Ieri commemorazione speciale,ma…A che serve la Rai.

 

La televisione compie oggi settant’anni ma nel celebrare il suo compleanno si omettono due dettagli storici non da poco. Il primo è che l’anniversario più importante di quest’anno, almeno come data, non è il settantennale della tv ma il centenario della radio, da cui nacque la Rai. La radio è la madre della tv, è l’incipit delle trasmissioni nell’etere. Il battesimo ufficiale della radio fu il 6 ottobre del 1924, in epoca fascista, l’emittente fu l’unione radiofonica italiana che poi assunse il nome famoso dell’Eiar. Che fu, si, altoparlante del regime fascista e della sua propaganda ma fu anche mezzo formidabile di informazione, istruzione e modernizzazione di massa. Arrivò perfino nelle campagne, fu il primo massiccio tentativo di includere i contadini nell’informazione, il loro passaggio dalla natura alla cronaca, dal tempo meteo al tempo storico.  Il secondo dettaglio trascurato dai tele-celebratori è che il 3 gennaio del 1954, andarono in onda i segnali e gli annunci ufficiali della Rai-tv ma le prime trasmissioni televisive risalgono in realtà al 1939, dopo un decennio di esperimenti. La Tv nacque in seno all’Eiar, sotto il regime fascista. Se non ci fosse stata la guerra, la tv si sarebbe diffusa un decennio prima, magari con l’esposizione universale del 1942 e avrebbe presumibilmente seguito nel tono e nell’ispirazione il modello di nazionalizzazione e mobilitazione delle masse che aveva assunto la sua sorella maggiore, la radio, nata e cresciuta sotto il regime fascista. Ma non solo: a inaugurare la televisione, nel 1939, non fu un ministro della cultura, dell’educazione o della pubblica istruzione, un Bottai, un Gentile o un Biggini, ma addirittura Achille Starace, il segretario del Partito nazionale fascista. Proprio lui, l’inventore delle veline, ma in un senso assai diverso da quello televisivo recente, famoso per i suoi ginnici salti nel cerchio di fuoco e per la devozione cieca e assoluta nei confronti del Duce, fino alla morte. Fu lui che compì il primo salto nel quadrato magico della scatola luminosa e tenne a battesimo il mezzo televisivo alle soglie del conflitto mondiale. Fu pure allestita una sala a Villa Torlonia, residenza del duce e della sua famiglia, per  seguire i primi programmi sperimentali. Mussolini vedeva la tv prima che apparisse Mike Bongiorno. Le cose non nascono mai dal nulla, ma sono figlie di altre situazioni e di altri contesti.

Ristabilita la verità storica, di solito omessa per ridicoli motivi di omertà storica e ottusa partigianeria, poniamoci la domanda per eccellenza: qual è il bilancio complessivo che si può fare della televisione, ovvero qual è il segno dell’influenza che ha esercitato sugli italiani, come singoli e come popolo, e sulle istituzioni? Si potrebbe dire che la storia della televisione sia divisa in due parti, che in linea di massima coincidono con le due metà del suo secolo di vita: nella prima parte la radio-televisione è stata soprattutto un mezzo di promozione popolare e di elevazione di massa, nella seconda parte è stata soprattutto un mezzo di peggioramento e involgarimento dei gusti di massa e dei modelli di vita. Da mezzo evolutivo a industria per il peggioramento della specie… Il punto di svolta coincise con due fattori emersi negli anni settanta: da una parte l’avvento della tv commerciale e dunque della concorrenza, che pure di solito migliora i prodotti ma nel caso della tv ha prodotto una gara al ribasso della qualità e della mission; dall’altra parte la tv controllata dal potere politico si fa lottizzazione, e questo da un verso garantisce un maggior pluralismo dell’informazione ma dall’altro abbassa il livello della televisione all’interesse dei partiti e della loro propaganda, dei loro impresari e dei loro emissari. La gara della quantità ha ucciso la qualità, la gara dei consumi si è abbattuta sui costumi.  Si può davvero sostenere che per cinquant’anni almeno la tv ha, si, uniformato gusti, conformato stili di vita, banalizzato saperi, ma ha alfabetizzato il paese in modo capillare e massiccio, ha unificato davvero l’Italia, ha consentito il passaggio alla lingua italiana di larghe aree del sapere, ha dato istruzione primaria più della scuola, ha intrattenuto, divertito, avvicinato la gente alla cultura e ai fatti del giorno. E dunque la sua impronta può dirsi complessivamente positiva.  Ma dalla fine degli anni settanta, la tv ha cominciato a invertire il suo ruolo, la propaganda e la promozione pubblicitaria hanno prevalso sulla tv che informa, traduce la cultura in visione popolare e fa crescere il livello del paese. L’imperativo degli ascolti, dello share e dell’audience, ha ulteriormente abbassato la soglia della qualità e il senso della sua missione. Detto questo, non si vuol concludere alla Pasolini che la tv vada abolita o spenta; resta una struttura primaria per un paese, uno spazio pubblico, una piazza essenziale di confronto, connessione e integrazione. Ed esercita una funzione comunque utile, se non insostituibile, anche nell’equilibrio delle fonti d’informazione, tra media, social, carta stampata. L’abbrutimento avviene quando la tv diventa il solo mezzo d’informazione e di intrattenimento, la sola finestra sul mondo, e sostituisce la lettura, l’incontro di persona e altre forme di in/formazione. Bisogna saperla dosare, e usare spirito critico. Il suo limite rispetto a internet è noto: non è interattiva, l’utente è spettatore e non attore. Ma la tv, soprattutto se è pubblica, ha il dovere di aiutare un paese e un popolo a crescere sul piano civile e culturale. Chi sostiene che la tv non debba coltivare propositi educativi o comunitari perché altrimenti diventa una tv etica e pedagogica, sottilmente autoritaria e prescrittiva, non si rende conto che senza un progetto educativo e comunitario, gli utenti e soprattutto i minori non vengono lasciati liberi ma in balia di altre agenzie diseducative. Peraltro ognuno è libero di fare zapping nel vasto arcipelago delle offerte televisive. Se la gara è solo tra chi fa più ascolti coi giochini, il trash, le tele-risse denominate talk show, si ritiri lo Stato e si lascino in campo i privati. Ne guadagnerebbero la dignità, l’intelligenza e il mercato. Alla Rai spetta il compito di sfatare il pregiudizio che culturale e popolare, formativo e ricreativo, siano incompatibili. Ma quel pregiudizio si è insediato da decenni nella testa della signora che oggi compie settant’anni, e sua madre cento.

Marcello Veneziani

Quando la nonna dice no…

Quando la nonna dice no.
di Anny Roman è un bellissimo articolo, che racconta cos’è un figlio, l’allevamento, la crescita, il rapporto coi genitori, e anche l’importanza della figura della nonna. Lo racconta, come la cosa più naturale e semplice del mondo,il che è vero, lo è stato per secoli e dovrebbe esserlo sempre. Oggi , purtroppo il problema è il palcoscenico della vita, che ha come sfondi scenari difficili da vivere, per cui,un bimbo ,che nasce ,non è più la benedizione del Cielo sulla famiglia, ma , come tutto oggi, parte di un programma condiviso e studiato attentamente dai futuri genitori, insomma un problema, anche se graditissimo e per il quale si fanno anche follie.. a volte-

 

Un figlio è un tesoro in continuo divenire, il più bel tesoro possibile, la discendenza dell’umanità. Parliamo di “discendenza”; invece si tratta di “al-levare” un figlio, di elevarlo. I figli sono gli uomini del mondo futuro. Come vorremmo quel mondo? Ne abbiamo idea? Oppure non ci pensiamo mai, come se non dipendesse da noi, poveri esseri su questa terra, così ricca, così generosa, così fragile. Otto miliardi di persone al 15 novembre 2022. Come prenderci cura di questa piccola creatura appena nata, tanto vulnerabile, tanto delicata? Nutrirla, proteggerla dalle malattie, dal freddo. Il compito è arduo e indispensabile.

Ogni tappa nutre il bambino affamato di scoperte. Penetrano attraverso i cinque sensi. Il vento tra i capelli, la dolcezza della lana, il latrato del cane, l’odore della madre, la luce della lampada. Senza dimenticare la bocca. Perché lui mette tutto in bocca: un sasso, un giocattolo, una penna, un pelouche… per gustare e conoscere il mondo che lo circonda. Ogni età ha il suo grado di comprensione. Il bambino di due anni si farà investire in mezzo alla strada per inseguire una farfalla. Non avverte il pericolo, è compito dell’adulto proteggerlo senza rimproverarlo, perché cacciare farfalle è una bella e grande avventura per il bambino che si apre al mondo. Rimproverarlo significherebbe trasmettergli l’idea che il mondo è pericoloso, pieno di insidie. Rafforzando così la sua insicurezza. Potrebbe anche sentirsi umiliato, rampognato davanti agli altri. L’umiliazione dovrebbe essere bandita in ogni circostanza e per qualsiasi essere umano.

Crescere! Non è forse imparare attraverso una somma di esperienze affrontate nel miglior modo possibile, risolte una dopo l’altra, sempre con serenità? La fiducia del bambino nelle proprie capacità cresce con gli anni che passano, per poi arrivare all’età adulta padrone di tutte le conoscenze acquisite con fatica. Il bambino impara a ragionare da solo. Articola pensieri sulla vita che si agita attorno a lui fino a raggiungere un suo punto di vista.

Spesso i bambini ci fanno domande strane o imbarazzanti, sulla coppia, sui fratelli, sulla sessualità… pur intuendo quale possa essere la risposta! Ma si tratta di un test di credibilità, per sapere se gli adulti sono affidabili.

Ogni tappa della vita di un figlio è importante: da piccolo è come il latte sul fuoco: quando è più grande la pressione che esercita sull’adulto è molto meno forte. L’adolescente sa fare tutto, è autonomo! In realtà, vive un momento di fragilità, in cui la personalità deve affermarsi, affinarsi: il futuro ora è presente per il bambino cresciuto. Sorgente di angosce, desideri, progetti, paure, o semplicemente di paura dell’avvenire.

Le punizioni corporali sono assolutamente da bandire. I malumori, i capricci, il rifiuto di obbedire, non vanno interpretati come cattiveria, malignità, ma segnalano un disagio, un malessere, il timore di non essere amati, un’idea del tutto personale. Due genitori, ognuno con la sua personalità. La funzione del padre non è più quella di punire, bensì quella di amare, proteggere, guidare. E la madre non ha più il ruolo esclusivo di occuparsi del nutrimento. I compiti sono condivisi secondo il desiderio e il piacere di ognuno.

Senza dimenticare la nonna, così importante e così affettuosa. Lei non ha compiti educativi. Mia nonna mi ha insegnato la libertà, mi ha insegnato a saper amare. Avevo completa fiducia in lei, agiva solo per il mio bene, così le obbedivo sempre. Senza mai fare capricci, perché sapevo con certezza che, avendone la possibilità, avrebbe esaudito ogni mio desiderio: mangiare un gelato, andare al cinema, fare una passeggiata. I suoi dinieghi erano sempre giustificati da cause di forza maggiore.

La nonna non si occupava dei miei compiti, ma mi faceva raccontare cosa succedeva in classe, con i miei compagni, con la maestra. Mi lanciavo nel racconto della giornata con entusiasmo, lei mi chiedeva qualche dettaglio, mi dava il suo parere, rideva. Una scuola di eloquio, di dialogo! Ma anche un momento magico di condivisione.

Leggevo molto nel silenzio dell’appartamento. La lettura ha delle virtù cardinali, ci insegna la nostra lingua, fa viaggiare il bambino, gli fa scoprire luoghi e pensieri diversi. Il bambino penetra nell’immaginario di un altro essere umano che lo trasporta sulle ali del vento.

(traduzione di Alessandro Orlandi)