Il destino è nelle mani…

 

“C’è chi nasce coi pugni serrati, chi con le mani spalancate e chi col pollice in bocca, qualcuno persino con le mani giunte o protese in avanti, come per difendersi. Il carattere già si profila dalle mani, perché il neonato non ha ancora a fuoco la vista; la luce originaria e il buio del passaggio, lo hanno reso provvisoriamente cieco. Sicché le mani parlano al suo posto. C’è chi rimane cieco per tutta la vita, anche se vede.
L’infanzia è una mano che si apre, e stringe altre mani, per gioco o per farsi guidare, conosce il mondo maneggiando le cose; la gioventù spalanca le mani, afferra con vigore il mondo, abbraccia la vita. La vita adulta si abituerà poi a prendere e lasciare la presa, ad afferrare pesi, armi, valigie; a maneggiare, manipolare, condurre per mano, tendere la mano per soccorrere o essere soccorsi. La vecchiaia è una mano che si chiude, si rinserra nel pugno, si appoggia a un bastone, stringe quel che resta, temendo di perderlo, fino a che non gli resta più nulla e stringe un pugno d’aria. Il mondo del vecchio si restringe, si fa sempre più piccolo, introverso, a volte si rinchiude dentro il suo corpo, il suo intestino, i suoi organi che funzionano male. Le sue mani sono impotenti, il mondo è sempre meno a portata delle sue mani, che cominciano a tremare e cercano sostegni.
Le mani sono la gloria dell’uomo rispetto agli animali; sono l’intelligenza del corpo, pensiero tattile, prensile, toccante. Sono la mappa dove è segnata la sua fatica passata ed è scritto il suo cammino futuro”.

da La leggenda di Fiore

Necessitiamo di disobbedienza…

 

Quella che è appena passata è stata una settimana  di grandi riflessioni. Iniziando dal ricordo di quella che è stata la Shoà, la seconda guerra mondiale, le leggi raziali, e via via scorrendo il tempo nella memoria, ho rivisto genocidi, passati inosservati, guerre continue dovunque nel mondo, di cui nessuno parla, ho rivisto le immagini che ripresero i soldati russi quando entrarono ad Aushwitz e furono presi da sgomento. Ora quegli stessi Russi sono additati da tutto il mondo occidentale come i nuovi carnefici, aggressori del popolo russo. Ho ripensato all’episodio di grande disobbedienza civile, che io ricordi e mi riferisco a Ghandi , e al seguito che quel gesto ebbe per l’India, i milioni di indiani che lo seguirono, rivedo gli indiani di oggi venir fuori da una pandemia travolgente, ma superabile dall’ intelligenza dell’uomo. Sono convinta che se nel mondo, la maggior parte delle persone avesse una bella intelligenza, saremmo sicuramente uomini liberi, dovunque sulla terra,ordinati ad obbedire e fare esclusivamente ciò che è utile all’uomo e rifiutare sempre ciò che è sconveniente e dannoso. Ma purtroppo siamo , per la maggior parte un popolo di idioti e la frase qui sotto non fa una piega .

“La disobbedienza richiede un’intelligenza di ordine leggermente superiore. Qualsiasi idiota può essere obbediente, anzi solo gli idioti possono essere obbedienti. Non significa disobbedire solo per disobbedire… anche quello sarebbe pure idiota. La persona intelligente si chiederà prima o poi: PERCHÈ? Perchè devo fare questa cosa? Se i motivi sono irragionevoli e le conseguenze negative, non voglio essere coinvolto. Così si diventa responsabili di sé.”
– Osho

necessità disobbedienza

Il mondo sottosopra: le fotografie di Philippe Ramette.

Un uomo, in un elegante abito scuro, cammina sul tronco di un albero in una bella giornata d’autunno:

01 albero

Lo stesso distinto personaggio, con la sua impeccabile giacca doppiopetto, solca il mare nei pressi della riva, mentre tutto intorno è sottosopra:

02 spiaggia

Poi, con un’invidiabile compostezza, levita a mezz’aria nel parco di una villa:

03 in aria su basamento

Oppure, senza mostrare il minimo timore, cammina sulla parete di un salotto:

04 muro

Impassibile e ben vestito, sfida non solo ogni legge di natura, ma anche il più comune buon senso.
Gli manca solo la bombetta per apparire come uno di quei surreali ometti che popolano i quadri di René Magritte.
Ma qui non siamo nell’universo fittizio della pittura: qui è tutto vero e quell’uomo che, nelle situazioni più improbabili, conserva la stessa flemma di un attore del cinema muto come Buster Keaton, è l’artista francese Philippe Ramette .
Nato nel 1961, disegnatore, scultore e fotografo, vive e lavora a Parigi. È lui che, qualche anno fa, ha avuto l’idea di giocare con se stesso e con la realtà, abolendo- per il tempo breve di uno scatto fotografico- le leggi fisica e della gravità.  Perché le sue foto non sono affatto- come si potrebbe pensare- frutto di un fotomontaggio o create con un raffinato programma al computer. Qui, come direbbe un prestigiatore: “non c’è trucco e non c’è inganno” (almeno digitale). “Sicuramente si potrebbe fare una manipolazione a computer- afferma Ramette- ma quello che mi interessa, invece, è il paradosso, è cercare di razionalizzare l’irrazionale”. Dietro le sue foto, infatti, c’è un lavoro da certosino che inizia con un album di disegni di vere e proprie sceneggiature.  Poi un gruppo di fedeli collaboratori si incarica di realizzarle, a partire dal suo complice di sempre, il fotografo Marc Domage, capace di sfruttare ogni angolazione per rendere la foto più verosimile e, allo stesso tempo, più assurda possibile. Insomma, è come la produzione di un un film, di cui Ramette è il regista.  Qui, ad esempio, come in un fotogramma bloccato, il nostro uomo in nero, sembra contemplare una città in bilico su un cornicione, in un atteggiamento che ricorda sia il protagonista di un film d’azione che l’eroe romantico di un quadro di Friederich.

05 parapetto

Senza mai un capello fuori posto, Ramette si sottopone a pose faticose e non esenti da rischi: in piedi o seduto, sospeso nel vuoto o nelle posizioni più strane. Niente paura! Anche se non si vede, è sostenuto da piattaforme, da anelli alle caviglie o da supporti rigidi inseriti nei vestiti e da tutta una serie di strutture o- come li definisce lui stesso- di “oggetti” che costruisce, per lo più, da solo e “che servono da punto di partenza per delle micro-finzioni”. E poi, ovviamente, non gli manca un’innegabile dose di sangue freddo. Come qui, dove, parallelamente all’acqua dell’oceano, attraversa, con la consueta impassibilità, la baia di Hong Kong, quasi fosse appoggiato alla balaustra del balcone di casa:

07 Hong Kong

Nessuno sforzo è troppo per lui, anzi è sempre pronto ad affrontare situazioni quanto meno poco confortevoli.
Come nella serie intitolata “Esplorazione razionale dei fondi marini”, dove Ramette si cimenta addirittura con delle foto realizzate in apnea, per cui ha dovuto preparare minuziosamente le sue immersioni al largo della Corsica e ha chiesto la collaborazione di un’intera squadra di sommozzatori.
Ed eccolo, mentre con l’immancabile giacca e cravatta, si orienta sott’acqua, leggendo una carta:

08 acqua legge

Oppure mentre, tranquillamente seduto, osserva il paesaggio sottomarino:

09 acqua ramette

In un video  Philippe Ramette spiega gli avventurosi processi tecnici che precedono gli scatti delle sue fotografie.
Ma, forse è meglio non indagare troppo per lasciarsi conquistare dalla magia (e dalle sensazioni vertiginose) delle sue immagini.
Come questa, dove, seduto sul bordo di un precipizio nel Sud della Francia, nella posa del “Pensatore” di Rodin, contempla, con tutta calma, la strada stretta e piena di curve che sembra correre sotto di lui:

10 precipizio

“La mia idea- spiega-è quella di rappresentare un personaggio che abbia uno sguardo diverso sul mondo e sulla vita quotidiana. Nelle mie foto non c’è alcuna attrazione per il vuoto, ma la possibilità di acquisire un altro punto di vista”.
Con leggerezza, apparente disinvoltura e -perché no?- un pizzico di follia, Ramette restituisce, nelle sue foto, l’idea di una società che ha perso ogni punto di riferimento.
Con umorismo, ironia e il suo immutabile completo da funzionario modello, cerca di scardinare la nostra razionalità e modificare la nostra maniera di vedere le cose, costruendo un suo universo, insieme bizzarro e familiare, dove si può camminare sotto il mare e la gravità non esiste.
Come solo un grande illusionista o un vero artista sa fare.

 

 

 

 

L’ideologia nascosta dietro le direttive euro-globali.

Ma come sta cambiando la nostra vita, la realtà circostante, il mondo naturale, le condizioni abitative, lavorative, sociali sotto le direttive dell’Unione Europea e i suoi finanziamenti condizionati? Rotatorie dappertutto, piste ciclabili anche laddove non servono, cibo sintetico e prodotti ogm per sostituire l’agricoltura chilometro zero e le filiere di prodotti naturali con le internazionali del food, vino censurato e bigottismo salutista e alimentare, linee sanitarie determinate più dall’industria farmaceutica che dalla tutela della salute pubblica, normative capestro per le concessioni balneari per sostituire gli attuali gestori locali con le multinazionali del mare, onerosi obblighi di ristrutturazioni e uniformazioni delle abitazioni secondo direttive euro-globali, anche per scoraggiare le proprietà immobiliari; per non dire delle prescrizioni, a suon di sentenze della Corte suprema dei diritti, per sostituire la famiglia naturale e tradizionale con altre unioni, adozioni, maternità surrogate, fecondazioni eterologhe.

Cito alla rinfusa, sicuramente saltando altri passaggi significativi, interventi su piani diversi ma che portano verso uno stesso risultato: il paesaggio in cui viviamo sta diventando irriconoscibile, le nostre condizioni di vita sono stravolte, l’artificiale sta prendendo il posto del naturale, la tradizione e la civiltà, la consuetudine e la vita reale lasciano il posto a un paesaggio uniforme, globale, disegnato dalla tecnologia col supporto dell’ideologia e delle prescrizioni mediche, legali, ambientali. E i finanziamenti europei, i pnrr e i mes, danno un massimo impulso in quella direzione, sostituendo priorità reali con modelli prefabbricati e delocalizzati di crescita. Se poi a tutto questo aggiungiamo i flussi migratori, allora il processo di estraniazione dal nostro habitat si fa ancora più alienante.

Dietro tutto questo processo, c’è un filo ideologico che tiene insieme questi interventi sparsi: quel mix di dirigismo e liberismo, visione correttiva e sostitutiva della realtà che è oggi la nuova ideologia euro-globale. Dirigismo perché pretende di correggere tutto ciò che prima era libero, spontaneo, consuetudinario, naturale e tradizionale, lasciato all’iniziativa di singoli, di comunità di territori. Liberista perché il paradigma finale resta il profitto economico, riferito a soggetti multinazionali e alla speculazione internazionale, tramite l’efficientismo tecnocratico, la modulistica globale, l’interdipendenza dei paesi e delle economie e il ricatto del debito sovrano.

Il capitalismo resta il quadro entro cui questa ideologia si muove; ma un capitalismo speculativo più che produttivo, sorretto dal dirigismo, cioè dalla forte ingerenza correttiva e coattiva sulla realtà, e non solo in ambito pubblico, ma anche privato, se si considera che tutto l’apparato normativo ingessa, soffoca e stravolge la vita domestica, la nostra alimentazione, il nostro habitat, le nostre relazioni. Il risultato finale è qualcosa che somiglia a una massiccia disumanizzazione globale. Completa questo disegno l’alibi l’obbligo del green, l’alibi dell’ecosostenibilità, in cui di fatto l’ambiente, come insieme di normative e obblighi tecno-economici, prende il posto della natura.

La cosa più sconfortante è che questo disegno, con la sua ideologia retrostante, non ha praticamente avversari, ossia non ci sono disegni antagonisti, visioni rivali, culture che elaborano progetti di tipo opposto. In campo c’è solo quel disegno e poi l’allineamento: in taluni con entusiasmo, in altri con spirito di disciplina gregaria, in altri con riluttanza. Ma il risultato è lo stesso. Non ci sono stati nazionali, alleanze internazionali, poteri autorevoli, soggetti politici, sociali e sindacali che avversino questo progetto adottato dai vertici dell’unione europea, sorretto dai grandi committenti internazionali, dalle banche centrali e dalle corti europee annesse, oltre che dal fondo economico mondiale e dai grandi vettori globali. L’unica vera resistenza, anzi l’unica spontanea guerra di resistenza, sorge dalla realtà e dalla refrattarietà dei popoli e dei singoli. La realtà insorge contro l’ideologia, come la natura si oppone all’artificiale e l’umano resiste al disumano.

E’ facile obiettare che la civiltà, sin dal suo sorgere e dal suo sviluppo storico, si oppone alla natura, ed è comunque una costruzione artificiale. Ma qui siamo davanti a un gigantesco processo di sostituzione di tutto ciò che è reale, naturale, storico, tradizionale con un universo parallelo che è funzionale, tecnologico, finanziario, virtuale. La civiltà sorge sulla natura, ne riconosce i confini, ne delimita gli spazi, ma non contro la natura. L’arte e l’artigianato, l’architettura e i borghi, la religione e i simboli,  non cancellano la natura né l’umanità, semmai l’affiancano, la sublimano, la finalizzano. Invece noi stiamo vivendo la sostituzione del reale con l’artificiale, dell’umano con la sua protesi tecnologica, a tutti i livelli, fino al robot, al metaverso e all’intelligenza artificiale. Inclusi i nostri bisogni, le nostre inclinazioni; i desideri indotti, artificiali, prevalgono sui desideri naturali, umani. La civiltà espande l’umanità, il dirigismo la sostituisce col transumano.

E’ possibile fare qualcosa? Nessuno è in grado di dirlo. Ma siamo in grado di dire che intanto è bene prenderne coscienza fino a divenire obiettori di coscienza; essere consapevoli e critici, testimoniare di altre possibilità di vita, non accettare tutto quel che accade come scritto nelle leggi imperscrutabili e immodificabili dell’universo. Perlomeno provarci…

  MV

Gli Stati Uniti in default virtuale… cosa significa-

 

Forse saranno solo in due a festeggiare,ma la notizia,poco diffusa per ora, del default virtuale degli USA farà sorridere i presidenti di due grandi Stati, la Cina e la Russia. Che significa? Di fatto gli USA non possono più spendere nemmeno un dolloro in debito ; infatti la camera dei deputati, che avrebbe dovuto allargare il debito sino ad una certa data ed una certa cifra non ha concesso questa proroga, fermando il debito sovrano a 31400 miliardi di dollari. Default virtuale significa che lo Stato rimane solvente finchè pagherà gli interessi ai possessori del debito, ossia dei buoni del Tesoro. Sicuramente non si arriverà a questo punto,si troverà una soluzione come era già accaduto nel primo governo Obama, e il problema si risolverà.  Nel frattempo il ministro del Tesoro ha già annunciato le difficoltà che avrà nel pagare i dipendenti, i pensionati e tutto quanto di competenza del governo americano. Dal periodo del Covid ad oggi il rapporto debito/pil ha superato i 130 punti, soglia superata solo dall’Italia con un Pil che non ha paragoni con quello americano. La notizia molto presto diventerà di dominio pubblico. A soffrirne saranno per primi i cittadini americani, vedremo come si muoveranno, se si muoveranno ,le agenzie di Rating e le Borse di tutto il mondo. Un’ incognita perchè gli USA sono pur sempre gli USA

dollari

 

I rispetto del privato, della vita famigliare, specialmente di un morto, più o meno famoso…

 

Mentre mi appresto a scrivere di privacy e di diritto a questa, mi frulla nella mente che forse parlarne, ormai sia inutile o quantomeno inopportuno. Attraverso internet nulla ,o quasi ,di noi è sconosciuto a chi ha interesse a sapere e noi, se vogliamo essere informati e per questo seguiamo i media,siamo quasi obbligati a venire a conoscenza di fatti molto intimi e privati dei personaggi, più o meno famosi, che sono all’attenzione pubblica del momento. Mi riferisco alla scomparsa di Gina Lollobrigida, attrice amatissima, ammirata da tutti per la bellezza e bravura, che non era da meno, fulgido esempio di chi fa onore al nostro Paese nel mondo. Da quando ci ha lasciati è stato inevitabile non sentire parlare di lei, per interi giorni. Nessun giornale l’ha dimenticata, nessuna trasmissione radio televisiva non ha smesso di raccontarla. Tuttavia in queste interviste, talk show, oltre a far scorrere le immagini più significative della sua carriera fulgida, non si è fatto altro che parlare di fatti privati, riguardanti gli anni difficili della vecchiaia, che purtroppo crea problemi a tutti, non solo alla celebre bersagliera. E così sappiamo tutti quanto tristi siano stati quelli di Gina, sposata, annullata con un giovane catalano,che ora rivendica di essere ancora suo marito. Sappiamo dei dissapori col figlio Mirko e il nipote Dimitri, sappiamo della sua convivenza col factotum Piazzolla e famiglia, accusato dai familiari di circonvenzione d’incapace, sappiamo che della sua ricchezza, fatta tutta da sola col suo lavoro, sia rimasto molto poco, e soprattutto sappiamo di tante ciance, accuse, contraccuse tra questi personaggi e lei , esclusivamente per motivi di eredità, di denari lasciati, con altri beni dalle diva. Il tutto mascherato da un sentimento d’affetto, di cui la stessa attrice lamentava la mancanza e il bisogno insieme alla tristezza della solitudine, che solo Piazzolla pare averle dato accudendola, proteggendola, assistendola nei bisogni, con un affetto ,a detta dei due, disinteressato .Il mio disappunto è proprio sulle discussioni, che si sono succedute proprio su questi fatti, strettamente personali, famigliari, la sua vita privata, di cui credo ogni persona abbia diritto alla riservatezza, anche se se sei un personaggio pubblico o salito alla ribalta per qualsiasi motivo. L’omaggio alla diva a me è parso passare in secondo piano rispetto all’interesse quasi morboso, mascherato dal dovere di proteggerla nei momenti del trapasso per amore di lei, di chi era stata. Se è vero che le anime vedono quello che succede quando sono in quell'”oltre” misterioso o noto per fede religiosa, sicuramente Gina sarà molto amareggiata, come le persone che le hanno voluto bene veramente.

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Nello Studio di Jan Vermeer___L’allegoria della pittura-

Se la pittura di Vermer è tutta qui, mi pare che quel “qui” sia una vastità” (G. Ungaretti)

Ormai è una superstar. Dopo un’esistenza riservata e tutta dedicata al lavoro, dopo due secoli d’oblio e la riscoperta ottocentesca, oggi basta esporre anche uno solo dei suoi dipinti per attirare migliaia di visitatori.
A rischio quasi di farlo passare per un’icona pop.
Per ritrovare la sua magia, però, bastano il silenzio e l’incanto di un dipinto come questo: una tela, datata tra il 1666 e il ’68 e ora al Kunsthistorisches Museum di Vienna.

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La porta è aperta e la pensante tenda di broccato sembra scostata apposta per noi.  Non ci resta che oltrepassarla per entrare nello studio di Vermeer (1632-1675).  Tutto è in ordine: non c’è nulla del caos che ci saremmo aspettati nell’atélier di un pittore. Le comodità, invece, non mancano: mobili di pregio, una scultura, qualche stoffa preziosa  e perfino una carta geografica appesa alla parete, come usava, allora, nelle case dei più ricchi. La stanza, ampia e luminosa, col pavimento a grandi riquadri bianchi e neri, è quella abitualmente utilizzata al primo piano della casa della suocera. Un’agiata dimora borghese nel quartiere “papista” di Delft, dove è andato ad abitare dopo il matrimonio e la conversione al cattolicesimo. Con venti stanze e tre piani, la casa è grande, ma la famiglia è aumentata così rapidamente (quindici figli) che sembra  quasi diventata angusta. Non è facile per lui, così lento e meticoloso, isolarsi per dedicarsi alla pittura. Il suo lavoro lo occupa giorno e notte e, come al solito, fa tutto da solo: mantenere un collaboratore gli costerebbe troppo.

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Ed eccolo, al centro della scena, mentre sta ritraendo una giovane donna, che tiene in mano un libro e una tromba e ha in testa una corona di alloro. Con gli occhi pudicamente abbassati e l’aria gracile da ragazzina, sembra una delle servette di casa, travestita apposta per mettersi in posa.Un pittore e una modella: sembrerebbe un momento come tanti nella vita di un artista. Eppure, come spesso succede con Vermeer, si ha l’impressione che non sia tutto qui e che qualcosa ci sfugga.  A cominciare dall’aspetto del protagonista che, invece di mostrarsi in bella vista, ci volta le spalle, mentre siede al cavalletto, vestito con un abito fin troppo elaborato ,completamente  inadatto al lavoro.  E poi le vesti che indossa, dal giubbotto traforato sulla camicia bianca, alle calze portate arrotolate alle caviglie, sono sorpassate: andavano di moda, in Olanda, più di un decennio prima.

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Se si guarda ancora meglio, ci si accorge, poi, che Vermeer, di solito così preciso, ha mescolato parti di verità a piccole incongruenze. Intanto, la grande carta geografica alla parete rappresenta una situazione vecchia di mezzo secolo, prima della creazione del nuovo Stato olandese. Poi, per esempio,  ha tracciato sulla tela dove lavora lo schema iniziale di una composizione, però sta usando un poggia-mano, un bastoncino col pomo d’avorio, che dovrebbe essere riservato solo alla rifinitura finale.
Viene, allora, il dubbio che quella a cui assistiamo sia una messa in scena e che Vermeer abbia trasformato il suo studio nella scenografia di un teatro, in cui sia lui che la modella recitano una parte. Ma quale? La chiave sta tutta nell’abbigliamento della donna: secondo l'”Iconologia” di Cesare Ripa, un testo fondamentale per gli artisti dell’epoca, la tromba e l’alloro sono gli attributi della fama, mentre il libro allude alla storiografia.
Si tratta, dunque, di una rappresentazione di Clio, la musa della storia e dell’ispirazione artistica. Ed ecco che la scena assume tutt’altro significato: non è un autoritratto di pittore nello studio- all’epoca piuttosto frequente- ma un’allegoria della pittura.  Vermeer non è di quelli che scrivono trattati, o elaborano teorie.  Se vuole celebrare la sua arte, proprio negli anni del suo riconoscimento ufficiale e della sua nomina a Sindaco della Gilda dei pittori di Delft, preferisce farlo nel modo che conosce meglio: dipingendo.  E lo fa, senza retorica e senza enfasi, evitando di usare i soliti riferimenti mitologici o alla storia antica.  Sceglie di raffigurare una stanza di casa sua, con la luce, che entra da una finestra fuori-campo e rende vero ogni dettaglio, dalla stoffa della tenda in primo piano, al pavimento che ha l’aria di essere appena pulito, ai bagliori del bronzo scintillante del lampadario.  In questa scenografia casalinga, con un  semplice pezzo di stoffa azzurra e una trombetta di latta, trasforma una servetta timida nella musa Clio.
Poi fa sì che l’artista al cavalletto, abbigliato con un vestito fuori moda, scovato nel fondo di qualche armadio, diventi il simbolo, senza tempo, di tutti i pittori.  E ci fa capire che la pittura, più ancora della scultura, simboleggiata dalla testa di gesso posata sul tavolo, è in grado di ricreare una realtà fuori dal tempo e di rendere eterno ogni minimo frammento di vita  Vermeer sa di essere un grande pittore e ne va fiero: per questo terrà questa tela nel suo studio, senza mai venderla e, alla sua morte, la moglie rifiuterà di cederla per pagare i debiti.
Rappresenta il suo omaggio all’arte che ha sempre praticato, con orgoglio e senza mai venire meno, malgrado le difficoltà e i problemi economici.Sa che gli bastano colori e pennelli e, in quella stanza  al primo piano di una casa affollata e rumorosa di voci infantili, potrà trasfigurare, nella serena perfezione delle sue tele, anche i più modesti particolari quotidiani.
Grazie al suo modo di usare la luce e il colore, la rappresentazione di un artista al lavoro, quella di una domestica che versa il latte , di una piccola via di Delft o di una ragazza con l’orecchino di perla potranno assumere un significato universale e  diventare opere in grado di attraversare i secoli.

All’interno di quella nitida dimora olandese la pittura avrà compiuto, ancora una volta, la sua magia.

I’m feeling..

 

Quello che c’è in me è soprattutto stanchezza
non di questo o di quello
e neppure di tutto o di niente:
stanchezza semplicemente, in sé,
stanchezza.
La sottigliezza delle sensazioni inutili,
le violente passioni per nulla,
gli amori intensi per ciò che si suppone in qualcuno,
tutte queste cose –
queste e cio’ che manca in esse eternamente –
tutto ciò produce stanchezza,
questa stanchezza,
stanchezza.
C’è senza dubbio chi ama l’infinito,
c’è senza dubbio chi desidera l’impossibile,
c’è senza dubbio chi non vuole niente –
tre tipi di idealisti, e io nessuno di questi:
perchè io amo infinitamente il finito,
perchè io desidero impossibilmente il possibile,
perchè voglio tutto, o ancora di più, se può essere,
o anche se non può essere…
E il risultato?
Per loro la vita vissuta o sognata,
per loro il sogno sognato o vissuto,
per loro la media fra tutto e niente, cioè la vita…
Per me solo una grande, una profonda,
e, ah, con quale felicità, infeconda stanchezza,
una supremissima stanchezza,
issima, issima, issima,
stanchezza…
(Alvaro de Campos)

 

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L’oro e Dio…

 

Due maestri di filosofie orientali discutevano tra loro. Uno disse:” A mio avviso nemmeno uno su venti milioni crede in Dio .”L’altro chiese il perchè ed egli gli rispose:”Supponi che in questa stanza vi sia un ladro e che venga a conoscenza di un immenso tesoro in oro proprio nella stanza accanto, e che tra i due locali ci sia solo un sottile divisorio ; come sarà il comportamento di questo ladro?”

Rispose allora il secondo:” Certamente non riuscirebbe a dormire;il suo cervello sarebbe indaffaratissimo a pensare come riuscire a mettere le mani su quell’oro e non potrebbe pensare assolutamente a nient’altro.”
Allora il primo replicò:” Tu pensi che se un uomo dovesse credere in Dio non impazzirebbe per Lui? Se un uomo crede sinceramente che vi sia quella fonte immensa di beatitudine e che questa può essere raggiunta, non farebbe qualunque pazzia pur di arrivarci ? Guardati intorno, il mondo stesso ti risponde “

beatitudine

Che cos’è un corallo? Il fascino delle barriere coralline, un patrimonio da difendere con la massima cura.

 

Che sarà mai un corallo, che alcuni hanno visto, altri vedranno mai,se non trasformato in gioiello, forse antico, poichè, dovunque nel mondo, è proibita la raccolta? Sarà un animale, un vegetale, un minerale ? Nonostante la loro apparenza sia quella di una pianta, attualmente i coralli sono animali. Le colonie corallifere sono costituite da centinaia di migliaia di minuscole creature chiamate polipi, i quali hanno tentacoli ,che usano per catturare il cibo dall’acqua. Questi polipi nascondono uno scheletro duro di calcare. Molti coralli , inoltre, sono anche contenitori di un’alga chiamata zooxanthellae. la quale produce cibo e ossigeno per i coralli attraverso la fotosintesi. Queste zooxanthellae sono anche delegate a colorare i coralli coi più sgargianti colori.

Se si guarda attentamente questa immagine molto da vicino si possono vedere i singoli polipetti su questo corallo azzurro , fotografato nel Santuario marino americano di Samoa Island.

corallo azzurro di Samoa