Vivere tanto per vivere… un presente destinato a durare…

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ILLUSTRAZIONE DI ZAC

Massaggi

Due di notte, una fitta nebbiolina sfuoca e amalgama con il buio della notte le lampade dei lampioni. Barcolla. Sa di aver bevuto troppo. Quattro bicchierini di grappa. La grappa non l’ha mai retta. Il suo amico gli propone di accompagnarlo a casa ma lui lo ringrazia e preferisce rimanere seduto un altro po’ al tavolo. Poi esce verso la sua macchina. Più volte la spalla del suo cappotto struscia sui muri delle case. Si ferma. Si guarda attorno e non vede nessuno. Meglio! Continua  a camminare oscillando come un metronomo. Si ferma di nuovo. Vede una panchina, riparte. Cade con il sedere sulla panchina e nasconde i tratti del suo volto nelle mani. Alza il mento e apre il cancello sudato delle sue mani e vede una fontana. Si sciacqua la faccia e riprende il suo cammino. Non ricorda più dove ha parcheggiato la  macchina. Improvvisamente il suo sguardo si infila in una stradina e vede una piccola insegna luminosa. Un taglio rosso nel nero. La nebbiolina si mescola con la luce rossa smarginando  quel rettangolo luminoso. Cambia bruscamente direzione e si dirige verso quel rettangolo che gli accende curiosità. Cambia passo e inizia a correre. Inciampa e cade in avanti. Si rialza e spolvera il suo cappotto di Hugo Boss. E’ sotto a quella luce rossa. La fissa con insistenza e un leggero sorriso affiora dal suo volto. “Massaggi”, sull’insegna c’è scritto “Massaggi” e soprattutto “aperto”. Fa dei respiri grandi. Si mette in bocca una mentina e suona il campanello. Edoardo è un uomo alto. Anche quando è un po’ brillo riesce sempre a mantenere una certa eleganza e raffinatezza. Adora parlare in inglese e gli fa piacere recitare la parte dello straniero distratto, leggermente confuso ma gentile ed educato. Ama recitare quella parte perché si prende in giro e ama osservare gli sguardi attoniti o indifferenti della gente sconosciuta. A volte viene accolto, altre volte ignorato. Ma lui si diverte tantissimo. Fa finta di non capire e inizia a farfugliare, a muovere le mani con arte. Quando è ubriaco è un attore nato ed è meno diffidente verso le persone. Entra in un piccolo ingresso. C’è un banco nero. Dietro, una piccolissima figura di donna. A malapena si vedono gli occhi. Si alza e aggira il banco la donna gli sorride e lo saluta. Sopra di lei una lampada a forma di Drago. La polvere ha sostituito la nebbiolina fuori. C’è un silenzio assoluto che si impasta con diversi odori: sudore, candele, profumo di bassissima qualità. Chiede un massaggio completo e si siede su una panca di legno. Vicino a lui una pianta di plastica che ha perso molte foglie. Sembra una lisca di pesce fossile. Intorno a lui tutto è finto e scadente. La piccola donna arriva accompagnata da una ragazza e gli propone un bagno prima del massaggio. Trenta più venti: totale cinquanta. Sarà la ragazza a lavarlo. La guarda e scopre un sorriso, un lieve sorriso di circostanza. Accetta e la segue. I suoi fianchi ricordano le forme laterali del violino. Sono stretti e perfetti nelle curve. I suoi capelli sono neri e lunghi. Ha tatuata una farfalla sulla spalla sinistra. La piccola donna è ritornata dietro al banco come un soprammobile nero dagli occhi piccolissimi. La stanza dove entrano ha le pareti di legno e su di esse sono appese altre piante di plastica. Sopra il lettino c’è un televisore al plasma che proietta un video musicale. Il soggetto è una cascata gigantesca. I suoni sono acuti e ripetitivi. Alla destra del lettino c’è una semplice vasca circondata da una piccola staccionata. Tutto è finto ma a lui non interessa, vuole spogliarsi fare un bagno caldo e viversi un  massaggio. La ragazza lo aiuta a spogliarsi. Lui oscilla ancora un po’ ma è leggermente più lucido. I contorni si fanno più netti e meno sfuocati. Vede meglio le mani di lei. Dita lunghissime e affusolate. Dita da pianista. Sono leggere e profumate. Lo aiuta a spogliarsi. E’ lenta nei movimenti. Senza dirgli una parola lo mette a suo agio. Edoardo è completamente nudo. Sul fianco sinistro ha una linea più chiara. E’ leggermente più rossa rispetto al colore della sua pelle. E’ lunga diciotto centimetri. Circa trenta punti: operazione al rene. Un disegno della chirurgia che non cancellerà più. La ragazza lo nota e gli sorride. Poi, con la punta dell’indice della mano destra ripercorre dal basso verso l’alto e viceversa quella stradina fatta da un bisturi sul corpo di lui. Edoardo la guarda e non dice nulla. Anzi, alza il braccio sinistro e la invita con un semplice movimento del mento a passeggiare un altro po’ su quel segno indelebile. Lei lo invita a distendersi sul lettino mentre prepara la vasca. E’ immerso nell’acqua. Le dita di lei si muovono sul corpo di lui con leggerezza. Esce dalla vasca e la vede meglio. Lo asciuga sempre lentamente e gli offre un paio di mutande di carta morbidissima. Rischia di cadere su una gamba. Lei interviene subito e lo sostiene, non conosce l’italiano balbetta solo qualche frase. Si distende e lei comincia a mettergli addosso un olio profumato. Il tempo passa ma nessuno se ne accorge. L’uomo chiude gli occhi e si lascia trasportare.  Il suo corpo sta diventando una sfoglia e un suo desiderio sta lievitando. La ragazza si ferma. Lui apre gli occhi. Il tempo  questa volta è davvero finito. Lui si aspetta una proposta, una cifra. E’ sicuro! Lei si avvicina al suo orecchio, lui pensa già alla cifra, cinquanta? sessanta? Ma lei gli sussurra: ”Tu bello! Bello, bello uomo! Che fa tu qui?” Edoardo non capisce e prova a sfiorarle le braccia, ma lei si allontana subito ed esce dalla stanza. Edoardo rimane disteso e molto sorpreso. Niente prestazione sessuale? Ma non è possibile! Poi, dopo un paio minuti sente la voce della piccola donna:” Uscire, uscire. Si chiude!”.

Sono le tre e mezzo. Quasi tutti dormono. L’uomo con il suo cappotto di Hugo Boss lascia alle sue spalle quel rettangolo luminoso. E’ sicuro, non ritornerà più in quel centro estetico. Quel rosso elettrico si spegne. E la stradina con Edoardo diventa buio.

 

Andrea Salvatici

 

Una vacanza in Grecia…

 

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ILLUSTRAZIONE DI ZAC

Una vacanza in Grecia

 

Rachele uscì dalla saletta piena di sostanze chimiche. Barcollante si diresse verso suo figlio. Pronto e oramai esperto nella manovra, la prese per il braccio e l’accompagnò nella stanza delle poltrone verdi. Lei barcollò ma riuscì a stare in piedi. L’avambraccio del figlio diventò una ringhiera di legno stretta nella morsa delle sue dita. Dieci poltrone di similpelle disposte su due pareti. Cinque pazienti sulla parete di destra, cinque su quella di sinistra. L’uno di fronte all’altro. Quel verde lucido rifletteva schegge di luce negli occhi. Davano fastidio soltanto agli esterni e non ai pazienti. Questi ultimi appena seduti, chiudevano subito gli occhi. Rachele, invece, non li chiudeva. Aspettava silenziosa la sua giovanissima amica dopo il trattamento. Non si accontentava di salutarla con un sorriso. Voleva accoglierla a modo suo: voleva intrecciare, annodare e forse sciogliere quel groviglio di sguardi fra lei e la sua giovanissima conoscente. Nemmeno Penelope sarebbe riuscita a entrare fra loro due, in quella trama di vita, con le sue dita. Troppo intima e selettiva. Una donna vecchia e una ragazza. L’età in quella saletta conta, eccome se conta. Non è un pregiudizio, è un dato di fatto che muove troppe domande. Quella donna di ottant’anni non accettava di vedere quella giovanissima ragazza davanti a lei. Provava rabbia e si sentiva impotente e a tratti quasi in colpa davanti a quel seme appena interrato e subito costretto a germogliare dentro un foulard di Emilio Pucci intorno alla testa. Simona aveva diciott’anni. Quest’anno esame di maturità classica. Quest’anno vacanze premio in Grecia.

Simona arrivava dieci minuti dopo nella stanza delle poltrone verdi. Sempre accompagnata dalla sua amica Roberta. Si sedeva piano. Lentamente appoggiava la schiena poi la testa e subito rivolgeva un leggero sorriso verso Rachele. Non si parlavano, si guardavano con attenzione, con avidità. Il verde smeraldo degli occhi di Simona si mescolava con il marrone chiaro della vecchia. Nasceva così un colore nell’aria, nella stanza, che forse Masaccio avrebbe usato per la sua cappella Brancacci, per Adamo ed Eva, per i cacciati dal paradiso terrestre. Ecco i biglietti per la Grecia! – disse Roberta con il tono della voce troppo alto.

– Abbassa la voce…stordita! – rispose Simona.

– Ascolta bellina! Quest’anno ci andiamo sul serio…basta rimandare…e poi ce lo meritiamo!

– Tu, ma io…troppe assenze…

– Ma smettila!

– Corri troppo…però mi piacerebbe – disse Simona facendo un sorriso alla sua amica e rammendando un altro sguardo con Rachele.

– Da sole…s’intende…

– Certo! Tu Circe e io Calipso!

– Io…ho una casa a Tinos…se volete… – intervenne Rachele.

– Grazie Rachele! – rispose Simona.

In quella stanza dalle poltrone verdi le parole o pesano come barili pieni di sabbia o viaggiano come particelle alla velocità della luce quando c’è la voglia di comunicare. Rachele non perse l’occasione per offrire la sua casa a quelle due maturande.

E’ mattina, Rachele e suo figlio sono già nella stanza dalle poltrone verdi di similpelle. Rachele aspetta Simona. Rachele ha finito il ciclo, ma ritorna lì tutte le mattine. E’ ostinata. E’ testarda! E’ lì lo stesso! Rachele vuole vederla a tutti i costi. Rachele vuole darle le chiavi. Si siede e chiede a suo figlio le chiavi della casa al mare. Suo figlio lascia la stanza delle poltrone verdi e va nel corridoio a leggersi il giornale. Rachele stringe quel mazzo. Separa le chiavi e le guarda: cancello, portone, cantina, serra, fienile, voliera. Le lima nell’attesa di vedere Simona e non vuole sapere niente di lei…