La sposa faidate, lui non lo sa..

Viva la sposa autarchica di Martina Franca. Una ragazza di quarant’anni si sposa in chiesa, nella bella chiesa di San Martino del bellissimo borgo pugliese, nei giorni del festival della Valle d’Itria; fa addobbare la chiesa di fiori, spende una cifra per il ricevimento nuziale, arriva in auto vestita da sposa e aspetta invano il suo sposo; ha deciso di convolare a nozze all’insaputa del suo prescelto o nonostante il suo parere contrario. Poi quando il parroco la invita a lasciare la Chiesa per evidente vizio di procedura, non può celebrare con lo sposo contumace, lei decide di sfogare nel mare di Puglia la sua solitudine di sposa faidate, autoreferenziale, solitaria. E il naufragar è salato in questo mare… Una storia surreale, per certi versi romantica, che colpisce in modo particolare me che scrissi anni fa La sposa invisibile. Stavolta invisibile è lo sposo, che esiste ma non ha mai detto di si alla sposa, si dice anzi che sia già impegnato.
La storia si può interpretare in tre modi diversi. Il primo è che l’amore di coppia è fondato su un elementare principio: la reciprocità. Mancando quella prima condizione, manca di conseguenza tutto il resto. Certo, l’amore è asimmetrico, a volte si ama senza essere (del tutto) ricambiati ma non si può prescindere dal consenso, almeno iniziale. Ci sono persone rimaste sole tutta la vita perché non sono riuscite a dimenticare o rimpiazzare il loro amore perduto. Esistono poi gli amori ideali, all’insaputa dell’amato o senza il suo consenso. Ma gli amori ideali non pretendono di convertirsi in realtà ad ogni costo. Restano nella sfera ideale, come l’amore di Dante per Beatrice e di Leopardi per Silvia, e si sublimano in ispirazione poetica. Diventano invece persecutori, paranoici e anche aggressivi quando pretendono amore anche se non sono ricambiati. I casi peggiori viaggiano tra lo stalking e la violenza, fino a uccidere la persona amata.
In questo caso pugliese l’amore autarchico non infierisce sulla persona amata; si limita alla scena virtuale, alle nozze unilaterali e incompiute.
Qui si accede a un secondo livello. Ed è quel fenomeno sociale, ormai diffuso da più di trent’anni, tra il Giappone e gli Stati Uniti, che è la sologamia. A differenza della sposa pugliese, le nozze qui non prevedono la presenza neppure virtuale – in cartonato o in ologramma – di uno sposo reale; è un consapevole matrimonio solo con se stessi. Una pratica più diffusa tra le donne, in misura minore dagli uomini; di chi sente il bisogno di celebrare il suo statuto di singolo, sposandosi con se stesso. Un amore narcisistico che nel mio libro dedicato all’Amore necessario ho catalogato attraverso la formula Io amo Io. Certo, un matrimonio così non ha bisogno di una chiesa e di un sacerdote, e nemmeno di un ricevimento, ma è in totale autarchia, è solipsismo nuziale, autosufficienza amorosa, una forma nuova di onanismo nuziale. È il sintomo più vistoso della solitudine contemporanea, la perdita dei confini tra il virtuale e il reale, l’individuo assoluto che non ha bisogno di nessuno e si marita con se stesso, in selfie, pur sapendo che la scelta non produce autogravidanza, al più ricorre a uteri in affitto e fecondazioni artificiali. Del resto, la nostra società prevede l’esistenza della famiglia mononucleare, che non allude alla mononucleosi ma vuol dire che il singolo fa famiglia da solo; da non confondere con la famiglia monoparentale, dove c’è un solo genitore ma ci sono figli, magari frutto di precedenti unioni. A me sembra assurdo e del tutto improprio definire famiglia qualcosa che ne è la negazione, perché priva di un noi. Chiamatelo come sempre è stato, celibato; la donna che non si sposa, da noi in Puglia, è chiamata vacantina, alludendo alla vacatio maritale; non si è sposata, è rimasta signorina.
A proposito, qui si accede al terzo livello, si lascia il nostro tempo e si entra invece nel nostro luogo. Il matrimonio resta nel sud, anche in tempi di single e di matrimoni di breve durata, il culmine della vita personale e sociale, il principale investimento famigliare e la principale industria, con un indotto pazzesco. Nozze che costano un occhio della testa, ricevimenti che dissanguano famiglie, feste che durano tantissimo, in proporzione più dei matrimoni che celebrano. Non a caso, in Puglia vengono a sposarsi anche pascià e sultani, perché la festa nuziale da loro dura a lungo, per giorni. Dodici ore filate tra attese, messa, lancio del riso, servizio fotografico, pranzo infinito, ballo, trenino, presepe familiare e amicale al completo; sfibrano anche i più volenterosi sposi e i più eroici invitati. E li conducono già durante il ricevimento a delineare separazioni e rotture tra i clan familiari. Il matrimonio al sud, in Puglia, è un test psico-attitudinale di convivenza nella lunga durata che comporta pazienza, resistenza, recita ad oltranza, capacità di sopportare il caldo e altre avversità: è davvero una scuola di alta formazione al sacrificio per mettere su famiglia.
In passato ho raccontato che in una interminabile festa nuziale, corse come una invocazione diffusa, il paragone tra nozze e funerali e la preferenza per questi ultimi: le celebrazioni funebri durano meno, non devi farti l’abito per la cerimonia, non devi dissanguarti coi regali e i ricevimenti; il morto non dà bomboniere e muore una volta sola, invece gli sposi a volte si risposano; ai funerali puoi partecipare anche restando in disparte, dopo la messa devi solo sobbarcati una breve passeggiata detta corteo funebre; e non c’è il disc jockey. Insomma, capite, se si arriva a rivalutare perfino i funerali, c’è qualcosa di perverso e di insopportabile in quelle cerimonie nuziali. Nozze, voce imperfetta del verbo nuocere. Si aggiunga che in Puglia il lancio del riso è considerato troppo lieve, da noi il riso va di solito con patate e cozze; ma il lancio di riso patate e cozze colpirebbe molto più pesantemente gli sposi e i loro accoliti, detti testimoni, lasciandoli felici e contusi.
Invece la sposa autarchica di Martina Franca ha sognato di sposarsi anche senza sposo e senza invitati, pur prevedendo in astratto entrambi. Si è sobbarcata gli oneri nuziali e ha risparmiato al mondo e allo sposo presunto quella terribile giornata nuziale nel caldo torrido di luglio. Dite quel che volete, ma considero questa scelta il più grande dono d’amore che la sposa ha fatto al suo sposo riluttante e ai suoi cari…

Marcello Veneziani.         

Quando si incomincia a intravedere il traguardo della vita…

 

Cinque sono le cose che un uomo rimpiange quando sta per morire. Non saranno i viaggi confinati nelle vetrine delle agenzie che rimpiangeremo, e neanche una macchina nuova, una donna o un uomo da sogno o uno stipendio migliore.

La prima sarà non aver vissuto secondo le nostre inclinazioni ma prigionieri delle aspettative degli altri. Cadrà la maschera di pelle con la quale ci siamo resi amabili, o abbiamo creduto di farlo. Ed era la maschera creata dalla moda. La maschera di chi si accontenta di essere amabile. Non amato.

Il secondo rimpianto sarà aver lavorato troppo duramente, lasciandoci prendere dalla competizione, dai risultati, dalla rincorsa di qualcosa che non è mai arrivato perché non esisteva se non nella nostra testa, trascurando legami e relazioni.

Per terzo rimpiangeremo di non aver trovato il coraggio di dire la verità. Rimpiangeremo di non aver detto abbastanza ”ti amo” a chi avevamo accanto, ”sono fiero di te” ai figli, ”scusa” quando avevamo torto, o anche quando avevamo ragione. Abbiamo preferito alla verità rancori incancreniti e lunghissimi silenzi.

Poi rimpiangeremo di non aver trascorso tempo con chi amavamo. Non abbiamo badato a chi avevamo sempre lì, proprio perché era sempre lì. E come abbiamo fatto a sopportare quella solitudine in vita? L’abbiamo tollerata perché era centellinata, come un veleno che abitua a sopportare dosi letali. E abbiamo soffocato il dolore con piccolissimi e dolcissimi surrogati, incapaci di fare anche solo una telefonata e chiedere come stai.

Per ultimo rimpiangeremo di non essere stati più felici. Eppure sarebbe bastato far fiorire ciò che avevamo dentro e attorno, ma ci siamo lasciati schiacciare dall’abitudine, dall’accidia, dall’egoismo, invece di amare come i poeti, invece di conoscere come gli scienziati. Invece di scoprire nel mondo quello che il bambino vede nelle mappe della sua infanzia: tesori.

Alessandro D’Avenia

 

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Ma perché nelle camere d’albergo dev’essere tutto così complicato?

 

“Dalle serrature agli interruttori, dal climatizzatore alle docce: c’è sempre almeno una cosa di cui non capisco il funzionamento”, scrive Marisa Fumagalli in “Te lo do io il design. Storie di evitabile follia“. Scoprire che il male è comune è un mezzo gaudio

Camillo Langone__da__IL FOGLIO

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Le persone scelgono sempre di più il silenzio…

Nell’ultimo anno la nuova frontiera è quella del silent reading party, il fenomeno che arriva dagli Stati Uniti per contrastare l’abuso degli smartphone nelle situazioni ricreative
Sarà il caos sempre più ingombrante delle città o forse la voglia di riscoprire un passato senza teconologia ad aver creato un nuovo trend abbracciato da sempre più persone: il “silent party”. In realtà, il protagonista di questa nuova moda non è tanto il “party” quanto più il silenzio, declinato in varie forme ed eventi. Già in passato, infatti, si erano diffuse le discoteche silenziose: cuffie alle orecchie, ritmo scatenato ma da fuori tutto tace.

L’idea è quella di condividere il silenzio insieme ad altre persone. Ecco allora piazze e grandi spazi, anche parchi, che diventano location ideali per vivere insieme un momento di tranquillità. Come ricorda il Corriere della Sera, sono diverse le attività che hanno come denominatore comune il silenzio. Dalle camminate e corse di gruppo, ai silent fitness e i silent cinema all’aperto. All’aperto o al chiuso, l’imperativo è semplice: niente telefoni. L’ambiente che circonda il lettore è calmo, accogliente, soft: candele, luci soffuse, in alcuni casi una leggera musica rilassante, per accompagnare chi legge in una dimensione lontana dalla città, non più in solitudine o in un bar affollato, ma insieme ad altre persone che vogliono condividere le stesse sensazioni.
A trainare la voglia di isolarsi dal rumore di fondo delle grandi città è forse il bisogno di riconnettersi alla natura, una sorta di new age del nuovo millennio che richiede l’abbandono, almeno momentaneo, di quegli strumenti teconologici così presenti nella nostra vita, per dedicarsi finalmente a qualcosa che non sia uno schermo, magari immersi in mezzo al verde della natura. In alcuni eventi, infatti, a essere protagonista non è il silenzio, ma il rumore. Il rumore lieve delle foglie, del vento, di un ruscello. Il canto di un uccello o il chiacchiericcio dei grilli, tutti suoni impossibili da ascoltare nella quotidianità della città. La cosa veramente importante è appartarsi in compagnia, per chi ha voglia di ritrovare se stesso  senza perdersi forse in una solitudine che non si ama per carattere, ma di cui  si sente impellente bisogno.

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Morgan sia messo in condizione di non nuocere, ma non impeditegli di lavorare ….

 

Nessuno che riesca a distinguere il peccato dal peccatore. Far perdere al musicista contratti e concerti non è giustizia, è vendetta. Visto anche il numero di infervorati, somiglia a una lapidazione. Il duro mestiere del genio. Ieri Busi e Bene, oggi Morgan e Sgarbi.
Sono tutti pagani (Calcutta con quel nome magari sarà induista) e quindi non riescono a distinguere il peccato dal peccatore. Preziosissimo insegnamento di Santa Madre Chiesa. Pio XII disse che “bisogna essere risoluti contro l’errore e pieni di riguardo verso gli erranti”. Che Morgan sia un errante non ho difficoltà a crederlo, per un articolo di blanda critica mi scrisse messaggi vaneggianti per ore (quanto tempo da perdere ha quest’uomo?). Se il musicista è davvero pericoloso sia messo in condizione di non nuocere: arresti domiciliari, braccialetto elettronico, non so. Ma non gli si impedisca di lavorare. Fargli perdere contratti e concerti non è giustizia, è vendetta. Visto anche il numero di infervorati, somiglia a una lapidazione. E sono tutti senza peccato? Urge inoltre distinguere l’arte dall’artista. Qui oltre che cristiano sono proustiano: Marcel invitava a separare l’opera dalla biografia, altrimenti si riduce tutto a pettegolezzo (o linciaggio). Sid Vicious ha forse accoltellato la fidanzata ma che spettacolo la sua “My way”. Gesualdo da Venosa ha ammazzato la moglie fedifraga e il di lei amante eppure nessuno si presenta alla Decca col presuntuosissimo, prepotentissimo “O lui o io”. Battiato lo spiegò alla perfezione: “Musicista assassino della sposa / cosa importa? / scocca la sua nota / dolce come rosa”.

Camillo Langone__da __IL FOGLIO

 

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Il cardinale, lo scienziato e l’aldilà…

 

 

Che sarà di noi? Alla fine è questa la domanda che rivolgiamo al religioso, al filosofo e allo scienziato. Ci giriamo intorno e parliamo di tante altre cose che ruotano intorno a quell’interrogativo ma quando si va a stringere è quella la domanda delle domande a cui vogliamo una risposta o anche solo un conforto quando ci sporgiamo oltre la vita.
C’è un dopo? è il titolo del libro scritto dal cardinale Camillo Ruini, alla veneranda età di 93 anni, dedicato all’Aldilà. Parallelamente leggevo un nuovo libro del fisico e inventore Federico Faggin, Oltre l’invisibile. Dove scienza e spiritualità si uniscono (entrambi editi da Mondadori). Alla stretta finale, quando devono affrontare il tema cruciale, l’appuntamento con la morte, sia l’uomo di fede che l’uomo di scienza fondano la loro fiducia e la loro convinzione non sulle certezze religiose né sulle verità scientifiche, ma sui racconti di esperienze vissute al confine tra la vita e la morte.
“La verità è che non lo sappiamo” confessa il cardinal Ruini che poi si affida alle testimonianze di persone, oggetto di studi scientifici, a un passo dalla morte e poi tornate alla vita. Scrive il cardinale: “L’ammalato può udire il medico che lo dichiara morto, poi ha la sensazione di entrare in un tunnel lungo e oscuro; quindi improvvisamente si ritrova fuori dal proprio corpo, che ora può vedere dall’esterno e dall’alto, insieme ai medici e infermieri che lavorano su di esso. Scopre così di possedere un altro corpo, molto diverso da quello fisico che ha abbandonato, e dotato di facoltà nuove. Gli si fanno incontro altri defunti, in particolare parenti e amici che lo aiutano, e soprattutto gli appare un essere di luce, uno spirito d’amore che gli fa rivivere gli avvenimenti più importanti della sua esistenza. A un tratto si trova vicino a un confine che sembra essere quello tra la vita terrena e l’altra vita. Sente di dover tornare sulla terra perché non è ancora arrivato per lui il momento della morte, tenta di opporsi perché è ormai affascinato dall’altra vita, ma si riunisce in qualche modo al proprio corpo fisico e torna in questo mondo”. Questi racconti, dice il prelato, somigliano a quelli di grandi mistiche come Caterina da Siena o anche al mito di Er narrato da Platone, l’uomo risuscitato che aveva poi narrato il suo viaggio ultraterreno. Pure lo scrittore cattolico Antonio Socci lo raccontò in Tornati dall’aldilà (Rizzoli).
Anche lo scienziato Faggin fonda la sua convinzione di una vita invisibile oltre la morte richiamandosi alle “esperienze di premorte sperimentate da centinaia di migliaia di persone”. E accoglie come possibile benché inspiegabile la testimonianza di una donna che diceva di aver visto una persona appena deceduta in ospedale entrare dalla finestra per congedarsi da sua moglie sofferente in un lettino dello stesso ospedale nel piano inferiore. Un racconto che lascia turbati ma ancor più sorprende se a riferirlo è uno scienziato.
Faggin, fisico e inventore del microprocessore e del touchscreen, entra da scienziato in territori lontani dalla scienza e dalla fisica, riguardanti la metafisica e la filosofia dell’essere ma anche l’etica e la religione. Per Faggin la scienza si occupa del come, la spiritualità del perché; la loro correlazione è necessaria. La coscienza, per lui, viene prima del cervello e della materia, “è fondamentale e irriducibile”. Contrariamente a ogni riduzionismo evoluzionista,”dal più può derivare il meno, ma non viceversa”. Ovvero dal superiore discende l’inferiore, non il contrario; è possibile il degrado, l’involuzione, la decadenza; mentre si può pensare il progresso, l’evoluzione, lo sviluppo solo tramite l’intervento di forze superiori. Faggin respinge sia il caso che il creazionismo, e quando parla di spiritualità va oltre le religioni e abbraccia idee (come la reincarnazione e l’unità delle religioni) che vanno oltre il cristianesimo. In tema di reincarnazione Faggin si spinge a sostenere: “E’ quasi certo che ci sia la reincarnazione. C’è anche evidenza scientifica in bambini che si ricordano della vita precedente e che riportano fatti salienti di una vita che non hanno alcuna ragione di conoscere. Fatti che sono stati poi verificati”. E conclude che “la reincarnazione è sensata” perché non avrebbe senso vivere una sola vita. Tesi suggestiva, argomentazione un po’ fragile.
Lo scienziato ci fa sapere che dopo un’adolescenza di credente e osservante, secondo una rigida educazione cattolica (si faceva la comunione tutti i giorni) e una gioventù-maturità da materialista e scientista, è infine approdato, attraverso una vera e propria illuminazione, a una visione spiritualista integrale che espone con argomenti scientifici, citazioni di filosofi e passione di missionario. A volte cede a qualche venatura new age, o a quella “pappa del cuore” che copre come una glassa umanitaria il cinismo del nostro tempo. Torna più lucido quando parla con realismo dell’intelligenza artificiale, delle sue possibilità e dei suoi limiti. A differenza del robot noi abbiamo coscienza, comprensione dei fenomeni, siamo creativi; ma soprattutto la forza che ci muove è l’amore, mentre nessuna I.A. è mossa da amore, è in grado di amare né di generare amore. Faggin chiama Nousym il ponte tra scienza e spiritualità, sintesi di mente e simbolo.
Torniamo alla domanda iniziale: non troveremo mai una risposta certa e definitiva. Però sappiamo che per trovare il cammino e per dare un senso alla ricerca, dobbiamo rimettere insieme le sette vie: il mito, la religione, il pensiero, l’arte, la scienza, la storia e la biologia, senza saltarne nessuna.

 Marcello Veneziani

Se gli spot superano la realtà. La parità di genere nelle nuove pubblicità dei detetersivi…

In un periodo in cui, da ogni parte, sembra sgretolarsi la certezza di diritti conquistati da parte di noi donne, finalmente una buona notizia.

Stavo guardando la televisione, ieri, e sono rimasta piacevolmente sorpresa alla vista di due spot pubblicitari. Si tratta di un famosissimo detersivo per il bucato. Ebbene, nel primo spot, una giovane donna si appresta ad uscire di sera, tutta in ghingheri. Si avvicina al marito che tiene in braccio un bambino piccolo. L’uomo dà per un attimo il bimbo in braccio alla madre dicendo “saluta la mamma” e il piccolo fa un rigurgito che compromette il vestito di lei. La donna si cambia e comunque esce. Il marito fa il bucato di corsa, asciuga a e stira il vestito. Quando, a fine serata, la donna rientra a casa, trova l’uomo appisolato sul lettone con il bambino sulla pancia e il vestito appeso e pulito.

Nel secondo spot, c’è invece un uomo anziano che prepara con cura le divise di una squadra sportiva. Anche lui lava, stira e con orgoglio ripone questi abiti negli spogliatoi. Quando finalmente entra la squadra, scopriamo che si tratta di atlete donne: tante ragazze accudite da un uomo.

Io ho trovato questi spot un passo avanti enorme. Sono lo specchio della realtà? Sicuramente no. Non credo, ad esempio, sia così diffusa una coppia paritaria come quella mostrata, ed è proprio il motivo per cui c’è bisogno di esempi come questi, che, in modo subliminale, propongono un modello nuovo. La strada è in salita, ma almeno abbiamo iniziato a camminare

Barbara Gubellini.                                                                                                             imagespapà

La guerra non dichiarata ma spietata della sinistra ai poveri…

 

Opprime chi non può permettersi l’auto elettrica, chi non può spendere per il pollo bio allevato all’aperto, chi non ha i soldi per comprarsi una casa di classe energetica. E anche Cicalone che disturba i ladri non va bene.

“Oppressione dei poveri”. E’ uno dei “quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio”, leggo a pagina 20 del “Catechismo della Dottrina cristiana pubblicato per ordine del Sommo Pontefice san Pio X” (Edizioni Ares). Al tempo, nel 1912, gli oppressori erano i padroni delle ferriere. Oggi sono le persone di sinistra. E’ esplosa la guerra della sinistra contro i poveri, una guerra non dichiarata eppure spietata, una guerra che ha dell’incredibile per chi ne ignora le ragioni (io invece credo di conoscerle). La sinistra ambientalista opprime chi non può permettersi l’auto elettrica, la sinistra animalista opprime chi non può spendere per il pollo bio allevato all’aperto, la sinistra climatista opprime chi non ha i soldi per comprarsi una casa di classe energetica A, la sinistra immigrazionista (la Cgil che denuncia Cicalone perché disturba i ladri!) opprime i pendolari costretti a prendere la metro e a farsi borseggiare dai latinos… Il peccato grida, i peccatori attirano l’ira di Dio. Andranno all’inferno le persone di sinistra? E’ il minimo sindacale.

Camillo Langone__da __IL FOGLIO

 

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Temendo la brace, la Francia resta in padella…

 

A sentire i telegiornali, a leggere i giornali, in Francia e in Europa, c’è un sollievo generale. Tutti contenti, finito l’incubo, pericolo scampato, rompete le righe. Vince il Fronte popolare, siamo liberi e felici. Il quotidiano L’Unità, organo di retroguardia della sinistra condensa le sciocchezze del mainstream in un titolo a tutta pagina: Siamo tutti antifascisti, inneggiando alle piazze di Parigi e d’Europa che hanno sconfitto Le Pen dimostrando che la sinistra è viva. Senti i tg della Rai, i famosi melones, che dicono: che sollievo, sono stati i giovani, le piazze, le donne a far vincere la sinistra…
Un cumulo di sciocchezze e ipocrisie. Per cominciare, astensionisti a parte, il primo partito che raccolse il 34 per cento dei voti è stato il Rassemblement di Le Pen. Voto popolare, nazionale, giovanile, operaio, femminile. Come ci può essere sollievo generale in Francia per la sconfitta di chi avevano votato più di tutti? Al primo turno gli altri partiti furono sconfitti. Ma siccome il sistema elettorale consente di sommare gli sconfitti in un Fronte fondato sulla desistenza nelle candidature, la somma degli sconfitti ha sconfitto il vincitore. Il risultato non rispecchia la volontà degli elettori, perché ogni singolo addendo, almeno a livello popolare, non aveva nulla a che spartire con gli altri. In quella somma la sinistra ha la sua quota divisa in tre forze; il resto sono centristi, macroniani e liberali.
La sinistra non ha vinto un bel niente; è stato Macron il Furbo che dal primo momento – e lo scrivemmo già quando annunciò di voler sciogliere il Parlamento- ha scommesso sulla partita Le Pen contro il resto del mondo, giocando cioè sul fatto che lei non aveva possibilità di trovare alleati al secondo turno. E avrei scommesso da subito che sarebbe finita così. Lui, l’Impopolare, viene salvato dal Fronte Popolare degli Sconfitti. La loro unione, lo vedono tutti, è fondata solo sull’impedire a Le Pen di andare al governo. Non è un’unione per la Francia ma una conventio ad excludendum. Non è pro ma anti. Ecco perché tengono in piedi quel fantasma putrefatto che è l’antifascismo, ottant’anni dopo che il fascismo è morto. Perché con quella formula surreale impediscono il cambiamento, salvo poi dividersi nel dopo, e proseguire nella miseria di governi impopolari. Macron campa su questo da anni, ma non solo lui.
In Italia quella formula la invocano sempre e tuttora è l’unico collante, l’unica prospettiva, l’unica strategia che sanno mettere in piedi. Di fronte alla chiamata antifascista non ti puoi tirare indietro. Cos’è poi la chiamata antifascista, in che cosa consiste a parte la seduta spiritica di far rinascere il fascismo? Consiste nel rifiuto della sovranità popolare e nazionale nel nome dell’unione europea, cioè delle élite che governano l’Europa e dei poteri annessi; rifiuto che viene tradotto in antirazzismo. Poi consiste nel rifiuto della famiglia naturale, dei legami comunitari, della civiltà e delle tradizioni nel nome dei diritti civili tipo aborto e nei diritti gender riassunti in quel codice fiscale mezzo algebrico diventato mantra, lgtbq+ a cui aggiungerei l’asterisco, che sostituisce ogni fine parola con o e con a (beati i sardi che finiscono molte parole in u, e così scampano la militante idiozia del neutro). E consiste infine nell’accoglienza dei migranti, la cancellazione della propria civiltà e delle radici civili e religiose per far posto a chi viene da fuori; e nel richiamo retorico alla pace (salvo guerre a getto continuo, corsa ad armarsi, ma sempre per scopi democratici, umanitari, anzi pacifisti). Il tutto incipriato nel verde; ma se lo fa la destra è ecofascismo.
La formula politica dell’antifascismo, che da noi si chiamò arco costituzionale, è la stessa da più di sessant’anni: centro-sinistra.
Il centro-sinistra globale, che esclude ogni destra che non voglia diventare reggicoda del medesimo centro-sinistra globale (nome in codice: Ursula). Detto in breve: o la Meloni si taianizza, o finisce ai vannacci.
Sul piano dei sistemi l’antifascismo nasconde il tradimento della sinistra nei confronti della lotta al capitalismo: il capitale diventa alleato perché il nemico supremo da abbattere è sempre e solo il fascismo (che non esiste). Così Mélenchon fa patti con Macron, la sinistra diventa ovunque la guardia bianca del capitale. Cosa riceve in cambio? L’adozione del proprio manuale ideologico antifascista, filo-migranti e filo-transgender. Al di là di una spruzzatina pop sui temi sindacali e sociali, la sinistra di fatto non sogna alcun superamento del capitalismo, è dentro il suo mondo e la sua tabula rasa, concorre a cancellare la civiltà ereditata; il suo nemico non è più il Padrone, i ricchi, i giganti della finanza e i potenti, che sono invece suoi alleati, ma la famiglia, la civiltà tradizionale, la sovranità nazionale e popolare, riassunti nella formula diabolica del fascismo, con aggravante obbligata del razzismo. A dir la verità anche le destre, pur ai margini, sono dentro lo stesso acquario capital-occidentale, salvo comizi.
La formula viene applicata ovunque. Se tu per esempio denunci, come è capitato a me, che un treno ad alta velocità e lungo percorso non può abbandonare a metà corsa sui binari, per sciopero, i viaggiatori, tra cui donne, bambini, disabili, trovi sempre quattro coglioni di sinistra (non trovo definizione migliore, le altre sono peggiori) che ti attaccano: ah, il solito fascista, vuole abolire il diritto di sciopero. I problemi concreti del presente, il disagio reale dei cittadini, cancellati dal solito mantra ideologico di un secolo fa. A questo serve l’antifascismo, usato dai cinici furbi e dai cretini acidi.
L’Eliseo per Marine Le Pen è il supplizio di Tantalo, potrà anche prendere il 40% ma con quel sistema elettorale al secondo turno sarà sempre sconfitta. Le occorrerà al primo turno la maggioranza assoluta. Altrimenti ci sarà sempre un Mélenchon a fare l’antisistema ma poi ad accettare il patto col diavolo pur di non far vincere il super-diavolo (inesistente), il Fascismo. Su queste pantomime regge il potere.
Trasferite ora la vittoria degli sconfitti che si apprestano a non governare la Francia nel caso italiano e nell’euforia della sinistra nostrana. Ci sono due differenze con la Francia: il sistema elettorale qui non è di doppio turno e la destra, grazie a Berlusconi (va detto), ha la possibilità di coalizzarsi e governare. Non c’è nulla da imparare dalla Francia, è roba vecchia anche da noi, nulla di nuovo: è Fritto Misto nelle urne e Aria fritta per il Paese. Temendo la brace inesistente del fascismo, l’Unione ciechi di Francia ha scelto di restare in padella. Friggetevi.

Marcello Veneziani