Ricordo di Don Milani…e un grazie.

 

A pochi chilometri da Firenze, nel paese di Barbiana, negli anni ‘60 un giovane insegnante, don Lorenzo Milani, usò due semplici parole in inglese nella sua scuola: I care (ho a cuore, ci tengo, mi importa dell’altro in italiano Ndr). Sono le due parole più importanti da imparare”: non poteva passare inosservata la citazione della presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen. Un omaggio al sacerdote di Barbiana nella sua terra, in occasione della presenza di Von der Leyen allo State of the Union, organizzato all’Istituto universitaio europeo di Fiesole nel maggio scorso. A dimostrazione di quanto l’esperienza e l’eredità di Don Milani siano un patrimonio internazionle.(La Nazione)

“I care – aveva aggiunto Von der Leyen – significa mi faccio carico delle responsabilità e ne ha fatto un motto per l’Europa, che , tuttavia, molto spesso, viene dimenticato.

Don Lorenzo Milani, il priore pedagogista di Barbiana nasceva cento anni fa a Firenze. Una delle personalità ecclesiastiche più significative del dibattito culturale del secondo dopoguerra: colto, visionario, disobbediente nel suo sentirsi sempre parte della Chiesa. Forte di una convinzione che nasceva da una matura e disincantata osservazione del contesto sociale nel quale gli operatori culturali dovevano agire, don Milani giunse a rivoluzionare completamente il ruolo dell’educatore, denunciando la natura classista dell’istituzione scolastica italiana, andando incontro concretamente alle esigenze dei ceti meno privilegiati. E lo fece con i suoi «ragazzi» di montagna, nell’Alto Mugello, organizzando nella canonica di Barbiana, nel comune di Vicchio, la sua scuola, destinata ai «figli dei poveri».
Con il nome collettivo di «scuola di Barbiana», il sacerdote nel 1967 pubblicò «Lettera a una professoressa», testo anticipatore della contestazione studentesca del 1968. Il riconoscimento della grandezza di don Milani avverrà da parte della Chiesa molto tempo solo dopo la sua morte (26 giugno 1967), con un tardivo riconoscimento della sua opera, suggellata dalla visita di Papa Francesco a Barbiana il 20 giugno 2017.( Il Messaggero)

Era nato il 27 maggio 1923, a Firenze, don Lorenzo Milani, che come scriveva Michele Gesualdi, uno dei suoi ragazzi di Barbiana, era “uno di quegli uomini che per le sue scelte nette e coerenti, le sue rigide prese di posizione, il linguaggio tagliente e preciso, la logica stringente si tirava facilmente addosso grandi consensi o grandi dissensi con schieramenti preconcetti che hanno spesso offuscato la sua vera dimensione”. E se su di lui è stato detto e scritto molto, sosteneva Gesualdi, ancora resta molto da scoprire, “soprattutto in quella dimensione religiosa che è l’aspetto fondamentale di tutta la sua vita e delle sue opere”. Perché, prima di tutto, don Lorenzo era un prete che voleva servire Dio radicalmente e lo voleva fare servendo la gente che gli era stata affidata.

Don Milani è stato sacerdote e maestro perchè convinto che la mancanza di cultura fosse un ostacolo all’evangelizzazione e all’elevazione sociale e civile del suo popolo. Uno scritto di don Lorenzo esprime in modo impressionante la radicalità della sua fede e delle sue scelte. Di fronte a Pipetta, il giovane comunista che gli diceva: “Se tutti i preti fossero come lei, allora …”, don Milani rispondeva: “Il giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco, installato la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordati Pipetta, quel giorno ti tradirò, quel giorno finalmente potrò cantare l’unico grido di vittoria degno di un sacerdote di Cristo, beati i poveri perchè il regno dei cieli è loro. Quel giorno io non resterò con te, io tornerò nella mia casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio signore crocifisso.”
“Il Centenario della nascita di don Lorenzo Milani non può essere una celebrazione storica scontata – afferma il presidente dell’Istituzione culturale don Milani, Leandro Lombardi -, ma vogliamo che diventi un’occasione per riscoprire quanto il suo messaggio sia più attuale che mai, ci aiuti a capire il nostro tempo e a trovare nuove soluzioni per i nostri”. Il Comitato nazionale per il Centenario dalla Nascita spera che l’anniversario possa promuovere soprattutto l’approfondimento e la riflessione sull’attualità dell’esperienza del priore con l’ambizione di sollecitare, ispirato dalla sua figura, un impegno diffuso per la realizzazione di un futuro più giusto per tutti.(Vatican Inside)

Don  Milani

“Lettera ad una professoressa è il libro scritto da Don Milani” in cui il prete racconta la sua scuola, i luoghi in cui ha operato e nel quale è racchiuso tutto il suo pensiero, tanto semplice da non aver bisogno di un trattato, ma che riflette tutto il contenuto di quelle due semplici parole inglesi”I care” ,che riteneva dovessero far parte integrante del pensiero politico e religioso, un pensiero accessibile a tutti, che da solo riuscirebbe a colmare la disaffezione verso la politica, che allontana da essa sempre più persone. Ecco l’incipit..

Cara signora,
lei di me non ricorderà nemmeno il nome.
Ne ha bocciati tanti.
lo invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che «respingete».
Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate.

La timidezza

Due anni fa, in prima magistrale, lei mi intimidiva.
Del resto la timidezza ha accompagnato tutta la mia vita. Da ragazzo non alzavo gli occhi da terra. Strisciavo alle pareti per non esser visto.
Sul principio pensavo che fosse una malattia mia o al massimo della mia famiglia. La mamma è di quelle che si intimidiscono davanti a un modulo di telegramma. Il babbo osserva e ascolta, ma non parla. .
Più tardi ho creduto che la timidezza fosse il male dei montanari. I contadini del piano mi parevano sicuri di sé. Gli operai poi non se ne parla.
Ora ho visto che gli operai lasciano ai figli di papà tutti i posti di responsabilità nei partiti e tutti i seggi in parlamento.
Dunque son come noi. E la timidezza dei poveri è un mistero più antico. Non glielo so spiegare io che ci son dentro. Forse non è né viltà né eroismo. E solo mancanza di prepotenza.

Non è sottile la differenza tra memoria e ricordo…

Voglio raccontare la differenza tra memoria e ricordo. E inizio citando un autore  nato giusto due secoli fa. Il ricordo, spiegava Soren Kierkegaard nell’opera In Vino veritas, non è la memoria. Il vecchio, ad esempio, perde la memoria ma gli resta qualcosa di profetico e poetico, i ricordi. Il ragazzo, invece, ha una forte memoria e pochi ricordi. Miopia e presbiopia delle menti. Il ricordo suscita il sentimento della perdita, la nostalgia.  “Un fatto nella vita che sia ricordato, è già entrato nell’eternità”. Chi ricorda non è indifferente, mentre la memoria può essere anche un magazzino di date e di fatti. La memoria, poi, è soprattutto pubblica e storica, il ricordo è soprattutto intimo e affettivo: commemori i defunti, ricordi i tuoi cari. Ricordo, lo dice la parola, chiama al cuore; la memoria è più una facoltà intellettiva. È sbagliato usare le parole memoria e ricordo per evocare solo gli orrori, quasi che la storia sia il cimitero del Male. Ci sono memorie importanti del passato che non sono funeste e ci sono ricordi teneri e dolci: quel che è vivo in loro si fa tradizione. Salviamo i ricordi e la memoria dall’identificazione con l’Orrore. Altrimenti verrà solo voglia di cancellare il passato.

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