Elegia nostrana in un paese smemorato…

 

 

È possibile immaginare un’elegia italiana o nostrana, come J.D. Vance ha imbastito un’ Elegia americana? Il libro scritto dall’attuale candidato a vice di Trump era dedicato alla memoria, all’infanzia, alla profonda provincia dell’America; da noi sarebbe un viaggio nostalgico nella provincia italiana, quel che ha rappresentato nella vita e nell’immaginario nostrano. Ieri, nel mio paese natio, Bisceglie, a conclusione del festival “I libri nel borgo antico”, cercherò – nella brevità di un incontro – di ricamare un’elegia paesana, aiutandomi con le immagini del passato, nel tempo in cui la memoria e i paesi tendono a svanire, con una velocità impensabile alla luce della proverbiale lentezza della vita di paese, al sud in particolare. I festival del libro hanno il merito di portare la cultura in provincia, i libri e gli autori del momento. Tenterò l’operazione inversa, di portare il paese, la provincia nel cuore della cultura, della memoria e della riflessione del presente. In fondo la grande letteratura nasce provinciale prima di diventare universale. Ogni volta che parli di un paese parli di ogni paese, tutto ciò che è profondamente intimo, locale, nostrano è ciò che è più universale, più sentito, comune a tutti. Anche chi vive in città ha un paese d’origine nel cuore; magari non è il suo ma dei suoi nonni; tanti ricordano memorabili giorni vissuti nella carezza del paese e nel suo pigro avvolgersi intorno a noi.
Contrariamente a quel che si dice, il mondo locale era molto più ricco, vario e universale del mondo globale nel quale viviamo. In paese conosci mille persone, ti fermi a parlare con cento, sai vita, morte e miracoli di tanta gente; nella grande città ne conosci e ne saluti assai meno, ti fermi a parlare con pochissimi.
Il bambino cresciuto nel mio paese, come in molti altri paesi, abitava in tre mondi reali: conosceva il paese, la piazza, il corso, le case, i negozi, la vita paesana ma conosceva pure la campagna, gli animali, la civiltà contadina che era fino a pochi decenni fa prevalente e contigua al paese; e conosceva il mare a due passi da casa, i pesci e i pescatori, le reti, le barche, i ricci, le cozze, i bagni; un altro mondo.
Ma non solo. Le famiglie numerose di una volta – allargate, allungate, aperte ad amici, comari e conoscenti – ti mettevano in confronto permanente con mondi diversi dal tuo per età, ceto, esperienza. Oggi, le famiglie sono piccole, introverse e colonizzate dal mondo parallelo dei media; i giovani stanno coi giovani, i vecchi coi vecchi (quando non sono soli). C’è una specie di razzismo generazionale, di ristrettezza dello sguardo, di apartheid anagrafica che ci separa e ci isola; non conosciamo più dal vivo il passato, e gli anziani non conoscono i giovani che abiteranno il futuro. Vivono tempi, mezzi, linguaggi diversi. Accanto al mondo naturale e reale, si viveva in un mondo magico e religioso popolato di miti, folletti, favole e superstizioni, preghiere e processioni; capivi che il mondo non ruota intorno a te o dentro quella teca onnisciente chiamata smartphone, ma esiste nella realtà visibile e invisibile e tu sei solo un puntino dentro quell’universo.
Poi l’esperienza nel paese era multisensoriale. Non c’era solo la parola e la vista, c’era anche l’olfatto, tra odori e puzze, il gusto forte dei sapori veraci, il tatto, cioè il contatto di prossimità, toccarsi oltre a parlarsi, fiatarsi accanto; la prossimità era tangibile. Oggi conosciamo di più il lontano, ieri conoscevamo di più il vicino, la prossimità.
Le case in paese erano centri fiorenti di vita; la gente entrava e usciva di continuo, si chiamavano dai balconi e dalle finestre, avevi continue visite all’improvviso. Famiglie numerose comportavano sciami generazionali in transito continuo nelle proprie case. Società aperte, altro che chiuse, ma nella prossimità. Conviviali, a volte litigiose.
Insomma, contrariamente a quel che oggi si pensa, il mondo del paese era più ricco, vario e movimentato di quello telematico, virtuale e internettaro di oggi. C’era più umanità anche se di rado si vedevano le masse, le folle, le file. La vita nella sua semplicità sembrava nascere, crescere e finire spontanea; è la vita gratis, che vuol dire per grazia, senza prezzo e senza pretese, dove i beni primari sono accessibili gratuitamente.
Sto parlando al passato perché quel paese non c’è più. Si è svuotato, i figli lavorano lontano, le coppie non fanno figli, i vecchi sono aumentati, le strade hanno più extracomunitari che paesani. La vita biologica si allunga, la vita comunitaria si accorcia, la gente sta più in casa o in auto, ha meno natura intorno. Spariti gli asini, i muli, le galline e gli altri animali di cortile, i cani sotto i carretti o traini; le capre e le pecore, munte direttamente a domicilio per avere il latte fresco. Ora ci sono più cani e gatti in casa, umanizzati, trattati meglio, sostituiscono figli e amici.
Chi si aspetta a questo punto il rimpianto per quel tempo, resterà deluso. Primo, perché quel mondo era anche duro, aspro, povero, crudo, affamato, scalzo, ingiusto, ignorante e manesco.
Secondo, perché ogni epoca ha i suoi progressi e i suoi regressi, le sue conquiste e le sue perdite, e non ha senso rimpiangere le une senza considerare le altre.
Terzo, perché anche a volerlo quel mondo non torna più; è impossibile e patetico immaginare di ripristinarlo o rimetterlo artificialmente in vita. E non riusciremmo più a vivere in quel modo, in quel mondo, in quelle condizioni. Non era più bello quel mondo ma gli occhi che lo osservavano, i nostri occhi di bambino e poi di ragazzo, ancora pieni di vita e di aspettative. Era la nostra infanzia ma ci pareva l’infanzia del mondo, quando principiavano tutte le cose.
Allora perché ne parli e con tanta passione? Perché è bello farsi cacciatori di ricordi, è bello aver memoria di un mondo diverso, è bello ritornare a coloro che non ci sono più e alle cose che non ci sono più. Abitare più mondi è una ricchezza, abitare il passato oltre il presente è una preziosa risorsa e un termine di paragone, un buon esercizio che affina il nostro senso critico, la nostra libertà e la nostra coscienza di essere al mondo. La nostalgia è un bellissimo sentimento che fa bene all’anima, umanizza i rapporti, riporta la vita all’essenziale. Diventa una malattia se si capovolge in odio verso il presente, pretesa di abolirlo o almeno di maledirlo. Allora da sentimento si fa risentimento.
Ci vorrebbe un’elegia nostrana, senza pretese restauratrici e velleità revansciste. Un sentimento che prende il cuore, rende più lievi i giorni, ci fa vivere in più mondi e non solo in quello presente, che da vecchi ci piace sempre meno. E che ci rimette in pace con i morti e col passato.
Perciò è bello una domenica sera di fine estate riprendere, mano nella mano, la danza dei ricordi, l’elegia per un mondo che non c’è più.

Marcello Veneziani

La vita gratis…

 

I ricordi dormono accanto a noi. A volte è bello svegliarli e svegliarsi con loro. Si apre un mondo che credevi di non conoscere, invece ci vivevi dentro, e allora ti appariva naturale, come l’acqua che scorre e l’aria che respiri. La nostalgia non è una malattia ma un dono, la sua malinconia è un guscio che protegge un frutto gioioso.
Ci vorrebbe davvero una clinica dei ricordi, come scrive Georgi Gosdopinov nel suo romanzo Cronorifugio, dove la gente va a riprendersi i ricordi smarriti nel tempo o nella testa delle persone. Se dovessi scegliere il decennio preferito in cui rivivere, come succede ai popoli nel romanzo di Gosdopinov, sceglierei senza esitazioni il primo che vissi. Perché il più antico, il più lontano vissuto, il più diverso da oggi, avvolto nel mitico alone dell’infanzia quando non sai dove finisce la realtà e dove comincia la favola, tramite la fantasia. Risale a un’epoca primitiva, ancora senza tv ed elettrodomestici, usati da poco e da pochi pionieri. La chiave per aprire quel cassetto favoloso, oltre l’incanto della vita vista con gli occhi magici dell’infanzia – la scoperta primigenia delle cose, il fascino della prima volta di tutto, il piacere di scoprirsi al mondo e di conquistare ogni giorno un pezzo di vita e di conoscenza – è l’apriti sesamo di quel tempo magico, quel luogo, quel mondo che non c’è più: la vita gratis.
È la vita a portata di mano, all’aperto, senza prezzo e senza pretese, semplice e generosa, gratuita, dove tutto è accessibile a tutti: il ristoro delle fontane, il riposo delle panchine, il giardino pubblico, i frutti appesi agli alberi, i carrubi offerti dai rami ai viandanti, il ruscello in cui ti lavi e lavi i tuoi panni, i giochi fatti con ciò che hai a disposizione, senza arnesi, più la fantasia di un regola o di un oggetto che facilmente costruisci con le tue mani; e poi il mare libero, come i boschi e la campagna. Hai sete? Non vai al bar ma bevi alla fontana, e anche a casa non compri l’acqua minerale ma attingi dalle pompe e dai ruscelli. Le fontane d’estate erano ritrovi affollati, gente che beve, che riempie brocche, che si lava i piedi, dove ai bambini si dà fretta nei loro trastulli d’acqua per far bere gli adulti. Hai fame per uno spuntino? Stacchi un frutto dall’albero e lo mangi; finché è un frutto puoi anche staccarlo da un albero che appartiene a qualcuno, non lo stai saccheggiando, non è un peccato. Anzi, lo sarebbe il contrario, non dare da bere agli assetati e da mangiare agli affamati, come ci insegnavano. Vuoi riposarti? Non c’è bisogno di ordinare qualcosa a un tavolo, ti siedi alla panchina, come ancora fanno, soprattutto i vecchi al paese e aspetti, aspetti che passi il tempo, il caldo, la stanchezza. Da vecchi, il tempo è lungo e la vita è breve; il contrario dei giovani, a cui le ore corrono in fretta ma gli anni davanti sono tanti.
Vuoi farti un bagno? Niente stabilimento balneare, con lettini e ombrelloni, niente cabine, pedalò o gommoni, ma spiaggia libera con bagno libero, a volte senza costume o con le mutande di casa; e se hai caldo ti rituffi o trovi l’ombra di una grotta, la cavità di uno scoglio, o un albero vicino a riva. Tutto appare più semplice. E al mare corpi magri, non obesi né sottoposti a dieta, non rifatti, ritoccati, siliconati, palestrati, senza tatuaggi, creme, lampade, telefonini. Poi si passa la sera con lo struscio, il piacere è l’incontro, lo scambio di parole, la battuta. Basta poco per vivere. Gratis.
I bambini che giocano con niente tra strade e spiazzi, il massimo è rimediare un pallone. Il resto solo giochi di fantasia: la campana, i quattro angoli, nascondino, mago o libero, la piramide, il ciuccio, fiori e frutti, più mimica e indovinelli; giochi d’inventiva e abilità che non prevedono attrezzi.
Questa era la vita gratis, in uso soprattutto nella provincia, in particolare a sud, ma in fondo tutto il mondo è paese. E non era un secolo fa. Si poteva vivere senza soldi e senza limiti d’accesso, con poche pretese. Si campava d’aria, di terra, d’acqua, d’amicizia, espedienti e fantasia. Poi, è vero, c’erano i benestanti e i bisognosi, le proprietà private, i muri di recinzione, i privilegi, l’abbondanza e la penuria, le criature scalze; i mendicanti erano del posto.
La vita gratis era un mondo che sembrava fresco di creazione, appena sfornato da Madre Natura o dal Padreterno; ancora giovane, un po’ bambino, ingenuo nei suoi piccoli desideri, facili d’appagare.
Era bella la vita gratis, e lo dici con un sospiro, ma chissà se lo pensi davvero. Era una vita povera, ancora cruda, difficile nella sua facilità, aspra nella sua dolcezza; una vita che non riusciremmo più a vivere, perché abbiamo bisogno di troppe cose che prima non avevamo e perciò erano allora superflue; ma ora non sappiamo farne a meno. La nostalgia è dolceamara perché sai che quel mondo non può tornare e non ha senso affannarsi a restaurarlo. Tutta la sua poesia, la sua bellezza, è in quella irrimediabile lontananza; l’incanto di una perdita che non si recupera. Non si torna bambini, tuttavia è bello ritrovare lo spirito e lo stupore delle origini, pur sapendo che il tempo è passato ed è impossibile retrocedere. Ma il tempo, lo dice pure Gosdopinov, sembra rettilineo invece è circolare; alle curve rallenta, ci sono i tornanti. E la vita perfetta sa ricongiungere la fine all’inizio. In fondo, gratis vuol dire per grazia, e il proverbio antico aggiungeva et amore dei. La vita gratis, la grazia di essere al mondo…

 Marcello Veneziani

 Grazie a  Marcello Veneziani,scrittore, giornalista, filosofo, che seguo da tantissimi anni. Leggerla per me è , fin dalla prima volta, pane quotidiano, che nutre il mio spirito, la mia mente. I suoi scritti mi fanno una meravigliosa compagnia, grazie infinite per ogni sua parola, in cui spessissimo mi ritrovo,e sono felice che molte persone visitino questo mio blog, dove da tempo ho preso abitudine di condividere quanto di suo  mi piace avere a portata di rilettura.. Ancora grazie di cuore e tutta la mia stima. GSB

Il diario…

 

Fin da piccola, dalle prime emozioni percepite come tali, ho sentito il bisogno che  non andassero perdute, mi piaceva conservare per il giorno dopo i fiorellini raccolti, oppure qualche pietruzza colorata.  Da che imparai a parlare con me stessa usando la penna, da che ho memoria, avevo sempre un quaderno, un’agenda con me. Iniziai senza avere un ordine cronologico, appoggiavo dei pensieri su spazi vuoti, a volte morivano là senza tante cerimonie, a volte i pensieri si arricchivano di ghirigori, di foglie, fiori, intrecci di volute e segni di matita, che prendevano forma attraverso sforzi di fantasia, a volte li trasformavo in piccole storie. Crescendo i quaderni furono agende e l’agenda divenne una specie di ordine temporale per quei pensieri arruffati di vento, di pioggia e di sole.  Poi le agende divennero panciute, inglobarono piccoli fogli, scontrini da conservare, ricordi sotto forma di biglietti da visita e ancora pensieri cerchiati, orari posticipati, frecce nervose tracciate su appuntamenti pesanti. Brani di testi, che mi avevano colpito, che sentivo miei e non volevo andassero perduti ,diventarono presto lo scheletro di questi miei pensieri indimenticabili, che alternavo con emozioni  particolari da appuntare per capirne i motivi e confrontarle. Andò avanti tanti anni e ancora oggi ho un’agenda con me, la sfoglio nelle sale d’attesa, nei momenti sospesi, nel tempo che aspetta di riempirsi d’altro. Dentro biglietti di cinema, ricette, lista di cose da fare, da comprare, da ricordare. Fogli piegati come segnalibri per ricordare qualcosa. A volte ci trovo in mezzo una penna dimenticata, a volte delle persone. E’ il fardello della mia vita, che mi porto appresso, un compagno piacevole nei momenti vuoti, fuori casa, quando non uso il PC per aiutare le mani stanche, anchilosate, che faticano a scrivere a mano, ma  che, ancora devono annotare pensieri, brani, ed emozioni  qui.

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Autunno, bellezza ed emozioni…

 

L’autunno è una stagione che evoca molte emozioni. Mentre i colori caldi delle foglie cadenti creano un’atmosfera accogliente, il cambiamento della natura e il declino della luce del giorno possono anche suscitare sentimenti di malinconia. Tuttavia, nonostante la sua tristezza, l’autunno è anche una stagione di speranza e di nuovi inizi. Il romanticismo dell’autunno risiede nella sua bellezza malinconica. Le foglie che cadono lentamente dagli alberi, il vento che soffia freddo e la luce del giorno che si accorcia creano un’atmosfera di nostalgia e riflessione. Questa stagione ci invita a rallentare e a riflettere sulla vita, sui suoi alti e bassi, sulle sue gioie e le sue tristezze. Inoltre, l’autunno è una stagione di transizione. Mentre la natura si prepara per l’inverno, noi possiamo fare lo stesso. Possiamo lasciarci alle spalle ciò che non ci serve più e prepararci per nuove opportunità. L’autunno ci ricorda che la vita è un ciclo continuo di cambiamenti e che dobbiamo essere pronti ad affrontarli. In conclusione, l’autunno è una stagione malinconica ma anche piena di speranza. Ci invita a rallentare e a riflettere sulla vita, ma anche a prepararci per nuovi inizi. Nonostante i suoi colori caldi e accoglienti, ci ricorda che la vita è fatta di alti e bassi, ma che possiamo sempre trovare la bellezza in ogni stagione, aiutandola nella creazione di quella circolarità, dove fine e inizio coincidono ed evolvono nelle nostre percezioni del tempo che passa, mentre la sua staticità è immutabile. Per esempio, le foglie che cadono lentamente dagli alberi e il vento che soffia freddo possono creare un’atmosfera di nostalgia. Vediamo nelle foglie disperse nel vento, l’allontanarsi della giovinezza, gli anni della maturità scolorire nelle felicità perdute, gli ultimi sogni  spegnersi nelle ultime stelle cadenti d’agosto. E si fa strada l’inverno, bianco di neve e canizie, ricoperto di merletti nelle gelide mattine in cui il cielo lascia vedere nel suo fondo tutta il calore coccoloso degli amori   accanto al fuoco, col suo profumo di  cenere, di caldarroste , l’amore che si fa tenerezza, la voglia di un futuro semplicemente trasparente sulla vita trascorsa e ricca ancora di poesia, sempre uguale,  ieri, come oggi e  come domani nell’eternità-

 

L’intimo ai giorni nostri.

L’intimo è ciò che si nega al pubblico per concederlo solo a chi si vuol far entrare nel proprio segreto profondo. Il pudore, che difende la nostra intimità, difende anche la nostra libertà. Non è una faccenda di vesti, sottovesti o abbigliamento intimo, ma una sorta di vigilanza, dove si decide il grado di apertura e di chiusura verso l’altro.

Ma contro tutto ciò soffia il vento del nostro tempo che vuole la pubblicizzazione della propria intimità, perché in una società consumista, dove le merci per essere prese in considerazione devono essere pubblicizzate, si propaga un costume che contagia anche il comportamento degli uomini, i quali hanno la sensazione di esistere solo se si mettono in mostra. Conformismo e consumismo hanno messo in circolazione un nuovo vizio che per comodità chiamiamo “spudoratezza”, con riferimento non tanto a uno scenario sessuale, quanto al crollo di quelle pareti che consentono di distinguere l’interiorità dall’esteriorità, la parte “privata”, “intima” di ciascuno di noi dalla sua esposizione e pubblicizzazione.

Ciò produce una metamorfosi dell’individuo che ormai si riconosce solo nella propria immagine, e perciò non cerca più se stesso. I nostri vissuti emotivi, che abitavano il segreto della nostra interiorità, dove domina il raccoglimento e il silenzio, ma forse anche la solitudine, le parole di preghiera, le parole d’amore, le parole d’amicizia, le parole di rabbia, le parole umane, hanno dovuto esteriorizzarsi come la pelle rovesciata di un serpente.

Umberto Galimberti, Il libro delle emozioni.

 

intimo

Vivo di sentimenti , nati dalle emozioni. Per questo vivo tra serenità e inquietudini della realtà quotidiana

 

Sono una persona emotiva
che comprende la vita
solo poeticamente,
musicalmente,
nella quale i sentimenti
sono molto più forti
di qualsiasi ragione.
Sono così assetata
di meraviglia
che solo lo straordinario
ha potere di su me.
Tutto ciò che
non riesco a trasformare
in qualcosa di straordinario,
lo lascio andare.
La realtà
non m’impressiona.
Credo solamente
nell’ebbrezza, nell’estasi,
e quando
la vita ordinaria
mi vincola fuggo,
in un modo o in un altro.

Anais Nin

 

anais

Un pomeriggio d’agosto all’ombra delle nostre querce..

 

Sarà anche stupido,ma bello e piacevole pensare cose di un uomo che non potrà mai sapere. Eppure sento che il cuore batte in modo diverso, anche se è un non sense-
Essere certa che non lo saprà mai e nulla si realizzerà ma chi l’ha detto che sognare fa male , che le illusioni sono negative ? Voglio cullarmi in questa illusione come fosse un mare , il piu incredibilmente colorato, un mare che sarà solo mio, il mio mare. Aspetterò ogni onda, mi lascerò travolgere e portare lontano da ogni riva, vivrò in sordina il trambusto del mio cuore,che mi accompagnerà e farà parte di me come il caldo, come la luce degli occhi, come l’emozione di un innamoramento mai sopito, che mi scuote ancora anima e corpo, mentre ritrovo il tuo sguardo e il tuo sorriso là, in quella nuvola all’orizzonte, pronta a tuffarsi nel mio mare.

tramonto mare

Ritorno al Sud

Mattino lucente a Capri, ancora fresco e disabitato di gente, dominato dalla luce mediterranea. Perché non fuggire a Punta Tragara a godersi i faraglioni inondati dal sole? Un libro, una penna e due lenti scure per entrare nel paradiso terrestre in incognito, senza restare abbagliati. Era bello star soli a Punta Tragara a spiare il trionfo della natura nell’azzurra maestà del cielo. Ma ad un certo punto arrivò una piccola sagoma.

Era una vecchia signora, curvata dalla vita, capelli rifatti da una residua vanità che ancora resiste all’assedio del tempo, una borsetta sgualcita che penzolava dal braccio, due gambette magre che spuntavano da un impermeabile vuotato di corpo. Piccola e ancora più rimpicciolita dagli anni. Giunse lentamente all’angolo estremo che sporgeva sul mare. Si affacciò alla ringhiera di Punta Tragara in direzione dei faraglioni. Si poggiò con entrambe le mani insecchite alla ringhiera che le arrivava quasi all’altezza delle spalle. E stette lì ferma, non per un attimo o per riprendere fiato. Si fermò a lungo come impietrita, ogni tanto cercava di puntare i piedi come una bambina che vuole raggiungere la credenza proibita delle delizie e guardava di sotto, nel precipizio gioioso.

In silenzio guardava e pensava, mentre la brezza leggera scuoteva appena la sua permanente. Il suo sguardo non filtrava dalle lenti spesse e leggermente affumicate, non saprei dire se la smorfia appena accennata sul volto alludesse a un dolore o a un piacere. A volte è sottile il passaggio e forte la somiglianza. Chiusi il libro e stetti a guardarla, con tenera e incuriosita passione. Immaginai di che cose fosse riempito il suo lungo silenzio, il suo miope ma lunghissimo sguardo. Mi intrufolai nel suo passato presunto e remoto. E trovai una ragazza, piccola e graziosa, di vent’anni. Spumeggiante di vita, dal passo veloce. La vidi là, poggiata alla ringhiera in una mattina degli anni trenta. Non da sola. Ma in compagnia di un uomo più alto, abbronzato, vestito di bianco, con i larghi pantaloni di lino gonfiati dal vento, i capelli dorati e ondulati, i sandali, che la stringeva e poi la baciava. Un uomo perduto nei flutti del tempo.

Ho immaginato il suo passato, le sue onde, i suoi vent’anni leggeri come la brezza di quel mattino di ottobre. La sua prima fuga a Capri con quel giovane che non c’è più, che forse diventò suo marito. E divise con lui il grigiore degli anni maturi, e poi il suo nero congedo. O forse no, quel giovane sparì insieme ai suoi vent’anni, fu un amore spezzato o sparito. Forse è la stessa cosa, sposarsi o sparire, quel giovane non è più quello in nessuno dei due casi. Ma quella mattina a Capri sorridevano e si sentivano stregati dalla magìa di quell’aura, legati in eterno – che poi dura un istante – dalla luminosa bellezza del luogo e dalla solare passione che li univa.

La piccola donna era lì a visitare il suo paradiso perduto, a portare un fiore alla vita. Pensò la vita che finisce lungo la bianca scia di uno scafo. La piccola donna estrasse dalla borsetta un fazzoletto. Lo tenne in mano come se volesse salutare una barca che non c’era. Poi lo accostò al naso senza soffiare. E riprese il suo lungo, immobile congedo dai tesori della sua vita, sporgendo ogni tanto la testa in basso come se fosse caduto là il suo passato, come un orecchino staccatosi dal suo lobo e finito nel goloso blu del mare.

La perla tornò all’ostrica nel cobalto lucente della memoria…

MV, Ritorno a sud (2

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Faccio l’amore con un fantasma… e so che sei tu!

Lenzuolo di sopra.

Piegato con cura mi sono sistemato
tra la biancheria dell’armadio

Hai tirato fuori le lenzuola del tuo letto
e mi hai messo come lenzuolo di sopra

Sei scivolata sotto il copriletto
e ti ho coperta centimetro per centimetro

Allora siamo stati spazzati  dall’uragano
e siamo caduti ansimando  nell’occhio  del ciclone

Adesso giaci bagnata di sudore
con lo sguardo perso nel cielo raso

e il lenzuolo di sopra
ancora aggrovigliato tra le gambe

Oscar Hanh

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