ‘tecnici’ come quello Draghi sono stati chiamati a realizzare misure di emergenza. Ciò significa che il governo italiano ascolta meno i cittadini, anche se li invita a fare grandi sacrifici”. Quindi, dopo una digressione sul populismo di alcune forze politiche italiane che hanno di fatto sfiduciato il governo, ricorda come Draghi sia andato al potere per stabilizzare una situazione difficile, in quanto si diceva che il banchiere centrale “aveva la ‘credibilità’ per calmare i mercati”. “Ma in cosa consiste la credibilità di Draghi? – si chiede Caldwell nel passaggio più importante della nota -. In una democrazia la credibilità deriva da un mandato popolare. In un ‘governo tecnico’, la credibilità deriva dai collegamenti con banchieri, autorità di regolamentazione [finanziaria] e altri addetti ai lavori. Quando una persona nella posizione di Draghi prende il potere, può non essere chiaro se la democrazia stia cercando l’aiuto delle istituzioni finanziarie o se le istituzioni finanziarie abbiano messo la democrazia in un angolo”.

Il rischio insito in tale situazione è che ciò che “i gestori del rischio tecnocratici stanno gestendo potrebbe essere la democrazia stessa”.

Quindi, dopo aver richiamato alcune riforme del governo Draghi che avrebbero irritato gli italiani, spiega come l’irritazione di fondo più che altro era per “l’affronto” portato alla stessa democrazia dalle istituzione finanziarie e dagli ambiti internazionali a esse correlate.

E conclude: “Agli italiani è stato essenzialmente detto: puoi avere i soldi per salvare il tuo paese solo se il tuo primo ministro è Draghi, altrimenti non ne avrai. Date le circostanze, non c’è nulla di ‘populista’ né di filo-putiniano o di irragionevole nel preoccuparsi delle conseguenze per la democrazia”.

Articolo lucido e intelligente, mentre registriamo con qualche sconcerto le parole del leader del partito democratico, Enrico Letta: ““Vogliamo la verità e sapere se è stato Putin a far cadere Governo Draghi”. Dichiarazione che nasce da un documento più o meno tossico pubblicato su un giornaletto italiano.

In politica, anche quella con la p minuscola, servirebbe un po’ di igiene verbale. Questa, in particolare, indulge ad aggiungere anche l’igiene mentale.

Il poveretto, evidentemente, si vuole accreditare presso Washington come atlantista di vaglia, riecheggiando polemiche che hanno dilaniato la politica americana. Ma ciò che oltre Atlantico è tragedia lacerante, qui risuona come grottesco teatro dell’assurdo. Una teatro del quale il nipote del più noto Gianni appare prigioniero, condizione che indulge alla compassione.

Chiediamo scusa ai lettori per la digressione, era solo per accennare alle prospettive che si sono aperte dopo la caduta del Drago: se la campagna elettorale inizia così, ne vedremo delle belle. Per fortuna sarà breve e balneare.